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Autore: Soe Mame    04/09/2014    2 recensioni
Sì, ci sarebbe riuscito.
Avrebbe svolto il suo ruolo in modo impeccabile, avrebbe onorato la parola data da Gakupo ai signori e non avrebbe mai più fatto alcun pensiero sulla signorina Len.
Sì, ci sarebbe riuscito, per tutti e sei i mesi.
Era spacciato.
Genere: Angst, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gakupo Kamui, Kaito Shion, Len Kagamine
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

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Aveva ancora due notti per essere a completa disposizione di Kyte.
Non aveva idea di quanto tempo sarebbero stati tutti e tre sotto lo stesso tetto, l'unica certezza era che lui e Kyte sarebbero stati soli per altri due giorni.
Forse fu per quello che prestò attenzione a particolari a cui, in sei mesi, non aveva mai fatto caso.
"..."
Fissò la camicia bianca gettata a terra, mentre si rimetteva la biancheria. Poco più in là giaceva un paio di pantaloni.
Avrebbe dovuto reindossare la camicia da notte e tornare nella sua camera, come ogni mattino. Sapeva che avrebbe dovuto farlo. Era la cosa più giusta e logica da fare.
"..." si chinò, raccolse la camicia. Aveva accarezzato spesso quel tessuto ma sentirla così, stoffa e basta, era strano. Forse avrebbe dovuto pensare che mancasse qualcosa, che l'effetto di straniamento fosse dovuto alla mancanza di qualcuno che la indossasse, mentre lui la toccava.
"... è una camicia da uomo."
Guardò a sinistra.
E incontrò i suoi stessi occhi.
"... vero. Kyte tiene lo specchio qui." abbassò lo sguardo, riportandolo sulla camicia bianca.
Un brivido lungo la schiena.
Doveva rivestirsi e tornare in camera sua. In quel momento. Non aveva tempo da perdere.
"... rivestirsi..." strinse la presa sulla stoffa. Trasse un profondo respiro.
Infilò un braccio in una manica.
"Solo per pochi secondi. Non lo saprà nessuno. Neppure Kyte." infilò anche l'altro braccio, le mani uscirono dalle estremità delle maniche.
Rabbrividì.
La stoffa della camicia era leggera, la sentiva accarezzargli ogni centimetro della pelle del busto, tranne per una striscia davanti, tra i bottoni che non aveva chiuso.
Guardò in basso. Passò le dita sullo scorcio di pelle visibile dalla camicia aperta. Quello stesso scorcio verticale che di solito vedeva su Kyte o Gakupo.
Un groppo alla gola. Deglutì, ma tornò su.
Alzò lo sguardo. Guardò lo specchio.
La camicia era troppo lunga, quasi gli sfiorava le ginocchia - e si gonfiava in modo assurdo nel tentativo di seguire il profilo della biancheria.
Sembrava una persona ristrettasi di colpo.
Tornò a guardare il pavimento. Individuò i pantaloni. Si chinò, infilò prima una gamba, poi l'altra. Li tirò su.
Quelli ricaddero a terra.
"..."
Li ritirò su, stavolta tenendoli con una mano. Armeggiò con la cintura, scoprendo che non c'erano abbastanza buchi per stringerla fino alla sua misura.
"... sembra scomodo camminarci..." riportò lo sguardo sullo specchio.
Una camicia. Dei pantaloni.
Sentì il cuore stretto in una morsa.
"Devo tornare nella mia camera. E' quasi l'alba.".
La tenda. Si avvicinò - la mano ferma a tenere i pantaloni - e la scostò appena, creando un sottile rettangolo di luce lunare lungo il pavimento e la parete opposta alla finestra.
"No... non è ancora l'alba..."
Non aveva scostato la tenda per vedere l'alba.
Lo sapeva anche lui.
"... devo rimettermi la camicia da notte."
Doveva aprire la mano e lasciar cadere i pantaloni. Doveva togliersi quella camicia. Doveva sbrigarsi a tornare nella sua camera.
La mano tremò.
La camicia da notte era a meno di un metro da lui.
"... ora mi rivesto, sì."
Fece un passo avanti.
E si guardò allo specchio.
"... solo uno sguardo veloce. E mi rivesto.".
Sembrava davvero una ragazzina ristrettasi di colpo, con indosso vestiti ormai troppo grandi per lei, che mai sarebbero dovuti essere sul suo corpo.
Si sistemò il colletto, che non voleva saperne di stare giù.
Forse le straccione portavano vestiti da maschio. Len non era una stracciona. Era l'illustre figlia di una delle casate ducali più potenti d'Inghilterra.
Cercò di chiudere la camicia con la mano libera.
Guardò il suo riflesso.
Gli sorrideva. Con compassione.
"... sono davvero pietosa."
Trasalì.
C'era un'ombra, alle sue spalle.
Si voltò, il cuore che martellava nelle orecchie.
Kyte. Era sveglio. E lo stava guardando.
"Da quanto-"
- Da quanto siete sveglio? -
"Mi ha vista..." doveva togliersi quei vestiti. Gli sembrava fossero improvvisamente diventati roventi.
- Non saprei... - la voce dell'altro era bassa, parlava piano, lo sguardo fisso - orribilmente fisso, doveva smetterla di fissarlo - su di lui: - Se avete fatto qualcosa di imbarazzante, non l'ho visto. Vi ho visto solo stare davanti allo specchio e sistemarvi. -
"..."
Si strinse nella camicia. Non gli sembrava più tanto rovente. Forse era stato solo un istante, ma l'improvviso bisogno di levarsi quei vestiti era diventato troppo pressante per continuare a resistere.
E le orecchie iniziavano a fargli male. Il cuore le stava assordando.
- Scusatemi. - si sfilò la camicia e lasciò cadere i pantaloni. Si sentiva ancora fissato. Si coprì il petto, voleva davvero che la smettesse di fissarlo, voleva che tornasse anche solo a far finta di dormire, voleva andarsene da quella camera, voleva averlo fatto prima, voleva non aver mai messo quei vestiti, voleva che l'altro pensasse che fosse solo un dubbio sogno, voleva che la smettesse di-
- Non avete fatto nulla di male, eh. -
Len si fermò. Aveva appena recuperato la camicia da notte.
Kyte insisteva nel fissarlo. E continuava a farlo con quella sua espressione confusa, di quando proprio non riusciva a capire anche la cosa più ovvia.
Premette la camicia da notte contro il petto. Doveva reindossarla. E andarsene. Nella sua camera.
Rivide il suo stesso sguardo, per un istante.
- Volevo... - strinse la stoffa: - ... volevo solo sapere cosa si provasse ad indossare... - "Abiti da uomo." - ... cose come quelle. -.
Voleva andarsene. Voleva tornare nella sua camera.
E allora perché continuava a rimanere lì?
- Aspettate! -
Kyte si era alzato ed era andato all'armadio.
"Che...?"
Quando vide tra le sue mani una camicia e dei pantaloni, sentì il cuore fare una capriola all'indietro e atterrare molto male.
- Forse questi vi staranno meglio. - se li vide porgere, con un gran sorriso. Un sorriso che un istante dopo sembrò di scuse: - ... anche se non credo siano esattamente della vostra taglia. -
Non le scuse che sarebbe stato giusto sentire. Non i gesti che sarebbe stato giusto fare.
Un altro brivido.
"Devo rifiutare. Devo andarmene."
Un'altra camicia bianca. Dei pantaloni scuri. Sicuramente troppo grandi per lui. Ovviamente non adatti a lui.
Non doveva indossarli. Non avrebbe avuto motivo di farlo. Non doveva.
La stoffa della camicia sotto i polpastrelli.
Si voltò, la camicia in una mano, la camicia da notte lanciata sul letto. Infilò un braccio. Un brivido, per il freddo. Per il freddo. Infilò l'altro braccio. Un brivido lungo la schiena, per il freddo. Era fredda. Appena tirata fuori dall'armadio.
Tornò a rivolgersi all'altro, prese i pantaloni, li indossò come aveva indossato gli altri. Anche quelli erano freddi. Ma almeno quella cintura aveva abbastanza buchi per la sua taglia.
Le dita di Kyte. Le vide infilare i bottoni centrali della camicia nelle asole.
Guardò il pavimento. Ora la camicia non era più solo appoggiata. Non avrebbe potuto toglierla con la stessa facilità di prima. Non ci avrebbe messo solo un attimo.
Sentì le mani di Kyte sulle spalle, si sentì voltare, sapeva benissimo in che direzione. Una mano scivolò sotto il mento. Alzò la testa. Verso lo specchio. Verso se stesso.
Un tremito.
Fece un passo avanti. Verso se stesso.
C'era una persona esile, nello specchio. Aveva una camicia bianca e dei pantaloni scuri, vestiti troppo grandi per il suo corpo.
Aveva gli occhi azzurri e dei capelli biondi che non arrivavano neppure al petto.
Vi passò le dita. Li raccolse con le mani.
Come faceva tante volte, la mattina.
Strinse le ciocche di capelli.
Le nocche sfioravano il collo.
Non come faceva tante volte, quando le mani accarezzavano solo aria.
C'era un ragazzo esile, nello specchio. Aveva una camicia bianca e dei pantaloni scuri, vestiti troppo grandi per lui.
Aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi raccolti in una coda bassa.
Nonostante quei vestiti, era il figlio di un duca.
Il primogenito maschio dei duchi di Mirror.
"... no..."
- Scusatemi. -
Doveva togliersi quei vestiti.
Non poteva più lasciarli sul suo corpo.
Non poteva.
Non poteva.
Non poteva.
Doveva scappare.
Doveva scappare da quello specchio che gli aveva mostrato una cosa simile.
Non doveva pensarci.
Doveva dimenticarlo.
Quello specchio mentiva.
Rifletteva cose sbagliate.
Sbagliate.
Sbagliate.
Sbagliate.
- ... vi fanno così repulsione? -
La voce di Kyte. Calma, gentile.
Len aveva già una mano sulla maniglia. E aveva reindossato la camicia da notte. Chissà dove aveva lanciato la camicia e i pantaloni.
- Possiamo prenderne altri, eh. -
"..."
Sforzò una risata. Non era del tutto forzata, in realtà. Era una risata che sentiva nel petto, ma dovette sforzarsi per buttarla fuori.
- No. I vostri vestiti vanno benissimo. - "Vi rendete conto di ciò che dite, Kyte?" - Anche se, sì, non sono della mia taglia. - inspirò. Sentiva la sua voce iniziare a spezzarsi: - Perdonatemi, devo tornare nella mia camera. A tra poche ore. -.
E ci riuscì, finalmente. A tornare nella sua camera.
Con il suo specchio che rifletteva solo cose vere. Che rifletteva Lady Len Mirror.
- Stanotte... - prese il suo pupazzo. Lo guardò nell'occhio visibile: - ... ho visto me stessa in uno specchio bugiardo. -.
C'era uno specchio nella sua camera. C'era uno specchio nella camera di Kyte.
Uno rifletteva il vero. Uno rifletteva il falso.
Era ovvio quale fosse quale.
Era ovvio.
Sì.

- Ah, sta iniziando a fare veramente freddo, non trovate? -
- Sì, direi di sì. -
"..."
- Forse domani dovremmo far accendere i camini...? -
- Se verrà richiesto, sì. -
"..."
Risposte lapidarie.
Lo sguardo di Kyte era pensieroso. Troppo pensieroso.
Sapeva che, ultimamente, stava pensando molto al momento in cui si sarebbero separati - anche Kyte temeva per sempre. Ma non poteva dirgli che lui avrebbe sistemato tutto. Se l'avesse fatto, dopo non sarebbe più stato in grado di fare ciò che voleva.
Eppure, quello sguardo era diverso. Ricordava di averlo già visto, alcune volte. Una, soprattutto.
Ridicolo.
- Kyte. - si fermò e si voltò verso di lui.
L'altro fece lo stesso; gli parve quasi si fosse accorto della sua presenza solo in quel momento.
- Vi vedo un po' assente. - fece appena ruotare l'ombrellino sopra la testa, lo sguardo nel suo.
Era pensieroso. Era serio. Non erano cose che stavano bene sul volto di Kyte. Il suo non era un viso fatto per quelle cose così cupe e complicate.
E stava tacendo da troppi secondi.
Fece per dire qualcosa, ma lo vide sospirare. Decise di tacere. Forse stava per parlare lu-
- Se un uomo a conoscenza della verità vi chiedesse in sposa, andrebbe bene? -
"... cosa...?"
Sentiva gli occhi fare male. Doveva averli sgranati troppo.
Sentiva il cuore fare male. Stava per rompergli le ossa del torace e i timpani.
"Sì."
Ridacchiò - era una risata strana, quella uscita dalle sue labbra. Sembravano pezzi di risata messi insieme e tenuti a stento. E c'era qualcosa davanti ai suoi occhi, una sorta di velo che rendeva opaco tutto ciò che c'era nel suo campo visivo. Si voltò, diede le spalle a Kyte, coprendosi con l'ombrellino.
- Oh, affatto. - rise: - Sarebbe un grosso problema. Significherebbe che qualcuno al di fuori di noi è a conoscenza di una cosa di cui non dovrebbe essere a conoscenza. -
- Lasciate perdere come lo sia venuto a sapere. - la voce di Kyte era spaventosamente decisa: - Se un uomo vi chiedesse in sposa, se gli andasse bene la verità, se persino avesse contatti economici con il Giappone... non andrebbe bene? -
"Sì."
- E dove pensate di cercare un uomo con queste caratteristiche? - l'ombrellino stava per cadere. Non sapeva se le dita fossero ancora abbastanza solide.
- Forse non c'è bisogno di cercarlo. -
"Sì."
- Forse potrebbe mancargli qualcosa. -
- Direi di no. -
"Sì."
- Avete dimenticato un particolare importante. -
- Ossia? -
Chiuse gli occhi. Li riaprì e si voltò verso Kyte. Un lampo di esitazione in quegli occhi azzurri. Serrò la presa sul manico dell'ombrellino.
- Per anche solo osare sperare di poter chiedere la mia mano... - "Se solo..." - ... un uomo deve essere molto- - "Se solo..." - molto- - "Se solo..." - molto- - "Se solo..." - ricco. -.
Gli parve di vedere il volto di Kyte spezzarsi in tanti pezzi minuscoli, cadendo e lasciando il posto ad un'altra faccia, molto più "sua", qualcosa che avrebbe preferito non vedere.
Aveva chiuso l'ombrellino, gli si era avvicinato. Poteva vedere benissimo quell'espressione ferita. Non c'era altro modo per definirla. Era l'espressione di una persona che soffre per una ferita fisica.
Chissà se anche lui aveva quella stessa espressione.
- Se fossi data in sposa ad un nobile decaduto, senza neppure uno scellino proprio, sarebbe ancora più assurdo e sospetto di una figlia unica spedita in monastero. -.
Kyte parve riprendersi un po'.
- ... se, per assurdo... - un sussurro, quasi non riuscì a sentirlo: - ... quell'uomo fosse così ricco da poter anche sperare in una risposta affermativa... - non poteva pensarci, non doveva pensarci: - ... voi sareste felice? -
"... eh?"
Non doveva pensarci.
Doveva usare il raziocinio, dire le cose come stavano. Non poteva illudersi in quel modo, non in quel momento.
Era stato splendido illudersi in quel mondo ridicolo. E l'avrebbe rifatto tante volte.
Ma, in quel momento, doveva rimanere ancorato alla realtà.
No, Kyte non gli aveva chiesto di sposarlo. Non gli aveva detto che l'avrebbe sposato anche conoscendo la verità, che l'avrebbe sposato e portato via da lì, che gli avrebbe dato quell'anello che quasi tutte le ragazze della sua età esibivano. Non aveva detto questo.
Kyte non poteva dire una cosa simile.
"Kyte vuole sposarmi. Ma non ha niente. Gakupo ha tutto. Ma non vuole sposarmi.".
Davvero bizzarra quella coincidenza.
Avrebbe davvero preferito che fossero invertiti.
Non poteva pensarci. Non doveva pensarci.
Non era il suo desiderio più grande che si era di nuovo frantumato tra le sue mani non appena l'aveva raggiunto.
Non era così. Non lo era.
"... sarei felice?"
Se Kyte avesse davvero potuto dire una cosa simile, se gli avesse concesso di dire quella sola, unica sillaba, cosa sarebbe successo? Cosa sarebbe cambiato? Sarebbe rimasto sempre lui, con quelle gonne splendide, in un'altra casa.
Il suo desiderio si sarebbe potuto avverare. Avrebbe avuto uno sposo. E una casa. E sarebbe stata riconosciuta come rispettabile moglie.
Avrebbe avuto la sua cerimonia nuziale.
Avrebbe avuto il suo anello.
Però...
Inspirò, piano.
- Ora sono felice. - quella era l'unica cosa di cui era davvero certo: - E, se anche vi sposassi, cosa cambierebbe? -
- Eh? -
- Dovremmo rientrare! - sorrise, vide Kyte sobbalzare. Forse l'aveva un po' preso in contropiede: - Gakupo-sensei arriva domani e dobbiamo fargli trovare pronta o-g-n-i c-o-s-a! -
Quella sarebbe stata l'ultima notte in cui gli si sarebbe potuto concedere completamente.
Tutto il resto erano parole da dimenticare.

"Sì.".



Gakupo sarebbe tornato quella mattina.
Gli era stato detto che sarebbe stato lì per le dieci e mezza.
- Il vestito nero. - disse alla signora Tod.
La vide sbattere le palpebre, visibilmente confusa: - Nero? Non è troppo cupo? -
Sorrise: - Oggi è un'occasione speciale. -.
Erano già trascorsi sei mesi.
Erano trascorsi ben sei mesi.
Da un lato, aveva desiderato passassero in fretta; dall'altro, aveva desiderato non passassero mai.
Ora che Gakupo stava tornando, lasciò che il primo lato prendesse il sopravvento.
Sentiva il cuore battere troppo forte. Sentiva terribilmente caldo.
- Avete uno sguardo molto distratto. -
Sì. Doveva essere molto distratto.
Si era persino dimenticato di indossare tutto quello che avrebbe dovuto indossare sotto le gonne.
In realtà, era capitato svariate volte, in quei sei mesi, che si dimenticasse casualmente di indossare tutto ciò che avrebbe dovuto indossare sotto le gonne.
All'inizio, Kyte era rimasto a metà tra l'incredulo e lo sconvolto. Poi aveva imparato ad apprezzare quelle sue casuali dimenticanze. Anche se, quando andavano in paese, lo costringeva ad indossare tutto.
"In effetti, dov'è Kyte?"
Guardò fuori dalla finestra, verso l'ingresso. Niente.
Controllò al piano terra e al primo piano. Niente. Niente neppure al secondo piano.
Quando giunse al terzo piano, finalmente, notò la sua figura bianca davanti ad una finestra di un corridoio deserto, lo sguardo probabilmente rivolto all'orizzonte, in attesa di quella carrozza che anche lui aspettava.
Un brivido lungo la schiena. Di lì a qualche manciata di minuti, forse avrebbe iniziato a sentire la pelle squagliarsi.
- Eccovi, finalmente! - gli si avvicinò. Ma lui non si voltò. Per qualche strana ragione, se l'era aspettato: - Vi ho cercato dappertutto! Perché vi siete rintanato qui? -
- Di sotto c'è una gran confusione. - la sua voce era bassa, quasi atona. E si ostinava a non girarsi: - E da qui si vede meglio l'arrivo di qualcuno. -
"Qualcuno." rise: - Allora rimango qui anch'io. Vi disturbo? -
- No, fate pure. -
Per la prima volta in quei minuti, Kyte si degnò di guardarlo.
E lo vide sgranare gli occhi.
"...?"
- Cosa c'è? - si fece più vicino, si accorse che l'altro era quasi impietrito: - Avete un'espressione sconvolta! Faccio così orrore? - piagnucolò.
Vide lo sguardo di Kyte scivolare sulle parti di pelle scoperta. Lo vide andare alle labbra, scendere lungo il collo - dovette trovare nel collarino una fastidiosa interruzione -, cadere nella scollatura. Dopo sei mesi, ancora guardava lì.
Trattenne una risata.
- Non vi ho mai visto indossare questo abito. - fu il sussurro che l'altro riuscì a fare. Anche lui doveva essere molto distratto.
- E' per le occasioni speciali! - fece una piroetta, premurandosi che la gonna si alzasse quanto più possibile: - E il ritorno di Gakupo-sensei è un'occasione speciale! -
- La più speciale da sei mesi a questa parte. -
"... perché quel tono funereo...?"
- Beh, non potete dire che siano successe cose così eclatanti, in questi sei mesi! - coprì il sorriso con una mano.
- Capisco... - vide il suo sguardo tornare verso l'orizzonte, il volto incredibilmente serio.
Aveva qualcosa di strano, negli occhi. Qualcosa di cupo. Ma non lo stesso che gli aveva visto nei giorni precedenti.
Era più...
- ... siete geloso...? -
Kyte si voltò di scatto verso di lui.
Quell'espressione da smascherato.
Il cuore ebbe un sussulto.
"... sul serio...?"
- Oh... - coprì la bocca anche con l'altra mano: - ... direi che è gelosia, sì. Anche piuttosto forte. -
Kyte. Geloso. Non dei bellimbusti ai balli, non degli invisibili pretendenti.
Era geloso di Gakupo.
Impedirsi di ridere era davvero difficile. Soprattutto nel vedere quel volto farsi sempre più scuro, di nuovo verso l'orizzonte.
Forse non sarebbe stata una reazione carina. Ma l'idea che Kyte fosse geloso di Gakupo era un qualcosa a metà tra l'assurdo e il meraviglioso. Si sentiva quasi lusingato.
- ... credo di sì. - confessò Kyte, alla fine, tornando a guardarlo: - Credo ne abbia il diritto, no? -
"... eh?" piegò la testa di lato.
- Mettete il vostro "abito tanto speciale" solo ora e dite che in questi sei mesi non è successo nulla di eclatante. Perdonatemi se mi sento irritato. -
"..." Non poteva più impedirsi di ridere.
Lasciò andare la risata, scoprì la bocca: - Siete così divertente, Kyte! Però non intendevo certo offendervi. -
"Siete adorabile. Però sapete essere anche tanto permaloso..." era anche questo che lo rendeva tanto divertente.
- Tuttavia, in che occasione avrei dovuto indossare questo vestito? - gli parve che l'altro se ne fosse reso conto solo in quel momento: - Non è certo un vestito adatto alle danze e neppure alle passeggiate o alle uscite. -
L'espressione di Kyte era quasi colpevole. Sembrava si stesse scusando.
- Per il resto, non mi risulta siano avvenuti fatti tanto degni di essere incisi per sempre nella memoria. - scostò le ciocche dei capelli dalle spalle. Come previsto, stava davvero iniziando ad avere troppo caldo. Stranamente, in concomitanza con le occhiate di Kyte in direzione della finestra: - A meno che voi non vogliate considerarvi un evento, piuttosto che una persona. E, permettetemi di dirlo, stare con voi e indossare abiti, di qualsiasi tipo, è alquanto frustrante. -.
Abiti. Anche in quel momento voleva togliersi quello che indossava. Avrebbe davvero voluto che Kyte glielo togliesse e che alleviasse quel caldo insopportabile.
Ma sapeva che non c'era più tempo. E sapeva anche che non sarebbe stato Kyte ad esaudire la sua richiesta.
Era stato con lui per tutta la notte, adesso doveva pensare a Gakupo.
Guardò alla finestra. Come sospettava, sulla linea dell'orizzonte era apparsa una carrozza.
"Gakupo-sensei è sempre così puntuale..."
Il tempo per essere solo di Kyte era scaduto. Gakupo era tornato.
Accarezzò una guancia di Kyte, riportò la sua attenzione su di sé - si era distratto di nuovo.
- Per quanto sia divertente vedervi geloso, non dovete esserlo. -
"Sono qui per entrambi.".
Lasciò scivolare la mano dietro il suo collo, portò lì anche l'altra, e lo baciò.
Avrebbe davvero voluto che fosse posto fine a quel caldo. Ma sapeva di dover aspettare.
Il tempo tutto per Kyte era scaduto, quella notte sapeva che sarebbe stato con Gakupo.
Voleva ricordarsi quel sapore, ora che non era mescolato ad un altro.
Ricordava anche l'altro sapore.
Pensarli insieme, sovrapposti, mescolati-
Si staccò, il caldo stava iniziando a scioglierlo - cominciava a non sentire più le gambe, gli sembrava che le guance si stessero squagliando, che il collarino si fosse attaccato alla pelle, di lì a poco le imbottiture sarebbero state prossime al soffocarlo.
Andò verso le scale, verso il portone, da Gakupo.
Sentiva le labbra bagnate.
Vi passò le dita, le assaporò con la lingua.
Voleva davvero che fosse sera.

Gakupo.
Era tornato.
I sei mesi erano davvero trascorsi.
Era esattamente come lo ricordava - aveva anche reindossato la divisa bianca, come quella di Kyte, quella che aveva sempre quando era lì con lui.
Gli stessi occhi chiari, gli stessi capelli serici, la stessa espressione pacata.
Non che in sei mesi si potesse cambiare più di tanto. Ma era felice che fosse identico a come lo ricordava.
- Siete tornato! Siete tornato! - gli stritolò la vita, affondò il viso nel petto - fin dove riusciva ad arrivare.
Forse era un minuscolo impercettibile milligrammo più magro. Sei mesi di nave avevano dato i loro risultati - più o meno.
- Len, che modi! -
"Padre, vi prego, non rovinate tutto..."
Purtroppo, entrambi i suoi genitori erano lì, a pochi passi, e non poteva salutare Gakupo come avrebbe voluto.
Per il momento.
- Bentornato. - e c'era anche Kyte, dietro di lui.
Sentì le mani di Gakupo sulle spalle, venne allontanato piano. Era davvero come lo ricordava.
- Grazie... - anche la sua voce.
Era strano e piacevole risentirla dopo sei mesi. Voleva sentirla ancora.
- Sicuramente avrete tantissime cose da raccontarci! - gli si avvicinò di nuovo, cercò il suo sguardo: - Com'è andato il viaggio in mare? E' stato così lungo? Com'è il Giappone? Com'era la cerimonia? Com'è andata? -
- Len! - sua madre, anche lei sempre pronta a rovinare dei bei momenti: - Il signor Kamui ha affrontato un viaggio lunghissimo, non tediarlo con le tue domande! -
- Nessun disturbo. - Gakupo era davvero rimasto come lo ricordava: - Ho già riposato a sufficienza. Le domande di oujo-sama sono legittime. -.
Len avrebbe voluto fare una - meritatissima - linguaccia a sua madre. Ma non sarebbe stato molto carino.
"Oujo-sama..." e poi, erano sei mesi che non sentiva quella parola.
Finalmente, dopo un tempo imprecisato, i suoi genitori li lasciarono da soli.
Lui, Gakupo e Kyte.
- Ci dovete raccontare tutto, Gakupo-sensei! - trillò, facendo loro strada verso la sala - anche se erano entrambi terribilmente lenti, avrebbe preferito davvero si sbrigassero, nei corridoi non c'era niente d'interessante.
- Anche voi avete molto da raccontarmi. - gli ricordò Gakupo, il tono gentile, come sempre.
Len annuì: - Sì! Tante cose! - forse avrebbe dovuto accelerare, magari loro avrebbero fatto lo stesso e sarebbero giunti prima: - In sala! Andiamo in sala! - fece strada, non mancava ancora molto.
Dopo un po', si fermò e si voltò.
L'aveva sospettato, ma non potè trattenersi dallo sbuffare: erano rimasti indietro.
Anzi, sembravano aver addirittura rallentato.
Stavano parlando tra di loro.
"... chissà cosa si dicono..." si avvicinò, piano - forse non si erano neanche accorti di lui.
- Volevi che ti saltassi addosso anch'io? Magari gettandoti le braccia al collo e baciandoti come una brava mogliettina saluta il suo adorato marito? - l'espressione di Kyte era di pura seraficità.
Len era ammutolito.
- Mi sono venuti i brividi. Sappilo. - Gakupo sembrava stizzito.
- Addirittura! Non sapevo di farti quest'effetto tanto lussurioso! -
- Erano brividi di disgusto. -
"..."
Facevano discorsi bizzarri, Kyte e Gakupo, quando erano soli.
Li guardò meglio: sì, in effetti, la divisa era identica. Gakupo portava gli occhiali, Kyte ne aveva fatto a meno. Per il resto, erano completamente diversi.
Eppure, a vederli insieme, il risultato non era brutto.
"... insieme..."
- Ah... - si portò una mano al petto, gli altri due si erano finalmente accorti di lui: - Siete così carini, insieme... - sospirò, entrambe le mani al cuore.
Kyte sgranò gli occhi, quasi avesse detto una cosa terribile, Gakupo alzò lo sguardo al soffitto: - Mi volete davvero male, oujo-sama... -
Era una visione gradevole, quella che li vedeva insieme sotto i suoi occhi.
"... insieme..." chissà se avrebbe mai potuto vederli come li aveva visti di notte, insieme.
Loro due, insieme a lui.
Loro due, da soli.
- A proposito di lezioni... - trasalì, la voce di Gakupo gli ricordò di averli effettivamente davanti: - Kyte è stato un bravo insegnante? -
Tendeva sempre a dimenticare il teoricamente ruolo primario di entrambi.
- Sì! - annuì, con un sorriso: - Non ha la vostra pronuncia perfetta, ovviamente, ma è stato davvero bravissimo! Ho imparato tantissime cose! -
- Ne sono lieto, oujo-sama. -
Len portò le mani dietro la schiena: - Quanto ci vorrà perché io parli il giapponese bene come voi e il signor Kyte? -
Con la coda dell'occhio, notò il diretto interessato con gli occhi luccicanti, lucidi. Forse era commosso. Poco ci mancava giungesse le mani.
- E' una lingua difficile... - disse Gakupo: - ... considerate che Kyte ci ha messo sei anni per raggiungere un livello decente! -
"... eh?"
Kyte intervenne, la faccia di colpo rossa: - Non credo che la signorina volesse conoscere questi particolari. -
- Sei anni...? - la voce gli era uscita come un pigolio.
- Eh, già... -
"... non ce la farò mai."
Era una triste consapevolezza.

Quando - finalmente - raggiunsero la sala, Gakupo raccontò loro cosa fosse successo durante quei sei mesi, tra la navigazione e il soggiorno in Giappone.
E il matrimonio di Megumi.
Era andato tutto bene. La cerimonia si era svolta senza alcun intoppo. Megumi e il suo ora marito si amavano ed erano felici.
- Sarebbe stato comico se Gumi-chan- -
- Megumi-san. -
- -ti avesse fatto fare almeno tre mesi di nave per uno scherzo! -
"Comico. Senz'altro."
Nel caso, se non avesse avuto un ottimo modo di impiegare il tempo per sei mesi, avrebbe assoldato un sicario appositamente per abbattere quella gran burlona di Megumi Kamui.
A giudicare dallo sguardo e dal tono di Gakupo, neanche lui avrebbe preso bene un'ipotesi del genere: - Nel caso Megumi avesse avuto questa brillante idea, l'avrei immediatamente regalata in sposa al primo di passaggio. -
- "Data" in sposa, vorrete dire. - fece notare, perplesso. "Forse è un modo di dire giapponese e Gakupo non si è ancora riambientato...?"
- Regalata. - ripetè lui: - Anzi, avrei pagato il primo uomo non sposato di passaggio affinché se la sposasse. -
Dopo un istante, Kyte rise, forse più per spezzare quell'atmosfera: - Su! Qualcuno che l'ha chiesta in sposa c'è stato, alla fine! -
- In realtà, è stata una cosa reciproca, fin dal momento in cui lui le è caduto davanti. -
- Eh...? -
- Pare che lui stesse controllando qualcosa su un tetto, sia scivolato e sia caduto su un cumulo di fieno proprio mentre stava passando Megumi. Dicono sia stato... uhm... colpo di fulmine? -
Len portò una mano alla bocca, rise.
Se Megumi Kamui avesse invitato anche lui, al suo matrimonio, sarebbe stato ben felice di andare.
Così avrebbe potuto vedere se fosse davvero in grado di portare sfortuna ad una sposa che odiava.

- Avanti. -
Entrò e si richiuse la porta alle spalle. Per quella volta, aveva deciso di bussare.
Era strano rientrare in quella camera. Strano e piacevole. Per fortuna, il giorno prima, la governante aveva avuto la buona idea di tenere aperte le finestre per tutte le ore di sole - in caso contrario, entrare in una stanza chiusa per sei mesi non sarebbe stata una cosa bella.
Gakupo non aveva ancora disfatto del tutto le valigie - anzi, era probabile si fosse limitato ad aprirle e a tirare fuori il minimo indispensabile.
Si era tolto la giacca e gli occhiali, in compenso.
A giudicare dalla sua espressione, non era del tutto stupito di vederlo lì. Ma un pochino lo era.
Len sorrise e fece scattare la chiave nella serratura, assicurandosi che l'altro la sentisse bene.
- Siete stanco? - chiese, le mani dietro la schiena.
- Sono stanco per quanto si possa essere stanchi a fine giornata. - lo sguardo di Gakupo andò ai guanti che si stava togliendo, la voce era tranquilla come al solito.
- Le giornate non stancano tutte allo stesso modo. - gli fece notare Len, avvicinandosi alla sedia su cui l'altro aveva posato la giacca.
- Riconosco che questa non sia stata una giornata piena. - i guanti andarono sul tavolo, le mani al jabot.
- Come no? - gonfiò le guance, con disappunto: - Mi avete rivista! - fece qualche passo, lasciò che la gonna sfiorasse il bordo del letto.
- Vedervi non mi affatica. -
- Ma senz'altro riempie la vostra giornata. - girò su se stesso, per poi lasciarsi cadere seduto sulla coperta.
- Senz'altro. - un sussurro divertito. Il jabot era andato a far compagnia ai guanti. E, ora che guardava bene, sotto al tavolo c'erano gli stivali.
- Kaito è stato davvero un bravo insegnante? - chiese Gakupo, all'improvviso, il tono noncurante.
Len annuì: - Certo! - giunse le dita davanti alla bocca: - Anche se non quanto voi, Gakupo-sensei. -
- Lui non è madrelingua. - gli parve avesse sorriso. O forse era colpa dell'effetto di luci e ombre della candela sul comodino.
- No, infatti. - portò le mani in grembo: - Voi, invece, siete tornato dalla vostra terra da poco. - uno sguardo rapido, prima di vederlo tornare alla camicia: - Vi sono mancata? -
- Secondo voi? -
- Non lo so. Non conosco i vostri pensieri. - sorrise: - Voi mi siete mancato. -
- La vostra sincerità è ammirevole. -
- Voi non ne avete altrettanta? - premette le mani sulla coperta: - Siete crudele. -
- Se ora vi dicessi che mi siete mancato... - aveva quasi finito i bottoni a disposizione: - ... pensereste che lo dica solo per contraddirvi? -
- Forse. - accavallò le gambe: - O forse no. Dovreste rispondere subito, Gakupo-sensei. Senza un'altra domanda, possibilmente. -
- Mi è mancata la vostra sfacciataggine. - un sospiro.
Con quella frase, gli era parso fin troppo sincero.
- Avete dimenticato di dire che vi sono mancata io. - il suo sorriso si accentuò: - Siete distratto! -
- Potrei non averlo dimenticato affatto. - lo vide avvicinarsi, fino ad averlo davanti, in piedi: - O forse potrei averlo detto e quello distratto sareste voi. -
- Io sono distratta. - trasse un profondo respiro, più teatrale che poteva: - Da stamattina, non sono più con la mente molto presente. Ero così felice del vostro ritorno... - riportò le mani sulla gonna: - Ho persino dimenticato delle cose. -
- Delle cose? - parve perplesso.
Len annuì: - Di indossare delle cose. - specificò, piano.
L'altro rimase in silenzio per un istante. Quando sgranò gli occhi, Len capì che aveva intuito.
- Ho detto alle mie domestiche che volevo dormire con questo vestito. - vi gettò una rapida occhiata.
- E vi hanno creduto? -
- Hanno creduto a bugie molto più ovvie. - le mani tornarono sul letto: - Quindi sono rimasta così. Da stamattina. - si alzò, passò accanto a Gakupo, sfiorandogli il braccio con il proprio, e raggiunse il comodino.
- Anche quando vi ho abbracciato. - sorrise: - Davanti a tutti. -
Portò indietro le ciocche di capelli, si chinò sulla candela e soffiò.
L'ultima cosa che vide alla luce fu quell'espressione incredula.
Quando calò il buio, si concentrò sul resto.
Si riavvicinò, con pochi passi: - Volete che vi abbracci di nuovo, Gakupo? -.

Una notte con uno.

Una notte con l'altro.


Kyte sarebbe rimasto un'altra settimana. Poi se ne sarebbe andato. Con il ritorno di Gakupo, lui non aveva più motivo di rimanere lì.
"Troverò una soluzione." era l'unica cosa che Len riusciva a pensare, quando l'altro glielo ricordava: "Quando sarà il momento, troverò una soluzione. Non temete, Kyte. Sto facendo io. Fidatevi di me.".
Non poteva dire all'uno dell'altro. E non poteva permettere che lo scoprissero. Non in quel momento.
Aveva chiesto ad entrambi di non lasciargli segni - c'era il rischio che l'altro sospettasse qualcosa, che li scoprisse.
Le prime notti, quando aveva ancora i segni lasciatigli da Kyte, era riuscito a spegnere la candela nella camera di Gakupo prima che lui li vedesse.
Aveva pensato a tutto. Anche alla scusa alla non poi così sottile accusa, accompagnata da un forte sospetto, che era sicuro sarebbe arrivata il mattino successivo a quella notte.
- E' strano, Ren... -
- Cosa? -
- Voi. -
- Io? - aveva guardato Gakupo, con tutta l'innocenza di cui era capace. Sapeva che stava per arrivare quell'osservazione.
- Il vostro corpo. - un sussurro quasi impercettibile: - Non sembra quello di qualcuno dopo sei mesi di castità. -
Per l'appunto. Era stato il momento di iniziare la recita.
Aveva distolto lo sguardo da quegli occhi chiari, voltandosi, lasciando che i capelli coprissero il viso quanto più possibile: - Siete un pervertito. - sibilò, sperando che la voce risultasse spezzata dall'imbarazzo.
- Sono realista. -
- Siete pervertito e disgustoso. - aveva incrociato le braccia davanti al petto, le mani sulle spalle: - Dovreste far finta di nulla. -
- Temo mi sia impossibile, in questo caso. -
- Non pensavo che la vostra perversione arrivasse al punto di spingermi a dire cose del genere! -
- Ren. -
Aveva stretto le labbra, solo un modo per guadagnare tempo e rendere tutto il più credibile possibile. Dopo un tempo imprecisato, aveva afferrato le coperte e se le era tirate fin sotto il mento, lo sguardo ancora al pavimento al lato del letto: - Pensavate davvero che sarei diventata asessuata solo perché voi non eravate fisicamente qui? - abbassò la voce, finse di stare affogando nell'imbarazzo: - Mi avete lasciata da sola. E ho dovuto fare da sola. E voi mi siete mancato tanto. -.
Silenzio.
- ... troppe informazioni, Ren. -
- LE AVETE CHIESTE VOI! -
Dovette risultare credibile, perché Gakupo parve convincersi.
Le notti successive le trascorse con uno o con l'altro.

- Vorrei stare con voi ogni notte. - aveva mormorato: - Ma ora rischieremmo di essere scoperti. -.


A volte si chiedeva cosa sarebbe successo se si fosse sbagliato. Se avesse scambiato l'uno per l'altro, se avesse detto il nome sbagliato.
Poi, pensandoci bene, si era reso conto che era impossibile. Non sarebbe mai stato in grado di confonderli. Erano diversi.
L'aveva notato in quei sei mesi ma, ora che trascorreva il tempo con ciascuno a distanza di qualche ora, la sua impressione era diventata certezza.
Se avesse lasciato divagare la mente, avrebbe pensato a Gakupo come una persona tranquilla, a Kyte come qualcuno di più irruento.
Invece, Kyte sembrava avere abbastanza esperienza da essere in grado di fare le cose con calma, di lasciare tempo ad ogni cosa, di riuscire a dosare il tempo senza alcuna fretta - se non in certi inevitabili casi; Gakupo sembrava una molla tenuta premuta per tutto il tempo, con conseguenze ovvie quando la si lasciava libera.
E, forse perché troppo abituato a fughe improvvise a causa di mariti più o meno a sorpresa, Kyte aveva il sonno piuttosto leggero; Gakupo, forse perché tendeva a dormire poco, riusciva ad averne uno estremamente pesante.
Cosa non meno importante, Kyte aveva i capelli corti e soffici, quelli di Gakupo non avevano fine e sembravano strati di seta. Se anche non li conoscesse, quel particolare sarebbe ampiamente bastato.
Ma lui li conosceva fin troppo bene. Aveva trascorso con loro dei momenti molto intensi.
Come quando si era risvegliato sul bordo del letto, con Kyte addormentato addosso. E aveva compreso che, se avesse fatto un solo movimento, sarebbe brutalmente scivolato sul pavimento - e avrebbe fatto male. Riuscire a far arrivare i piedi a terra era stato un momento molto intenso.
Oppure quando si era risvegliato con una strana sensazione di soffocamento e aveva trovato i capelli di Gakupo attorno al collo, senza avere idea di come ci fossero finiti e quale fosse la direzione giusta da cui tirarli - la direzione sbagliata avrebbe portato conseguenze poco carine. Riuscire a liberarsi di quel cappio di capelli era stato un momento molto intenso.
Al di là di momenti intensi, gli piaceva stare con loro. Non solo per questioni fisiche. Era davvero felice quando stava con loro. Quando erano soli, potevano trascorrere insieme anche le giornate; adesso poteva stare con entrambi contemporaneamente, ma trattandoli come avrebbe potuto trattare dei coinquilini a cui era molto affezionato. Si stupì di come i momenti solo per loro notturni, e basta, lo lasciassero con una sensazione di mancanza. Avrebbe davvero voluto stare con loro anche alla luce del sole, senza preoccuparsi di niente. Come quando erano soli.

Si avvicinò. Come sospettava, la cosa in mano a Gakupo era uno dei suoi quadernini pieni di numeri. Fino a qualche minuto prima, era sicuro che ci stesse chino solo in presenza di tavolo e sedia, ma il fatto che in quel momento l'altro stesse sul divano aveva fatto cadere la sua convinzione.
Gli si sedette vicino, sbirciò le pagine aperte. Numeri. Tanti numeri. E qualche kanji, delle annotazioni.
Gakupo lo lasciò guardare. Voltò pagina almeno dopo un minuto, quando prima le girava circa ogni venti secondi.
- C'è una domanda che vorrei farvi da un po'. - esordì Len, incuriosito.
- Ditemi. -
- Voi avete un lavoro, vero? -
- Sì. -
- E allora... - lo guardò negli occhi: - ... perché avete accettato di fare il precettore? -
Gakupo non rispose. Ma non sembrava arrabbiato o a disagio, la sua espressione era tranquilla come sempre.
- Voglio dire, voi non avete bisogno di denaro! - aggiunse Len, voltandosi del tutto nella sua direzione.
- No, direi di no. - un accenno di sorriso. Non era un sorriso felice, ma non era neppure triste. Sembrava più... rassegnato?
- Il motivo per cui ho accettato di farvi da precettore, in realtà, è legato al mio lavoro. -
- Eh? -
Stavolta il sorriso si fece quasi divertito: - Volevo distaccarmene. -
Len sbattè le palpebre, piano: - Distaccarvene...? -
- Ero troppo dipendente dal lavoro. - spiegò Gakupo, chiudendo il quadernino con un sospiro: - Speravo che, facendo altro, sarei riuscito a controllarmi. -
- E ci siete riuscito? -
Lo sguardo dietro le lenti degli occhiali scese al quadernino.
- ... capisco. -
- Temo non ci riuscirò mai. -
- A voi occorrono distrazioni molto distraenti. -
Lo guardò meglio.
C'era anche un'altra cosa...
Si inginocchiò sul divano, allungò una mano e gli sfilò gli occhiali.
Notò di sfuggita uno sguardo sorpreso, ma non fu fermato.
Len si mise gli occhiali sul naso. E gli parve che gli occhi diventassero incandescenti, sul punto di schizzare fuori dalle orbite.
- Ah! - li tolse, aprì e chiuse le palpebre velocemente, il dolore ancora vivo.
Sentì gli occhiali scivolargli dalle dita, poi la voce pacata di Gakupo: - Non dovreste mettere gli occhiali degli altri. Potrebbero farvi male. -
"Potevate dirmelo prima!"
- Siete mezzo cieco! -
Un sospiro: - Un altro motivo per cui dovrei staccarmi almeno un po' dal lavoro. Non fa bene passare le notti a leggere a lume di candela. -
- Distrazioni distraenti, vi servono parecchio! E' perché siete solo che siete mezzo cieco! -
- Oh,
oujo-sama, allora vorreste farmi credere che voi abbiate dieci decimi di vista? -
- Spudorato! -.

C'erano alcune cose che, a vederle, davano un forte senso di straniamento.
Kyte seduto in giardino con un libro aperto in mano era una di quelle.
Non era orario di lezione e il libro che stava leggendo non era di giapponese. E Kyte non gli aveva mai dato l'impressione di essere un appassionato di lettura.
- Cosa leggete? - trotterellò al suo fianco, si lasciò cadere accanto a lui.
- Un libro. - fu la sorprendente risposta dell'altro.
- Lo vedo che è un libro. - cercò di sbirciare le pagine, ma fu più difficile del previsto: era grande almeno il triplo di un libro normale e le pagine erano nettamente più piccole della copertina.
- Io credevo fosse un quaderno pentagrammato. - confessò Kyte, con tutta la calma del mondo: - E mi chiedevo se non fosse nella sezione sbagliata della biblioteca. Quando poi ho visto che si chiamava "
Canzone Eterna", mi sono incuriosito. -
- E? - non sapeva neppure che in quella casa ci fosse un libro del genere.
- E mi sono accorto che è effettivamente un libro e non un quaderno pentagrammato. - un sorriso, Kyte abbassò il libro per permettergli di controllare.
- Oh. - Len gli si accoccolò contro una spalla: - Ammirevole sappiate distinguere le parole dalle note. -
- A cosa devo questi complimenti scaturiti dal profondo del vostro cuore? -
- Continuo a non capire perché voi abbiate un libro in mano. -
Kyte gli rivolse uno sguardo interrogativo: - Io leggo. -
- Non date l'idea di essere un lettore vorace. -
- Non lo sono, infatti. - alzò le spalle: - Ma ogni tanto capita. E, se volete saperlo, mi ci sono imbattuto perché ho rimesso a posto i libri che
voi avete lasciato in giro. -
Gli parve una frecciata. La ignorò con un sorriso innocente: - Che brava donnina di casa, Kyte! - gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoglieli.
- Len! -
- Posso leggere insieme a voi? -
Senza lasciargli il tempo di rispondere, gli tirò un braccio per fargli spazio, per poi sedersi sulle sue gambe.
Il petto dell'altro contro la schiena, lo sentì sospirare.
- Perché fate domande, se non aspettate le risposte? - gli parve avesse scosso la testa.
- Vi dispiace? - si voltò ad incontrare il suo sguardo: non c'era la benché minima, remota traccia di dispiacere.
Kyte ridacchiò: - Perché fate domande, se non aspettate le risposte? -
Si sentì scivolare in basso, fino a finire sul sedile, le gambe dell'altro piegate, contro i suoi fianchi.
- Volete leggere in silenzio o ad alta voce? - un sussurro, vicino all'orecchio.
"..."
- Prima ditemi di cosa parla questo libro. -
- Come potete pensare che un libro del genere sia sospetto? -
- Non è il libro ad essere sospetto. -.



Ma non poteva riavere tutto, per il momento.
Quelle giornate avevano al tempo stesso dimezzato e raddoppiato ciò che aveva. Tuttavia sapeva che, al momento giusto, avrebbe riottenuto tutto.
Era ciò che desideravano anche loro.

- Se vi chiedessi qual è la parte del mio corpo che preferite, voi cosa rispondereste? -
Gakupo si voltò verso di lui, piano. Non sembrava turbato o arrabbiato. In realtà, non aveva fatto una piega.
- Me lo state chiedendo? -
- E' un modo implicito di porre una domanda. - gonfiò le guance: - Quindi sì, ve lo sto chiedendo. -
Gli parve di intravedere un abbozzo di sorriso.
Forse l'aveva solo preso in giro.
Poi lo vide alzare una mano e le dita andarono a posarsi sulla sua bocca.
- Le labbra. - un sussurro.
- Ah, sì? - baciò la stoffa che ricopriva i polpastrelli: - E perché? -
- Le cose che dite le dite con queste. - ne percorse il contorno con la punta delle dita: - Che siano gentili o sfacciate. E' da qui che esce la vostra voce. -
Quell'ultima frase lasciò Len perplesso: - Quel che vi piace è la mia voce? -
- Se volete metterla così. -
- Allora dovreste dire che la parte del mio corpo che preferite è la gola. - vi portò una mano: - E' qui che si trova la voce. -
- Ma voi non mi baciate con la gola. -
Dopo un attimo di sorpresa, le labbra si curvarono in un sorriso, fino a schiudersi in una risata leggera.

- Se vi chiedessi qual è la parte del mio corpo che preferite, voi cosa rispondereste? -
Kyte aggrottò la fronte: - La parte del vostro corpo che preferisco, dite...? -
Len annuì.
L'altro parve pensarci un istante - un lungo istante. Poi fece un sorriso strano: -
Qualsiasi parte? -
Con tutta la noncuranza del mondo, Len passò le mani sulle gambe, allisciando le pieghe della gonna: - Non vi ho posto limiti. - rispose, pacato.
Vide lo sguardo di Kyte percorrere tutto il suo corpo, dalle punte del fiocco sulla nuca ai tacchi delle scarpette, come se fosse in cerca di una risposta. Alla fine, quando tornò a guardarlo, il suo viso parve illuminarsi, del tutto innocente: - I vostri occhi! -
"..."
- ... occhi? - ripetè Len, piano. Sentì le labbra tirare, lasciò che formassero quello che era sicuro fosse un ghigno: - A quante dame avete detto che amate i loro
occhi? - portò una mano al petto, sulle coppe del corsetto.
- Dico sul serio! - la voce dell'altro si era fatta lamentosa, l'espressione era un misto di incredulità e disagio: - Parlo degli occhi sulla faccia! - indicò i propri, come a voler sottolineare la questione.
Len ridacchiò, si coprì la bocca con una mano: - E avete anche una motivazione concreta per trovare nei miei occhi la parte del mio corpo che preferite o vi siete solo adagiato nello stereotipo senza pensarci? -
- Siete più crudele del solito. - Kyte posò il viso sulle mani, i gomiti contro le ginocchia, l'espressione di puro disappunto.
- Non mi avete risposto. -
Dopo qualche secondo, il volto dell'altro tornò sorridente: - Mi piace il colore! -
- ... anche voi avete gli occhi azzurri. -
- Ma non sono come i vostri! - tornò ad indicare i propri: - I vostri sono più grandi e il colore è più chiaro. E stanno bene con i capelli biondi! -
- ... capisco. - non sapeva come prendere quella risposta e quella spiegazione.
- E poi... - lo vide distendere le gambe, portare le mani a terra: - ... se vedo i vostri occhi, significa che voi state guardando me. -
Len sbattè le palpebre, seriamente confuso. Quando comprese, capì anche come prendere quella risposta, e sorrise.



Non aveva tutto, ma era felice.
Per il momento, andava bene così.
Nella notte silenziosa.
Andava bene così.
Per loro che gli avevano donato i loro cuori.
Per il momento.
Così dediti per sempre.

Un bacio sulla fronte.

Un bacio sulla guancia.


Un sospiro.

Gli occhi aperti a stento.


Le dita tra i capelli.

Le unghie conficcate nella schiena.


Avrebbe voluto...


- Non ci riuscite? -
- No... -
- Se ci sono dei vestiti, sì. -
- Se ci sono dei vestiti... è meno difficile. -

Avrebbe voluto...


- Pensate che sia come mangiare una banana! -
- Non credevo aspiraste ad essere evirato a morsi. -
- EH? -


Una cosa che desiderava con tutto se stesso.
Una cosa di cui aveva paura fino a tremare.
Aveva provato a sfiorare i loro corpi, mentre dormivano, così che non sapessero.
Avrebbe voluto fare ciò che facevano loro.
Essere come loro.
Quando lo pensava, sentiva l'intero corpo - troppo esile, troppo morbido - tremare, il cuore battere troppo forte, fino a fare male.
"... dovrei essere come loro.".



Il laghetto era deserto. Non che avesse sperato di trovarvi qualcuno: quella riva non era popolata neppure quando faceva talmente caldo da far evaporare l'acqua nei bicchieri, soltanto un idiota sarebbe andato in acqua con l'avvicinarsi del freddo.
Len non si era mai davvero accorto del laghetto: stava lì, la riva coperta dagli alberi, ogni tanto c'erano barche all'orizzonte, ogni tanto qualcuno andava lì, ma non era nulla di straordinario. Era solo una pozzanghera piuttosto grande.
In quei mesi, l'aveva rivalutato.
Ne aveva rivalutato la riva, gli alberi che lo circondavano, l'acqua, i sassi, l'aria che vi si respirava, il rumore continuo delle piccole onde generate da non si sa che cosa; aveva iniziato a dispiacergli pensare che non ci sarebbe potuto andare per un po'.
Salì sulla passerella di legno, ne raggiunse il bordo.
Non c'erano raggi che gli bruciavano i capelli e gli scottavano la pelle - e che riuscivano magicamente a trovare il seppur minuscolo scorcio nel suo ombrellino apposta per colpirlo. Non era nuvoloso, non più del solito; solo, stavano arrivando le stagioni fredde. E il leggero vento che si era alzato, scuotendogli l'orlo della gonna, ci teneva a ricordarglielo.
Si accucciò, guardò il proprio riflesso nell'acqua. Aveva voglia di riposare.
Dal ritorno di Gakupo, era la prima volta che era riuscito ad appartarsi di giorno. Con Kyte, ovviamente.
Non aveva idea di dove fossero entrambi; era probabile che almeno Kyte si fosse abbandonato al suo letto, ma lui non aveva esattamente voglia di dormire.
Voleva riposarsi, magari senza annoiarsi. Aveva cercato Gakupo, ma non l'aveva trovato né in camera né in biblioteca né dove era passato durante la ricerca; alla fine, con pochissima voglia di continuare a vagare a caso, aveva deciso di andare al laghetto.
Fece un paio di passetti in avanti.
"... potrei sdraiarmi qui?" posò una mano sulla passarella, ne tastò il legno: "... troppo duro." si voltò, guardò a riva. Gli era capitato di assopirsi sulla riva.
Ma non da solo.
Sospirò, arrendendosi alla dura realtà dei fatti: "... mi sto annoiando.".
Tanto valeva tornare in casa, magari in biblioteca. O magari no. Non aveva idea neanche lui.
Si alzò.
E qualcosa lo tirò all'altezza della vita.
- CHE- -
Nel giro di un secondo, riuscì a realizzare due cose.
La prima era che una scarpa era finita sull'orlo del vestito, ottenendo di strattonarlo giù non appena aveva provato ad alzarsi.
La seconda era che le mani che aveva portato avanti per attutire la caduta non avevano toccato il legno.
Non avevano toccato niente, in verità.
E qualcosa si era improvvisamente richiuso sopra di lui. E l'aria si era fatta troppo pesante, gli premeva su ogni millimetro di pelle, opponeva resistenza quando cercava di muoversi. Gli occhi avevano iniziato a bruciare di colpo. E aveva sentito qualcosa di gelido nel naso, nella gola, come una mano ghiacciata premuta contro la faccia.
E poi l'aria era tornata, più fredda di quanto ricordava, più bella di quanto avesse mai pensato.
Si sentì trascinare di nuovo di verso il basso, ma con meno violenza di prima, riusciva ad opporre un minimo di resistenza.
Tossì, tossì di nuovo, sentì la mano ghiacciata frantumarsi, lasciandolo respirare di nuovo.
Si passò le mani sugli occhi, schiaffò le braccia contro la superficie dell'acqua.
La passerella era a meno di un metro da lui - a meno di trenta centimetri sopra di lui.
Allungò le dita, riuscì a toccarla.
E fu di nuovo lontano.
L'acqua si richiuse sopra di lui. Scalciò, alzò la testa, riuscì a far riemergere almeno la faccia.
Serrò i denti, fissò quella linea di legno sopra i suoi occhi.
La afferrò, con solo una falange per dito.
Soffocò un gemito di dolore. Capì che di lì a poco avrebbe fatto più male.
Strinse i denti ancora di più, strizzò le palpebre e si costrinse a fare leva sulle dita di una mano, lasciò andare la presa con l'altra, la gettò in avanti, artigliò il legno, fitte da entrambe le mani, forse le dita si erano spezzate, rigirate, non ne aveva idea, ci avrebbe pensato dopo.
Gettò in avanti anche l'altra mano, gli parve che i polsi si spaccasserro, ci avrebbe pensato dopo. Premette i palmi contro la passerella, piegò le gambe e scalciò verso l'alto, i gomiti atterrarono sul legno, delle fitte alle spalle.
Aprì la bocca, inspirò una boccata d'aria. Riaprì appena gli occhi, non era ancora finita - però le dita non sembravano essersi rigirate. Fece leva sui gomiti, lasciò cadere il busto tra le braccia, il bordo della passerella lo colpì come un pugno alla pancia.
Allungò le mani, strisciò fino a riuscire a portare le ginocchia su.
E si lasciò cadere.
Ora poteva fare il conto dei danni.
Quando avrebbe smesso di tremare. Quando il cuore avrebbe smesso di battere con così tanta violenza, rimbombandogli nelle orecchie - persino nel collo.
Quando avrebbe smesso di ansimare per prendere tutta l'aria del lago. Quando avrebbe smesso di essere scosso da colpi di tosse a caso.
Riuscì a passarsi una manica sulla bocca - non aveva idea se stesse sputando acqua o sbavando, era sgradevole -, prima che il braccio ricadesse di lato. E fece pure male.
"... non dirò mai più che mi sto annoiando." non aveva voglia di altre botte di vita come quella.
- REN! -
Il suo timpano sinistro gli tolse ogni dubbio sulla possibilità che quell'urlo se lo fosse immaginato.
- Cosa c'è...? - riuscì a dire, la gola assurdamente riarsa. Non aveva voglia di girare la testa. Se qualcuno voleva parlargli, che lo raggiungesse.
Un istante dopo, Gakupo apparve nella sua visuale, sentì un braccio dietro la schiena, si ritrovò quasi seduto.
- Ren! Cos'è successo? -
Aveva gli occhi sgranati come non li aveva mai visti. Gli sembrava anche molto più pallido. E avrebbe detto che la voce gli tremasse.
Era strano vederlo così. Ma non lo trovò fuori luogo.
- Secondo voi? - si passò di nuovo la manica sulla bocca.
Ora che ci faceva caso, gli sembrava di essere più pesante. Molto più pesante. Il braccio, ad esempio, doveva pesare almeno cinque chili di più.
- Siete scivolato...? -
- Di certo non mi sono gettata. - non volontariamente, almeno.
Gli parve che il braccio che lo sosteneva fosse diventato meno rigido. Anche la voce di Gakupo aveva smesso di tremare - se mai aveva tremato: - Se riuscite a rispondere così, allora state bene. -
- Mi sono salvata da sola. Grazie. - un colpo di tosse smorzò l'effetto sarcastico che avrebbe voluto dare. "Dannata tosse.".
- Dovete cambiarvi. -
Un attimo dopo si ritrovò in alto, un braccio di Gakupo dietro la schiena, uno tra polpacci e cosce. E un fazzoletto in mano. Non aveva idea di come o da dove fosse spuntato.
- Ce la fate ad asciugarvi la faccia? -
Len lo fulminò con un'occhiataccia: - Sono quasi annegata, non sono incapace. - si passò il fazzoletto sul viso. Gli bastò sentirsi un po' asciutto per stare meglio. Gli sembrò quasi di recuperare la lucidità.
"E' un fazzoletto magico?" lo guardò. Lo guardò di nuovo.
Lo guardò ancora.
- ... Gakupo... -
- Sì? -
- Questo fazzoletto mi sembra familiare. -
- Proviene dalla vostra sala da pranzo, Ren. -
- ... perché avete un- -
- Esperimenti. -
Alzò lo sguardo, fino agli occhi dell'altro - fissi sulla magione a qualche metro da loro.
- ... esperimenti? -
- Prima di provare con le tende, ho ritenuto opportuno usare un altro tipo di stoffa di dimensioni più ridotte. -
- ... cosa? -
- Non ditelo a nessuno, però. -
Aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì niente. Non sapeva come ribattere.
Le parole arrivarono un tempo imprecisato più tardi - non per questo, nel mentre, aveva chiuso la bocca: - E perché non dovrei dire che fate cose strane con i nostri tovaglioli? -
- Perché ora vi porterò al caldo e voi starete meglio. Altrimenti, stareste ancora sulla riva a congelarvi. -
"... non ha senso. Ma ha senso." decise di tacere.
Poi gli venne in mente un particolare.
Afferrò la giacca di Gakupo, tirò appena.
- Davanti ad un camino acceso? - domandò, la voce bassa.
- Direi di sì. -
- Il camino della vostra camera è acceso? -
Per la prima volta da quando l'aveva preso in braccio, Gakupo lo guardò: - Perché questa domanda? -
- L'avete detto voi. - allungò le mani e strizzò un lembo del vestito. Ammirevole il quantitativo di acqua che ne uscì: - Ora mi portate al caldo. E starò meglio. -
- Non era ciò che intendevo. -
- Vi dispiacerebbe? -
Sentì l'altro sospirare. Nessuna risposta.
Sorrise e si rannicchiò contro di lui.

Tastò i vestiti. Si erano asciugati - il calore del camino doveva aver aiutato molto. Si passò le dita tra i capelli. Asciutti anche quelli.
Prese il corsetto, lo guardò per qualche istante.
"... come si mette questo affare?" si voltò verso il letto. Gakupo dormiva. Non era momentaneamente in grado di aiutarlo.
Dopo un paio di tentativi a vuoto, Len riuscì a fare in modo che non cadesse all'improvviso - e sperò che il vestito fosse abbastanza stretto da tenerlo su.
Per assurdo, rimettere la tournure fu più facile.
Se avesse continuato così, nel giro di un anno avrebbe potuto fare a meno della signora Tod e delle altre.
- Ah! - ricordò, di colpo: - Siamo in ritardo per il the! -.
Non aveva esattamente idea di quanto. Sperò non si trattasse di ore - ma era impossibile: nel caso, avrebbe sentito l'intera casa sottosopra, con ogni singolo abitante che lo cercava gridando il suo nome.
Una volta rivestito, si avvicinò a Gakupo.
"... forse posso lasciarlo dormire un altro po'." si chinò su di lui e lo baciò sulla fronte, come faceva ogni mattina, per poi uscire dalla camera.
Richiuse la porta e-
Un rumore di passi.
Proprio nella direzione in cui sarebbe dovuto andare.
Avrebbe potuto fingere di essere andato lì per cercare Gakupo, in ritardo per il the. Ma qualcosa gli diceva che era meglio non farsi trovare lì, in quel momento. Tra l'altro, non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso e se qualcuno lo stesse effettivamente cercando.
Fuggì dietro l'angolo opposto, rimase fermo. Voleva sapere chi stesse arrivando, se avessero mandato qualcuno a chiamare Gakupo. Nel caso, avrebbe fatto il giro.
I passi si fermarono.
Un bussare.
"Sì, hanno mandato qualcuno a chiamare Gakupo." realizzò una cosa: "... allora hanno mandato a chiamare anche me?".
Quello sarebbe stato un problema. Soprattutto se si fossero accorti che erano spariti entrambi.
"No, un attimo." inspirò, impedendo all'agitazione di scuoterlo: "Gakupo sarebbe il mio precettore. Non è obbligatorio pensare male, se non trovano nessuno di noi due.".
Si accorse di una cosa.
Gakupo non aveva risposto. Aveva sentito bussare di nuovo. Non aveva risposto per la seconda volta. Non c'era stato nessun altro bussare.
Ma lui non aveva sentito quei passi allontanarsi.
"C'è qualcuno davanti alla stanza...?" si mise quanto più nascosto possibile, sbirciò verso il corridoio.
C'era effettivamente qualcuno, davanti alla stanza. Che però guardava in direzione di una finestra.
Kyte.
Sussultò.
"Ovvio che sarebbe venuto lui." tornò nascosto: "... se è venuto a cercarci lui, dobbiamo essere davvero in ritardo.".
Trasse un profondo respiro: "... ma, in fondo, è meglio che sia lui.".
Uscì da dietro l'angolo, a testa alta. Era ora di iniziare una piccola recita.
- Kyte! -
Probabilmente l'aveva colto di sorpresa. Quando gli fu vicino, notò che aveva di nuovo quell'espressione da colpevole colto sul fatto.
- Sapete che ore sono? - lo rimproverò, con tutta la faccia tosta di cui era in possesso: - Siete terribilmente in ritardo! Mi avete fatta preoccupare! -
- Perdonatemi, non era mia intenzione. -
"... che sia in ritardo anche lui?" il modo in cui si era scusato non lasciava spazio a troppi dubbi.
- Stavo- -
- Anche voi cercavate Gakupo-sensei? - lo interruppe Len. Non voleva lasciarlo parlare troppo - non voleva che facesse domande. Però avrebbe potuto scoprire qualcosa sulle tempistiche. Probabilmente doveva fare solo un po' di pressione: - Anche lui è davvero in ritardo! Come lo sapevate, se non siete sceso? - forse si era spinto un po' troppo in là.
- Ehm... - Kyte, però, parve in difficoltà. Forse ci aveva azzeccato.
Lo vide dare un colpo di tosse, un vano tentativo di ricomporsi: - In realtà, sono sceso. - disse, la scritta "bugiardo" parve materializzarsi sulla sua faccia, ricoprendola del tutto: - Non avendolo visto lì, sono venuto qui a chiamarlo. -
"..."
Kyte dovette capire. Entrambi decisero di non approfondire la questione.
- Avete già bussato? -
L'altro annuì: - Ma non risponde. Credo sia già sceso. -
Len lo guardò, indeciso sul da farsi: "... potrei bussare anch'io, allora.".
Si voltò e-
- Aspettate! - una mano sulla spalla lo bloccò sul posto, facendolo trasalire.
- C-cosa c'è...? -
- C'è dell'acqua, per terra. -
Gli sembrò che il cuore saltasse fino alla gola: "Acqua...?" abbassò lo sguardo. E le vide, sul pavimento, delle gocce d'acqua. Dovevano essere cadute dalla sua gonna, la parte più zuppa di tutto il vestito - molto più zuppa, visto che, prima di entrare in casa, aveva strizzato stoffe e capelli quanto più possibile apposta per non gocciolare in giro.
Non gli piaceva che ci fossero quelle gocce lì. Non significavano niente per chi non sapeva niente, ma potevano comunque essere sospette.
- Non ho idea a cosa siano dovute, ma- -
Doveva distogliere l'attenzione di Kyte da quella roba. Kyte era esattamente il tipo di persona capace di rimuginare su una cosa del genere - e forse anche giungere alla conclusione giusta.
- Ah, quindi deve averla portata qui! -
- Prego? -
Si voltò verso di lui, con il sorriso più innocente che sapesse fare: - Prima ho visto Gakupo-sensei tornare dal laghetto con una tenda bagnata. - gli aveva detto di non parlare dei fazzoletti, del resto: - Quando l'ho incrociato, mi ha detto che stava facendo degli esperimenti, ma che non avrei dovuto dirlo a nes- - si zittì, portò una mano alla bocca, sgranò gli occhi con aria colpevole: - Ops! Ve l'ho appena detto! -
Kyte spalancò gli occhi.
"... mi ha creduta, sì...?" di colpo, non ne fu molto certo. E la cosa non sarebbe stata carina.
Poi Kyte sospirò e gli diede una pacca sulla schiena: - State tranquillo. - fece: - Manterrò il segreto. -.
"Ah!" gli aveva creduto. Ottima notizia. E conferma della sua capacità di improvvisazione.
- Vi ringrazio! - lo baciò: - Non voglio essere sgridata da Gakupo-sensei! -.

Ora che ci faceva caso...
Quella giornata l'aveva trascorsa con entrambi.



- Voi, in questi giorni, avete notato qualcosa di strano? -

- ... voi non avete notato nulla di strano? -


- Comincio a pensare che Kaito possa sospettare qualcosa. -

- Temo che qualcuno sospetti qualcosa. Di noi, intendo. -
- Gakupo-sensei? -
- C-cosa? -


- Quando sono tornato, mi è parso avesse uno sguardo strano. In questi giorni, mi sembra ancora più strano. -

- Ultimamente è strano. Ha qualcosa di strano nello sguardo, anche se non so cosa sia. -


Una carezza sul viso.
"Che carine, le mie bambole paranoiche.".



Non aveva alcun motivo per preoccuparsi.
Presto i loro desideri sarebbero stati esauditi.
Il fatto che temessero che l'altro potesse scoprirli, quella luce di timore ed esitazione nei loro occhi, erano la prova di quanto volessero rimanere insieme a lui.
Gakupo aveva cercato di scappare. Ma era tornato da lui. E voleva rimanere con lui.

Kyte non voleva andarsene. Sapeva che era turbato anche solo dall'idea. E sarebbe rimasto lì con lui.


Desiderava averli lì. E loro desideravano rimanere lì.
Gliel'avevano detto. Che erano suoi, che gli appartenevano.
Era stato davvero felice di sentire quelle parole.
Ma sapeva di doverle prendere simbolicamente.
Avevano detto quelle parole perché non sapevano come altro dirlo.
Ciò che provavano per lui - e ciò che provava Len per loro - non era un'emozione effimera, non era una scusa. Non era una fiamma divampata all'improvviso e destinata a spegnersi, non era puro desiderio fisico da appagare.
Era qualcosa che prendeva ogni singola parte di lui - il cuore, la mente, il corpo, l'anima - e la rendeva necessaria per gli altri. Lo stesso valeva per lui, nei loro confronti.
Non voleva averli vicino per sempre solo per scusa.
Tuttavia, non conosceva le parole giuste per dirlo. Forse non esistevano.
Non poteva far altro che ridere e usare le parole che fingevano di avvicinarvisi.
- Aishiteru. -

- Vi amo. -


- Amo entrambi. -



Quella sera, con molta probabilità, ci sarebbe stata pioggia.
Per quel motivo, sua madre aveva proposto a Kyte di rimanere un altro paio di giorni. Qualcosa degno di essere festeggiato con l'abito delle grandi occasioni.
Tuttavia, ancor prima di scendere per la colazione, ancor prima di vedere il cielo oscurato, aveva sentito che quella sarebbe stata una splendida giornata.
Kyte doveva preparare le valigie e non aveva idea di dove fosse Gakupo. L'unica cosa che sapeva era che una giarrettiera che portava la sera prima era ora sprovvista di nastrino e che la sera prima era stato da Gakupo. Probabilmente, le due cose erano correlate.
Aveva trascorso almeno un'ora in biblioteca e aveva finito un libro - ora tutte le lettere doppie erano segnate da un cerchio.
Decise di andare alla ricerca del nastrino perduto, nel luogo in cui supponeva averlo perduto. Quando arrivò alla camera di Gakupo, però, non vi trovò nessuno.
"... sarebbe problematico se qualcuno entrasse e mi trovasse qui da sola." forse avrebbe cercato lì in seguito.
Richiuse la porta e si diresse verso la camera di Kyte. Era piuttosto sicuro che, almeno lì, ci fosse qualcuno - dubitava avessero già finito di preparare le valigie.
"... strano." si fermò davanti alla stanza.
La porta era chiusa.
"... dovrebbe esserci un via vai di gente..." si avvicinò, piano. Mise la mano sulla maniglia.
"Forse hanno finito e sta dormendo...?"
Aveva una strana sensazione. Non riusciva a capire se fosse positiva o negativa.
Sembrava quasi un senso di aspettativa.
Deglutì - non sapeva perché, ma sentiva un nodo alla gola - e abbassò la maniglia. Aprì la porta.
Kyte. Gakupo.
Pallidi. Terribilmente pallidi.
Kyte aveva qualcosa, in mano. Spiccava, blu su bianco.
Aveva ritrovato il nastrino.
I loro occhi puntati contro.
Un brivido gelido lungo la schiena.
Non sembravano neppure occhi umani.
Il cuore sussultò.
"... allora è questo, il momento.".
Soffocò un sorriso.
Coprì le labbra con una mano, si accorse di stare tremando.
"Basta solo una cosa, ora.".
Un passo, due passi verso di loro.
- Mi... - serrò le mani attorno alle spalle, si lasciò cadere in ginocchio.
Chinò la testa, digrignò i denti: - Mi ha costretta! -
Silenzio.
Un singhiozzo, un altro, un altro ancora, lasciò che gli scuotessero le spalle, che spezzassero quel silenzio - che arrivassero alle loro orecchie.
Un rumore secco.
Trasalì, il cuore tremò, alzò lo sguardo.
Gli sfuggì un gemito, per la sorpresa.
Non si era accorto delle pistole.
Gakupo e Kyte avevano delle pistole. E le stavano puntando contro l'altro.
Per lui.
"... è questo ciò che siete disposti a fare?"
Impose alle labbra di rimanere ferme. Soffocò la risata con un singhiozzo.
- E' scarica. - la voce di Gakupo fendette l'aria.
Un istante dopo, entrambi abbassarono le mani, le pistole ora rivolte verso il pavimento.
- Hai una spada. -
La lama della katana. Davanti ai suoi occhi, appena estratta dal fodero con uno stridìo.
Sottile, appena ricurva, scintillante.
- Prendila. -
Kyte si voltò verso il letto alle sue spalle. Vi buttò il nastrino e la pistola, afferrò la sua spada e la sguainò.
Quella somigliava molto di più alla sua idea di spada.
Dritta, meno sottile della katana, più resistente.
Le due spade.
Per lui.
- Dietro la casa. - quasi un ordine.
Kyte annuì.
Lasciò sfuggire un gemito, si coprì la bocca con le mani.
Si alzò di colpo e fuggì da quella camera.
Era il momento di lasciarli soli.
Scappò sul retro della casa, dietro gli alberi lì vicino.
Ansimava per la corsa, il cuore era fuori controllo.
Sentiva le labbra tirare, gli occhi troppo sgranati.
Tremava.
Riusciva a sentirlo.
Il rumore di specchi che s'infrangevano.

Era successo tutto all'improvviso.
Ciò che aveva atteso per tanto tempo era successo di colpo, lasciandolo scosso per la felicità.
Non era ancora riuscito a realizzare i loro desideri, ma sapeva di essere ad un passo dal farlo.
Kyte e Gakupo erano arrivati dietro la casa, a qualche metro da lui.
Li aveva attesi, sapeva che non avrebbe dovuto aspettare molto.
Si erano guardati per qualche istante.
Non c'era nessun rumore. Solo il suo cuore che batteva con violenza nelle orecchie.
Poi Gakupo aveva attaccato.
E il suono dell'aria tagliata era giunto fino a lui.
Posò le mani sul tronco, li osservò.
L'aria vibrava, si spezzava.
Gli sembrava che i colpi di Gakupo andassero tutti verso l'alto.
Le spade che cozzavano l'una contro l'altra, un'eco che risuonò anche tra gli alberi.
Gli sembrava che Kyte non stesse attaccando sul serio.
Per lui.
Era quello ciò che erano in grado di fare per lui.
Puntare la spada contro la persona a loro più cara.
Puntare la spada contro ciò che era il loro mondo, distruggerlo, per lui.
Non aveva bisogno di altre conferme.
La katana calò su Kyte.
Trasalì.
Un urlo lo colpì ai timpani.
Kyte cadde in ginocchio, la spada cadde tra l'erba.
La manica bianca della sua giacca si scurì.
Gakupo era a pochi passi da lui.
E aveva ancora la katana in mano.
La vide alzarsi.
"No, non ho bisogno d'altro."
E non poteva permettere che uno di loro due morisse. Neppure per mano dell'altro.
- FERMO! -
Sentì la gola spaccarsi. Forse aveva esagerato.
Uscì da dietro gli alberi, corse verso di loro.
Gakupo si era bloccato.
Ed entrambi i loro sguardi erano andati a lui.
- BASTA! -
Riuscì a non sentire la gola raschiata da unghie arroventate.
Ma cadde a terra.
"... sassi.".
Si rialzò, ma si sentì strattonato verso il basso. Ricadde. Una delle sue scarpette era finita sull'orlo della gonna.
- BASTA! - la voce vibrò di nuovo, la gola fece di nuovo male: - YAMETE! YAMETE! - si rialzò di nuovo, ma si ritrovò a terra un'altra volta. Aveva liberato la gonna, ma non le sottogonne.
Singhiozzò. Sapeva di dover fingere.
Ancora per poco.
Li guardò negli occhi, entrambi.
Allungò le mani verso di loro.
E loro, come se non avessero aspettato altro in tutta la loro vita, lo raggiunsero, s'inginocchiarono davanti a lui.
Presero le sue mani, le portarono al viso.
L'odore ferroso del sangue gli riempì i polmoni, riusciva quasi a sentirne il sapore sulla lingua, lo vedeva sulla mano sporcatasi.
Per lui.
Il suo nome, sussurrato con quelle voci spezzate.
Quegli occhi di chi era in bilico, prossimo all'essere distrutto completamente.
Era tutto perfetto.
- Voi... - sorrise: - ... siete così... - sospirò: - ... divertenti. -.
Le loro espressioni.
I loro occhi.
Tanti frammenti sparsi intorno a lui.
I loro corpi e le loro anime spaccati in una miriade di pezzi.
Ricordava quando aveva visto quell'espressione.
- Ma, del resto... - alzò il viso, mostrò loro il suo volto: - ... non potevo aspettarmi di meglio, dalle mie bambole preferite. -
Lo ricordava, tanti anni prima, nei frammenti del suo primo specchio.
Adesso, finalmente, erano davvero come lui.
- Cosa...? - la voce di Kyte. Sembrava che qualcuno gli avesse stretto il collo con violenza, cercando di soffocarlo.
Rise, piano.
"Normale siate così agitato. Stavate per morire."
Guardò Gakupo.
Non aveva detto niente. Sembrava una statua.
Len gli sorrise: - Il vincitore siete voi. - notò una riga rossa sulla sua guancia: - E avete riportato solo un graffio! Davvero notevole. - gli si avvicinò e lo baciò, lo elogiò per la sua vittoria.
Quel bacio era solo un preludio. E lo sapevano tutti e tre.
Si scostò da lui, assaggiò di nuovo il suo sapore sulle proprie labbra.
- Meritavate un premio, Gakupo. - gli sorrise. Lui non reagì. Aveva solo gli occhi spalancati in modo innaturale. Ed era bianco quanto la sua divisa.
- Ren... - riuscì a parlare. La sua voce era completamente distrutta, un rimasuglio sforzato da qualche parte della gola.
Quegli occhi erano davvero come lo erano stati i suoi. Erano davvero bellissimi.
Rivolse lo sguardo a Kyte.
Anche lui era sbiancato. C'era una luce strana, nei suoi occhi, come una fiammella tremolante sotto troppo vento.
- Avete perso, ma vi siete battuto con onore. - gli si avvicinò: - Stavolta la Fortuna non era dalla vostra parte. - gli sorrise: - Sarà per un'altra volta. - lo baciò, lo rincuorò per la sua sconfitta.
Quando si scostò, riprese dalle proprie labbra il suo sapore.
Come aveva pensato. Era bello, sentirli mischiati. Ma era ancora troppo poco.
Presto si sarebbero davvero appartenuti.
Si rialzò, stavolta ci riuscì, si risistemò la gonna.
- Direi che è meglio rientare. - scostò una ciocca dal viso, si rese conto di avere una guancia umida - di sangue, non suo: - Quella ferita va decisamente curata. Eh, Kyte? - gli scoccò un'occhiata.
Gli sembrava quasi stesse tremando.
- Cosa sta succedendo? -
"Ancora non potete capire."
Erano spaventati. Poteva comprenderli. Doveva solo rassicurarli.
Sorrise: - Seguitemi. -
Non aveva bisogno di dire altro.
Difatti li vide alzarsi, piano, gli sguardi incapaci di staccarsi da lui.
Si voltò, fece loro strada.
Sentiva i loro passi nell'erba.
Lenti.
Meccanici.
Quando arrivò all'ingresso, si fermò un istante a guardarli: Kyte aveva una mano ormai rossa stretta sulla ferita, negli occhi ancora quel lumino tremante; Gakupo guardava verso di lui, ma non era sicuro lo stesse vedendo.
Portò una mano a coprire la guancia sporca. Non era una cosa che avrebbe dovuto spiegare a qualcuno.
Sorrise ad entrambi e avanzò verso la prima saletta disponibile. Fece loro cenno di entrare. Loro, senza dire niente, obbedirono.
Gli bastò fare due passi per imbattersi in una cameriera: - Potreste chiamare il maggiordomo? - portò l'altra mano alle labbra: - Il signor Kyte e Gakupo- sensei si sono feriti mentre si allenavano con le spade. Il signor Kyte sta sanguinando molto. -
Quando la cameriera osò sbirciare al di sopra della sua spalla, nella saletta, impallidì: - Oh, Cielo! Lo chiamo subito! -. La vide fuggire.
"Ottimo. Almeno farà presto."
Tornò nella saletta. Entrambi avevano ignorato le poltroncine; Kyte si era seduto su una sedia, lo sguardo alla ferita, Gakupo si era appoggiato contro il muro, lo sguardo che forse non stava davvero guardando qualsiasi cosa di quella stanza.
Come sperato, il maggiordomo arrivò quasi subito, con tutto l'occorrente per il primo soccorso, la governante e un paio di servitori che sapevano come trattare le ferite un po' più gravi di un graffietto.
Lasciò Gakupo e Kyte a loro.
Ci avrebbero messo un po'.
Doveva prepararsi.
Stava iniziando a sentire fin troppo caldo.
Salì in camera sua.
Quando si richiuse la porta alle spalle, sentì il cuore sussultare. E il caldo divampare in ogni millimetro di pelle.
Andò al catino, si pulì la faccia. Ma non si sentì minimamente rinfrescato.
Raggiunse il pupazzo sul letto. Lo prese in braccio.
- Ora possono entrare qui. -
Sorrise.
Posò un bacio sulla sua fronte.
Aprì l'armadio e lo mise dentro.
Ogni centimetro di stoffa sulla sua pelle stava diventando insopportabile. Gli sembrava gliela stesse bruciando.
Si sciolse i capelli. Quando li sentì contro il collo, ebbe un tremito. Gettò il nastro nell'armadio.
Sciolse il collarino. Gli parve di respirare meglio. Ma non alleviò il caldo. Gettò il collarino nell'armadio.
Passò le dita sulla pelle scoperta del petto. Era piacevole. Ma non era lui a doverla toccare.
Arrivò alle imbottiture.
Le afferrò e le sfilò dal vestito. Le gettò nell'armadio.
Respirava meglio, sì. Aveva più aria. Non c'era niente a premergli contro il petto.
Eppure continuava a bruciare.
Riuscì a liberarsi del corsetto esterno, con meno delicatezza di quanto avrebbe dovuto. Gli parve anche di aver sentito un suono sinistro. Non se ne curò. Lo gettò nell'armadio. Quel ripiano iniziava ad essere un po' pieno.
Si chinò. Armeggiò con la gonna.
Riuscì a slacciare la tournure e a buttarla nell'armadio, portandosi dietro un numero indefinito di sottogonne. Probabilmente, gliene erano rimaste addosso solo un paio.
Calciò le scarpette nell'armadio.
Abbassò le maniche del vestito. Quando scoprì le spalle, si stupì di non vederle bruciate.
E, solo a quel punto, richiuse le ante.
Si era tolto quante più cose possibili.
Ma più stoffa si toglieva, più accessori si toglieva, più il caldo lo faceva arrivare a respirare meno lentamente del dovuto.
Aveva bisogno d'aria.
Voleva che qualcuno alleviasse quel caldo.
Ora non aveva più motivo di aspettare.
Dovevano aver finito.
Non aveva più alcun motivo di stare lontano da loro.
Uscì dalla camera.
Scese le scale con calma.
Non sapeva neppure lui perché. Per assurdo, non aveva alcuna fretta.
Quando raggiunse la saletta, raggiunse un'entrata secondaria, ma rimase fuori, dietro la porta.
Non doveva essere la servitù a vederlo per primo, delle persone lì dentro.
Sbirciò al suo interno.
Kyte non aveva la giacca, il suo braccio era stato pulito e fasciato.
Anche il taglio sulla guancia di Gakupo era stato pulito. Lui continuava a guardare qualcosa di indefinito.
Kyte sembrava agitato. Non aveva ancora recuperato colore.
"Comment allez-vous?" sorrise: "Avete bisogno di me, vero?" non dovevano più preoccuparsi di niente.
- Potete andare. - ordinò, senza sporgersi troppo: - Vi ringrazio per le vostre cure. -.
Lo sguardo di Kyte era volato all'istante su di lui.
Gakupo si era voltato appena nella sua direzione. I suoi occhi non erano mutati.
Il resto dei presenti, con un cenno della testa, si dileguò.
Ora poteva entrare.
Aprì del tutto la porta, fece un passo nella stanza.
Gli occhi azzurri di Kyte si spalancarono.
Quelli chiari di Gakupo rimasero immobili.
Rivolse un sorriso ad entrambi.
"Sono spaventati. Sì."
Si avvicinò.
"Vagare smarriti nell'oscurità del proprio cuore? E' questo che si dice, di solito?"
- Seguitemi. -
"Vi porrò fine con le mie mani.".
Si voltò, uscì dalla saletta. Sentì Kyte alzarsi, sentì entrambi seguirlo.
Su per le scale.
Verso la sua camera.
"Non vi lascerò andare. D'ora in poi, sarò sempre con voi...".
Era quello il loro desiderio.






Note:
* "Canzone Eterna": Eternal Song.
* "Occhi": Me / Eyes.
* "Nella notte silenziosa" / "Per loro che gli avevano donato i loro cuori" / "Così dediti per sempre": Lovelessxxx.
[Amarsi nella notte silenziosa / Per te che mi dai il tuo cuore / Dediti così per sempre]
Sembra una traduzione traballante e lo è, ma non è dal japponico, è dall'ingrish. U.U" Ho tolto il "love" per ovvi motivi. E "addicted" vuol dire sì "devoto" ma anche (e soprattutto) "dipendente".
* "Bambole paranoiche": Paranoid doll, cantata solo da Gakupo. Sì, lo so che il titolo è al singolare. U.U *Ma qui ci stava al plurale. (?)*
* "Amo entrambi.": Futari tomo daisuki da yo. La famosa (?) frase muta di Imitation Black.
* "Comment allez-vous?" / "Avete bisogno di me, vero?": Arrest Rose.
* "Vagare smarriti nell'oscurità del proprio cuore" / "Vi porrò fine con le mie mani": Setsugetsuka.
[Vago smarrito nell'oscurità del (mio) cuore / Vi porrò fine con le mie mani]
* "Non vi lascerò andare" / "Sarò sempre con voi": Arrest Rose.




Finalmente il flashback è finito! \OAO/ *alza le braccia al cielo*
Flashback che nelle mie idee sarebbe dovuto durare UN capitolo, UNO solo. E. Invece. E'. Durato. Letteralmente. Mezza. Fanfiction. Che. Diamine. Quindi sì, dal prossimo capitolo si ritorna a Kaito - lo so che ve n'eravate dimenticati. (?)

Questo capitolo era molto delirante, sì. E confesso che mi fa uno strano effetto scrivere dichiarazioni tanto esplicite. Non fosse che la scena non è esattamente romantica.
E credo che, a questo punto - ma anche parecchio prima -, sarebbe carino poter aggiungere l'avvertimento "Harmony". *Perché è un avvertimento, non un genere.*

Poi.
Se la prima "scena a specchio" di Gakupo e Kaito vi ha ricordato il video di Lovelessxxx, significa che ho fatto le cose per bene. *Ogni tanto si ricorda di Lovelessxxx. Tipo.*
Quanto alla castissima mise finale di Len, sarebbe la versione "indossata" alla fine del video di Imitation Black. *Senza calze strappate. E con la gonna lunga pure davanti. Sì, lo so, le calze strappate sono un Simbolo (?), ma qui sono ancora integre. (?)*

Dunque il prossimo sarebbe l'ultimo capitolo. *brividi* Se poi saranno gli ultimi capitoli, lo ignoro. Concettualmente, è l'ultimo. (!) *fuga di massa*
Riuscirà il Genialissimo e Assolutamente Impossibile Possa Non Funzionare piano di Len ad andare in porto? Len è diventato satiriaco? La smetterà di parlare davanti allo specchio e fare ragionamenti strani? Vivranno per sempre tutti felici e contenti?
L'unica cosa certa è che c'è un solo vestito femminile a non aver ancora fatto la sua effettiva comparsa. *E tu quel paio di straccetti li chiami "vestito"?*

Spero che questo capitolo di delirio mistico e psicopatie assortite vi sia stato gradito. ^^ *Eh?*
Come sempre, se ci sono critiche o consigli, dite pure. ^^
  
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