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Autore: Unintended    24/09/2008    1 recensioni
"Valerio sorrise e, prendendo la mano di Anita fra le sue, ne baciò il palmo.
Si alzò facendo rumore con la sedia e uscì dal caffè, incurante della pioggia."
Due persone e un incontro, atteso per dodici anni.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia


Mai avrebbe pensato di incontrare di nuovo quello sguardo.
Eppure, in quella fredda mattina carica di una foschia quasi oppressiva, quello sguardo la colpì come un pugnale in pieno petto.
Non era cambiato affatto. Gli stessi occhi neri, enormi ed espressivi, incorniciati da ciglia scurissime, troppo lunghe e troppo folte per essere quelle di un uomo. Ciononostante, quegli occhi che un tempo esprimevano solamente esuberanza e sfrontatezza, la fissarono con estrema fragilità.
Lei non riuscì a muovere più nemmeno un passo e rimase immobile in mezzo alla strada, le braccia abbandonate lungo i fianchi e un'espressione turbata sul viso. Attorno a lei, la gente continuava a camminare, ignara di quanto stesse succedendo.
Lui iniziò a muovere qualche passo nella sua direzione e a lei sembrò di smettere di respirare.


«Ho vinto ancora una volta! Sono il migliore!» un bambino di sì e no dieci anni fissava il compagno di giochi steso a terra, un piccoletto con gli occhi umidi di lacrime e la bocca imbronciata.
«Tu hai barato, mi hai colpito alle spalle! Sei davvero uno...
Stronzo.» si lamentò il ragazzino più piccolo, mentre tentava di rimettersi in piedi.
«Mamma, hai sentito cosa mi ha detto?
L'hai sentito?» il bambino più grande cercò immediatamente l'appoggio della madre.
«Io non ho detto assolutamente niente, mamma! È stato lui che mi ha preso a pugni!» si affrettò a specificare l'altro, tirando su col naso.
In piedi sulla porta, la donna fissava quei due bambini che la chiamavano mamma con un misto di preoccupazione e di tenerezza.
Nessuno dei due era davvero figlio suo.
Alessandro, il più grande, era il figlio di sua sorella, morta di parto; mentre Valerio, il più piccolo, era stato abbandonato dai genitori quando aveva solo pochi mesi, così aveva deciso di occuparsi anche di lui.
Per lei che non si era mai sposata e che non era riuscita ad avere figli, quei due ragazzini iperattivi rappresentavano tutta una vita.
Il caso aveva voluto che quei due fossero l'uno l'opposto dell'altro.
Alessandro era estremamente sicuro di sé ma mai arrogante, spesso si chiudeva in pensierosi silenzi e, a soli dieci anni, aveva dimostrato di essere molto più sveglio e intuitivo di molti suoi coetanei; Valerio, invece, era impulsivo e spesso violento, strafottente, temerario fino all'incoscienza e sembrava non riuscire a tenere mai la bocca chiusa.
«Ragazzi, smettete di litigare e rientrate in casa: dovete ancora fare i compiti.» li ammonì la madre, le mani incrociate al petto, nel tentativo di risultare più imperiosa.
Alessandro e Valerio, tuttavia, tornarono ad urlare e ad avventarsi l'uno sull'altro.


Non era mai stato molto bravo con le parole e così, quando finalmente si trovò di fronte a lei, le afferrò il polso e fece per trascinarla via.
«Si può sapere cosa stai facendo?» sbottò lei, tentando di divincolarsi.
«Non qui. Non in mezzo alla strada. Andiamo da qualche parte, dobbiamo parlare.» spiegò lui, senza lasciare la presa, mentre si guardava attorno alla ricerca di un luogo più appartato.
Qualche passante, intanto, si era fermato un istante ad osservare quella scena, ma tutti ripresero a camminare, supponendo si trattasse solamente di un litigio tra due innamorati.
«Ci puoi scommettere.» concluse lei, laconica e stizzosa, mentre acconsentiva a seguirlo.


Tutto il vicinato conosceva quei due ragazzini chiassosi, che trascorrevano le giornate girovagando per il quartiere e, il più delle volte, creando qualche scompiglio.
Eppure, Anita incontrò Valerio quando aveva solamente quindici anni, ed era ancora timida e inesperta. D'altro canto Valerio, che di anni di aveva sedici, sembrava non aver ancora capito bene come comportarsi con le ragazze.
Ovviamente, il diciannovenne Alessandro faceva già strage di cuori, con quel suo atteggiamento cortese e un po' malizioso.
«Usciamo insieme.» chiese Valerio ad Anita, seduto sul muretto che costeggiava il campo da calcio, fissandola con quei suoi enormi occhi neri. «Sarebbe un peccato se dicessi di no.» aggiunse subito dopo, scoppiando in una risata esuberante.
Anita, spiazzata, convenne all'istante che ad uno sguardo del genere non si poteva certo dire di no, per nessuna ragione. E così, sistemandosi una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio, accettò timidamente quell'invito. L'impulsivo Valerio, allora, scendendo dal muretto con un salto, si avvicinò ad Anita e le stampò un bacio all'angolo della bocca, prima di allontanarsi canticchiando.


Poco lontano dall'affollata via in cui si erano finalmente rincontrati c'era un caffè dall'aria antiquata. Era un locale piuttosto piccolo, in cui i tavolini rotondi erano ammassati a pochi centimetri di distanza tra di loro e davano su un'ampia vetrata che quella mattina era coperta di condensa. Le pareti del locale erano rivestite di legno scuro, dello stesso colore del parquet e il bancone era ampio e con il piano di marmo nero. Dietro di esso stava il barista, un uomo sulla quarantina che elargiva sorrisi gentili a tutti i clienti e alla cassa (un oggettino d'epoca davvero molto caratteristico ma poco funzionale) sedeva la moglie del barista, una donnina dall'aria anonima con il viso a forma di cuore.
Il caffè, fortunatamente, non era troppo frequentato e così non fu difficile trovare un tavolo un po' più appartato.
Si sedettero in silenzio e si fecero portare del caffè, lungo.
Lui si prese del tempo per poterla osservare. Era passato parecchio tempo, ma il suo viso aveva gli stessi tratti armoniosi, sebbene un po' squadrati; gli occhi grigi erano luminosi, nonostante qualche piccola ruga e il sorriso, ne era sicuro, doveva essere meraviglioso come lo era tanti anni prima. Era una donna, adesso, una donna bellissima.
Quando si rese conto che anche lei lo stava osservando, scostò lo sguardo e prese a guardare fuori.
«Sembra che si metterà a piovere... E io non ho un ombrello.» disse, accompagnando la propria affermazione con una smorfia infastidita.
Lei si torceva le mani affusolate, quando finalmente trovò il coraggio per fargli quella domanda la cui risposta attendeva da dodici, interminabili anni.
«Dove sei stato?»
«Ovunque.» rispose lui, esibendo un sorriso spavaldo ma uno sguardo dolente.
Anita sospirò, accigliandosi.
«Non sembri affatto dispiaciuto.» commentò lei, risultando più acida di quanto volesse essere.
«Cosa te lo fa pensare?» fu la risposta immediata di Valerio, che sembrava essersi già alterato.
Anita sorrise tra sé e sé, contenta che nemmeno il suo carattere fosse cambiato così tanto: era sempre stato facile farlo arrabbiare.
«Una mattina hai deciso di andartene senza dire niente a nessuno, senza far sapere né a tua madre, né a tuo fratello,
né a me dove diavolo fossi finito!» esclamò allora Anita, anche lei molto vicina ad infuriarsi.
«Loro non erano la mia vera famiglia.» fu la misera scusa che Valerio pronunciò abbassando lo sguardo, fissando il tavolino.
«Ma ti hanno cresciuto come se lo fossi! Dopo che te ne sei andato, tua madre non faceva altro che piangere e pregare per te. Non ti rendi conto di quanto l'hai fatta soffrire, di quanto l'hai fatta stare in pensiero? Per non parlare di tuo fratello, era così... Deluso.» le parole di Anita sembrarono ridestare Valerio, che fino ad un momento prima sembrava assorto e imbarazzato.
«E ti sei mai chiesto come mi sia sentita io?
Ero così innamorata di te!» aggiunse, scuotendo la testa, cercando di trattenere rabbia e commozione.
«
Eri le domandò lui, con un sopracciglio inarcato e un sorrisetto sbieco.
«Cerca di essere un po' serio, per una volta!»


Era la prima mattina di primavera, ma faceva ancora terribilmente freddo.
Anita si era accoccolata sotto le coperte, in cerca di tepore, e aveva appoggiato la testa al petto di Valerio, sdraiato accanto a lei. Lui, accarezzandola, disegnava cerchi sulla sua schiena.
«Cinque anni.» disse, pensieroso.
«Come?» chiese lei, ancora un po' intontita dal sonno.
«Stiamo insieme da cinque anni.» ripeté lui, guardando dritto davanti a sé. «Non ero mai riuscito a tenermi stretto qualcosa di così bello.» aggiunse, baciandola sulla fronte.
Lei gli sorrise, guardandolo con estrema tenerezza; e lui, con mani abili, la accarezzò facendole scivolare i vestiti.


«Ti avevo lasciato un biglietto.» proseguì lui, come a volersi giustificare.
«E ti ricordi cosa avevi scritto, su quel biglietto?» gli domandò allora Anita, appoggiando rumorosamente la tazzina di caffè sul piattino di porcellana.


Tornerò.”

Anita lesse quella singola riga con gli occhi che le bruciavano e le mani di Alessandro che le stringevano le spalle.
«Oh, vaffanculo.» disse quest'ultimo, dopo che ebbe letto a sua volta il misero messaggio lasciato dal fratello.
«Smettila di piangere, non ne vale la pena.» concluse, prima di lasciare la stanza, furioso.


«Il solito esibizionista.»sbottò la donna, guardandolo con biasimo.
Non aveva lasciato che nessun altro leggesse quel biglietto, nemmeno la madre di Valerio.
Voleva che quella parola, quell'unica parola, rimanesse per lei per sempre, poiché lui l'aveva scritta per lei.
Tuttavia, il fatto che lui si fosse congedato da lei in maniera così sbrigativa e fredda l'aveva fatta soffrire a lungo.
«Però sono tornato. Sono tornato.» disse lui, con enfasi e una piccola speranza.
«Non lo capisci che è troppo tardi?» gli rispose, con voce rotta.
«Cosa vuol dire che è troppo tardi?» chiese lui, e il suo sguardo mutò un'altra volta.
«Sono passati dodici anni. Io non ho avuto tue notizie per tutto questo tempo. Per quanto ne sapevo, potevi essere morto!» Anita ripensò a tutte quelle sere passate a domandarsi dove lui fosse o cosa stesse facendo, ripensò a tutte quelle volte in cui, scoraggiata, cercava di convincersi che ormai lui l'aveva dimenticata e che quindi lei avrebbe dovuto fare lo stesso.
«Avresti dovuto aspettarmi.»
«L'ho fatto. Ma quanto pensi che sarei potuta andare avanti? Non potevo continuare a vivere nel tuo ricordo.»
«Dell'altro caffè.» mormorò Valerio, in direzione del cameriere, mentre si prendeva qualche secondo prima di rispondere.
«Ora, però, io sono tornato. Possiamo ricominciare!»
Anita abbassò lo sguardo, fissando il fondo della sua tazzina
«Ora, però, io sono sposata.» replicò, mentre lo sguardo di Valerio cadde per la prima volta sulla mano di lei, al cui anulare luccicava una semplice fede d'oro bianco.


«Anita?»
«Sì?»
«Sposiamoci.»
La donna, gli occhi sgranati, era sbiancata.
«Io... Io non saprei...» dichiarò lei, sincera ed incerta.
Lui le sorrise, un po' sconsolato, e le carezzò il viso con il dorso della mano.
«Anita, sono anni ormai che provo a renderti felice. Ti chiedo di provare a dimenticarlo.
Per favore.»
«D'accordo. Sposiamoci.» acconsentì lei, con dolcezza, guardando a terra.
Lui le sollevò il mento e la baciò delicatamente sulle labbra e lei, facendosi trasportare, gli mise prima una mano dietro la nuca e poi iniziò a sbottonargli la camicia.


«Sposata?!» esclamò Valerio, sgomento, il caffè bollente che gli andò di traverso.
«Con Alessandro.» precisò lei, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Valerio si mise la testa fra le mani, non sapendo cosa dire.


«Sai, un po' ti invidio...»
«Tu invidiare me?» sorpreso, Valerio guardò il fratello con aria interrogativa.
«Tu sei riuscito a trovare la persona che ti ha messo la testa a posto.» spiegò, con una risata un po' amara.


«E... Quando?» fu l'unica cosa che Valerio riuscì a dire.
«Solamente due mesi fa.» gli rispose Anita, con un filo di voce.
Come predetto da Valerio all'inizio di quell'incontro, aveva iniziato a piovere forte e le gocce di pioggia battevano incessanti sulla vetrata del caffè, scandendo inesorabili i secondi che passavano.
«Se io fossi tornato prima, l'avresti sposato ugualmente?»
«No.»
Valerio sorrise e prese la mano di Anita tra le sue e ne baciò il palmo.
Si alzò facendo rumore con la sedia e uscì dal caffè, incurante della pioggia.

  
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