Some Nights
«Oh...!
Cazzo, Dean, cazzo!»
Era da un quarto d'ora buono che andava
avanti quella sequela di imprecazioni da parte del solitamente posato
e misurato Sam. In realtà Dean trovava esilarante vederlo
perdere la
sua tipica pacatezza... forse era un po' da bastardi, ok, e forse
anche da sadici, ma seriamente, Sam era incredibilmente ridicolo
quando si lamentava a quella maniera!
A torso nudo, una bottiglia
di liquore stretta in mano da cui prendeva sorsi praticamente ogni
dieci secondi e le sopracciglia aggrottate, Sam lasciava che Dean,
con un sorrisino a sfottò su quel visetto angelico, pulisse
con del
disinfettante la spalla dove il proiettile sparato da Bela l'aveva
colpito. Era doloroso, cazzo, e Dean si divertiva a prolungare la
sutura solo per prenderlo un altro po' per i fondelli.
«Andiamo,
Sammy... ti ha preso solo di striscio, smetti di lamentarti come una
ragazzina! Poi dovresti essere contento: oggi è stata la tua
giornata fortunata.»
Lo canzonò platealmente il maggiore, mentre
sollevava le sopracciglia con un sorrisetto sfacciato e posava sul
ginocchio del fratello il batuffolo di cotone idrofilo imbevuto di
disinfettante che aveva utilizzato per ripulire la ferita. Dalla
piccola cassetta di pronto soccorso che per ovvi motivi si portavano
sempre dietro, Dean recuperò un ago ricurvo e dello spago
per
suture. Poi si posizionò la lingua tra i denti prima di
sollevare
l'ago davanti ai propri occhi, pronto per infilare l'inizio del filo
nell'occhiello.
Sam, nel frattempo, gli aveva lanciato
un'occhiata tale che avrebbe potuto incenerirlo se fosse stata
tangibile, prendendo un altro sorso di liquore e tentando di
stordirsi con quello, per cercare di inibire il dolore. Fece scattare
la mascella al sapore acre ed al calore che sentì bruciargli
la
gola, per poi arricciare il naso.
«Oh, sì, Dean, molto
divertente!»
Sputò tra i denti, osservando in tralice il volto
del maggiore corrucciato in una smorfia di evidente concentrazione,
mentre annodava il filo e osservava con soddisfazione la sua opera di
grande precisione appena conclusa.
«Esatto, Sam: decisamente
divertente! Dovresti vederti...»
Dean rincarò la dose e ammiccò
con le sopracciglia in direzione del fratello, che però
aveva
l'attenzione completamente catturata dall'ago ormai pronto alla
piccola operazione che l'avrebbe visto diretto (e sfortunato)
protagonista.
Ed infatti all'improvviso calò il silenzio,
perché
il maggiore spostò lo sguardo allo squarcio slabbrato che
segnava la
spalla di Sam, mentre quest'ultimo ingollava un ennesimo sorso di
liquore. Dean cercò il permesso di procedere con la sutura,
che non
tardò ad arrivare da parte del minore – gli venne
rivolto per
l'appunto un cenno millimetrico del mento, le sopracciglia di Sam
corrucciate e le labbra strette in una dura linea retta.
Era
arrivato il momento di smettere di scherzarci su, anche
perché il
maggiore sapeva quanto Sammy detestasse farsi curare dalle altre
persone: quando capitavano quegli incidenti permetteva solo a Dean di
toccarlo, altrimenti preferiva fare da solo. Neanche John, quando i
due fratelli erano solamente ragazzi, aveva il permesso di occuparsi
di lui.
Non che Sam temesse la cura in sé, ma gli risultava
complicato rimettersi in mani altrui, in situazioni come quelle. E si
trattava più del fatto che il dolore invece che spaventarlo
lo
innervosiva e Dean era sempre stato in qualche modo il metodo
più
efficace per calmarlo e rasserenarlo nel giro di trenta secondi.
Il
più grande per qualche tempo si era scervellato nel capire
che
diavolo di ragionamento o mania fosse quella, ma alla fine aveva
compreso che si trattava solamente del modo di essere del suo Sammy,
senza troppi significati profondi e nascosti. Per cui toccava sempre
a lui l'ingrato compito di rammendarlo alla meno peggio quando si
beccava un taglio nella gamba, piuttosto che un proiettile nella
spalla.
Sam aveva ridotto lo sguardo a due fessure ed adesso lo
manteneva sul tessuto che il proiettile aveva aperto al suo
passaggio. Dean trapassò con quanta più
delicatezza possibile la
pelle, collegando così con un primo punto i due lembi
squarciati che
mettevano in bella mostra la carne viva. Il minore emise un sibilo
non appena l'altro ebbe concluso di tirare il filo, e da quel momento
la strada assunse una pendenza tutta in salita. Ma Sam continuava a
guardare ed anche qui Dean sapeva e capiva: si affidava a lui, si
lasciava andare alle sue mani – che del garbo utile per
ricucire
una ferita erano del tutto sprovviste – ma era necessario che
potesse osservare il lavoro.
Non era mancanza di fiducia, era
capitato che una volta ne parlassero, ma il puro (e masochistico, per
il modesto parere di Dean) bisogno di poter seguire i movimenti che
l'avrebbero rimesso in sesto.
Quel discorso, comunque, si era
risolto con un perplesso Dean che tirava gli angoli delle labbra
verso il basso ed una bassa risata da parte di Sam, che scuoteva il
capo. Insomma, per loro anche parlare di suture era
normalità, dato
che almeno una volta al mese (se non di più) ne avevano
bisogno.
Era
passato poco meno di un quarto d'ora quando Dean avvicinò le
labbra
al filo per reciderlo coi denti, terminando il lavoro con espressione
soddisfatta e guadagnandosi un rilassamento istantaneo ed un respiro
di sollievo da parte di Sam.
«Visto, fratellino? Non è stato poi
così terribile, no?»
Sogghignò Dean a quel punto, leggendo con
chiarezza sull'espressione ora distesa del minore una rinnovata
tranquillità.
«Continuo a dire che stavo meglio prima.»
Sbuffò
un mezzo sorriso Sam, mentre lasciava che l'altro concludesse il
lavoro: il maggiore aveva preso un pacchetto di garze ed un rotolo di
cotone e stava delicatamente cominciando a fasciare al fratello la
spalla gonfia e sicuramente dolorante. Ma Sam era forte ed era
abituato a quel genere di infortuni: si sarebbe rimesso presto.
Comunque, una volta conclusa l'operazione di fasciatura, Dean
mise via la cassetta del pronto soccorso, rinfilandola nel suo
borsone.
A quel punto si era ritrovato in piedi davanti a Sam,
ancora seduto sulla sedia che era stata la sua personale pira durante
la sutura. Il più piccolo aveva il solito cipiglio a
segnargli le
sopracciglia, che si rischiarò immediatamente notando il
viso di
Dean fisso sul suo. Quest'ultimo gli sorrise e si chinò fino
a
lasciargli un tenero bacio sulla fronte, a cui il minore
reagì
chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo, di quelli che
saturano i polmoni e raggiungono il cuore. Poi Sam sollevò
una mano
fino a catturare il mento di Dean tra pollice e indice, sporgendosi
finché non posò a sua volta un rapido bacio sulle
labbra del
fratello, leggero e casto come un soffio di vento. Prese a strofinare
con delicatezza la guancia su quella più ispida del maggiore
ed
adesso avevano entrambi gli occhi chiusi.
Era quello che a fine
giornata facevano: si davano conforto usando il contatto fisico.
Era
il metodo più rapido per scaldare loro il corpo, provato
dalla
giornata che puntualmente era uguale a quella precedente: stracolma
di orrori.
Che fosse un bacio, una carezza, o un qualcosa di più,
i due fratelli avevano scoperto di sentire il bisogno di
sentirsi.
Voce, respiro, profumo, risate, sapori.
Avevano
bisogno di osservarsi e lasciare che Dean facesse scorrere le mani
tra i capelli un po' troppo lunghi di Sam, mentre per il minore era
necessario posare il palmo aperto sulla pancia del fratello e
lasciarla lì, pelle contro pelle.
Bastava un semplice tocco, per
riconfermare un'ennesima volta che erano lì, erano salvi ed
erano
insieme. Ed i pezzi del puzzle che era la loro vita tornavano al
proprio posto.
«Io me ne vado a letto... vieni?»
Fu Sam a
pronunciare quelle parole. Lo disse con lo sguardo puntato sull'ampia
schiena del fratello, che si era allontanato dall'altro dopo un
ultimo bacio e per poter così sigillare la camera durante la
notte e
quella manciata di ore di sonno che potevano permettersi. Aveva un
sacchetto contente del sale in mano e ne stava ora versando una
striscia sul davanzale dell'unica finestra della stanza. Nel sentire
quella domanda, però, si volse indietro, verso il viso di
Sammy, e
dopo qualche istante annuì, domandando a sua volta:
«Insieme
stasera?»
Già. Perché non sempre funzionava
così, tra loro,
per quanto forse automatico sarebbe potuto sembrare all'apparenza.
C'erano delle occasioni in cui, nel bel mezzo della nottata, uno dei
due scivolava sotto le coperte dell'altro. Lì non venivano
fatte
domande, ma solamente più posto per far star comodo anche il
nuovo
arrivato.
Altre notti, invece, erano come quella: proponevano e se
all'altro non andava perché non voleva nessuno a vegliare i
suoi
incubi così da vicino, entrambi si coricavano da soli.
Quest'ultima
opzione, tuttavia, raramente veniva scelta. Anche perché,
insomma,
d'inverno ed in certi Stati, la notte era davvero fredda. E poi
l'altro letto veniva usato per poter lasciare lì giacconi e
armi,
per cui non poteva esserci un occupante.
Altre notti ancora
semplicemente non si parlavano, né si guardavano. In quelle
altre
notti avevano bisogno, un bisogno che puntualmente superava quello
dell'altro, qualsiasi esso fosse. Il bisogno di sentire la mancanza
della solitudine, il bisogno di stringersi ad un corpo famigliare e
ritrovare quelle nicchie che odoravano di casa.
Sì, perché i due
fratelli sapevano che convenzionalmente casa era un tetto sulla testa
fisso e niente di più. In realtà col tempo
avevano scoperto che
casa era qualcosa che ti faceva stare bene. Per cui niente escludeva
il fatto che quel qualcosa fosse magari una persona, magari un
fratello.
Magari Dean, o magari Sam.
«Sì.» La risposta del
minore arrivò immediata, mentre già col braccio
sano si slacciava i
bottoni dei jeans e li sfilava con facilità, sollevando una
per
volta le lunghe gambe. Dean nel frattempo aveva riposto il sale ed
aveva sorriso per poi bofonchiare un"va
bene" con tono
assai soddisfatto. Evidentemente non era solo Sam a scegliere la
terza opzione, per quella notte.
In realtà, senza rivolgersi
troppe domande che benché mute restavano palesi, dal giorno
del
patto di Dean lo scegliere di passare la notte insieme era sempre
più
frequente. Non che prima quella possibilità venisse scartata
a
priori, ma il recuperare ciò che dopo la partenza per
Stanford
avevano perso era stato un processo graduale, per cui le occasioni
nelle quali decidevano di dormire insieme erano rare. A quel tempo
preferivano passare notti in bianco, smaniando per una vicinanza che
non poteva essere, non ancora, perché era troppo presto ed
avevano
paura, piuttosto che ammettere all'altro il bisogno di essere
abbracciati.
Ora di comune accordo tacevano, ma sapevano entrambi
che nessuno dei due voleva perdere ancora tempo. Sarebbe stato
stupido e controproducente per la loro felicità
già labile di per
sé per ovvi motivi.
Il fruscio di un lenzuolo ed un sospiro
pesante, seguito da un sibilo di dolore, segnalarono a Dean che Sam
si era già sistemato sotto le coperte. Anche se di spalle,
poteva
figurarsi suo fratello, con gli occhi già chiusi, supino. Le
palpebre avevano chiuso i battenti su quel mondo che davvero, era un
concentrato di schifo di prima categoria, ma Dean sapeva che il suo
Sammy restava vigile, in attesa di essere raggiunto. E non
necessariamente per passare una nottata di sano sesso – che
sesso
non era tra loro, e neanche amore –, no, loro potevano
dormire
insieme nel senso proprio del termine. Lunghe e soddisfacenti
dormite, in un confortevole intreccio di gambe e braccia.
Non per
niente avevano pagato la stanza anche per il giorno seguente:
probabilmente la mattina avrebbero fatto tardi. Ogni tanto potevano
permetterselo.
Dean si tolse la giacca e la camicia di flanella,
rimanendo in t-shirt. E poi eliminò anche i jeans, posando
il tutto
sul letto che per quella notte avrebbe fatto da guardaroba.
Intanto,
da dietro le palpebre chiuse, Sam sentì lo scatto di un
interruttore
ed un confortevole buio permise ai suoi occhi di tirare un sospiro di
sollievo. Subito dopo poté avvertire il materasso dalla
parte
opposta alla sua abbassarsi sotto al peso del fratello, che si
infilò
nel letto e gli circondò immediatamente la vita con un
braccio, tra
lamenti di doghe e cigolii di molle.
Sam sorrise, lasciandosi
stringere, e Dean si lasciò andare ad un sospiro pesante.
E come
di normale, subito sotto a quelle coperte si irradiò calore.
Non
caldo, niente di fastidioso, niente di fisico. Calore che faceva
sì
che le loro anime già destinate all'Inferno si potessero
crogiolare,
melanconiche e soddisfatte.
Il senso di appartenenza prese a
cullarli in quella stanza di motel rischiarata solamente dalla luce
di un lampione che riusciva a filtrare da uno spiraglio lasciato
dalle tende tirate.
L'ambiente era così anonimo e per certi versi
squallido da risultare imbarazzante, eppure una cappa di benessere
sottolineava cosa fosse l'unica cosa reale e valida per i due
occupanti: loro stessi.
Avevano a che fare sempre con mostri e
stronzate soprannaturali, talmente veri da poterli uccidere con uno
schiocco di dita. Poi però le porte dei motel si chiudevano
e i
Winchester si addormentavano abbracciati. E tutto ciò che
era
all'esterno di quel letto perdeva di significato.
Walking_Disaster's
corner:
Bah, era nata come OS e ora diventa una minilong.
Basta, SPN mi sta consumando. Anyway, titolo preso dall'omonima canzone
dei Fun. (che io adoro). Il testo c'entra fino ad un certo punto, se vi
va di ascoltare qualcosa di bello comunque ve la consiglio!
Niente, come già detto nell'intro
avremo tanta sana introspezione, tanto sano fluff (che male non fa
mai) e qualche momento di coccola un po' più spinta. Gli
altri due
capitoli ancora devo scriverli, ma ho già tutto in testa,
appunto
perché questa era nata come storia unica.
Non ho idea se questo
sia un bel lavoro, a me personalmente pare valido, ma mi rimetto alle
vostre considerazioni, pubblico(?)
Il capitolo due arriverà
presto, in ogni caso, I promise.
Fatemi
sapere che ne pensate, pls, che fa sempre piacere :3
See u soon
(e domani tenterò di rispondere anche alle recensioni
arretrate,
sono pessima)
WD