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Autore: Ily Briarroot    05/09/2014    2 recensioni
Due sorelle divise da un destino che le segnerà profondamente. Due cuori profondamente uniti ma costretti a separarsi. Due cuori che battono all'unisono, ma che non sono liberi di farlo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nono capitolo
 

Non riuscì quasi a chiudere occhio, quella notte.
Pensava ancora, ragionava, rifletteva se tutto ciò che aveva programmato fino a quel momento potesse essere la scelta giusta, il piano perfetto.
Vide davanti agli occhi l'immagine di Shiho che le intimava di lasciar perdere. La rivide piccola, un fagotto che si muoveva lentamente nella culla, i grandi occhioni chiari che scrutavano l'ambiente circostante, e che non piangeva mai.
Il suo proteggerla da ciò che credeva essere il male, dalle persone che avevano sempre intimorito anche lei, ma che adesso poteva affrontare a testa alta.
Nella sua testa l'immagine cambiò velocemente e, al posto della neonata, comparve una bella bambina dai capelli ramati e dallo sguardo silenzioso.
La vide in un enorme edificio con tanti altri coetanei, seduta a un tavolo con un vassoio davanti. Sola, mentre masticava pian piano, lo sguardo basso di chi era tagliato fuori dal mondo.
I ragazzini che la circondavano parlavano, bisbigliavano tra di loro in una lingua diversa. Ridacchiavano, adocchiandola da lontano.
E poi la vide nuovamente da adolescente, una giovane donna che stava sbocciando, ma che non viveva al di fuori delle mura fatiscenti di un laboratorio e senza il camice bianco sulle spalle.
Akemi aprì gli occhi all'improvviso, percependo i battiti forti del proprio cuore. Sollevò la schiena, poggiando la mano sulla fronte sudata e scostando la frangia corvina da un lato.
La sveglia segnava esattamente le quattro di mattina. Poco. Mancava veramente poco adesso.
Soltanto qualche ora dopo, prima di uscire di casa, prese la borsetta nera, ricordandosi di infilarvi all'interno tutto ciò di cui probabilmente avrebbe avuto bisogno, compresa la pistola che le avevano consegnato con tanta cura e della quale percepiva chiaramente il peso, che le schiacciava i polmoni e che le mozzava il respiro.
Aprì l'anta dell'armadio, le mani che tremavano in modo convulso. Dopodiché estrasse il passamontagna nero dallo scaffale, aggiungendolo al resto.
In quel momento, si sentiva incredibilmente sola. Nonostante sapesse di esserlo ormai da tempo, da quando aveva accettato l'incarico, non se n'era mai accorta sul serio perché troppo concentrata a sistemare ogni dettaglio. Aveva allontanato tutti da settimane. Aveva rifiutato inviti, telefonate. Aveva ignorato le amiche, il postino che aveva perso il conto delle volte in cui aveva sperato di rintracciarla. Non studiava, non frequentava più le lezioni all'università da ancora prima.
L'unica cosa che aveva fatto, era stata quella di pagare anticipatamente l'affitto dell'appartamento per tutto il mese. Era corretto così, indipendentemente dal resto. Indipendentemente dal fatto che, forse, sarebbe potuta tornare alla propria vita di ogni giorno. O forse no.
Era riuscita anche ad allontanare lui. Lui, che le aveva nascosto la verità. Lui, che era finalmente tornato in Giappone. Lui, la persona che le era stata vicina più di tutte e del quale non era riuscita a cancellare i sentimenti. Lui, la persona della quale si era innamorata.
Ripensò al messaggio che le aveva lasciato in segreteria qualche giorno prima. D'un tratto, non importava più se le stesse nascondendo altro. Se avesse un'altra identità, se fosse in missione per qualche motivo a lei oscuro.
Non ci pensava più.
Prese il cellulare e sollevò lo sportellino, tesa. Rimase a fissare per qualche istante il suo nome nella rubrica. Dopodiché gli scrisse poche parole, semplici. Ciò che avrebbe voluto dirgli da una vita. Uno dei suoi più grandi desideri. In quelle righe, aveva riposto il proprio cuore.

Se mai riuscissi a lasciare l'Organizzazione... usciresti con me, come un vero fidanzato?”.

Dopodiché chiuse il cellulare con uno scatto e si riscosse, raggiungendo velocemente l'ingresso. Pronta a compiere ciò che non avrebbe mai voluto fare. Nella speranza di una vita che valeva la pena di vivere.

Il furgone era pronto. Tutto il necessario anche, stretto al sicuro all'interno della borsetta nera sotto al braccio. Corse, raggiungendo i due uomini che la scrutavano duramente, impenetrabili. Si accertò che nei paraggi non vi fosse nessuno prima di indossare velocemente la maschera nera che aveva preparato qualche sera prima. L'odore acre le fece quasi storcere il naso, mentre ne passava altre due identiche ai complici.
Dopodiché, fu tutto il lavoro di una squadra che in realtà non c'era. Di un'unione totalmente impercettibile da risultare vuota. L'unica forza, l'unico motivo per cui tutto stesse andando per il meglio, erano anni di allenamento e di sforzarsi di ragionare come loro. Oltre alla cosa di gran lunga più importante, che premeva e premeva. Shiho.
Lei rimaneva il pensiero fisso. La parte principale di tutto. Il vero motivo di ogni cosa.
Anche mentre trasferiva le valigette e i sacchi più in fretta che poteva, anche mentre faceva da palo accanto all'anta del furgone nella speranza che non arrivasse nessuno.
Anche mentre riuscirono a scappare, una volta che il più robusto dei due uomini ebbe premuto pesantemente sull'acceleratore e il furgone portavalori vuoto si fosse allontanato dalla loro visuale.

Un bambino. Sempre lo stesso.
Tratti che sentiva di aver già visto, una voce vivace e curiosa. Due occhioni blu rassicuranti che la decifravano e la facevano sentire sempre un po' in colpa. Che la spogliavano di tutto, che la portavano a contraddirsi, ad accusarsi, a realizzare di essere una criminale.
Ma non lo voleva esserlo e, per quanto lo sguardo del piccolo sospettoso la intimasse quasi a confessare perché tanto era la scelta giusta da fare, bastava ripensare al motivo per cui lo aveva fatto.

“Signorina Masami? Che cosa succede?”.

E, di colpo, era chiaro. Era quel nome a essere di troppo, era quella la persona che avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle. Il bambino con gli occhiali che la riempiva di domande, stava parlando con lei. Soltanto con lei. Una lei che non le apparteneva. La criminale.
Akemi, intanto, percepiva il battito furioso del proprio cuore mentre i giorni passavano e tanti, strani timori venivano a galla.
Quando la morte dei due complici la colse impreparata, quando si era probabilmente trasformata in un'assassina senza neanche volerlo. Quando si rese conto che tutti gli indizi portavano a lei. Sola, lontana dal mondo, lontana dall'amore, dall'affetto.
Al centro di un fuoco che l'avrebbe schiacciata, perché era così. L'avevano incastrata nel peggiore dei modi, coloro che avrebbero dovuto mantenere la propria parola.
Avrebbe voluto lui. Sì, lo avrebbe voluto ancora al suo fianco, a rassicurarla, a proteggerla. Qualunque cosa. Avrebbe voluto parlare con Shiho, dirle che sarebbe andato tutto bene. In fin dei conti, aveva fatto ciò che loro volevano.
E invece, giorno dopo giorno, sentiva sempre di più il peso su di se'. Su Masami. Ma, prima di tutto, su Akemi.

Lo aveva visto, prima di procedere verso l'ascensore.
Il bambino correva, nell'evidente tentativo di fermarla. Non lo fece, non si scompose. Lo guardò negli occhi profondi e, per qualche strano e assurdo motivo, rivide di riflesso nelle iridi blu quelle di sua sorella. Era un meccanismo, un collegamento, che scattava, per quanto assurdo, in modo istintivo.
Akemi non si voltò più. Raggiunse l'auto e mise in moto con foga, premendo sull'acceleratore con il cuore in gola. Doveva finire bene. Cercava di pensare solo a questo mentre entrava sulla strada che costeggiava alcuni capannoni abbandonati.
Prese il cellulare, sollevando lo schermo con due dita. Il messaggio che aveva mandato a Dai era ancora lì, tra quelli inviati, senza alcuna risposta. Accennò appena un sorriso triste e lo ripose nella borsa, stringendo poi la stoffa nel foulard con una mano.
Non mancava tanto. Si sarebbe fermata di lì a breve, verso la fine della strada.
Per un istante, quando scese dall'auto, si convinse di essere sola. Fece qualche passo decisa, cercando di celare il tremore e la paura che in realtà stavano combattendo contro di lei.
“Ottimo lavoro, Masami Hirota... “
L'improvvisa voce maschile, dura e calma, la costrinse a fermarsi.
“O, meglio... Akemi Miyano”.
Le due figure uscirono allo scoperto. I cappotti neri le avvolgevano dalle spalle ai piedi, i ghigni dipinti sul volto. Era il primo a parlare, colui che aveva odiato per anni.
“Perché hai ucciso gli altri due? Che male ti avevano fatto?! Avanti, dimmelo!”.
Il timore divenne rabbia. Guardò il biondo con occhi che non lasciavano trapelare nient'altro.
Una risata, poi le labbra dell'uomo ripresero a muoversi.
“Noi facciamo sempre così, bellezza. Allora, dicci dove sono i soldi”.
Akemi arretrò appena, di un passo. Dopodiché incrociò le braccia, fissandoli ferma, senza scomporsi.
“Prima voglio vedere mia sorella!”.
La giovane donna studiò entrambi, notando il leggero stupore nell'espressione del compagno.
“Cos'hai detto?!”.
“Avevate promesso che una volta portato a termine il piano avreste permesso a me e a mia sorella di lasciare l'organizzazione!”.
Speranza. Speranza che andava via via sgretolandosi. Iniziava ad averne la conferma scrutando gli occhi di ghiaccio dell'uomo che aveva davanti. Di colpo, sentì le gambe deboli. Ma non doveva cedere, non davanti a loro.
“Vedi, tua sorella è una mente indispensabile nella nostra organizzazione, quindi è necessario che resti con noi. Anche lei lo vuole”.
Gin rise, una risata argentina e raccapricciante. La rabbia, quella vera, quella che Akemi Miyano non aveva mai provato in vita sua e, che, non era in grado di provare, aveva preso il sopravvento su di lei. Uno strano desiderio si faceva largo nel suo corpo, nelle sue membra, nei suoi muscoli.
Il desiderio di uccidere.
Cercò di scacciare dalla mente quel pensiero, nel vanto tentativo di controllarsi.
“Sei un bugiardo, sono tutte menzogne!”.
Non li sconvolse per nulla. Impassibili, indifferenti. Anche la più piccola luce di speranza si distrusse in mille pezzi, formando un peso in gola che non riusciva a deglutire, quando vide Gin sollevare una pistola e puntare la canna contro di se'.
Poteva dire addio a tutto, forse. In quel frangente, in quel solo attimo, si sentì egoista nel formulare il vano pensiero che Dai potesse accorrere in suo aiuto. Per un solo, inutile momento, pensò che voleva vederlo. Un'ultima volta. Ancora.
“E' la tua ultima possibilità” la voce dell'uomo che la minacciava la riportò bruscamente alla realtà “Dicci dove si trovano i soldi”.
Akemi scosse la testa, respirando a fondo. Guardò l'arma, cercando di essere forte. Era stata una stupida, lo sapeva. Non aveva dimostrato niente, non era arrivata a nulla. Si era lasciata usare, pur sapendo come sarebbe finita, da qualche parte dentro se'. E aveva sbagliato. Da ingenua, aveva fallito.
“Non li troverete mai, li ho nascosti!”.
Un ghigno breve, sbrigativo.
“Come ti avevo detto, era la tua ultima possibilità”.
Uno sparo. Un dolore lancinante all'altezza dello stomaco. Ne percepì dell'altro quando le ginocchia batterono contro l'asfalto freddo, mentre la vista si offuscava velocemente.
Quando sollevò lo sguardo, le due sagome non c'erano più.
C'era soltanto tanta confusione, unita a pensieri e a sensazioni che non riusciva a controllare.
Sentì dei passi. Qualcuno la raggiunse, premendo una mano sul sto stomaco, macchiandosi con il suo sangue.
Distinse delle voci, forse una, che la chiamava.

Masami!


Masami...

 

Tossì di nuovo e, solo in quel momento si accorse del rivolo di sangue che le scivolava dall'angolo della bocca, ma la sua concentrazione, ora, era rivolta verso la persona che stava cercando di aiutarla.
“C-Conan... sei tu... ? Come hai fatto a trovarmi?”.
La voce sottile del bambino giungeva con fatica alle sue orecchie. Cercò di capire qualcosa della frase, di captare qualche parola. Perché non riusciva a comprendere del tutto, né a ragionare come avrebbe voluto. Soltanto quando fu certa di aver capito qualcosa che avesse a che fare con delle trasmittenti e con la sua automobile, sgranò appena gli occhi.
Il piccolo la spinse delicatamente verso terra, facendole appoggiare la schiena sull'asfalto, e Akemi non riuscì del tutto a trattenere un gemito di dolore. Dolore che intaccava lo stomaco, il fegato, i polmoni. Respirare faceva male, così come in ogni parte del corpo. Ogni muscolo, ogni battito.
Lo osservò affaccendarsi intorno a lei, lo sguardo teso. La paura negli occhi, di quel colore profondo. Occhi che aveva già visto.
E poi, di colpo, le venne in mente. Un giorno di chissà quanto tempo prima, ricordava di essersi stupita sentendo la notizia di un detective liceale. Un ragazzo. Infallibile. Coraggioso. Che non sbagliava mai.

“Shinichi Kudo? Quel famoso detective?”.

Shiho non si era scomposta, quando gliene aveva parlato. Aveva continuato a sorseggiare la sua tazza di caffè quasi indifferente, senza pronunciarsi oltre. Eppure, qualcosa le diceva che lei sapesse. Che lei aveva avuto modo di conoscerlo. O che lo avrebbe fatto presto, in un modo o nell'altro.
La sagoma del ragazzo nella sua testa, di colpo si sostituì con quella del bambino che stava cercando disperatamente di tenerla sveglia.
Fu allora che realizzò.
Nel suo cuore, aveva già capito.
Glielo volle chiedere comunque, per esserne certa, e mantenne lo sguardo su di lui, lottando contro la visuale che pian piano si offuscava.
“Ma tu... chi sei veramente?”.
Nonostante lo sforzo per rimanere cosciente e la ciocca di capelli corvini che le finiva sull'occhio, lo vide abbassare lo sguardo e nasconderlo per qualche attimo oltre le lenti degli occhiali tondi.
La sua risposta, non le lasciò più alcuna sorta di dubbio.
Lui. Lui poteva essere tutto. Lui poteva continuare ciò che non era stata in grado di fare.
Akemi tossì di nuovo, mentre dalla bocca le fuoriuscì l'ennesima traccia rossastra.
E si fidò. Si fidò perché sapeva di poterlo fare. Perché le infondeva la stessa sicurezza che riusciva a trasmetterle Dai.
E glielo raccontò. Gli raccontò degli uomini che le avevano distrutto la vita, gli disse di più

aiutami...

E non perché si trovasse sdraiata a terra in una pozza di sangue. No.
Per finire ciò che le aveva iniziato, ora che, ne era certa, non avrebbe potuto più continuare. Era una richiesta di libertà, era una disperata richiesta di trovarla, di trovare sua sorella e di salvarla. Gli stava chiedendo d'incontrarla, attraverso gli occhi chiari che, presto, non avrebbero più brillato di speranza. Senza parole, non ve n'era bisogno, gli stava chiedendo di unire il suo destino a quello di Shiho, di donarle la felicità che nessuno era stato in grado di offrirle.
Conan ascoltava, il cuore che batteva a mille, digrignando i denti, mentre una sensazione di vendetta di faceva largo in lui. Per la prima volta, ebbe il desiderio di farla pagare a qualcuno, andando contro ogni suo ideale, contro ogni suo principio. A mani nude o armato, non importava.

Non voglio essere usata da quei criminali anche da morta...

Nonostante avesse saputo, dentro il suo cuore, che sarebbe finita così, nonostante avesse cercato comunque di lottare, si era sbagliata. Adesso era convinta che tutto ciò fosse servito a qualcosa.
Perché era sicura che la persona che stava cercando di salvarle la vita, non l'avrebbe delusa. Per un secondo, un solo secondo, ripensò nuovamente a Dai. Avrebbe voluto vederlo un'ultima volta. Avrebbe voluto aspettare la risposta al messaggio che gli aveva inviato, ma, forse, era meglio così.
Era stato bello innamorarsi. Sentirsi amata, vivere. Dedicare tutto l'amore del mondo a una sorellina che, in tutti quegli anni, ne aveva avuto bisogno. E sperava che qualcuno continuasse a donarglielo, perché se lo meritava. Perché doveva andare avanti, anche senza di lei.
Tanti, tantissimi pensieri tutti nello stesso momento. Tantissime cose da fare, da vivere, da sperimentare.
Un sussurro, un filo che la teneva legata alla vita. Poi più nulla.

Masami...

Quando Akemi Miyano chiuse gli occhi, si sgretolò qualcosa. Qualcosa che aveva a che fare con il mondo o l'universo, qualcosa nel cuore di molti.
Il bambino strinse le palpebre, mentre la sirena dell'ambulanza si avvicinava. Mentre sentiva l'abbraccio stretto di qualcuno dietro alle spalle.
Mentre una parte di se stesso, se ne andava con quella giovane donna che aveva cercato inutilmente di proteggere.
Shinichi Kudo si sentì per la prima volta miserabile, davanti a una vita che non era riuscito a salvare.
Senza sapere che le certezze di quella stessa donna, si sarebbero avverate. Che avrebbe incontrato una persona da proteggere e che avrebbe protetto più della sua stessa vita. Una persona alla quale si sarebbe affezionato, a cui avrebbe voluto un gran bene. Una persona fragile, ma dal carattere freddo e distaccato, con la quale avrebbe dovuto spartire un destino.
Una persona che gli avrebbe dato la possibilità di rimediare, e che avrebbe riposto in lui tutta la sua fiducia.
Tutto questo, però, non lo sapeva ancora.
In quel momento, davanti al corpo inerme della ragazza, fece una promessa.

Una promessa nata dal suo orgoglio, dalla sua testardaggine e dal suo coraggio. Una promessa che, ne era certo, non avrebbe mai tradito.


* * * * *


Note dell'autrice: ciao a tutti! Chiedo veramente e umilmente perdono per aver tardato così tanto, ma l'università quasi non lascia respiro e tra studio e vacanze purtroppo non sono riuscita ad aggiornare prima. E il capitolo era pronto per metà!
Comunque, questo era l'ultimo :) ho messo davvero tutta me stessa per scriverlo e, spero di aver trasmesso ciò che mi ero prefissata. Akemi è stata una persona bellissima e descrivere la sua morte mi fa rimanere con il peso in gola.
Volevo chiarire che non ho messo tutti i dialoghi e descritto ogni scena, perché l'anime è diverso dal manga e non volevo prendere spunto da uno dei due in particolare :) volevo unire le due cose e far pensare a una storia sola.

Spero che vi sia piaciuta, anche se mi dispiace un po' averla conclusa! Ringrazio ancora tutti voi che leggete e soprattutto chi mi dona un po' del suo tempo facendomi sapere cosa ne pensa.

Alla prossima, se vorrete.

 

Ile

 

  
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