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Autore: Ita rb    05/09/2014    3 recensioni
Nei bassifondi della città, si vocifera che la malavita abbia approdato in un campo molto ostico: gli scontri clandestini. Un giro di scommesse sta dilagando da un lato all’altro del Paese, attirando quanti più stranieri possibile in quella che sembra una speranza avida, ma la Pantera non ha intenzione di chinare il capo e, arrancando nel sangue, si aggrappa al titolo di campione della fantomatica Cage per sbaragliare i suoi avversari e guadagnarsi da vivere; eppure, la routine sembra spezzarsi con l’arrivo di una Tigre dalle unghie affilate e la parlantina schietta.
[AoKaga | AkaKuro | ImaHana]
[Partecipa all’iniziativa : “Fan fiction interattiva” – maggiori info nelle note del prologo]
Rating, pairing e personaggi presenti possono cambiare nel corso della storia.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Makoto Hanamiya, Seijuro Akashi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Note: Salve a tutti! Ritorno con un nuovo aggiornamento di questa fan fiction che, lo ammetto, mi ha davvero presa nella sua stesura *cofcof* e non immaginavo di arrivare a tanto, no di certo, ma la vostra partecipazione mi ha mandato al settimo cielo e non posso far altro che continuare su questa scia! Al momento è bene sottolineare che i segreti delle due bestiole (?) verranno presto a galla, anche se alcuni accenni in proposito si trovano proprio in questo capitolo, perciò non vi resta che aspettare ancora un po' per i dettagli! Non si tratta di un capitolo molto placido, questo, anche perché nella sua conclusione c'è parte dello scontro promesso dal capo della Cage e di conseguenza torniamo un po' al punto di partenza con forse una maggiore intesità di violenza – leviamo anche il forse, perciò siete avvisati della splatterosità intrinseca! Il titolo del capitolo deriva da uno dei segreti, ma shhh *alone di mistero*
Grazie Lupus_in_fabula (che ha posto delle domande interessantissime a livello di trama, le quali hanno un vero e proprio discontro in questo e nei prossimi capitoli), Yoko no Koori (la veggente rinomatissima di questa fan fiction che, con la sua recensione, mi ha anche segnalato un errore *tanto love per te, cara*) e Nahash (altra inestimabile veggente) che, con i loro commenti, mi hanno dato lo stimolo di andare avanti nella stesura di un capitolo ancora solo plannato mentalmente *sparge cuori*
Spero che anche questo capitolo possa piacervi, che gradirete l’ingresso di altri personaggi nella trama *coffeggia* – indovinate dove sono! – e che il progetto continui a fornirmi nuovi spunti per questa storia!
Ringrazio anche tutti coloro che leggono e seguono silenziosamente, immancabili lettori silenziosi, nonché chi mi darà certamente della pazza per le idee che sto partorendo o per i pairing inseriti e ancora offuscati!

Maggiori info sul progetto della fan fiction interattiva sono nel prologo!


Quell’odore lo conosceva bene: la strada sapeva solo di strada e lo smog riempiva le narici degl’ignavi che vi bazzicavano; eppure, quella non era stata affatto una scelta – non nel vero senso del termine, perlomeno. Nessun ragazzo della sua età sarebbe mai finito a vagabondare senza un tetto sopra la testa per le vie di Tokyo, meno che mai lungo quelle della periferia abbandonata dove se ne sentivano di cotte e di crude – forse ancora più che nel centro, dove pullulavano ragazzine attive nell’enjo kōsai e host da quattro soldi che svendevano amore tanto quanto le prime.
Correndo, i suoi pensieri sembrarono focalizzarsi s’un unico binario: una linea retta, un punto morto, qualcosa che racchiudeva tutto e niente, un capolinea chiamato casa.
Quello era un concetto che Taiga aveva dimenticato da tempo, probabilmente da quando era riuscito a racimolare il denaro sufficiente per filare via dagli Stati Uniti e mollare lì ogni cosa che lo riguardava da vicino con annessi e connessi.
«Non devo pensarci, non adesso», si disse a denti stretti, imboccando una via conosciuta per cercare di far lavorare i muscoli delle gambe, gli stessi che Satsuki lo aveva avvisato di non sforzare e che si lagnavano con fitte atroci a ogni dannatissimo passo. «Devo ricordarmi il motivo per cui faccio tutto questo, non devo pensare ad altro – non esiste altro
E in un attimo, serrando le palpebre e i pugni, parve davvero accantonare tutto. Non esisteva nulla all’infuori di quella meta irraggiungibile e perfino l’ombra di sua madre lo aveva abbandonato appena: tutto si era concentrato lì, sullo strafottente ghigno dell’imprenditore che aveva rifiutato di concedergli il giusto cognome per relegare una segretaria nel ruolo di madre single – e lui voleva distruggere quell’espressione da bastardo, voleva vederlo capitolare in qualche modo da quando aveva messo piede nel suo studio per sentirlo ridacchiare sotto i baffi, voleva vendicare la sua esistenza da reietto e quella in cui era stata costretta la donna che aveva ugualmente deciso di metterlo al mondo.
Sarebbe stato tutto perfetto, ma paradossalmente non era sufficiente e lo sapeva da solo. Il dolore lo faceva raggelare, percuotendolo da capo a piedi ogni qual volta si ostinava a posare il tallone in terra, e a nulla serviva serrare i denti, farli stridere tra loro neanche fossero fauci assetate di sangue, perché quello sembrava condensarsi nelle sue vene fin quasi a fargli girare la testa.
«Tutto bene?» Domandò una voce, cogliendolo all’improvviso quando, dopo essersi posato con la schiena contro un muro vicino, le sue labbra avevano iniziato a tendersi per imprecare qualche dio inesistente.
«Sì, tutto bene», liquidò in fretta, senza neppure sollevare lo sguardo verso la figura che si era tanto preoccupata per lui – in fondo, Kagami non era abituato a quel tipo di trattamento: nessuno sembrava essersi chiesto come stesse o cosa pensasse fino a quel punto e più che un interessamento, alle sue orecchie parve un rimprovero.
«Sicuro?» Insistette l’altro, rischiando quasi di scatenare l’ira funesta della Tigre; eppure, quando il pugno secco batté contro il muro alle sue spalle, scivolando dalla fronte sudata, lo sguardo della bestia parve sorprendersi un po’ nel vedere un ragazzino fissarlo con aria corrucciata dal basso.
«Sì, sicuro…» borbottò tentennante, passandosi una mano fra i capelli e lasciando che tutto il peso si buttasse sulla gamba illesa «… perché t’interessa?»
«Ti ho visto correre attorno al palazzo per un quarto d’ora buono e osservandoti bene mi è parso di notare qualcosa che non va», soffiò l’interpellato, facendo spallucce per poi sollevare le sopracciglia con fare innocente.
«Un ragazzino come te non dovrebbe trovarsi in un posto come questo», si lasciò sfuggire in un sospiro schietto, guardandosi attorno e notando solo il sudiciume illuminato sotto il sole di periferia. «Abiti molto lontano?»
«No, ti ho visto dalla finestra», disse semplicemente, ignorando l’appellativo con il quale si era rivolto a lui e l’indelicatezza delle parole stesse che, ne era certo, non era affatto intenzionale. «Abito in questo palazzo…»
«Ah!» la voce gli morì in gola dopo quell’esclamazione di sorpresa, indugiando appena in gola per poi essere riportata indietro quando, deglutendo, Taiga portò una mano verso la testa dell’altro per scompigliarla leggermente dalla sua compostezza. «Scusa, non volevo offenderti», disse, accennando un sorriso imbarazzato e scostandosi dal muro. «Anche io sono nato in periferia, perciò mi dispiace non averci pensato…»
«Non importa, non hai detto niente di strano», fece semplicemente l’interpellato, corrucciando le sopracciglia per lo strano sfregare dei polpastrelli altrui contro il suo capo. «Piuttosto, preferirei che non mi trattassi come un bambino.»
«Certo, certo…» soffiò, ritrovando un po’ della sua compostezza originaria e abbassando la mano – forse si era preso troppe libertà, ma dopotutto era abituato ad atteggiamenti simili negli Stati Uniti. «Ora ti saluto, okay? Ci vediamo!»
«Quella Tigre è davvero assurda», borbottò tra sé e sé Tetsuya, lasciandosi andare a un piccolo sospiro.
Se solo Seijuro avesse saputo di quanto era accaduto lì, in quel vicolo, probabilmente sarebbe andato su tutte le furie: il suo compito non era quello di avvicinare i potenziali perdenti, bensì quello di osservarli da lontano; nonostante ciò, per quel ragazzo valeva un discorso un po’ diverso – oh, lui non era come gli altri, altrimenti Akashi non l’avrebbe posto tanto sull’allerta e non sarebbe finito a guardare tante volte il video della sorveglianza sulla Cage – ma non cambiava comunque il fatto che aveva agito di testa propria.
 
Il silenzio che regnava in quella stanza aveva dell’inquietante e perfino Satsuki, osservando il guizzare dei muscoli di Daiki, non poteva fare a meno di notare una certa tensione nell’aria. Ogni qual volta l’altro sollevava le braccia assieme ai pesi, il tintinnio metallico di questi la riportava nel mondo dei vivi; nonostante ciò, il ronzio che divorava ogni cosa continuava a tormentarle le orecchie e s’intervallava agli sbuffi leggeri del combattente che le facevano storcere le labbra con disappunto.
«Perché continui ad allenarti, Aomine-kun?»
«Che domande…» fece seccato, concentrando nel gomito la tensione muscolare della quarantesima rotazione di destra «… lo faccio perché voglio vincere, non è forse ovvio?»
«Lo è fin troppo», mormorò la ragazza che, seduta sui calcagni, continuava a puntare lo sguardo su di lui. «Ma non è necessario stremarti tanto: il tuo avversario è infortunato alla gamba, sei stato tu a fargli quella contrattura ieri sera, perciò non si rimetterà in sesto per il round di oggi», lo rassicurò tutto d’un fiato, sentendogli schioccare la lingua in tutta risposta e con una certa saccenza che pareva suggerirle di non ficcare il naso nei suoi affari. «Aomine-kun!» Lo chiamò forte, tirandosi in piedi e lasciando che quello, di rimando, posasse il peso sul bilanciere per poi alzarsi dalla panca.
«Te lo dirò una sola volta, Satsuki:», proruppe allora, facendole battere le palpebre un paio di volte con perplessità «non prenderò nulla alla leggera su quel ring, non smetterò mai di combattere e meno che mai di vincere.» La serietà con la quale si era approcciato a lei lo aveva un po’ scosso, doveva ammetterlo, ma ciò che più di tutto detestava in quel momento era lo sguardo di Momoi che, irritato e ferito, gli si posava contro neanche fosse una velata minaccia senza voce. «Devo rimanere lì, devono continuare a considerarmi il campione della Cage e devono scommettere tanto, parecchio!» Infervorato, neppure si accorse di aver stretto la presa delle sue mani attorno alle spalle esili della ragazza per guardarla bene negli occhi. «Non me ne frega un cazzo dei motivi di quello straniero, ognuno ha i propri e io non sono da meno: ricordatelo!» Deglutì, realizzando solo allora di aver alzato un po’ troppo la voce; allorché distolse lo sguardo da lei per rivolgerlo altrove, verso il sacco nero da boxe che, appeso al soffitto, se ne stava placidamente in attesa delle sue sfuriate. «Non sono arrabbiato con te, Satsuki…» si affrettò a dire, sperando che l’altra non scoppiasse in un pianto disperato e colpevole come al solito «… se faccio tutto questo è perché voglio farlo e non ci sarà mai nessuno in grado di battermi davvero, neppure quel tizio senza nome
«Fai tutto questo per colpa mia, Aomine-kun», soffiò Momoi, vedendolo fermare la sua traversata per tornare indietro quando, dopo aver mosso qualche passo in direzione del sacco, si sentì colpito dalla realtà. «Non dire che non è vero, lo so benissimo!» Si affrettò a dire, fissandolo con le lacrime agli occhi e notando come l’altro, serrando i pugni, cercava di tenere a freno l’irritazione.
«Affatto», borbottò infastidito, scuotendo il capo per allontanare quell’idea.
«E dove sono tutti i soldi che hai guadagnato fino a oggi?» Incalzò la ragazza, rabbrividendo di sensi di colpa. «Eccetto l’attrezzatura per allenarti, Aomine-kun, non hai comprato proprio un bel niente per te.»
«Li sto mettendo da parte, ecco tutto: ho un progetto.» Chissà perché, ma quell’uscita improvvisa non sembrava affatto plausibile alle orecchie di Satsuki; perciò, considerando l’ipotesi che il suo sguardo fosse più perentorio del solito, la bestia si voltò verso la direzione originaria senza più guardarsi indietro. «Devo allenarmi, Satsuki.»
«Che progetto, Aomine-kun?» Domandò con voce strozzata. «Non me ne hai mai parlato, in fondo…»
«Devo allenarmi», ripeté spicciolo, aggrappandosi con entrambe le mani al sacco nero e facendo vibrare l’altra di tristezza – ah, non poteva parlarle davvero di quel progetto, perché se solo si fosse azzardato a farlo, se solo le avesse dato le conferme che cercava, allora avrebbe potuto benissimo incappare in una serie di rimproveri e prese di posizione senza eguali; dunque, tutto sommato, non era poi così brutto essere classificato come stupido egoista.
«Va bene», soffiò la ragazza, muovendo i suoi passi lontano da lì e sentendo i primi diretti di Aomine che, raggiungendole le orecchie, la fecero singhiozzare appena.
«Non va bene un cazzo, Satsuki», ringhiò a denti stretti, badando bene a non farsi sentire dall’altra e tornando a colpire forte il sacco. «Non va bene, non va bene, non va bene!» Swing. Diretto, gancio, ancora diretto e nuovamente swing. Gli mancava l’aria nel petto, ma non per la fatica, bensì per la discussione che aveva appena sopportato fingendosi nella parte del torto marcio per non farla sentire in colpa; eppure, quei singhiozzi leggeri che arrivavano fin lì non sembravano certamente suggerire ad Aomine che aveva fatto una mossa giusta. «‘Fanculo…» sbottò sottovoce, dando un ultimo diretto al sacco per poi incamminarsi veloce verso il corridoio con la prospettiva impensabile di salvare il salvabile. «Satsuki!»
«Cosa c’è?» Scattò l’interpellata, rimanendo di spalle e seduta sulla sedia del salone che aveva occupato per metà mattina. «Devi allenarti, non badare a me…» borbottò, cercando di mantenere un tono neutro; nonostante ciò, il suono della voce mozzata dal pianto non mancò di raggiungere il combattente che, di scatto, le si avvicinò per circondarle le spalle in un abbraccio possessivo.
«Non piangere, Satsuki…» soffiò, facendola deglutire a vuoto e ottenendo l’effetto contrario «… non voglio aprire quel discorso, tutto qui, e soprattutto non voglio vederti piangere.»
«Perché?» Singhiozzò, serrando i pugni chiusi sulle cosce, tra le pieghe della gonna.
«Perché non devi chiudere gli occhi e non devi soffrire», disse soltanto, sommessamente, mentre posava appena il naso contro la sua nuca per inspirare il profumo dello shampoo alla fragola. «Perciò, se vuoi conoscere il mio progetto, cerca di scavare un po’ nel passato.»
«Non devi farlo per me,» soffiò fra le lacrime «non devi combattere per me, non devi salire su quel ring e non devi rischiare la vita, Aomine-kun.»
«Ti porterò sulle spiagge di Okinawa…» cominciò lui, sentendosi mancare il fiato nel petto quando, contro ogni preavviso, fu proprio Satsuki a continuare quella promessa:
«… ti farò vedere quant’è bello il mare da quelle parti e quant’è limpido il cielo», mormorò.
«Allora ti farai una nuotata come se niente fosse e prenderai il sole: sai quant’è caldo il sole che batte sulle spiagge di Okinawa?»
«Ti prego, non farti male», gemette appena, mentre i singhiozzi le scuotevano le spalle che, strette fra le braccia di Daiki, sembravano terribilmente fragili.
«E tu non chiudere gli occhi, Satsuki.»
 
I combattenti erano tutti uguali, perlomeno agli occhi dello spettatore medio che entrava nella Cage con la speranza di fare qualche soldo sulla pelle degli altri, ma quella sera era tutto, completamente, diverso: l’euforia che si respirava in ogni angolo della bettola mandava in fibrillazione anche gli animi più calmi e lo stesso barman aveva iniziato a servire molte più pinte del solito; facce mai viste si aggiravano attorno alla rete, espressioni in commentabili parevano tendersi da una parte all’altra nel preciso schieramento che gli era stato suggerito meno di ventiquattrore prima e gl’impavidi che avevano scommesso sullo straniero, come da copione, sembravano essere aumentati.
Si giocava il tutto per tutto in quella sfida, dallo stipendio ai soldi guadagnati con lo spaccio di sostanze illegali, per non parlare della dignità e del proprio buon occhio che molti giuravano di avere.
«La Tigre è diversa da tutti gli altri combattenti», disse un tale, prendendo a sorseggiare la birra – o, per meglio dire, a tracannarla – con aria di sfida. «Lui può davvero battere il campione.»
«Non può», scattò lapidario un uomo sulla trentina che, dal lato opposto del ring, non riuscì a trattenere una risatina schietta. «La Pantera è la punta di diamante della Cage e quel senza nome è solo uno dei tanti allocchi che ha ceduto alla tentazione di fare un tentativo che gli costerà caro.»
«Il match inizierà fra poco», suggerì Shoichi con una punta di candore, avvicinando il boccale ricolmo di borra al tipo che aveva tentato di rispondere alla provocazione. «Bevici su, magari allenterà la tensione…»
«Non sono teso, so benissimo che la Pantera porterà i suoi frutti», fece a quel punto l’interpellato, declinando l’offerta con fare risoluto e una scrollata di spalle.
«Attenzione!» Proruppe il sibilo del megafono, attirando lo sguardo dei presenti come niente aveva fatto prima di allora. «Questa sera, gli scontri procederanno con un ritmo diverso. In prima battuta ci sarà il round tra la Pantera e la Tigre, lo stesso che ieri sera è stato sospeso a causa di un pareggio…» cominciò, restando con lo sguardo fisso dinanzi a sé «… dopodiché, qualche scontro minore che vedrà degli stranieri in competizione con i combattenti in carica della Cage: il Condor e la Tarantola.» Abbassò il megafono, procedendo a passo modulato verso lo stesso varco metallico che gli aveva dato modo di mettere piede sul ring; allorché, mentre si avvicinava al piano bar per lasciare l’altoparlante a Imayoshi, lo sguardo gli cadde volutamente sulla figura in fibrillazione che sedeva sullo sgabello vicino.
«Devi dirmi qualcosa?» Sbottò con un lieve sarcasmo, sollevando un sopracciglio con fare contrariato.
«No, so che la Pantera ha gli artigli più affilati della Tigre.» Fece spallucce, accennando a un piccolo ghigno soddisfatto, dopodiché gli posò una mano sulla spalla per imprimere meglio la sua sicurezza e continuò: «Hai delle motivazioni più importanti delle sue, dico bene?» Non aggiunse altro, lasciò semplicemente che il pugno di Aomine si serrasse irritato sul piano di legno alla sua destra e, lasciandogli la spalla, se ne andò dall’ingresso – in fondo, le pedine erano tutte predisposte all’interno di quella scacchiera chiamata Cage.
«Le sue motivazioni non m’interessano», sibilò a denti stretti, alzandosi in piedi per puntare lo sguardo lontano, verso la grata che lasciava intravedere il corpo dell’altro combattente. «Me ne fotto delle sue motivazioni…» sibilò ancora, afferrando il boccale di birra che, poco prima, aveva tolto di mano a Shoichi «… io salgo su quel ring per gli occhi di Satsuki.» Trangugiò il liquido in fretta e furia, sentendolo frizzare appena nel naso, e posò il boccale sul piano bar, mentre Imayoshi storceva di poco le labbra con rassegnazione.
«Dovresti tenere la bocca chiusa sui tuoi affari, Pantera», borbottò tra sé e sé, lasciandolo proseguire con passo fermo e deciso verso la gabbia.
E non esistevano suoni in quel momento, né urla che lo incitavano a dare il meglio di sé, perché le sue orecchie parevano improvvisamente essere diventate sorde e lo scorrere del tempo rallentava appena, rassettandosi su se stesso come il filo di Arianna, mentre le immagini divenivano più nitide e fioche al contempo – uno sfondo pieno di colori brillanti, di sgranature folli o pennellate sinistre.
L’arbitro, sbracciandosi dall’esterno, diede le prime direttive per far retrocedere le due bestie agli angoli del ring; ma se da un lato, Taiga non replicò, annuendo semplicemente per prendere posizione, l’altro non degnò il tipo di uno sguardo e si diresse direttamente lì, conscio del proprio ruolo.
Era una sicurezza, quella, in grado di fare accapponare la pelle a chiunque, perfino alla Tigre; allora, quando lo sguardo di Aomine si sollevò verso di lui, la linea grottesca delle sopracciglia parve fulminarlo come le pupille agitate, larghe e frementi.
La mandibola si mosse appena, fece stridere i denti su loro stessi e le nocche scrocchiarono una a una, mentre il suono della campana designava l’inizio dello scontro e la difensiva presa da Kagami sembrava non incutergli alcun timore.
Si avvicinò alla svelta, schivando un gancio e subito dopo un diretto, muovendosi veloce e mellifluo quanto il nomignolo che gli era stato affibbiato nella Cage e il rosso, sgranando gli occhi, si trovò ad annaspare nell’aria – la stessa che, ferita dai suoi colpi sbagliati, quasi si risentì nei polmoni quando, perfino la fasciatura alla gamba, non bastò a frenare il dolore della contrattura.
Nessuno fiatava in quel momento, perfino le battute spicciole di Daiki erano tenute a freno dalla compostezza rigida che sapeva un po’ di birra e furore; differentemente, la Tigre grugniva un poco quando, con le spalle al muro, si trovava ancora a colpire il nulla – forse era una tattica, o perlomeno così si disse, altrimenti era solo un modo per perdere tempo a causa dello spettacolo.
«Mi deludi, stai solo schivando, Pantera», lo provocò in un sibilo, caricando un nuovo diretto che, a differenza dei precedenti, venne bloccato dal palmo dell’interpellato.
«Parli troppo», soffiò acidamente, accennando con sfida a un ghigno, mentre serrava le dita attorno a quelle strette del rosso che, di rimando, gemette appena e tentò di liberarsi con un calcio indirizzato alle caviglie della Pantera. «Per favore, non credermi così stupido», ringhiò irritato, riuscendo a mancare l’infido colpo dell’altro con un piccolo saltello.
Non lasciò la presa sulla sua mano, però, serrando meglio le dita per tirarselo contro e colpirlo con foga all’altezza del naso. L’urto gli rimbombò nella calotta cranica, ma il sangue che prese a scorrere copioso dalle narici altrui riuscì addirittura a farlo ridacchiare.
«Mi hai spaccato il naso, stronzo!» Gemette Kagami, portandosi una mano al volto per fermare l’emorragia; eppure, lo sguardo infiammato della Pantera parve percorrerlo da cima a piedi, perforandogli l’anima al suono delle risa impazzite e dei contrastanti motti che provenivano dall’esterno del ring.
«Salendo quassù, senza nome, sai cosa aspettarti – lo sanno tutti», soffiò sardonico, accennando a un po’ di autoironia nello sfondo; allorché, senza accorgersene, lasciò che il rosso si muovesse alla svelta e, liberando il naso dalla sua stretta, prese a innervosire l’altro con dei puliti e canonici jab per poi andare a segno con un diretto.
Le labbra della Pantera, dischiuse in un ringhio, vennero colpite in pieno con le nocche fasciate e sporche di sangue del suo avversario. La forza impressa in quel pugno gli fece ondeggiare il capo all’indietro e lui riuscì a percepire una sensazione simile a quella di aver preso un muro in faccia a tutta velocità – oh, non era la prima volta che qualcuno arrivava a colpirlo in bocca o sugli zigomi, ma da quando era diventato il campione della Cege, mai nessuno era riuscito a spaccargli il labbro in un modo tanto insulso.
Sgranò gli occhi, portandosi una mano alla bocca per scoprirla pressoché anestetizzata e sporca di sangue – quello stesso sangue che, misto alla saliva, gli scendeva lungo la gola.
«E tu?» Lo spronò a denti stretti, passandosi il dorso della mano sinistra sotto al naso per asciugare un po’ di sangue. «Te lo aspettavi, per caso?»
«Chiudi il becco, sei fastidioso», fece irritato, sputando in terra per poi caricare nella sua direzione e mancare una sequela di colpi della Tigre; allorché, raggiungendolo e mettendolo quasi con le spalle al muro, proseguì con qualche jab a sua volta e infine cambiò completamente rotta, andando a segno con un gancio all’altezza dello stomaco.
Il pubblico era in fibrillazione, si ancorava alla rete e la faceva fremere su se stessa, ma le orecchie di Daiki erano sempre troppo lontane per raggiungere i fattori esterni alla sua faida; così, fissando lo sguardo un po’ perso dell’avversario e sentendolo gemere forte di dolore, lo spinse verso destra per vederlo capitolare al suolo.
Il ring prese a sporcarsi di sangue e la testa del rosso a vorticare veloce per l’emorragia che nessuno si apprestava a fermargli in qualche modo; allorché l’arbitro provò a proporre un’interruzione, beccandosi in tutta risposta il ringhio furioso della Pantera che, attaccandosi alla gabbia nella sua direzione, parve quasi volerlo divorare.
«Fai il tuo dovere senza immischiarti, intesi?» Sibilò al suo indirizzo, scostandosi di lì nel momento giusto: si abbassò, lasciando che il pugno di Kagami andasse a sbattere contro la rete metallica, facendo sobbalzare l’arbitro che subito tornò al suo posto con una pessima cera – dopotutto, poteva dirsi che avesse quasi visto la morte in faccia.
«Non perderò contro di te!» Gridò furibonda la Tigre, facendo serrare lo sguardo all’altro che, di rimando, schioccò la lingua infastidito per ancorarsi al recinto e sferrare un colpo secco all’altezza del polpaccio.
«Vale lo stesso», sibilò dall’alto, vedendolo accasciarsi con un forte grugnito, mentre le palpebre spalancate di Taiga suggerivano l’intensità di quel colpo basso, nonché la sofferenza nuda e cruda che era andata a penetrargli fin nel cervello. «Io non perderò contro di te, non perderò contro nessuno su questo ring», sentenziò.
つづ

La sfida vera e propria è appena iniziata e senza esclusione di colpi: chi vincerà?
L’infanzia della Tigre è stata solo accennata, ma sarà sufficiente a dargli la carica per battere la Pantera? Oppure sarà proprio Aomine a farsi forza ancora una volta per raggiungere la promessa fatta a Satsuki?
Il capo della Cage ci avrà visto giusto? E Kuroko dov’è finito al momento?
Vogliamo parlare della Tarantola? *cofcof*
xoxo
   
 
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