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Autore: Je91    25/09/2008    0 recensioni
Lei era fragile e cagionevole.
Lui era morto anche se viveva.
E si innamorano per caso, ma il destino non è sempre corretto. Nemmeno in amore.
Dedicata ad un'amica che non sento da molto.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elisewin volava, non camminava. Al posto dei piedi aveva le ali. Lei viveva in un mondo troppo lontano, quanto vicino. Lei credeva nelle fate.

Nessuno aveva mai visto realmente Elisewin, forse solo lui c’era riuscito a toglierle quel velo che la copriva interamente.

Nessuno l’aveva mai vista, ma tutti conoscevano i suoi occhi. Non sapevano di chi fossero, ma tutti sapevano come fossero. Azzurri come l’oceano.

Adam non viveva. Sapeva che la funzione vitale in lui funzionava correttamente, ma era un corpo che viveva privato di anima. Anche lui viveva in una dimensione parallela al mondo che conosciamo. Ma per una legge sconosciuta dell’universo, due pianeti sono destinati ad incrociarsi prima o poi nella loro orbita.

E fu così per Elisewin ed Adam.

Era un ventoso giorno di ottobre… Era uno dei rari giorni in cui la fragile e cagionevole Elisewin era viva. E volava. Per le strade, per l’aria, per la vita.
Elisewin voleva solamente respirare l’aria e gli odori della città la nauseavano, le toglievano il fiato in gola, le divoravano i polmoni. E l’unico posto di cui non odiava ancora l’odore era quello che se ne sta isolato nella città dov’era cresciuta, che è sede per truffe e ladri, che include la fine di qualcosa che è infinito. Il porto.

Le navi vanno. Le navi tornano. Le navi passano. E lei aspetta. Aspettava che qualche nave la prendesse a bordo e la portasse in posti lontani ancora da scoprire, dove vi erano cose di cui meravigliarsi, ancora. Eppure non era così. Il mondo, quello reale, era stato visitato tutto. Ed Elisewin non avrebbe mai trovato un posto migliore di quel porto. E dunque osservava.

Adam vagava senza meta, interrogandosi su quest’ultima cosa. Dove sarebbe dovuto andare?

Un odore salmastro, forte, aspro, che ricorda un po’ il ferro del sangue alla sua mente, lo trascinò verso di sé. Ed i suoi piedi obbedirono all’istinto piuttosto che alla ragione. Eppure Adam sapeva benissimo da dove proveniva quell’odore, sapeva che quel posto era maledetto, sapeva che quel posto era sede di ricordi che non volevano andarsene da lui…

Un giorno freddo, troppo forse per un bambino di otto anni che giocava in riva al porto con una palla, da solo. Un marinaio che lo osserva mentre copre la sua barca sulla spiaggia. E il mare a quel bambino ruba la palla, dispettoso. Istintivamente il bambino si avvicina alle onde forti che si scagliano sulla sabbia umida. La mano dell’uomo blocca il suo gesto e decide di tuffarsi a recuperare la palla di quel bambino. Ma nessuno può lottare contro il mare, nemmeno un marinaio.

Travolto dalle onde, si ferisce negli scogli, mentre cerca invano di recuperare quella palla a quel bambino che piange sulla spiaggia e chiama a gran voce aiuto, ma è tardi. Il marinaio che voleva aiutare quel bambino viene restituito alla terra oramai morente, e senza la palla.

«Perdonami, Adam non sono riuscito a prendertela», disse la sua voce soffocata. E il bambino chino che cerca di trascinare l’uomo su per la spiaggia, senza riuscirci.

«Non morire Matt, ti prego…», e quel bambino lotta per aiutare il fratello.

Adam aveva visto morire il fratello per una palla. In quel mare che sbatte sul porto. Era il luogo che odiava, che avrebbe fatto sparire dal mondo. Ma nessuno può bruciare il mare, nemmeno Adam.

Arrivò dunque all’inferno e l’odore più intenso di acqua marina lo colpì in pieno petto, uccidendolo, ma la sua lama non riusciva a strappargli l’anima purtroppo. E la vide.

Gli occhi di Elisewin erano rivolti verso il mare, e anche questo aveva invidia del suo colore, talmente tanto da diventare verde sotto il suo sguardo vellutato. E lei sorrise osservando le onde infrangersi sotto di se, impossibilitate dal rapirla, data l’altezza.

Socchiuse gli occhi e respirò a fondo, certa che quell’aria così pura e fredda l’avrebbe fatta sentire viva. Eppure gli attimi di vita erano pochi. Ed era stata la vita a punirla, a donarle quel fisico così debole, così fragile, così vaporoso. I dottori avevano paura che toccandola appena sarebbe sparita. Ed Elisewin non voleva sparire, lei voleva restare viva e amare. Diamine se avrebbe voluto amare! Era l’unica cosa che voleva realmente fare prima di morire… Perché lei sarebbe morta, prima di sua madre, prima di suo padre, prima di tutti i suoi amici. E il cuore le bruciava chiedendosi il perché facesse così male, questa verità.

Si voltò dunque lentamente restituendo al mare la bellezza che può vantare, senza che quegli occhi lo fissino. E tutto ciò che vide fu quello sguardo nero pece attraversarle l’anima.

«Come stai Elisewin?», domandò lui indeciso se avvicinarsi o restare lontano.

«Attualmente viva, e tu, Adam?», rispose con una domanda la voce velluto di lei. Si conoscevano da molti anni, eppure quegli occhi neri li aveva visti solo quel giorno, fino ad allora non li aveva mai incontrati.

«Attualmente morto», disse in un sospiro, impossibilitato dallo staccare lo sguardo da quegli occhi che facevano rabbrividire chiunque li guardasse.

I suoi piedi, nuovamente comandati dall’istinto, si avvicinarono ad Elisewin e si bloccarono alla ringhiera che dava sul porto.

Da quanti anni la conosceva? Molti oramai. Eppure quando la vedeva volare via, attraverso i corridoi di scuola, verso la sua classe, Adam non si era mai sentito così davanti quello sguardo. E mentre lei volava diretta al sicuro nella sua classe, lui rientrava in silenzio nella sua, scherzando con i compagni, nascondendo il dolore di una ferita non correttamente rimarginata.

«Ti fa male?», domandò lei rigettando i suoi lapislazzuli sul mare, facendogli provare invidia, di nuovo. Adam dapprima non comprese, cosa volesse dire la sua frase. Poi incrociò nuovamente quegli occhi stupendi e capì. Abbassò dunque lo sguardo sul fondale che riusciva ad intravedere, mentre una folata di vento lo spingeva con forza, ma un elemento non lo avrebbe vinto. Non di nuovo.

«Non lo so, Elisewin… Le tue ferite fanno male?», rispose retorico. Lei avvampò e si voltò dalla parte opposta. Come faceva quella voce ironica, cinica e forse dolce a sconvolgerla così tanto.

Ricordava la prima volta che aveva visto nei corridoi quegli occhi neri, troppo forse, quel sorriso che sapeva finto. Ricordava cosa provò. Ma lei era troppo debole, persino per innamorarsi.

«Non quanto la certezza che qualcuno sta peggio di me», rispose sapendo con assoluta precisione che tasti pigiare, e soprattutto come.

«Sì, mi fa male», sospirò quella voce che tornò del suo tono dolce. Ed Elisewin vide quel bambino piccolo piangere il fratello maggiore, morto per un incidente. Anche le persone attorno a lei avrebbero avuto quell’espressione quando sarebbe morta?

«Ma forse ho trovato la medicina giusta…», disse sorridendo appena.

Si sentiva sciocco, come potevano quegli occhi rapirgli l’anima e farlo sentire… vivo. Lui era morto insieme a Matt, lui non aveva diritto di essere felice, lui non aveva il diritto di amare. Amare ci fa sentire vivi.

Si avvicinò lentamente al viso di Elisewin, socchiudendo gli occhi e poggiando le labbra umide su quelle rosee e perfette di lei. E quelle labbra tremarono sotto il tocco delicato.

Ora forse poteva morire serena Elisewin, ora forse poteva essere felice. Si era innamorata, e qualcuno gli aveva donato amore.

I suoi occhi iniziarono a piangere senza che lei gli avesse dato loro il permesso. E le attraversarono le guance, scavando tra gli zigomi. Adam quando decise di interrompere quel contatto tra di loro, la osservò stupito, perplesso.

«Perché piangi?», aveva domandando preoccupato, come se temesse che quel suo gesto l’avesse ferita.

«Non lo so», rispose Elisewin senza che le lacrime le smettessero di scorrere sul viso.

Adam passò una mano sulle guance di lei, asciugandole. E lei riuscì a bloccarle, per il momento.

«Ora posso morire», ammise Elisewin fissando il mare e voltandosi lentamente verso la pece negli occhi di lui, che non capiva quelle parole.

«Morirai?», domandò esitante. Perdere qualcuno prima di trovarlo realmente, era la vita o un incubo? Lei alzò le spalle e sorrise.

«Nessuno lo sa, probabilmente prima degli altri», disse sorridente come se stesse parlando del tempo. E le braccia di Adam la avvolsero, impedendole di muoversi, come se quell’abbraccio bastava a fermare la morte. Entrambi sapevano che lei se ne sarebbe andata per prima. Eppure nessuno dei due smise di amarsi.

 

«Mamma, hai mai pianto mentre papà di baciava?», domandò una mattina Adam alla madre. Lei si voltò lasciando le stoviglie sul pensile e osservò suo figlio. Oramai non era più un bambino da proteggere, era un uomo e sul viso i suoi lineamenti avevano assunto un espressione dura, simile a quella del maggiore.

«No perché mi chiedi questo?», domandò serena lei. Lui sospirò fissandosi le mani, immobili sul tavolo di legno della cucina modesta.

«Perché Elisewin lo fa», mormorò vergognandosi appena. La donna sorrise e si sedette di fronte al figlio.

«Dimmi Adam… La ami?», domandò senza tremare. Pensava che non avrebbe mai detto una cosa del genere. Eppure c’era sempre la prima volta.

Il ragazzo alzò lo sguardo nero e lo posò sulla figura della madre e gli occhi gli tremarono, ma la voce no.

«Sì».

 

«Papà! Papà!», la voce melodica e allegra di una bambina raggiunsero il padre. Ed una bambina con i capelli scuri e gli occhi colore del mare correva incontro al proprio papà con una foto in mano. Adam sorrise vedendo la propria figlia felice e come ogni giorno assomigliava di più a sua madre.

La prese in braccio, tra le sue forti braccia e le baciò piano la fronte. La bambina sorrise mostrandogli la foto.

«Mi parli di mamma ancora?», domandò dolce. E Adam non poteva dirle di no, nonostante ogni ricordo gli facesse male.

«Sì certo Sophie», e allora prendeva la foto tra le mani e metteva giù la bambina che correva a sedersi sulla poltrona azzurra del salotto. E lui lentamente la seguiva, osservando gli occhi azzurri di Elisewin che ancora vivono nella sua mente, nonostante nessuno li vedesse più.

«Papà? Ma la mamma era bella?», domandava ogni giorno Sophie e lui sorrideva, mentre i suoi occhi neri riprendevano a brillare.

«Era bellissima».

  
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