Elisewin
volava, non camminava. Al posto dei piedi aveva le ali. Lei viveva in
un mondo
troppo lontano, quanto vicino. Lei credeva nelle fate.
Nessuno
aveva mai visto realmente Elisewin, forse solo lui c’era
riuscito a toglierle
quel velo che la copriva interamente.
Nessuno
l’aveva mai vista, ma tutti conoscevano i suoi occhi. Non
sapevano di chi
fossero, ma tutti sapevano come fossero. Azzurri come
l’oceano.
Adam non
viveva. Sapeva che la funzione vitale in lui funzionava correttamente,
ma era
un corpo che viveva privato di anima. Anche lui viveva in una
dimensione
parallela al mondo che conosciamo. Ma per una legge sconosciuta
dell’universo,
due pianeti sono destinati ad incrociarsi prima o poi nella loro orbita.
E fu
così
per Elisewin ed Adam.
Era un
ventoso giorno di ottobre… Era uno dei rari giorni in cui la
fragile e
cagionevole Elisewin era viva. E volava. Per le strade, per
l’aria, per la
vita.
Elisewin voleva solamente respirare l’aria e gli odori della
città la
nauseavano, le toglievano il fiato in gola, le divoravano i polmoni. E
l’unico
posto di cui non odiava ancora l’odore era quello che se ne
sta isolato nella
città dov’era cresciuta, che è sede per
truffe e ladri, che include la fine di
qualcosa che è infinito. Il porto.
Le navi
vanno. Le navi tornano. Le navi passano. E lei aspetta. Aspettava che
qualche
nave la prendesse a bordo e la portasse in posti lontani ancora da
scoprire,
dove vi erano cose di cui meravigliarsi, ancora. Eppure non era
così. Il mondo,
quello reale, era stato visitato tutto. Ed Elisewin non avrebbe mai
trovato un
posto migliore di quel porto. E dunque osservava.
Adam
vagava senza meta, interrogandosi su quest’ultima cosa. Dove
sarebbe dovuto
andare?
Un odore
salmastro, forte, aspro, che ricorda un po’ il ferro del
sangue alla sua mente,
lo trascinò verso di sé. Ed i suoi piedi
obbedirono all’istinto piuttosto che
alla ragione. Eppure Adam sapeva benissimo da dove proveniva
quell’odore,
sapeva che quel posto era maledetto, sapeva che quel posto era sede di
ricordi
che non volevano andarsene da lui…
Un giorno
freddo, troppo forse per un bambino di otto anni che giocava in riva al
porto
con una palla, da solo. Un marinaio che lo osserva mentre copre la sua
barca
sulla spiaggia. E il mare a quel bambino ruba la palla, dispettoso.
Istintivamente il bambino si avvicina alle onde forti che si scagliano
sulla
sabbia umida. La mano dell’uomo blocca il suo gesto e decide
di tuffarsi a
recuperare la palla di quel bambino. Ma nessuno può lottare
contro il mare,
nemmeno un marinaio.
Travolto
dalle onde, si ferisce negli scogli, mentre cerca invano di recuperare
quella
palla a quel bambino che piange sulla spiaggia e chiama a gran voce
aiuto, ma è
tardi. Il marinaio che voleva aiutare quel bambino viene restituito
alla terra
oramai morente, e senza la palla.
«Perdonami,
Adam non sono riuscito a prendertela», disse la sua voce
soffocata. E il
bambino chino che cerca di trascinare l’uomo su per la
spiaggia, senza
riuscirci.
«Non
morire Matt, ti prego…», e quel bambino lotta per
aiutare il fratello.
Adam aveva
visto morire il fratello per una palla. In quel mare che sbatte sul
porto. Era
il luogo che odiava, che avrebbe fatto sparire dal mondo. Ma nessuno
può
bruciare il mare, nemmeno Adam.
Arrivò
dunque all’inferno e l’odore più intenso
di acqua marina lo colpì in pieno
petto, uccidendolo, ma la sua lama non riusciva a strappargli
l’anima
purtroppo. E la vide.
Gli occhi
di Elisewin erano rivolti verso il mare, e anche questo aveva invidia
del suo
colore, talmente tanto da diventare verde sotto il suo sguardo
vellutato. E lei
sorrise osservando le onde infrangersi sotto di se, impossibilitate dal
rapirla, data l’altezza.
Socchiuse
gli occhi e respirò a fondo, certa che quell’aria
così pura e fredda l’avrebbe
fatta sentire viva. Eppure gli attimi di vita erano pochi. Ed era stata
la vita
a punirla, a donarle quel fisico così debole,
così fragile, così vaporoso. I
dottori avevano paura che toccandola appena sarebbe sparita. Ed
Elisewin non
voleva sparire, lei voleva restare viva e amare. Diamine se avrebbe
voluto
amare! Era l’unica cosa che voleva realmente fare prima di
morire… Perché lei
sarebbe morta, prima di sua madre, prima di suo padre, prima di tutti i
suoi
amici. E il cuore le bruciava chiedendosi il perché facesse
così male, questa
verità.
Si
voltò
dunque lentamente restituendo al mare la bellezza che può
vantare, senza che
quegli occhi lo fissino. E tutto ciò che vide fu quello
sguardo nero pece
attraversarle l’anima.
«Come
stai
Elisewin?», domandò lui indeciso se avvicinarsi o
restare lontano.
«Attualmente
viva, e tu, Adam?», rispose con una domanda la voce velluto
di lei. Si
conoscevano da molti anni, eppure quegli occhi neri li aveva visti solo
quel
giorno, fino ad allora non li aveva mai incontrati.
«Attualmente
morto», disse in un sospiro, impossibilitato dallo staccare
lo sguardo da
quegli occhi che facevano rabbrividire chiunque li guardasse.
I suoi
piedi, nuovamente comandati dall’istinto, si avvicinarono ad
Elisewin e si
bloccarono alla ringhiera che dava sul porto.
Da quanti
anni la conosceva? Molti oramai. Eppure quando la vedeva volare via,
attraverso
i corridoi di scuola, verso la sua classe, Adam non si era mai sentito
così
davanti quello sguardo. E mentre lei volava diretta al sicuro nella sua
classe,
lui rientrava in silenzio nella sua, scherzando con i compagni,
nascondendo il
dolore di una ferita non correttamente rimarginata.
«Ti
fa
male?», domandò lei rigettando i suoi lapislazzuli
sul mare, facendogli provare
invidia, di nuovo. Adam dapprima non comprese, cosa volesse dire la sua
frase.
Poi incrociò nuovamente quegli occhi stupendi e
capì. Abbassò dunque lo sguardo
sul fondale che riusciva ad intravedere, mentre una folata di vento lo
spingeva
con forza, ma un elemento non lo avrebbe vinto. Non di nuovo.
«Non
lo
so, Elisewin… Le tue ferite fanno male?», rispose
retorico. Lei avvampò e si
voltò dalla parte opposta. Come faceva quella voce ironica,
cinica e forse
dolce a sconvolgerla così tanto.
Ricordava
la prima volta che aveva visto nei corridoi quegli occhi neri, troppo
forse,
quel sorriso che sapeva finto. Ricordava cosa provò. Ma lei
era troppo debole,
persino per innamorarsi.
«Non
quanto la certezza che qualcuno sta peggio di me», rispose
sapendo con assoluta
precisione che tasti pigiare, e soprattutto come.
«Sì,
mi fa
male», sospirò quella voce che tornò
del suo tono dolce. Ed Elisewin vide quel
bambino piccolo piangere il fratello maggiore, morto per un incidente.
Anche le
persone attorno a lei avrebbero avuto quell’espressione
quando sarebbe morta?
«Ma
forse
ho trovato la medicina giusta…», disse sorridendo
appena.
Si sentiva
sciocco, come potevano quegli occhi rapirgli l’anima e farlo
sentire… vivo. Lui
era morto insieme a Matt, lui non aveva diritto di essere felice, lui
non aveva
il diritto di amare. Amare ci fa sentire vivi.
Si
avvicinò lentamente al viso di Elisewin, socchiudendo gli
occhi e poggiando le
labbra umide su quelle rosee e perfette di lei. E quelle labbra
tremarono sotto
il tocco delicato.
Ora forse
poteva morire serena Elisewin, ora forse poteva essere felice. Si era
innamorata, e qualcuno gli aveva donato amore.
I suoi
occhi iniziarono a piangere senza che lei gli avesse dato loro il
permesso. E
le attraversarono le guance, scavando tra gli zigomi. Adam quando
decise di
interrompere quel contatto tra di loro, la osservò stupito,
perplesso.
«Perché
piangi?», aveva domandando preoccupato, come se temesse che
quel suo gesto
l’avesse ferita.
«Non
lo
so», rispose Elisewin senza che le lacrime le smettessero di
scorrere sul viso.
Adam
passò
una mano sulle guance di lei, asciugandole. E lei riuscì a
bloccarle, per il
momento.
«Ora
posso
morire», ammise Elisewin fissando il mare e voltandosi
lentamente verso la pece
negli occhi di lui, che non capiva quelle parole.
«Morirai?»,
domandò esitante. Perdere qualcuno prima di trovarlo
realmente, era la vita o
un incubo? Lei alzò le spalle e sorrise.
«Nessuno
lo sa, probabilmente prima degli altri», disse sorridente
come se stesse
parlando del tempo. E le braccia di Adam la avvolsero, impedendole di
muoversi,
come se quell’abbraccio bastava a fermare la morte. Entrambi
sapevano che lei
se ne sarebbe andata per prima. Eppure nessuno dei due smise di amarsi.
«Mamma,
hai mai pianto mentre papà di baciava?»,
domandò una mattina Adam alla madre.
Lei si voltò lasciando le stoviglie sul pensile e
osservò suo figlio. Oramai
non era più un bambino da proteggere, era un uomo e sul viso
i suoi lineamenti
avevano assunto un espressione dura, simile a quella del maggiore.
«No
perché
mi chiedi questo?», domandò serena lei. Lui
sospirò fissandosi le mani,
immobili sul tavolo di legno della cucina modesta.
«Perché
Elisewin lo fa», mormorò vergognandosi appena. La
donna sorrise e si sedette di
fronte al figlio.
«Dimmi
Adam… La ami?», domandò senza tremare.
Pensava che non avrebbe mai detto una
cosa del genere. Eppure c’era sempre la prima volta.
Il ragazzo
alzò lo sguardo nero e lo posò sulla figura della
madre e gli occhi gli
tremarono, ma la voce no.
«Sì».
«Papà!
Papà!», la voce melodica e allegra di una bambina
raggiunsero il padre. Ed una
bambina con i capelli scuri e gli occhi colore del mare correva
incontro al
proprio papà con una foto in mano. Adam sorrise vedendo la
propria figlia
felice e come ogni giorno assomigliava di più a sua madre.
La prese
in braccio, tra le sue forti braccia e le baciò piano la
fronte. La bambina
sorrise mostrandogli la foto.
«Mi
parli
di mamma ancora?», domandò dolce. E Adam non
poteva dirle di no, nonostante
ogni ricordo gli facesse male.
«Sì
certo
Sophie», e allora prendeva la foto tra le mani e metteva
giù la bambina che
correva a sedersi sulla poltrona azzurra del salotto. E lui lentamente
la
seguiva, osservando gli occhi azzurri di Elisewin che ancora vivono
nella sua
mente, nonostante nessuno li vedesse più.
«Papà?
Ma
la mamma era bella?», domandava ogni giorno Sophie e lui
sorrideva, mentre i
suoi occhi neri riprendevano a brillare.
«Era
bellissima».