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Autore: Notperfect    05/09/2014    0 recensioni
Harry ha il compio di proteggere Amy, figlia di un prestigioso imprenditore newyorkese, da folli criminali che vogliono rapirla e ucciderla. Cosa succederà quando si troveranno da soli in una casa lontana da New York?
Harry riuscirà a proteggerla.
Amy riuscirà a salvarlo da se stesso.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Harry’s point of view

La osservavo già da giorni.
Usciva di casa alle otto meno un quarto del mattino per poi entrare a scuola alle otto e trenta. Alle undici e un quarto scendeva nel cortile della scuola e restava lì per qualche minuto, giusto il tempo di fumarsi una sigaretta. Alle tredici e trenta usciva da scuola e alle due e un quarto rientrava a casa.
Aveva tanti amici. Da come la guardavano, capivo che le ragazze volevano essere sue amiche e i ragazzi volevano più dell’amicizia.
Era alta, formosa. Aveva lunghi capelli biondi che scendevano in grossi boccoli più dorati sulle spalle. Gli occhi erano azzurri e le labbra erano sottili e lunghe.
Aveva uno stile tutto suo. Si vestiva in modo diverso dagli altri, come se volesse gli occhi puntati su di sé; ma non sembrava sfacciata. Nient’affatto. Al contrario sembrava timida ed impacciata alcune volte. Sorrideva sempre, rideva alle battute degli altri e le piaceva toccarsi i capelli. Prendeva una ciocca e se l’arrotolava tra le dita. Probabilmente le piaceva il rumore dei capelli a contatto con la pelle.
L’avevo osservata per cinque giorni, quello era il sesto, il giorno X.
Quel giorno avrei dovuto portarla con me in un paesino a circa nove ore da New York. Ero stato incaricato di proteggerla per i prossimi mesi poiché la sua vita era in pericolo.

Era intenta ad aspettare l’autobus che l’avrebbe riportata a casa. Sfogliava un grosso libro dalla copertina rossa e bianca. Non riuscii a leggerne il titolo. Fortunatamente quel giorno era sola, non c’era nessuno seduto accanto a lei in quel momento, il che rendeva tutto più semplice. Sarebbe stato complicato darle spiegazioni di quel ‘rapimento’ davanti ad altre persone.
Dovevo fare attenzione. Non era sicuro che qualcuno non ci stesse guardando proprio in quel momento, qualcuno che voleva farle del male. Il mio compito era proteggerla, non dovevo dimenticarlo.
Mi sedetti accanto a lei come se niente fosse, per evitare che qualcuno si accorgesse del mio incarico. Neanche lei si accorse di nulla. Continuava a leggere e nel frattempo muoveva il piede ritmicamente con le gambe accavallate. Era una cosa che mi era sfuggita in quei giorni.
-Ciao Amy-, dissi quasi sussurrando.
Alzò la testa lentamente e si girò verso di me. Aggrottò le sopracciglia mentre tentava di capire se mi conoscesse o meno. Non avevo mai visto i suoi occhi a distanza così ravvicinata. Sembravano il mare accarezzato dal sole.
-Non mi sembra di conoscerti. Come sai il mio nome?-, mi chiese, sospetta.
-Alle domande risponderò dopo. Adesso stammi a sentire. Lavoro per tuo padre e lui vuole che tu sia al sicuro. Tra circa cinque minuti ti alzi e vai proprio all’interno di quel portone. Dopodiché ti raggiungo e ce ne andiamo. Non farmi domande, non posso risponderti ora-.
Seguì il mio sguardo che indicava un grosso portone in acciaio semi aperto. Era di un deposito abbandonato. Lì dentro avevo nascosto la mia auto. Pregai mentalmente che non mi facesse domande per evitare che perdessimo tempo inutilmente. Dovevo aiutarla, ma lei doveva collaborare.
-Non ti credo. Non vado da nessuna parte-.
Sbuffai pesantemente. Sapevo che le cose sarebbero state complicate. Aveva diciassette anni, era sveglia.
-Senti, dei pazzi criminali stanno venendo a prenderti perché tuo padre si rifiuta di vendere loro la sua azienda. Se vuoi farti rapire e ammazzare, lo fai quando non sei sotto la mia protezione. Se fallisco questa missione, sono morto io. Ti è chiaro?-.
Mi guardò prima spaventata, poi confusa. Dopodiché sembrava non essere ancora sicura della mia verità.
-Non sembri aver l’età di qualcuno che può fare questo lavoro. Quanti anni hai? Venti?-.
Rotai gli occhi. Non speravo in questa situazione. Dovevo riuscire a portarla fino alla macchina in cinque minuti, oppure i miei piani sarebbe andati a puttane.
-D’accordo, come vuoi-. Mi alzai e in fretta e furia la caricai sulle mie spalle e corsi fino al cantiere abbandonato.
Scalciava come un animale imbestialito e mi stava facendo male una spalla. Aprii la portiera dell’auto aiutandomi con un piede. Posai la ragazza sul sedile posteriore e chiusi le sicure. Salii al posto del guidatore e accesi il motore.
-Tu sei pazzo!-, urlò. -Ti denuncio e ti faccio arrestare. Lasciami andare! Adesso!-.
Non le diedi molta importanza ma se avesse continuato così per tutto il lungo tragitto, le avrei dato dei sonniferi o cose simili. Non volevo subirmi quella lagna per nove ore.
Uscii con l’auto da quel deposito tramite un cancello secondario. Mi guardai attorno per controllare se qualcuno ci stesse seguendo, dopodiché a tutta velocità raggiunsi l’autostrada.
-Se corri così rischio di vomitare-, commentò inviperita.
La guardai dallo specchietto retrovisore. Guardava fuori dal finestrino le altre macchina correre accanto a noi. Si era calmata e questo era un bene. Rallentai di qualche miglia oraria per evitare che si lamentasse ancora.
Passarono circa trenta minuti e nessuno dei due aveva detto una parola. Amy continuava a guardare fuori mentre io ero concentrato a guidare. Di tanto in tanto si girava verso di me e mi guardava per qualche secondo. Forse mi aveva già visto gironzolare per la sua scuola o fuori casa sua. La vidi mentre estrasse il suo cellulare dalla tasca del suo zaino.
-Dammi il tuo cellulare-, le ordinai gentilmente.
-Cosa? No-.
-E’ per la tua sicurezza. Potrebbero rintracciarti-.
Sbuffò e me lo diede. -Sappi che non credo a tutta questa storia. È ridicolo-.
Non risposi. Con la mano destra spensi il telefonino, tolsi la scheda e la gettai dal finestrino. Sarebbe stata schiacciata dalle ruote di qualche auto.
-Ecco, tieni-. Glielo restituii, lanciandoglielo affianco.
Mi guardò irata senza dire una parola.
-Se...-. Iniziò a parlare come se fosse imbarazzata o confusa. -..se queste persone che vogliono farmi del male vogliono colpire mio padre, lui dov’è? È al sicuro?-.
-Si, non preoccuparti di questo. Non possono toccare tuo padre, né tua madre. Loro vogliono te e non si arrenderanno finchè non ti troveranno. Ma noi saremo più furbi di loro-.
-Non potevamo chiamare la polizia o qualcosa del genere?-.
Risi. Era così ingenua. -In queste situazioni la polizia non ha valore. Avrebbe solamente peggiorato le cose. E poi da quando viene fatta giustizia tra le istituzioni pubbliche?-.
Stava per rispondermi,ma poi probabilmente capì che avrebbe fatto meglio a stare in silenzio.
Dopo qualche minuto si addormentò.

Amy’s point of view

Mi svegliai a causa di un trambusto. Mi stiracchiai e mi strofinai gli occhi con le mani. Avevo dormito al lungo ed ora mi trovavo su un divano. Mi alzai e andai nella direzione del rumore. Varcai la soglia di una porta e mi ritrovai in quello che doveva essere l’atrio della casa in cui mi trovavo. Era tutto in legno, ad accezione delle porte che erano in ferro pesante.
Quel ragazzo che diceva di lavorare per mio padre era intento a scaricare degli scatoloni e delle valige dalla sua auto. Mi avvicinai alla porta di ingresso e lo vidi mentre prendeva un altro scatolone e veniva verso di me con lo sguardo rivolto verso il basso. Era altissimo e aveva lunghi capelli ricci che gli sfioravano la fronte leggermente sudata.
Faceva caldo quel giorno anche se era solamente ottobre. Con un braccio si spostò una ciocca di capelli dalla fronte e contemporaneamente alzò lo sguardo. Per la prima volta in quella giornata i nostri sguardi si incontrarono e giuro che non avevo mai visto degli occhi così verdi.
-Oh, buongiorno Amy-, mi sorrise con aria sarcastica.
Inghiottii nervosamente la saliva e distolsi lo sguardo, evitando il suo saluto.
-Come ci sono finita su quel divano?-.
-Diciamo che hai dormito per sette lunghe ore e quando siamo arrivati non potevo lasciarti morire in auto per mancanza di ossigeno dato che il mio compito è farti rimanere viva-.
Come poteva essere così insensibile? Non avevo ancora digerito tutta quella situazione e non penso l’avrei mai fatto. Per di più quel ragazzo mi dava sui nervi. Continuai a guardarlo finchè gli scatoloni e le valige furono tolte dal cofano della sua auto.
-Cosa c’è qui dentro?-, chiesi.
-Le tue cose e le mie cose. Tutto ciò che ci servirà in questi giorni… o mesi-.
-Mesi? E aspetta: chi ti ha dato le mie cose?-.
-Tua madre-.
Restai in silenzio. Volevo solamente andarmene a casa e sdraiarmi sul mio letto, accendere la tv e chiamare la mia migliore amica. Non volevo essere in quella casa nel bel mezzo nel nulla con un ragazzo di cui non sapevo niente.
-Come ti chiami?-.
Si voltò verso di me. Mi guardò per un po’ e poi si diresse verso la stanza in cui mi ero svegliata. -Harry-.
Lo seguii come un cagnolino mentre gironzolava qua e la. Non capivo cosa stesse facendo. Poi mi accorsi che cercava qualcosa.
-E quanti anni hai?-.
-Venti-.
-Non sei troppo giovane per proteggermi da pazzi criminali?-, domandai di nuovo.
Rise mentre estrasse da un cassetto un taglierino. Era ciò che stava cercando, forse per aprire gli scatoloni. Non rispose alla mia domanda. Si diresse nuovamente all’ingresso e aprì gli scatoloni. Tirò fuori due zaini neri. Erano enormi. Aprì un armadio e li mise all’interno, chiudendolo poi a chiave.
-Perché hai chiuso a chiave l’armadio? Cosa c’è in quegli zaini?-, domandai curiosa.
-Fai troppe domande, Amy-, disse, sottolineando il mio nome.
-Ho il diritto di fare domande data la situazione, non pensi?-.
-Certo, ma alle domande risponderò dopo-.
-Questo l’hai detto anche prima-.
Accennò un piccolo sorriso, poi si andò a sedere sul divano in soggiorno. Lo seguii di nuovo essendo l’unica persona che c’era in quella casa e poi c’era qualcosa in me stessa che mi diceva che di lui dovevo fidarmi. Iniziavo ad avere paura e a credere alla storia dei pazzi criminali. Mi sedetti sulla poltrona di fronte a lui. Lo osservai meglio. Aveva delle belle labbra oltre che a dei begli occhi.
-Puoi dirmi almeno dove ci troviamo esattamente? E cosa faremo qui nei prossimi giorni? Ah, e c’è qualcun altro con noi? Insomma non mi sembra una gran bella situazione-.
Rise di gusto e notai che si erano formate due fossette ai lati della bocca. Distolsi lo sguardo dalle sue labbra e lo guardai dritto negli occhi. Poco dopo mi accorsi che neanche quelli erano confortevoli da guardare. Mi sentivo in imbarazzo davanti a lui ma non volevo darlo a vedere.
Si tolse la felpa, restando in mezze maniche. Il mio sguardo questa volta cadde sui suoi bicipiti e più in giù sulla maglietta aderente che gli fasciava gli addominali. Riuscii a notare che aveva dei tatuaggi sul petto, ma non riuscii a capire cosa fossero. Tossii, alzando nuovamente gli occhi sul suo viso. Era davvero una persona difficile da guardare e per fortuna quella storia dei pazzi criminali l’avevo presa poco sul serio anche se probabilmente c’era da preoccuparsi.
-Siamo a Tynn Town. È un piccolo paesino, non si trova nemmeno su Google maps e questo va a nostro vantaggio-. Spiegò. -Non faremo granché, il mio compito è proteggerti. Cercherò di farlo nel migliore dei modi-. Parlava come un bravo soldato. -No, non c’è nessuno con noi. Siamo soli, io e te-.
Harry’s point of view

Portai la valigia di Amy al primo piano nella stanza in cui avrebbe dormito in questi giorni. Lei era dietro di me, mi seguiva ovunque andassi. Era così spaventata.
-Porto la mia valigia nella mia stanza, tu inizia a sistemare la tua roba-, dissi uscendo dalla sua camera.
Mentre chiudevo la porta sentivo il suo sguardo su di me, come se non voleva che me ne andassi. Mi fece tenerezza, dovevo ammetterlo.
Entrai nella stanza accanto, la mia stanza. Appoggiai la valigia sul letto e l’aprii. Buttai tutti i miei vestiti nell’armadio senza un ordine. Ero poco ordinato. Sin da bambino lo ero. Andai al piano di sotto, notando Amy seduta sul divano. La squadrai per un po’ mentre si contorceva le dita delle mani. Distolsi subito lo sguardo quando lei alzò il suo su di me.
Andai dritto vicino alla porta e inizia a cambiare la serratura della porta e via dicendo. Il padre di Amy, Josh, aveva insistito affinché le serrature di tutte le porte e le finestre fossero state cambiate e rafforzate. Era chiaro che voleva la figlia viva e vegeta più di ogni altra cosa al mondo. E lo capivo.
Passò circa un’ora da quando avevo iniziato a farlo e Amy era stata tutto il tempo su quel divano senza dire una parola. Mi ero spostato da una parte all’altra della casa per avere il controllo di tutte le finestre e porte secondarie e lei era stata immobile, senza seguirmi né altro. Non mi bastò molto a capire che quello non era il posto in cui voleva stare.
Mi diressi nel soggiorno dove Amy era ancora seduta sul divano bianco in pelle.
Mi sedetti accanto a lei e mi schiarii la voce. -Mi dispiace per questa situazione, so come ti senti-, dissi dispiaciuto. E lo ero davvero.
-No, non lo sai-. Aveva una vocina flebile e dolce, eppure carica di rabbia. -Mio padre ha sempre speso il suo tempo al lavoro. Non è stato a casa per più di tre giorni consecutivi in questi ultimi mesi e adesso mi ritrovo in una casa con uno sconosciuto perché lui ha voluto così. Lui non ha il diritto di fare questo. Di mandarmi da un posto all’altro come se niente fosse, senza avvisarmi ne parlarmi-.
Prese un grande respiro. In parte sapevo che voleva sfogarsi, lo notavo da come teneva i pugni chiusi e la mascella indurita. Avrei quasi voluto abbracciarla, ma non potevo. Non in quel momento.
-Mi dispiace-, dissi di nuovo.
Quella conversazione finì li. Non dicemmo più nulla.
Passai il resto della giornata a sistemare delle cose sul retro della casa per evitare che qualcuno entrasse da li. Di tanto in tanto entravo in casa per controllare Amy. Era sempre sulla poltrona accanto al divano che leggeva un libro. Mi sembrava diverso da quello che aveva in mano quella stessa mattinata.

Amy’s point of view

Smisi di leggere all’ora di cena. Non avevo l’orologio e in quella casa non ce n’era nessuno appeso alla parete. Ma lo capii affacciandomi alla finestra e notando il colore del cielo. Da quello si capivano molte cose.
Mi alzai dalla poltrona su cui ero seduta e inizia a girare per la casa. Volevo osservarla meglio e vedere dove avrei passato il mio tempo in quei giorni. Al pian terreno c’era un soggiorno enorme con un televisore al plasma, un divano in pelle, una poltrona e vari mobili e soprammobili moderni; c’era una cucina, un bagno e un ripostiglio. Salii al piano di sopra. C’erano tre stanze da letto. Una era la mia, un’altra di Harry e l’altra era vuota. C’era solo un mucchio di polvere. Nonostante era tutto arredato in modo moderno, i muri e le finestre erano in legno scuro, creando un bell’effetto con il resto della casa.
-Amy!-.
Sentii urlare dal piano di sotto. Era Harry che mi stava chiamando a gran voce e sembrava spaventato.
-Sono qui!-, urlai a mia volta.
Scesi le scale e mi ritrovai davanti Harry. Era arrabbiato e preoccupato al tempo stesso.
-Dannazione, Amy! Mi hai spaventata. Pensavo fossi scappata o altro. Non devi allontanarti-.
-Sono solo andata al piano di sopra-, scrollai le spalle e lo sorpassai.
Andai dritta in cucina. Avevo fame e in quel momento avrei davvero mangiato di tutto. Non toccavo cibo da quella mattina dato che avevo saltato anche il pranzo. Harry mi seguì a passo svelto e pesante. Sembrava ancora arrabbiato ma non gli diedi importanza. Aprii il frigo, ma non c’era niente. Aprii altri mobili con lo stesso risultato.
-Domani faremo la spesa-, intervenne Harry.
Sbuffai pesantemente. Cosa avrei dovuto mangiare? Avrei dovuto morire di fame o cosa? Ne avevo già abbastanza di tutto quel casino.




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