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Autore: Rain_Flames    06/09/2014    3 recensioni
Questa storia partecipa al contest "Giallo a scena multipla" di Faejer.
Una giovane ragazza torna a casa dopo 5 anni di assenza.
Chi ci sarà ad aspettarla?
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Questa storia, partecipa al contest "Giallo a scena multipla" di Faejer.

Pacchetto Bianco
2° Turno


 

– La fanciulla delle nevi

 

All'uscita dalla superstrada impostai il navigatore satellitare per arrivare in quella che sarebbe diventata la mia nuova casa.

Mosca era piena di ricordi per me e non volevo dover affrontare i miei fantasmi ogni volta che mi guardavo in giro. Così, appena decisi di tornare nella mia patria, pensai di trovare un'abitazione lontana da tutto e tutti. Mi sarei accontenta di un piccolo appartamentino in periferia o una casetta molto modesta ai limiti della brughiera ma, quando dissi a mio padre che stavo per tornare, lui si premurò di regalarmi una villetta a due piani a qualche chilometro dalla città vera e propria.

Evidentemente i sensi di colpa non lo avevano lasciato nemmeno dopo cinque anni.

Non avevo chiesto nulla di mia madre, dopo quello che si era permessa di dirmi avevo tagliato completamente i ponti, ma papà lo sentivo almeno una o due volte al mese e sembrava davvero contento che la sua piccolina fosse di nuovo a casa.

Quando finalmente arrivai davanti alla mia nuova residenza, parcheggiai nel vialetto d'entrata e spensi il motore della macchina. Mio padre aveva insistito per portami a cena quella stessa sera e perciò, aprendo il portabagagli dell'auto, calcolai di avere qualche ora a disposizione prima di dovermi preparare.

Le chiavi mi erano state recapitate attraverso posta prioritaria in Italia, e ora avrei finalmente fatto un altro passo in avanti verso la mia nuova vita. Iniziai a far girare la serratura e dopo qualche secondo sentii un “clack” deciso, così potei entrare.

Trasportai un paio di bagagli all'interno e tornai verso la macchina per prendere quelli che restavano, ripetendo questa operazione un paio di volte: dopotutto non ero molto forte e le valigie erano davvero pesanti.

Mentre stavo trascinando sulla neve l'ultima borsa, che era anche quella più grande, scivolai maldestramente su del ghiaccio battendo la testa contro la carrozzeria della vettura.

«Maledizione!» ringhiai a denti stretti.

Mi portai subito la mano sulla fronte e un fluido caldo e rosso iniziò a colarmi davanti all'occhio destro, disegnando sulla distesa bianca un'opera grottesca che assomigliava molto ad un quadro di Pollock.

Mi alzai zoppicando: dovevo aver preso anche una leggera storta alla caviglia, della serie che la sfortuna non è mai troppa. Avevo messo piede in Russia da meno di tre ore ed ero già dolorante e malmessa. Scacciai dalla mia testa la malsana idea che non sarebbe cambiato niente, ed entrai in casa alla ricerca di qualcosa da usare per tamponare la ferita.

Dovetti aprire praticamente tutte le stanze del piano terra, prima di trovare il bagno. Feci scorrere l'acqua nel lavandino e con un fazzoletto pulito iniziai a tamponare il taglio. Mi guardai allo specchio e constatai che il sopracciglio era leggermente blu e gonfio, in compenso la ferita non era molto profonda.

Dopo qualche minuto il sangue si fermò, così mi pulii il viso e tornai all'entrata, dove i borsoni giacevano a terra, accatastati. Sbuffando mi feci forza, depositandoli ai piedi delle scale decidendo poi di essere troppo stanca per portarli al piano superiore. Mi sarei fatta aiutare quando Lui sarebbe passato a trovarmi.

A dire il vero ero piuttosto sorpresa di non averlo già trovato lì ad aspettarmi ma, evidentemente, era stato trattenuto per lavoro.

Presi la borsa con dentro il portafoglio, le chiavi di casa e quelle della macchina e, mettendomi di nuovo il cappotto, andai all'auto impostando sul navigatore satellitare la ricerca del supermercato più vicino. Dovevo assolutamente comprare il necessario per medicarmi la ferita e le prime necessità tra cui qualcosa da mangiare, qualche infuso rilassante e un bagnoschiuma per quello che consideravo un agognato bagno caldo.

Fortunatamente trovai subito la struttura e in meno di mezz'ora ero già rientrata con tre buste piene di viveri e quant'altro. La casa era piuttosto in ordine ma preferivo fare le pulizie a modo mio, prima di iniziare a viverci seriamente, perciò avevo gettato alla rinfusa nel carrello qualunque tipo di detergente e candeggina che avevo trovato nella corsia del market. Tra le tante cose che avevo comperato c'era anche un piccolo bollitore che sterilizzai e misi sul fuoco. Andai nel bagno al piano terra per poter raggiungere subito la cucina nel momento in cui il boiler avesse iniziato a fischiare e, utilizzando il disinfettante verde, mi ripulii la ferita sopra l'occhio applicandole poi sopra un cerotto color carne.

Tornai nell'altra stanza e preparai la tazza, il miele e lo zucchero (adoravo le cose dolci), e non appena l'acqua iniziò a bollire spensi il fuoco e la versai nella mug, misi una bustina alla malva e passiflora ad infondere nel liquido. Una volta pronto aggiunsi i due dolcificanti, iniziando a soffiarvi sopra per intiepidirlo un po'.

Presi dalla valigia un asciugamano, un accappatoio morbido, la biancheria pulita, il bagnoschiuma alla lavanda e i detergenti per i sanitari che avevo appena comperato. Poi, sempre con la tazza in mano, mi diressi al piano superiore dove sapevo esserci un enorme vasca.

Mentre salivo le scale, zoppicando ancora per la caduta di prima, mi guardai intorno per cercare di capire quale fosse la stanza giusta. Aprii la prima porta sulla destra e vi trovai un piccolo ripostiglio. La richiusi subito e tentai la sorte con quella successiva. Afferrai la maniglia e stando attenta a non rovesciare la tisana a terra, provai a spalancarla. Niente da fare, era la mia camera: un ampio letto matrimoniale, un armadio enorme in legno d'acero e una finestra con un'ampia rientranza, allestita come se fosse un piccolo divano. Mi immaginavo già a scrutare la taiga circostante e la sua fauna mentre sorseggiavo una cioccolata calda con panna, accompagnata magari da un buon libro. Bevvi un po' della tisana e sorridendo proseguii verso la porta a sinistra.

Una volta aperta non riuscii a capire subito che cosa avevo davanti agli occhi ma, esattamente un secondo dopo, sentii la tazza infrangersi sul pavimento mentre il liquido mi bagnava i calzini e il resto di quello che fino a poco prima avevo in mano.

Mi coprii istintivamente la bocca e tentai di soffocare un urlo di terrore.

Foma era davanti a me, seduto su una poltroncina di pelle nera sistemata vicino ad una finestra. La stanza illuminata dalla luce alle sue spalle, mostrava macchie scarlatte sulle pareti circostanti e sulla libreria di frassino. Mi sembrò che il tempo si fosse letteralmente fermato, mentre venivo percorsa da brividi. Le gambe non ressero a lungo e poco dopo mi ritrovai ad osservare la scena da una differente angolazione, in qualunque caso, il risultato non cambiava: il bastardo aveva il cranio spappolato da un colpo di pistola e le sue cervella erano sparse sui muri alla sua sinistra.

Non riuscivo a muovermi, ero paralizzata dalla paura e dal terrore. Da quanto tempo si trovava in casa mia?

Lo guardai ancora e vidi che teneva la pistola nella mano destra, che ricadeva a peso morto toccando quasi il pavimento.

Aveva un'arma, avrebbe potuto uccidermi e invece si era sparato. Non riuscivo a capacitarmi della cosa. Mi sentivo confusa, spaventata, incredula...

Cercai di rialzarmi facendo perno sullo stipite della porta e, dopo qualche tentativo, indietreggiai fino ad arrivare con la schiena al muro alle mie spalle. Tastai le tasche dei jeans ed estrassi il telefono cellulare, poi con le dita che tremavano su ogni tasto, riuscii a comporre il numero delle emergenze per chiamare la polizia.

«C'è un uomo morto in casa mia» spiegai balbettando, lasciai l'indirizzo e incespicai fino alla porta d'entrata, allontanandomi inconsciamente il più possibile da quella stanza.

Quando la polizia arrivò mi trovarono chiusa in macchina in stato confusionale e sotto shock. Ero senza giacca e scarpe ad appena cinque gradi di temperatura, avevo rischiato un assideramento termico.

Inutile dire che mi portarono subito al più vicino ospedale, dove mi furono subito prestati i primi soccorsi. Per cominciare i medici cercarono di alzare la mia temperatura corporea -sinceramente li lasciavo fare senza chiedere niente-. Erano ben altre le domande che avevo in testa, prima tra tutte: perché? Che senso aveva il suo gesto? Come poteva conoscere l'indirizzo di casa mia?

Una giovane infermiera, mi tolse il cerotto sopra l'occhio, e controllò lo stato della ferita. Poi bendarono e immobilizzarono la caviglia, dato che era slogata e mi somministrarono dei calmanti per i nervi.

Non so di preciso quanto tempo fosse passato, ma ad un tratto la donna rientrò portandosi appresso due agenti di polizia. Uno era sulla cinquantina, capelli brizzolati, ben piazzato, con spalle e torace ampi. Sembrava orgoglioso di indossare la sua divisa e dalle sgualciture che aveva, doveva essere in polizia da parecchio tempo. La barba gli ricopriva il volto e i baffi sale e pepe gli aggiungevano sicuramente qualche anno in più. L'altro invece, era decisamente più giovane un po' impacciato, probabilmente fresco di Accademia.

«Signora Ivanova,» aveva esordito il più anziano dei due «sono il Capitano Petrov e lui è il sergente Golubev, avremmo la necessità di porle qualche domanda».

Cercai di raddrizzarmi per mettermi a sedere ed anche se con qualche difficoltà, riuscii infine a sistemarmi contro la testiera del letto. Infine feci un segno d'assenso con il capo per permettere loro di iniziare a parlare.

«Conosce la vittima?» fu la prima domanda che mi venne posta ma non mi sembrava quello il termine adatto con cui chiamarlo: io ero una vittima, non lui.

«Foma Morozov. È il mio ex marito» sussurrai disgustata da quell'appellativo.

«C'era qualcun altro in casa quando lo ha trovato?» continuò a chiedere il Capitano.

«No, ero sola.» spiegai «Quando sono tornata dal supermercato mi sono preparata una tisana e stavo per andare a fare un bagno caldo, ho aperto la porta e l'ho trovato».

«A che ora è andata a fare la spesa?» chiese il giovane sergente annotando ogni cosa su un'agendina.

«Non saprei...» dissi pensando «saranno state le quindici e trenta, comunque sono rientrata verso le sedici, sedici e dieci».

«Bene,» borbottò l'uomo continuando a scrivere «quindi possiamo pensare che si sia introdotto in casa sua in quel lasso di tempo».

«A dire il vero potrebbe essere successo prima» riflettei «Quando sono arrivata non ho controllato il piano superiore, era la prima volta che mettevo piede in quella casa, sono arrivata oggi con un volo dall'Italia».

Vidi i due scambiarsi un'occhiata perplessa, poi il Petrov si rivolse nuovamente a me.

«Avevate un appuntamento?» domandò «Dovevate vedervi?»

«Assolutamente no!» risposi sicura «Non capisco come facesse a sapere dove abitavo e nemmeno che sarei rientrata proprio oggi. Il mio avvocato mi ha chiamato un mese fa dicendomi che le pratiche per il divorzio erano pronte, ma non avevamo annunciato volutamente quando sarei tornata perché avevo paura...»

«Paura?» mi interruppe Golubev «Paura di cosa?»

«Che potesse farmi del male...» pigolai «ancora».

«Può spiegarci come stavano le cose tra di voi?» chiese di nuovo «Vorremmo evitare di farle un interrogatorio».

Annuii grata per la sua delicatezza e iniziai a raccontare «Cinque anni fa dopo ripetute violenze mi decisi a denunciarlo. Quello stesso giorno cercò di uccidermi ma fortunatamente -almeno credo- non riuscì nella sua impresa e io fui ricoverata per un po'. Quando i medici dissero che fisicamente stavo bene, presi lo stretto necessario e fuggii via dalla Russia. Chiesi la separazione e appena fu possibile il divorzio, dopo cinque anni passati in Italia mi hanno proposto un posto nella compagnia lirica che si esibirà al Teatro Bolshoi questa primavera, così ho deciso di tornare ma a parte mio padre e il mio avvocato nessuno lo sapeva. Un giorno della prossima settimana saremmo dovuti andare in tribunale a firmare le ultime scartoffie».

«Quindi tecnicamente non è ancora il suo ex marito» disse il Capitano serio.

Lo guardai con un misto di stupore e ira «Sta forse insinuando qualcosa?»

«Certo che no,» disse con una flebile nota di sarcasmo «per quanto ne sappiamo fino ad ora, si è trattato di un suicidio,» esclamò guardandomi «anche se ho riscontrato alcune stranezze che stiamo verificando. Certo...» sospirò sornione «una vera fortuna che sia morto prima di firmare, ora riceverà una cospicua somma in eredità».

«Le assicuro che io non ne sapevo niente. I suoi soldi mi fanno schifo! Trovarlo è stato uno shock per me!» dissi infervorata.

«Si calmi» intervenne l'infermiera facendomi appoggiare di nuovo contro i cuscini alle mie spalle. «Non le fa bene agitarsi, e voi uscite per favore» intimò ai due agenti.

«Con permesso» annuì il sergente mentre usciva velocemente.

L'altro rimase a guardarmi per un attimo estremamente serio «Fino a quando non stabiliremo come si siano svolti i fatti non le è permesso lasciare la città. Domani nel primo pomeriggio l'aspetto in commissariato per la deposizione».

Ringhiai un assenso e lo guardai richiudersi la porta alle spalle.

«Stia tranquilla, tra un po' la lasciamo uscire» sorrise la donna che era sempre rimasta al mio fianco per cercare di distrarmi.

«Davvero?» chiesi stupita «Pensavo voleste trattenermi per altri accertamenti»

«No, non si preoccupi» rispose gentilmente «Aspettiamo le ultime analisi e poi può tornare a casa»

«Sinceramente non ci tengo...» pensai «sarà meglio cercare un albergo per la notte»

Dopo una decina di minuti la porta si aprì nuovamente e vidi comparire mio padre, visibilmente preoccupato.

«Kira» esclamò venendomi incontro e soffocandomi in un abbraccio «Bambina mia».

Mi commosse davvero tanto sentirglielo dire.

Cercai inutilmente di trattenere le lacrime ma alla fine mi lasciai andare tradendo la mia fredda e rigida natura russa, facendomi avvolgere dal tepore di quello che restava della mia famiglia.

«Che cos'è successo?» mi chiese sfiorando appena la ferita sulla mia fronte.

«Questo non è niente» lo rassicurai «Sono inciampata sul vialetto e ho sbattuto contro l'auto per colpa del ghiaccio».

Mi guardò dubbioso, probabilmente non mi credeva «Mi hanno detto che Foma...»

Dei brividi freddi mi scesero lungo la schiena solo sentendo nominare il suo nome.

«Non ho idea di che cosa sia successo. Ho aperto la porta dello studio e l'ho trovato morto» gli spiegai «Sono così...»

«Così?» domandò mio padre sedendosi a bordo del mio letto.

«Così incazzata!» ammisi.

L'uomo mi guardò storto, non riuscendo a capire il mio stato d'animo.

«Insomma papà... torno dopo cinque anni convinta di essermi lasciata il passato alle spalle, lo faccio anche per firmare quel maledetto divorzio, per cancellare quel bastardo dalla mia vita e che succede? Si ammazza in casa mia. Non sono arrabbiata, sono furiosa!» dissi in modo concitato, poi sospirai e aggiunsi in un sussurro «Io volevo ricominciare ma ora... con che coraggio potrò rimettere piede in quell'abitazione?».

«Puoi tornare da noi. Tua madre...» provò a dire ma lo fermai immediatamente.

«No papà, te lo puoi scordare, non tornerò a casa vostra fino a quando mamma avrà vita» dissi duramente.

«Non dire così» esclamò con un velato rimprovero nella voce «Sa di aver sbagliato, se le dessi una possibilità sono sicuro che ti chiederebbe perdono».

Scrollai la testa amareggiata al solo pensiero «No, non ce la faccio».

La stanza si riempì di un silenzio pesante, c'erano troppe cose da dire o forse nessuna per cui valesse davvero la pena aprire bocca.

Dopo qualche minuto entrò l'infermiera con i risultati delle analisi e un enorme sorriso stampato in volto.

«Mia cara sei libera di andare» affermò staccandomi la flebo ormai finita di un qualche ricostituente.

La ringraziai e poco dopo uscii dall'ospedale con mio padre.

«Andiamo a cena?» mi chiese sorridendo e passando un braccio sopra la mia spalla per tenermi stretta a sé.

«Scusami ma è stata una giornata davvero pesante, cerco un posto dove stare e rimandiamo a un altro giorno, va bene?».

Mio padre annuì capendo perfettamente la situazione e mi accompagnò in un albergo in centro per permettermi di riposare.

Salii fino al terzo piano con l'ascensore e passai la tessera magnetica per aprire la porta trecentoventitré, come indicatomi dalla receptionist.

Decisi di farmi una doccia calda e approfittare del frigobar per bere un cicchetto di vodka -ne avevo proprio bisogno-. Mi buttai sul letto sperando che Morfeo mi accogliesse velocemente tra le sue braccia, ma rimasi impalata per quasi un'ora a guardare il soffitto. Capii che il mio stomaco protestava nonostante non avessi voglia di mangiare niente, così decisi di uscire a fare due passi, dopotutto la caviglia era migliorata molto dopo la fasciatura che mi aveva fatto il medico.

Continuavo a pensare e ripensare alle parole dell'agente di polizia. Come poteva anche solo pensare che c'entrassi qualcosa con l'omicidio di quell'essere?

Avevano parlato di suicidio ma io ancora non riuscivo a capacitarmene.

Fu in quel momento che realizzai nella mia testa il fatto che... era morto. Il mostro non c'era più. Era svanito, annientato, dissolto, finito. Non avrebbe più potuto farmi del male. Tirai un sospiro di sollievo rassicurata da quel pensiero e non mi sentii affatto in colpa per averlo fatto.

Gli interrogativi rimanevano comunque tanti, forse troppi.

Poi un'idea mi balenò nella mente. E se quel bastardo avesse progettato tutto per incastrarmi?

Scrollai la testa cercando di scacciare quella bruttissima sensazione, ed entrai in un pub per scaldarmi e mangiare finalmente qualcosa.

Ordinai un hamburger e qualche patatina di contorno, solitamente tenevo molto alla mia linea ma oggi le eccezioni erano all'ordine del giorno. Sorseggiai piano la mia coca, mentre mi guardavo distrattamente in giro. Mosca e Milano avevano un'atmosfera completamente diversa, e dovevo ammetterlo, la mia patria mi era mancata. Anche le persone erano decisamente differenti.

Guardai il telefono dopo ore e vi trovai parecchi messaggi. Lui non si era dimenticato di me anzi, era piuttosto preoccupato e questo mi strappò un sorriso. Gli scrissi dov'ero sperando che mi raggiungesse presto e finii di cenare in silenzio.

Stavo per ordinare un caffè, quando la televisione attirò tutta la mia attenzione.

«Morto nel pomeriggio Foma Morozov, figlio e unico erede dell'imprenditore delle industrie Severstal. Le prime indagini parlano di suicidio, ma fonti non ufficiali all'interno della polizia hanno ipotizzato si tratti in realtà di una messa in scena. Il Capitano della polizia Petrov ha assicurato che faranno tutti gli accertamenti del caso, i prossimi aggiornamenti al telegiornale di mezzanotte».

Rimasi esterrefatta di fronte alle parole della giornalista e capii che se non volevo finire nei guai, dovevo trovare da sola le risposte alle mie domande e soprattutto farlo prima che venissero a cercarmi.

Ripensai a quello che avevo fatto da quando avevo messo piede in aeroporto, e se il bastardo fosse morto molto prima delle quattro, avrei avuto qualche problema a giustificare il mio alibi. Infondo avevo passato più di un'ora da sola sul ciglio di una strada e nessuno mi avrebbe mai fatto da testimone. Inoltre ero stata in casa -per poco certo- ma c'ero stata, e l'avevo lasciata per andare a comprare detergenti e candeggine. Per non parlare dei lividi, del taglio e della storta alla caviglia, sembrava che avessi scritto “colluttazione” a caratteri cubitali in fronte. Analizzando a mente fredda questi particolari, sembravo sospetta persino a me stessa.

«Se esiste un Dio si starà divertendo un sacco in questo momento» borbottai amareggiata nel bicchiere che stavo sorseggiando.

Mi diedi mentalmente della stupida un centinaio di volte e dall'ansia crescente che mi attanagliava lo stomaco avevo capito di essere davvero nei casini.

Non c'era tempo da perdere, dovevo capire perché si era suicidato, e se non lo aveva fatto, chi poteva aver desiderato la sua morte. Solo trovando il vero colpevole sarei riuscita a scagionarmi.

Sospirai profondamente mormorando tra me e me «Dovrò davvero impegnarmi per convincere il Capitano Petrov della mia innocenza, credo che abbia già deciso chi sia stato a premere il grilletto».

  
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