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Autore: Lo Magno Scrittore    06/09/2014    0 recensioni
Si aggira per le vie della città, limitandosi a fissare chi gli rivolge attenzioni, circondandosi di persone non comuni. Quando è a casa, i suoi amici lo trovano a fissare la televisione e prendere appunti. È un uomo...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uomo era una persona qualunque, un piccolo ometto a cui piaceva leggere e guardare film. Non lo faceva con un qualche scopo, né aveva un genere preferito: uomo leggeva e guardava tutto ciò che gli capitava sotto mano. Lo potevi incontrare due volte al mese, tra gli scaffali della biblioteca comunale, a tirar giù libri apparentemente casuali. Se ne portava a casa almeno 5 per volta, tenendoli stretti tra le sue dite grassocce. Non poteva sfuggire all’attenzione generale: camminava ciondolante, con le braccia flesse staccate dal corpo di qualche centimetro, le mani all’altezza del busto a stringere i libri come in una morsa. Prima di uscire dalla biblioteca, ogni volta passava almeno 45 minuti a fissare i due finestroni che si trovavano nelle pareti del corridoio verso l’uscita, libri sempre sollevati all’altezza del busto. Fuori dalla finestra c’era una strada, al di la della strada c’era una pizzeria e un negozio per cani. Non di animali, solo per cani.
I frequentatori abituali della biblioteca provavano ad avvicinarlo ma l’uomo rispondeva sostenendo il loro sguardo e non aprendo bocca, tornando dopo poco a fissare il vuoto o a riprendere la sua attività. Alla maggior parte delle persone l’uomo lasciava un’inquietudine interiore che non sapevano spiegarsi. Alcuni si dichiaravano addirittura infastiditi dalla sola presenza.
Uomo aveva sorprendentemente degli amici. Nessuno sa di quanta vecchia data fossero, ne come li avesse conosciuti, sta di fatto che erano in due, e un paio di volte a settimana lo andavano a trovare, di pomeriggio o di sera. Ogni volta lo trovavano accovacciato nella sua poltrona del salotto, in posizione semifetale, mentre guardava film e scriveva appunti su di un taccuino. Non aveva un genere preferito, guardava qualsiasi cosa mandassero in tv o fosse appena uscito al videonoleggio. Dicono che in realtà si facesse prestare film dal vicino di casa, amante e collezionista di videocassette.
Gli amici non mancavano di chiedergli “Cosa ne pensi di questo film? Ti sta piacendo?” e lui, distaccato, rispondeva: “Bello. Sì.”.
Così negli ultimi periodi glielo chiedevano meno spesso.
Nessuno gli aveva mai chiesto cosa scrivesse nel taccuino.

Uomo era bello, al di la di quello che si potrebbe pensare: alto, con occhi infossati e azzurri, bocca carnosa, naso prominente che rendeva il suo volto non banale, capelli lunghi e spesso legati, anche se con principio di calvizie che si diramava dalla fronte. Spalle larghe, corpo atletico. Nessuno l’aveva mai visto in palestra o a fare jogging nel parco, non si spiegava la sua forma fisica. Ne lui si preoccupava di valorizzarla: ogni giorno viaggiava tra le vie della città con pantaloni larghi, maglioncino aranciato con scacchi bianchi e gillet verde sbiadito. Nessuno riusciva a credere che avesse una ragazza: lei non era bella, era bassa, con capelli corti e mal tagliati, tinti di un viola scuro che solo i ragazzetti punk della sporca periferia ormai si facevano. I vecchi del quartiere dicevano che la bellezza di una donna sta nel suo sorriso: a lei mancavano due denti a sinistra e ne aveva uno nero nell’arcata superiore di destra. Non emanava salute, ne grazia: vestiva sempre come una battona dei bassi fondi, con canottierine che lasciavano scoperto il seno fino a poco sopra i  capezzoli, e pantaloni corti con uno strappo di due centimetri all’altezza della natica sinistra.
Gli amici dell’uomo non capivano perché stessero insieme, lei aveva fama di non essere affatto brava a letto, lui era povero e senza lavoro. Li vedevano andare in giro una volta a settimana, mentre passeggiavano lungo il fiume, con lui che teneva le mani dietro la schiena e fissava il sentiero davanti a se, e lei che mangiava un gelato o delle patatine, mentre parlava senza interruzione e gli saltava intorno.
Era primavera.

Arrivò l’estate.
L’uomo non si vide più in biblioteca ne in giro con la ragazza: restò chiuso in casa e solo gli amici ogni tanto andavano a trovarlo. Stava dimagrendo molto lentamente e sotto i suoi occhi stavano comparendo profonde occhiaie.
Presto precluse le visite pure agli amici.

Era rimasto solo in casa, non guardava più i film alla televisione. Restava sulla poltrona e sperava che il mondo lo dimenticasse. Fissava il vuoto. Il vuoto.

Poi arrivò l’istinto.
L’uomo non mangiava da due giorni. Non ne aveva sentito il bisogno, non ci pensava neanche, ma quel giorno, all’improvviso, arrivò un dolore pungente al centro della pancia. L’uomo decise di ignorarlo, e vi riuscì per qualche ora. Poi, altrettanto improvvisamente, arrivò una visione: era un piatto pieno di piccole strisce gialle fumanti, pregne di una salsa rossa, succosa. L’uomo cercò di ignorarlo.
Qualche minuto dopo tre piatti pieni di salsicciotti grondanti olio e spalmati in viscida maionese stavano volando davanti ai suoi occhi. L’uomo cercò di ignorare anche questi.
Quando una carcassa di bovino cadde ai suoi piedi, spaccando il parquet e spargendo sangue nel salotto, l’uomo scattò in piedi e corse verso il frigo: un cespuglio di insalata mezza nera, una scatola di ricotta scaduta e una lattina di birra. Prese il cibo e lo gettò nel cestino, poi aprì la birra e se la scolò.

Il giorno dopo scrisse una lettera ad un amico, chiedendo di portargli un cocomero.
Per tutto il giorno piatti danzanti allietarono la lenta attesa, mentre l’uomo silenzioso li fissava e si mangiava le unghie.
A un’ora indefinità suonò finalmente il campanello. L’uomo si sentì sollevato: voleva scomparire, ma l’istinto di sopravvivenza era forte, si divulgava per tutto il suo corpo come la forza più invadente che avesse mai sentito, togliendogli la vista. Appoggiò le mani sui braccioli della poltrona e provò a fare forza per alzarsi: nessun risultato. Provò allora a contrarre gli addominali e tendere i muscoli delle gambe. Nulla. Era troppo debole e la testa gli faceva male. Il campanello suonò di nuovo e l’uomo decise di lasciarsi andare sul pavimento, per poi cominciare a strisciare. La polvere accumulata di molti giorni veniva raccolta dai suoi vestiti e dalla sua bocca che, aperta, faceva resistenza all’avanzamento, con le labbra attaccate al pavimento e grondanti saliva. Il campanello suonò una terza volta, molto più a lungo delle prime due. L’uomo era a metà strada e pregava che chiunque fosse avesse la pazienza di restare fuori ancora qualche minuto. Avanzava, si trascinava. Arrivò al citofono disperato, ma concentrando in un’ultimo sforzo le sue energie riuscì ad inginocchiarsi e tendere il braccio fino a far cadere la cornetta del citofono. La stringeva con avidità e la portava davanti alla sua bocca come se volesse mangiarla. Il dolore che ebbe alla schiena nel ricadere venne ignorato, sorpassato da un più impellente bisogno di gridare “c ch..chi è? Chi è?”
Nessuna risposta.
“Amico, ti prego..”
singhiozzi
“torna..TORNAAAAAAAAA”
Il singhiozzo che contorceva la faccia dell’uomo, e lo faceva sbavare, piangere, e gli faceva uscire dal naso delle palle di muco vischioso, fece presto largo ad un lamento sottile e prolungato, che pungeva i suoi stessi organi. Abbandonò la presa della cornetta, che restò ciondolante lungo la parete.
Il lamento andò avanti per un paio di ore, poi smise, perché l’uomo non aveva più forze e non sopportava il mal di testa avanzante.
Si mise con la schiena compressa sul pavimento a fissare il soffitto. Aveva preso una decisione che non era in grado di affrontare.
Stette in quella posizione per un tempo indefinito, finché non ebbe una reazione.
L’inerzia era sua amica: dopo il primo sforzo per rotolare, entrò in moto e riuscì ad arrivare alla cucina. Aprì uno sportello e a tastoni trovò un grande coltello non seghettato. Tornò a fissare il soffitto. Alzò il debole braccio a 20 centimetri dal busto, con la punta del coltello rivolta in basso, gli occhi strettamente serrati e i denti che si spingevano contrapposti tra di loro. Stette in quella posizione finché le forze glielo permisero, finché il pugno con il manico non cadde sul torace. Riprese fiato e sollevò di nuovo il manico fino a far appoggiare la punta sopra lo stomaco. La mano gli tremava. Cominciò a fare pressione verso il basso, con la punta che formava una conca intorno a se. Cominciò a piangere, aveva paura ma non aveva altra scelta. Alzò l’altra mano e la appoggiò sopra la prima, per aiutarla a fare pressione. Era arrivato il momento, doveva spingere. La punta scese fino alla tensione massima che la pelle poteva sopportare, le mani tremavano per lo sforzo e la paura.
Ma appena l’uomo sentì la pelle lacerarsi, le mani furono svelte a lasciare la presa con orrore. Di nuovo quella forza accecante, incontrollabile.
L’uomo era una persona finita, incapace di darsi da solo quella fine.
Pianse allora, pianse molto, finché il sonno di molti giorni arretrato non prese il sopravvento sul mal di testa. L’uomo cominciò a sognare, un sogno molto lungo, disturbato, apparentemente infinito.

   
 
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