Se la gente ti
considera un po’ tra le nuvole…
Non è
sempre un problema!
(“FIRST-AID
KIT Challenge!” - 2# Garza Sterile)
La campanella
è appena suonata e in meno di tre
secondi il suo banco è circondato.
Ma che vizi del
cavolo che hanno le
ragazze, sempre lì a confabulare!
Ecco
perfetto, ora se ne vanno tutte a pranzare fuori!
E io che faccio? Non posso di certo seguirle, quindi
non mi resta che rinunciare e continuare ad aspettare.
Quasi, quasi vado da Ishizaki a farmi due risate, così
per ammazzare il tempo.
Raggiungo così il suo banco mentre è intento a
cercare
il pranzo nella cartella nera.
Appena trovato il bentō, lo apre subito con la
bava alla bocca e al primo boccone di cibo, le sue guance sembrano
già quelle di un
rospo, per quanto sono gonfie.
Mi siedo così accanto a lui, continuando a fissarlo mentre
biascica sonoramente.
“Allora,
Capitano! Oggi non abbiamo gli
allenamenti, quindi che facciamo? Ti va un giro in centro?
Perché non mangi?” e
detto questo, mi rifila una manata poderosa sulla spalla infortunata.
Chiudo istintivamente gli occhi, strizzandoli,
saltando letteralmente sulla sedia.
Ryo si colpisce la fronte con la mano prima di
avvicinarsi con aria preoccupata mentre enfatizzo una smorfia di
dolore, appoggiandomi
al banco.
“Scusa ma porc...! Non mi sono ricordato della
spalla!”
“Non ti preoccupare…” minimizzo,
scuotendo una mano
davanti al suo volto.
“Cosa stavi dicendo su un giro in centro? Ora che ci
penso, mi servono degli scarpini nuovi… Potremmo fare un
salto al negozio di
articoli sportivi, che ne pensi?” propongo, picchiettando
l’indice sul mento.
“E no, Tsubasa! Dedichiamoci invece a qualche altro
divertimento,
come dire… più eccitante, ecco!”
Ishizaki si
sfrega le mani con lo sguardo da lupo
famelico, pronto ad assaltare un ovile.
“Che
intendi per eccitante?” chiedo, facendo il finto
tonto.
“Ragazze!”
e con il gomito spinge contro il mio
braccio, facendo però più attenzione questa
volta.
“Ma
giusto! A te non interessano! Tu sei già
impegnato!”
Arrossisco,
un classico, per un paio di buoni motivi.
Il principale è sicuramente noto a tutti ed è la mia timidezza, specie in
questo genere cose
perché certe conversazioni non fanno proprio per me.
Il secondo…
Beh il secondo dipende dal fatto che Ryo ha detto la
verità.
Non nel senso dell’impegnato ufficialmente ma diciamo
che non sono in cerca, perché ho già trovato.
“Ma
smettila! Di che parli, poi?” esclamo sbuffando
vistosamente, concentrandomi di nuovo sul neon appeso al soffitto.
Ishizaki però non è di certo il tipo che si
scoraggia facilmente,
così lo sento ululare il
nome della
prima manager della squadra così forte, che credo possa
averlo sentito anche
Wakabayashi in Germania.
Gli scocco uno sguardo assassino dopo aver notato con
la coda dell’occhio, che l’intera classe si
è voltata verso di noi, iniziando subito
a sorridere maliziosamente, ammiccando.
Ho
capito… non posso fare altro che defilarmi.
Senza
aprire bocca mi alzo così dalla sedia, che
striscia rumorosamente sul pavimento e mi muovo verso la porta
dell’aula.
Direzione? Il più lontano possibile da qui.
Un paio di compagne di classe nel frattempo mi
salutano con un sorrisetto divertito, facendomi arrossire ancora di
più, mentre
Ishizaki mi urla dietro che non devo prendermela ma smetterla di essere
sempre
così timido.
“Che
rottura…” borbotto, grattandomi la nuca appena
sono
in corridoio.
Uno sguardo veloce all’orologio però, mi
suggerisce che
devo sbrigarmi se voglio…
“Ma dove
diavolo sarà?” mormoro tra me e me dopo aver
ripetuto per la terza volta il giro del cortile, cercando di non dare
troppo
nell’occhio.
Un po’ in ansia, butto di nuovo uno sguardo al polso
constatando però che il suono della campanella è
ancora lontano, ho ancora
tempo.
Mi dirigo così verso il campo da calcio, perché
mi
viene in mente che potrebbe essere proprio lì, forse per
sistemare qualcosa
rimasto in sospeso.
E questo farebbe proprio al caso mio, perché sono sicuro
che non verrà mai in mente a nessun altro di venire al club
in un giorno di pausa.
Quando raggiungo gli spogliatoi mi guardo comunque un
attimo intorno con circospezione, anche se non ci sarebbe nulla di
strano nel vedere
il capitano della squadra di calcio, che fa un salto al campo
d’allenamento.
Un capitano leggermente fissato
come
me, poi!
La porta davanti a me è effettivamente socchiusa,
noto.
Un sorriso distende compiaciuto le mie labbra allora,
perché le mie supposizioni sembrano esatte e la mia buona
stella pare decisa a
farmi l’ennesimo regalo.
Poggio così la mano sulla maniglia, non prima
però di
aver abbandonato mollemente il braccio corrispondente alla
spalla infortunata lungo
il fianco, arricciando poi il naso in una smorfia giusto un
po’ sofferente.
Ma quando faccio il mio ingresso nello spogliatoio…
Trattengo a
stento uno sbuffo osservando il dottore
che si occupa dell’infermeria della scuola, mentre armeggia
nell’armadietto del
pronto soccorso in dotazione al club.
“Ehilà,
Ozora! Che ci fai da queste parti? Oggi non è giorno
di riposo?” esclama, togliendo dei rotoli di garza sterile
da un cartone
marrone, per riporli poi ordinatamente in fila tra le altre medicine.
“Ehm…”
temporeggio in modo da trovare una scusa plausibile
che possa giustificare la mia presenza al campo.
Quando poso lo sguardo sul mio armadietto, ho un’improvvisa
illuminazione.
“Ho
semplicemente dimenticato una cosa!” rispondo
sorridendo mentre mi avvicino all’anta grigia.
Una volta aperta, nascondo la faccia all’interno del
mobile alla ricerca di quel qualcosa dimenticato, finché non
scovo un banalissimo
foglio di carta su cui è tracciato un vecchio schema di
gioco.
“Mi serviva questo!” esclamo, sventolando il pezzo
di
carta stropicciato dopo essere riemerso dall’armadietto.
“La
spalla come va?” mi chiede allora il dottore, tenendo
stretto tra le dita l’ultimo rotolo di garza.
“Eh
benino. Cerco comunque di non sforzarla…”
borbotto,
sentendo le guance scaldarsi per l’imbarazzo.
“Hai
bisogno di una fasciatura?” chiede ancora,
facendo rimbalzare sul palmo della mano il rotolo bianco.
“No,
no!” rispondo lesto.
“Ci ha pensato mia madre questa mattina! È
talmente
stretta che reggerà fino a stasera!” Muovo
così lentamente la spalla, facendole
compiere un movimento circolare.
Ridacchiando, sempre più imbarazzato.
Il dottore
annuisce placido, prima di voltarsi per
finire il suo lavoro.
Prima che possa venirgli in mente di chiedermi altro,
richiudo l’armadietto e lo saluto, correndo poi di corsa
fuori dagli
spogliatoi.
Il terrazzo sul
tetto della scuola.
Scale su scale per arrivarci, come se portassero in
paradiso.
O almeno, è quello che io spero.
“Tentiamo anche qui…”
Un sospiro mi sgonfia il petto prima di aprire la
porta a vetri che mi separa dall’esterno.
Il sole mi acceca mentre sono investito da una folata
di vento.
Non sono solo comunque, molti studenti infatti si sono
dati appuntamento in terrazza per approfittare del caldo primaverile.
Poso così una mano sopra gli occhi per mettere meglio
a fuoco ma mi rendo subito conto che solo i kōhai sono saliti
quassù.
Di ragazze dell’ultimo anno non c’è
nemmeno l’ombra.
Arcuo un
sopracciglio in un moto di stizza ma quando
faccio per girare sui tacchi, per non perdere altro tempo prezioso,
qualcuno
pronuncia il mio nome in maniera piuttosto stridula.
In un batti baleno, Kumi Sugimoto si materializza al
mio fianco, stingendosi poi al mio braccio sano.
“Che
ci fai qua, Tsubasa senpai?” esclama sorridendo
felice, senza staccarsi da me.
Io allora arrossisco ma non solo per questi suoi
slanci fin troppo affettuosi…
Devo di nuovo partorire una scusa passabile in pochi
secondi e i sotterfugi non fanno proprio per me.
“Cercavo
Ishizaki!” sparo così la prima cosa che mi
passa per la testa, grattando una tempia con l’indice,
sperando che le basti.
La ragazzina di solito chiacchiera che è una
meraviglia.
Kumi Sugimoto sembra incupirsi, come se fosse delusa
ma in un attimo torna a essere vivace come sempre e quasi
inevitabilmente, mi chiede
anche lei notizie sulle condizioni della mia spalla.
“Eh benino. Cerco comunque di non
sforzarla…”
Senza starci tanto a pensare le rifilo la stessa
risposta data al dottore.
Lei allora si fa pensierosa, piegando il labbro
inferiore in un broncio preoccupato.
“Ma almeno l’hai fasciata, senpai?”
chiede, accarezzando
la manica nera della divisa scolastica in corrispondenza della spalla
in
questione.
Rimango in silenzio per l’imbarazzo.
“Potremmo
fare un salto al campo…” e alza lo sguardo
su di me ora, sorridendo maliziosa.
“Se vuoi, posso farti io una bella fasciatura stretta,
stretta.”
Sì, come
le tue mani intorno al mio
braccio! .
“Eh ci sono già stato!” mi affretto a
risponderle,
sempre più in imbarazzo.
“C’era anche il dottore e quindi ha pensato lui
alla
mia spalla!” mento spudoratamente, con l’ansia di
voler tenere questa ragazzina
più lantana possibile dagli spogliatoi, che spero possano
tornarmi utili da qui
a poco.
La manager più piccola non nasconde un’altra
espressione delusa, così ne
approfitto
per svincolarmi dal suo abbraccio e salutandola mi precipito
letteralmente giù
per le scale.
Maledicendo il tempo e ogni imprevisto in cui m’imbatto.
Sdraiato
sull’erba, fisso l’orologio al polso
sentendomi esausto.
La pausa pranzo sta ormai per giungere al termine e
non ha quindi più senso continuare a cercare.
Questa volta mi è andata male, alla faccia della mia
buona stella…
Piego così il braccio sano sugli occhi, cercando
d’ignorare
i gorgoglii provenienti dal mio stomaco, che reclama il pasto saltato.
Nel frattempo mi metto a pensare a quale scusa
rifilare ai miei compagni, che sicuramente mi chiederanno che fine
abbia fatto per tutto questo tempo.
M’inventerò
qualcosa sul calcio a tempo
debito, per non rischiare un inutile terzo grado.
Un sospiro
sconsolato mi abbassa il petto ma quando
faccio per piegare anche l’altro braccio sul viso, una risata
familiare attira
tutta la mia attenzione, destando tutti i miei sensi.
Mi volto leggermente dopo essermi tirato appena su con
la schiena, proprio mentre un paio di testoline more fa capolino
dall’angolo di
uno dei padiglioni scolastici.
Il mio sguardo ovviamente si concentra subito sullo
svolazzare morbido castano, liscio e lungo poco più sotto
delle orecchie.
Nashimoto gesticola, imitando non so chi e allora lei
sorride di nuovo, costringendomi a farlo di rimando.
Sulle sue gote appare un rossore armonioso, che fa tamburellare
dentro al mio petto.
Non mi hanno ancora notato però, così mi metto
seduto
in modo da essere completamente visibile, dando loro la schiena.
Con un po’ di presunzione infatti, so che se lei mi
vedrà non se ne andrà mai senza passare a
salutarmi e dato che oggi il mio
piano è andato a monte, voglio almeno il premio di
consolazione.
Aspetto
quindi in silenzio, poggiando il peso del
corpo sul braccio sano e alzando
gli occhi al cielo.
“Tsubasa!”
Come si fa a
chiamarla presunzione, questa?
Mi volto piano,
ridacchiando soddisfatto ma cercando di sembrare comunque sorpreso.
“Sanae!
Ciao!”
Lei mi
sorride mentre noto, con una soddisfazione
ancora maggiore, che non è più in compagnia ora
che si avvicina e si siede
accanto a me, trattenendo con le mani la gonna della divisa prima di
controllare
l’ora sul polso.
È tardi,
Sanae…
L’intervallo sta per finire…
“Prima i ragazzi ti stavano cercando. Dove ti eri
nascosto?” mi chiede, voltandosi verso di me e sorridendo
ancora, ma in maniera
divertita ora.
Rimango imbambolato a fissarla, anche perché ho finito
la riserva di cavolate da sparare e di certo non posso dirle che ho
passato la
pausa pranzo a cercare proprio lei.
“E
la spalla?” m’incalza quasi subito, dopo aver
portato una mano davanti alla bocca, come se fosse dispiaciuta per non
averlo
chiesto subito.
Colgo
così la palla al balzo, glissando sul dove sia
stato, sentendo che è filmante la persona giusta a
interessarsi della mia salute
“Mi fa male… Un po’ meno ovvio, ma
sempre male...” e
sospirando, poggio la mano sull’articolazione infortunata per
massaggiarla lievemente.
Lo sguardo
di Sanae diventa subito ansioso e all’improvviso
mi viene da pensare, che non sia ancora tutto perduto per i piani di
questa
giornata.
“Certo forse mi darebbe meno fastidio se fossi riuscito
a fasciarla…”
Un altro sospiro, ostentatissimo, muove l’aria nel mio
petto.
“Mia madre però è dovuta uscire presto
stamattina e
non ho fatto in tempo!”
“Perché non sei passato in infermeria?”
mi chiede seria,
visibilmente preoccupata, facendomi sentire in colpa per tutte le
fesserie che
le sto raccontando.
Ma non ho scelta,
scusami…
Sono troppo timido per passare ad altro.
“Eh
ci sono stato…” temporeggio, finché una
lampadina
non s’illumina nella mia testa.
“Ma il dottore non c’era e così
l’ho aspettato anche
se alla fine non si è fatto vivo. Per questo i ragazzi non
riuscivano a
trovarmi poco fa!”
“Ah
così non va, Tsubasa!”
Sanae scuote la testa prima di tornare a guardare l’orologio.
“Ti fa tanto male?” mi chiede poi, tornado a
guardarmi
e poggiando delicatamente la mano sul punto dove stavo massaggiando per
fare
scena.
Arrossisco.
Eccome se arrossisco, ora.
Perché un conto è essere toccati da una ragazza
qualunque,
un altro è quando è lei a
farlo.
Annuisco
muovendo piano la testa e abbassando lo
sguardo, cerco di nasconderle il mio imbarazzo.
“Hai
da fare dopo le lezioni?” domanda, costringendomi
a guardarla ancora negli occhi.
“Ora non c’è più tempo ma
più tardi possiamo passare
al campo e posso fasciarla io se vuoi!”
Che detto da lei, adesso, ha tutto un altro suono.
Quello giusto, finalmente.
Sorrido
all’idea che la mia buona stellina si sia
ricordata ancora una volta di me.
“No,
non ho niente da fare!” esclamo, dando mentalmente
buca a Ryo e al giro in centro.
“Però
mi spiace disturbarti sempre, Sanae! Sei troppo
gentile…” e queste parole sottolineo
definitivamente il mio bluff.
L’ho cercata tutta la pausa pranzo per farmi fare una
fasciatura… ma figuriamoci se la voglio
disturbare!
“Ma
che dici, Tsubasa?!” mi rimprovera con fare
allegro, alzandosi e invitandomi a imitarla, per poter anticipare la
campanella
che suonerà a minuti.
In un attimo le sono accanto e insieme ci avviamo verso
la nostra aula.
Nel tragitto però è inevitabile avvicinarsi
ancora l’uno
all’altra, come se fosse un riflesso naturale tra noi.
“Aspettami allo spogliatoio appena terminata
l’ultima
ora. Io passerò prima in infermeria a prendere le garze,
perché mi sembra proprio
che siano terminate!”
Sanae si passa un dito sulle labbra mentre mi limito
ad annuire, tacendo sull’armadietto del pronto soccorso di
nuovo pieno, proprio
grazie all’intervento del dottore che ho dato per disperso.
Se ci separeremo dopo le lezioni poi, non daremo
troppo nell’occhio di fronte ai compagni di classe.
Oh- oh!
A questo non avevo ancora pensato!
Se ora i ragazzi dovessero vedermi rientrare in aula con
Sanae…
Oh sarei rovinato a vita!
La guardo
così di sottecchi mentre cammina al mio
fianco, serena e rilassata.
E carina da morire, come sempre.
L’idea di dover rinunciare a cose semplici e normali come
questa, per colpa delle loro prese in giro, mi avvilisce.
Anche se so che non è solo colpa loro.
Se fossi un po’ più audace, un po’
più come lo Tsubasa
in mezzo al campo.
“Senti, io faccio un salto in bagno…”
borbotto,
distogliendo lo sguardo.
Che scusa
totalmente idiota!
“Tu
va pure, ci vediamo direttamente in classe!”
Sanae
annuisce, sempre sorridendo ed io mi mangerei le
mani per quanto sono idiota.
L’ennesima
corsa della giornata per arrivare, di
nuovo, agli spogliatoi del club.
A Ishizaki, venuto a reclamare il nostro accordo, ho
detto solo che volevo fare un salto dal vecchio allenatore e lui
ovviamente,
trattandosi di calcio, se l’è bevuta.
Senza però risparmiarmi un paio di occhiatacce, come
se fossi un marziano.
Dopo aver aperto di nuovo il mio armadietto, inizio
così a sbottonare la camicia bianca dell’uniforme
scolastica.
Una volta sganciato anche l’ultimo bottone dalla sua
asola, mi libero dell’indumento sfilandolo con movimenti
sicuri, rimanendo a
dorso nudo.
Mi guardo
un attimo intorno furtivamente prima di
tendere le braccia in avanti, stringendo le dita tra loro, in modo da
sgranchire
i muscoli del collo e delle spalle.
Con ampi movimenti circolari, ruoto poi senza sforzi
né dolore proprio quella spalla che dovrebbe essere
infortunata.
Dovrebbe, perché in realtà è guarita
perfettamente già
da un po’ ma…
Cosa
non si fa per un po' di attenzioni!
Nell’attesa
mi avvicino all’armadietto dei medicinali
e dopo averlo aperto, prendo dei rotoli di garza sterile, poggiandoli
poi sul
tavolo.
Quando mi siedo, distendo il braccio fintamente
invalido accanto alle bande, contando i secondi che mi separano
dall’arrivo
della mia amorevole infermiera.
“Scusa il ritardo!”
Sanae entra trafelata nello spogliatoio, stringendo al
petto altri rotoli di garza.
Quando nota quelli che ho preparato io, mi precipito a
dire che forse qualcuno deve aver rifornito il club senza che lo
sapessimo.
“Poco male!” la sento esclamare, avvicinandosi a me
rapidamente.
Con aria concentrata si mette poi ad aprire uno dei
tanti rotoli di bende.
Io allora la fisso senza ritegno, indugiando di tanto
in tanto sulla piega delle labbra, rosa come petali di ciliegio.
Sanae
srotola la garza una volta liberata dal cellofan
e si abbassa su di me, trattenendo l’estremità del
cotone sul mio petto con il
palmo della mano aperta.
L’altra inizia invece a far girare il rotolo sulla
muscolatura del torace e me non resta che sperare che Sanae non si
accorga dell’accelerazione
del mio battito cardiaco, né del rossore che sento scaldarmi
il viso.
In realtà non sembra davvero farci caso, anche se il
colore che imporpora le sue gote sembra legato comunque a qualcosa che
mi
riguarda.
“Hai
i muscoli tesi…” sussurra senza guardarmi negli
occhi, proprio mentre inclina di più la schiena.
Socchiudendo le palpebre, inspiro lentamente il suo
profumo dolce.
“Sono ancora un po’ contratti,
sì...” rispondo, nonostante
la mia voce risuoni poco salda.
La
frangetta le ricade sugli occhi, celandomeli, ma
posso comunque vedere le sue labbra distendersi in un sorriso.
La sua bocca…
Mi piace così tanto…
Se solo fossi un po’ più…
Più…
Questa
sarebbe un’occasione ideale per farsi avanti.
Ma niente,
non ci riesco.
E mi
accontento di posare il mio sguardo su di lei,
senza fare altro.
È un po’ patetico, lo so… ma non posso
farci nulla.
Le mani di
Sanae scivolano sulla mia pelle ed è
come se mi accarezzasse, seppur involontariamente.
Reclino così il capo per osservarla meglio mentre
stringe attenta gli ultimi giri di garza intorno alla mia spalla.
Mi rendo conto a malincuore che tutto sta
per finire, così approfitto degli ultimi attimi in cui il
suo viso è così
vicino.
Mi soffermo sulle ciglia lunghe e nere curvate
all’insù poi il naso piccolo e grazioso per
tornare infine sulle labbra socchiuse,
che sembrano davvero tanto morbide.
E all’improvviso non mi sento più patetico,
perché
sono semplicemente felice per questa vicinanza che ho voluto a tutti i
costi
provocare.
Non che non abbia modo di stare con lei tutti i giorni
ma così, noi due da soli, vicinissimi…
Non c’è proprio paragone.
Sanae si dirige ora verso l’armadietto del
pronto soccorso, credo per prendere le pinzette con cui fermare la
fasciatura.
Le mie spalle si abbassano quando emetto un piccolo sospiro,
rassegnato all’idea che tutto questo sia durato davvero
troppo poco.
Sanae intanto continua ad armeggiare dietro di me, ignara
del mio stato d’animo sconsolato.
“In
infermeria…” mormora però
all’improvviso, facendomi
deglutire sonoramente.
“Il dottore era un po’
sorpreso…” aggiunge, usando un tono
di voce un po’ più alto.
M’irrigidisco subito, colto in fallo, mentre inizio a
imprecare sottovoce per la figura da imbecille che sto per fare.
“Ha
detto di salutarti!”
“Ah
grazie…” rispondo voltandomi leggermente, un
po’
perplesso.
Il mio sguardo però torna subito a fissare avanti a me
quando Sanae torna sui suoi passi.
Quando mi è di nuovo accanto, mi ostino a guardare
altrove in maniera un po’ pavida.
Sanae applica le morsette sulla fasciatura rimanendo in
silenzio, ma posso sentirla respirare tanto è vicina.
“Fatto!”
Facendomi coraggio, torno a guardarla.
“Domani
alla stessa ora?” mi chiede allegramente, quando
incrocio il suo sguardo.
Sembra felice.
“Uh?”
“Per
la fasciatura, no?” e inclina la testa
sorridendo…
Maliziosamente?!
Arrossisco.
Ancora.
Di più.
Che abbia capito tutto?!
“Vestiti
adesso, io ti aspetto fuori. Giro in centro
prima di tornare a casa?”
“Mi
servono degli scarpini nuovi!” rispondo annuendo, frastornato
dagli eventi.
Tornando a nascondermi dietro a delle scuse, quando
avrei potuto semplicemente dire di sì, senza dover
aggiungere altro.
Soprattutto dopo essere stato scoperto…
“Ok…
Andiamo a cercare insieme questi scarpini,
allora!” e prima di allontanarsi mi sorride ancora ma
dolcemente, sfiorando la
spalla fasciata con la punta delle dita.
Ammutolisco di nuovo, le guance in fiamme.
Sanae esce
dallo spogliatoio e quando la porta si richiude
alle sue spalle, mi alzo di scatto e raggiungo la camicia appesa
nel mio armadietto.
La infilo di nuovo ma con qualche difficoltà in
più, la
fasciatura infatti è incredibilmente fastidiosa per i miei
movimenti.
Ma sopporto anzi, sopporterò anche per un mese.
Continuando
a fare il finto tonto finché non mi
sentirò forte come in campo anche con lei.
Allora non avrò più bisogno di garze e bende per
starle vicino e glielo dirò.
Le
dirò che mi piace.
Sì, prima o poi lo farò…
Mi volto
verso il tavolo prima di uscire e fisso i
rotoli di cotone bianco abbandonati sopra il legno scuro.
Sospiro,
stringendo le dita intorno alla maniglia.
“Per
ora mi siete ancora strettamente necessarie…”
borbotto aprendo la porta, prima di raggiungere di nuovo la mia Sanae.
Cosa non si fa per
una dose, eh? Mi sembro un po’
Tsubasa…
Tutto
ciò è colpa dell’arpia Silen e
diciamocelo,
della mia dipendenza. XD
Doveva
essere una FF sul comico questa, ma il morbo
T/S è duro da tenere a bada e alla fine è uscito
il classico miele… la voglia
poi di sfatare il “capra pensiero” dando delle
attenuanti all’agire del mio
pupillo, ha fatto il resto.
La storia si colloca, ovviamente, prima della partenza
di Tsubasa per il Brasile e si può dire che questo scorcio
sia antecedente a
ciò che accadrà poi in
“Butterfly”.^^
Ringrazio
l’Arpia per lo sprone (***), tutti coloro
che leggeranno queste righe e naturalmente :Mnemosyne: aka Reichan86
per aver
ideato il contest e avermi così permesso di rincontrare,
dopo tanto tempo, i
“miei” Tsubasa & Sanae!
Che mi mancavano…^^
OnlyHope