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Autore: OnlyHope    26/09/2008    14 recensioni
Una spalla dolorante, la fasciatura che deve essere fatta e una ricerca disperata a scuola, durante la pausa pranzo. Perché a volte certi momenti bisogna crearli e per farlo c'è bisogno di un aiutino, anche se non proprio... corretto! Breve storia di una crisalide decisamente ancora sigillata nel suo bozzolo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tsubasa Ozora/Holly
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Songs in the Key of Life' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Se la gente ti considera un po’ tra le nuvole…

Non è sempre un problema!

(“FIRST-AID KIT Challenge!” - 2# Garza Sterile)

 

 

 

La campanella è appena suonata e in meno di tre secondi il suo banco è circondato.
Ma che vizi del cavolo che hanno le ragazze, sempre lì a confabulare!
Ecco perfetto, ora se ne vanno tutte a pranzare fuori!
E io che faccio? Non posso di certo seguirle, quindi non mi resta che rinunciare e continuare ad aspettare.
Quasi, quasi vado da Ishizaki a farmi due risate, così per ammazzare il tempo.
Raggiungo così il suo banco mentre è intento a cercare il pranzo nella cartella nera. 
Appena trovato il bentō, lo apre subito con la bava alla bocca e al primo boccone di cibo, le sue guance sembrano già quelle di un rospo, per quanto sono gonfie.
Mi siedo così accanto a lui, continuando a fissarlo mentre biascica sonoramente.

“Allora, Capitano! Oggi non abbiamo gli allenamenti, quindi che facciamo? Ti va un giro in centro? Perché non mangi?” e detto questo, mi rifila una manata poderosa sulla spalla infortunata.
Chiudo istintivamente gli occhi, strizzandoli, saltando letteralmente sulla sedia.
Ryo si colpisce la fronte con la mano prima di avvicinarsi con aria preoccupata mentre enfatizzo una smorfia di dolore, appoggiandomi al banco.
“Scusa ma porc...! Non mi sono ricordato della spalla!”
“Non ti preoccupare…” minimizzo, scuotendo una mano davanti al suo volto.
“Cosa stavi dicendo su un giro in centro? Ora che ci penso, mi servono degli scarpini nuovi… Potremmo fare un salto al negozio di articoli sportivi, che ne pensi?” propongo, picchiettando l’indice sul mento.
“E no, Tsubasa! Dedichiamoci invece a qualche altro divertimento, come dire… più eccitante, ecco!”

Ishizaki si sfrega le mani con lo sguardo da lupo famelico, pronto ad assaltare un ovile.
“Che intendi per eccitante?” chiedo, facendo il finto tonto.
“Ragazze!” e con il gomito spinge contro il mio braccio, facendo però più attenzione questa volta.
“Ma giusto! A te non interessano! Tu sei già impegnato!”
Arrossisco, un classico, per un paio di buoni motivi.
Il principale è sicuramente noto a tutti ed è la  mia timidezza, specie in questo genere cose perché certe conversazioni non fanno proprio per me.
Il secondo…
Beh il secondo dipende dal fatto che Ryo ha detto la verità.
Non nel senso dell’impegnato ufficialmente ma diciamo che non sono in cerca, perché ho già trovato.

“Ma smettila! Di che parli, poi?” esclamo sbuffando vistosamente, concentrandomi di nuovo sul neon appeso al soffitto.
Ishizaki però non è di certo il tipo che si scoraggia facilmente, così lo sento ululare il nome della prima manager della squadra così forte, che credo possa averlo sentito anche Wakabayashi in Germania.
Gli scocco uno sguardo assassino dopo aver notato con la coda dell’occhio, che l’intera classe si è voltata verso di noi, iniziando subito a sorridere maliziosamente, ammiccando.

Ho capito… non posso fare altro che defilarmi.
Senza aprire bocca mi alzo così dalla sedia, che striscia rumorosamente sul pavimento e mi muovo verso la porta dell’aula.
Direzione? Il più lontano possibile da qui.
Un paio di compagne di classe nel frattempo mi salutano con un sorrisetto divertito, facendomi arrossire ancora di più, mentre Ishizaki mi urla dietro che non devo prendermela ma smetterla di essere sempre così timido.  

“Che rottura…” borbotto, grattandomi la nuca appena sono in corridoio.
Uno sguardo veloce all’orologio però, mi suggerisce che devo sbrigarmi se voglio…

 

 

 

 

 

“Ma dove diavolo sarà?” mormoro tra me e me dopo aver ripetuto per la terza volta il giro del cortile, cercando di non dare troppo nell’occhio.
Un po’ in ansia, butto di nuovo uno sguardo al polso constatando però che il suono della campanella è ancora lontano, ho ancora tempo.
Mi dirigo così verso il campo da calcio, perché mi viene in mente che potrebbe essere proprio lì, forse per sistemare qualcosa rimasto in sospeso.
E questo farebbe proprio al caso mio, perché sono sicuro che non verrà mai in mente a nessun altro di venire al club in un giorno di pausa.
Quando raggiungo gli spogliatoi mi guardo comunque un attimo intorno con circospezione, anche se non ci sarebbe nulla di strano nel vedere il capitano della squadra di calcio, che fa un salto al campo d’allenamento.
Un capitano leggermente fissato come me, poi!
La porta davanti a me è effettivamente socchiusa, noto.
Un sorriso distende compiaciuto le mie labbra allora, perché le mie supposizioni sembrano esatte e la mia buona stella pare decisa a farmi l’ennesimo regalo.
Poggio così la mano sulla maniglia, non prima però di aver abbandonato mollemente il braccio corrispondente alla spalla infortunata lungo il fianco, arricciando poi il naso in una smorfia giusto un po’ sofferente.
Ma quando faccio il mio ingresso nello spogliatoio…  

Trattengo a stento uno sbuffo osservando il dottore che si occupa dell’infermeria della scuola, mentre armeggia nell’armadietto del pronto soccorso in dotazione al club.
“Ehilà, Ozora! Che ci fai da queste parti? Oggi non è giorno di riposo?” esclama, togliendo dei rotoli di garza sterile da un cartone marrone, per riporli poi ordinatamente in fila tra le altre medicine.
“Ehm…” temporeggio in modo da trovare una scusa plausibile che possa giustificare la mia presenza al campo.
Quando poso lo sguardo sul mio armadietto, ho un’improvvisa illuminazione.  

“Ho semplicemente dimenticato una cosa!” rispondo sorridendo mentre mi avvicino all’anta grigia.
Una volta aperta, nascondo la faccia all’interno del mobile alla ricerca di quel qualcosa dimenticato, finché non scovo un banalissimo foglio di carta su cui è tracciato un vecchio schema di gioco.
“Mi serviva questo!” esclamo, sventolando il pezzo di carta stropicciato dopo essere riemerso dall’armadietto.

“La spalla come va?” mi chiede allora il dottore, tenendo stretto tra le dita l’ultimo rotolo di garza.
“Eh benino. Cerco comunque di non sforzarla…” borbotto, sentendo le guance scaldarsi per l’imbarazzo.
“Hai bisogno di una fasciatura?” chiede ancora, facendo rimbalzare sul palmo della mano il rotolo bianco.
“No, no!” rispondo lesto.
“Ci ha pensato mia madre questa mattina! È talmente stretta che reggerà fino a stasera!” Muovo così lentamente la spalla, facendole compiere un movimento circolare.
Ridacchiando, sempre più imbarazzato.

Il dottore annuisce placido, prima di voltarsi per finire il suo lavoro.
Prima che possa venirgli in mente di chiedermi altro, richiudo l’armadietto e lo saluto, correndo poi di corsa fuori dagli spogliatoi.

 

 

 

 

 

Il terrazzo sul tetto della scuola.
Scale su scale per arrivarci, come se portassero in paradiso.
O almeno, è quello che io spero.
“Tentiamo anche qui…”
Un sospiro mi sgonfia il petto prima di aprire la porta a vetri che mi separa dall’esterno.
Il sole mi acceca mentre sono investito da una folata di vento.  
Non sono solo comunque, molti studenti infatti si sono dati appuntamento in terrazza per approfittare del caldo primaverile.
Poso così una mano sopra gli occhi per mettere meglio a fuoco ma mi rendo subito conto che solo i kōhai sono saliti quassù.
Di ragazze dell’ultimo anno non c’è nemmeno l’ombra.

Arcuo un sopracciglio in un moto di stizza ma quando faccio per girare sui tacchi, per non perdere altro tempo prezioso, qualcuno pronuncia il mio nome in maniera piuttosto stridula.
In un batti baleno, Kumi Sugimoto si materializza al mio fianco, stingendosi poi al mio braccio sano.

“Che ci fai qua, Tsubasa senpai?” esclama sorridendo felice, senza staccarsi da me.
Io allora arrossisco ma non solo per questi suoi slanci fin troppo affettuosi…
Devo di nuovo partorire una scusa passabile in pochi secondi e i sotterfugi non fanno proprio per me.

“Cercavo Ishizaki!” sparo così la prima cosa che mi passa per la testa, grattando una tempia con l’indice, sperando che le basti.
La ragazzina di solito chiacchiera che è una meraviglia.
Kumi Sugimoto sembra incupirsi, come se fosse delusa ma in un attimo torna a essere vivace come sempre e quasi inevitabilmente, mi chiede anche lei notizie sulle condizioni della mia spalla.
“Eh benino. Cerco comunque di non sforzarla…”
Senza starci tanto a pensare le rifilo la stessa risposta data al dottore.
Lei allora si fa pensierosa, piegando il labbro inferiore in un broncio preoccupato.
“Ma almeno l’hai fasciata, senpai?” chiede, accarezzando la manica nera della divisa scolastica in corrispondenza della spalla in questione.
Rimango in silenzio per l’imbarazzo.

“Potremmo fare un salto al campo…” e alza lo sguardo su di me ora, sorridendo maliziosa.
“Se vuoi, posso farti io una bella fasciatura stretta, stretta.”

Sì, come le tue mani intorno al mio braccio! .
“Eh ci sono già stato!” mi affretto a risponderle, sempre più in imbarazzo.
“C’era anche il dottore e quindi ha pensato lui alla mia spalla!” mento spudoratamente, con l’ansia di voler tenere questa ragazzina più lantana possibile dagli spogliatoi, che spero possano tornarmi utili da qui a poco.
La manager più piccola non nasconde un’altra espressione delusa, così  ne approfitto per svincolarmi dal suo abbraccio e salutandola mi precipito letteralmente giù per le scale.
Maledicendo il tempo e ogni imprevisto in cui m’imbatto.

 

 

 

 

 

Sdraiato sull’erba, fisso l’orologio al polso sentendomi esausto.
La pausa pranzo sta ormai per giungere al termine e non ha quindi più senso continuare a cercare.
Questa volta mi è andata male, alla faccia della mia buona stella…
Piego così il braccio sano sugli occhi, cercando d’ignorare i gorgoglii provenienti dal mio stomaco, che reclama il pasto saltato.
Nel frattempo mi metto a pensare a quale scusa rifilare ai miei compagni, che sicuramente mi chiederanno che fine abbia fatto per tutto questo tempo.

M’inventerò qualcosa sul calcio a tempo debito, per non rischiare un inutile terzo grado.
Un sospiro sconsolato mi abbassa il petto ma quando faccio per piegare anche l’altro braccio sul viso, una risata familiare attira tutta la mia attenzione, destando tutti i miei sensi.
Mi volto leggermente dopo essermi tirato appena su con la schiena, proprio mentre un paio di testoline more fa capolino dall’angolo di uno dei padiglioni scolastici.
Il mio sguardo ovviamente si concentra subito sullo svolazzare morbido castano, liscio e lungo poco più sotto delle orecchie.
Nashimoto gesticola, imitando non so chi e allora lei sorride di nuovo, costringendomi a farlo di rimando.
Sulle sue gote appare un rossore armonioso, che fa tamburellare dentro al mio petto.
Non mi hanno ancora notato però, così mi metto seduto in modo da essere completamente visibile, dando loro la schiena.
Con un po’ di presunzione infatti, so che se lei mi vedrà non se ne andrà mai senza passare a salutarmi e dato che oggi il mio piano è andato a monte, voglio almeno il premio di consolazione.

Aspetto quindi in silenzio, poggiando il peso del corpo sul braccio sano e alzando gli occhi al cielo.
“Tsubasa!”

Come si fa a chiamarla presunzione, questa?
Mi volto piano, ridacchiando soddisfatto ma cercando di sembrare comunque sorpreso.
“Sanae! Ciao!”
Lei mi sorride mentre noto, con una soddisfazione ancora maggiore, che non è più in compagnia ora che si avvicina e si siede accanto a me, trattenendo con le mani la gonna della divisa prima di controllare l’ora sul polso.
È tardi, Sanae…
L’intervallo sta per finire…

“Prima i ragazzi ti stavano cercando. Dove ti eri nascosto?” mi chiede, voltandosi verso di me e sorridendo ancora, ma in maniera divertita ora.
Rimango imbambolato a fissarla, anche perché ho finito la riserva di cavolate da sparare e di certo non posso dirle che ho passato la pausa pranzo a cercare proprio lei.

“E la spalla?” m’incalza quasi subito, dopo aver portato una mano davanti alla bocca, come se fosse dispiaciuta per non averlo chiesto subito.
Colgo così la palla al balzo, glissando sul dove sia stato, sentendo che è filmante la persona giusta a interessarsi della mia salute
“Mi fa male… Un po’ meno ovvio, ma sempre male...” e sospirando, poggio la mano sull’articolazione infortunata per massaggiarla lievemente.

Lo sguardo di Sanae diventa subito ansioso e all’improvviso mi viene da pensare, che non sia ancora tutto perduto per i piani di questa giornata.
“Certo forse mi darebbe meno fastidio se fossi riuscito a fasciarla…”
Un altro sospiro, ostentatissimo, muove l’aria nel mio petto.
“Mia madre però è dovuta uscire presto stamattina e non ho fatto in tempo!”
“Perché non sei passato in infermeria?” mi chiede seria, visibilmente preoccupata, facendomi sentire in colpa per tutte le fesserie che le sto raccontando.

Ma non ho scelta, scusami…
Sono troppo timido per passare ad altro.

“Eh ci sono stato…” temporeggio, finché una lampadina non s’illumina nella mia testa.
“Ma il dottore non c’era e così l’ho aspettato anche se alla fine non si è fatto vivo. Per questo i ragazzi non riuscivano a trovarmi poco fa!”

“Ah così non va, Tsubasa!”
Sanae scuote la testa prima di tornare a guardare l’orologio.
“Ti fa tanto male?” mi chiede poi, tornado a guardarmi e poggiando delicatamente la mano sul punto dove stavo massaggiando per fare scena.
Arrossisco.
Eccome se arrossisco, ora.
Perché un conto è essere toccati da una ragazza qualunque, un altro è quando è lei a farlo.

Annuisco muovendo piano la testa e abbassando lo sguardo, cerco di nasconderle il mio imbarazzo.
“Hai da fare dopo le lezioni?” domanda, costringendomi a guardarla ancora negli occhi.
“Ora non c’è più tempo ma più tardi possiamo passare al campo e posso fasciarla io se vuoi!”
Che detto da lei, adesso, ha tutto un altro suono.
Quello giusto, finalmente.

Sorrido all’idea che la mia buona stellina si sia ricordata ancora una volta di me.
“No, non ho niente da fare!” esclamo, dando mentalmente buca a Ryo e al giro in centro.
“Però mi spiace disturbarti sempre, Sanae! Sei troppo gentile…” e queste parole sottolineo definitivamente il mio bluff.
L’ho cercata tutta la pausa pranzo per farmi fare una fasciatura… ma figuriamoci se la voglio disturbare! 

“Ma che dici, Tsubasa?!” mi rimprovera con fare allegro, alzandosi e invitandomi a imitarla, per poter anticipare la campanella che suonerà a minuti.
In un attimo le sono accanto e insieme ci avviamo verso la nostra aula.
Nel tragitto però è inevitabile avvicinarsi ancora l’uno all’altra, come se fosse un riflesso naturale tra noi.
“Aspettami allo spogliatoio appena terminata l’ultima ora. Io passerò prima in infermeria a prendere le garze, perché mi sembra proprio che siano terminate!”
Sanae si passa un dito sulle labbra mentre mi limito ad annuire, tacendo sull’armadietto del pronto soccorso di nuovo pieno, proprio grazie all’intervento del dottore che ho dato per disperso.
Se ci separeremo dopo le lezioni poi, non daremo troppo nell’occhio di fronte ai compagni di classe.

Oh- oh!
A questo non avevo ancora pensato!
Se ora i ragazzi dovessero vedermi rientrare in aula con Sanae…
Oh sarei rovinato a vita!

La guardo così di sottecchi mentre cammina al mio fianco, serena e rilassata.
E carina da morire, come sempre.
L’idea di dover rinunciare a cose semplici e normali come questa, per colpa delle loro prese in giro, mi avvilisce.
Anche se so che non è solo colpa loro.
Se fossi un po’ più audace, un po’ più come lo Tsubasa in mezzo al campo.
“Senti, io faccio un salto in bagno…” borbotto, distogliendo lo sguardo.

Che scusa totalmente idiota!
“Tu va pure, ci vediamo direttamente in classe!”
Sanae annuisce, sempre sorridendo ed io mi mangerei le mani per quanto sono idiota.

 

 

 

 

 

L’ennesima corsa della giornata per arrivare, di nuovo, agli spogliatoi del club.
A Ishizaki, venuto a reclamare il nostro accordo, ho detto solo che volevo fare un salto dal vecchio allenatore e lui ovviamente, trattandosi di calcio, se l’è bevuta.
Senza però risparmiarmi un paio di occhiatacce, come se fossi un marziano.
Dopo aver aperto di nuovo il mio armadietto, inizio così a sbottonare la camicia bianca dell’uniforme scolastica.
Una volta sganciato anche l’ultimo bottone dalla sua asola, mi libero dell’indumento sfilandolo con movimenti sicuri, rimanendo a dorso nudo.

Mi guardo un attimo intorno furtivamente prima di tendere le braccia in avanti, stringendo le dita tra loro, in modo da sgranchire i muscoli del collo e delle spalle.
Con ampi movimenti circolari, ruoto poi senza sforzi né dolore proprio quella spalla che dovrebbe essere infortunata.
Dovrebbe, perché in realtà è guarita perfettamente già da un po’ ma…

Cosa non si fa per un po' di attenzioni!
Nell’attesa mi avvicino all’armadietto dei medicinali e dopo averlo aperto, prendo dei rotoli di garza sterile, poggiandoli poi sul tavolo.
Quando mi siedo, distendo il braccio fintamente invalido accanto alle bande, contando i secondi che mi separano dall’arrivo della mia amorevole infermiera.
“Scusa il ritardo!”
Sanae entra trafelata nello spogliatoio, stringendo al petto altri rotoli di garza.
Quando nota quelli che ho preparato io, mi precipito a dire che forse qualcuno deve aver rifornito il club senza che lo sapessimo.
“Poco male!” la sento esclamare, avvicinandosi a me rapidamente.
Con aria concentrata si mette poi ad aprire uno dei tanti rotoli di bende.
Io allora la fisso senza ritegno, indugiando di tanto in tanto sulla piega delle labbra, rosa come petali di ciliegio.

Sanae srotola la garza una volta liberata dal cellofan e si abbassa su di me, trattenendo l’estremità del cotone sul mio petto con il palmo della mano aperta.
L’altra inizia invece a far girare il rotolo sulla muscolatura del torace e me non resta che sperare che Sanae non si accorga dell’accelerazione del mio battito cardiaco, né del rossore che sento scaldarmi il viso.
In realtà non sembra davvero farci caso, anche se il colore che imporpora le sue gote sembra legato comunque a qualcosa che mi riguarda.  

“Hai i muscoli tesi…” sussurra senza guardarmi negli occhi, proprio mentre inclina di più la schiena.
Socchiudendo le palpebre, inspiro lentamente il suo profumo dolce.
“Sono ancora un po’ contratti, sì...” rispondo, nonostante la mia voce risuoni poco salda.

La frangetta le ricade sugli occhi, celandomeli, ma posso comunque vedere le sue labbra distendersi in un sorriso.
La sua bocca…
Mi piace così tanto…
Se solo fossi un po’ più…

Più…
Questa sarebbe un’occasione ideale per farsi avanti.
Ma niente, non ci riesco.
E mi accontento di posare il mio sguardo su di lei, senza fare altro.  
È un po’ patetico, lo so… ma non posso farci nulla.

Le mani di Sanae scivolano sulla mia pelle ed è come se mi accarezzasse, seppur involontariamente.
Reclino così il capo per osservarla meglio mentre stringe attenta gli ultimi giri di garza intorno alla mia spalla.
Mi rendo conto a malincuore che tutto sta per finire, così approfitto degli ultimi attimi in cui il suo viso è così vicino.
Mi soffermo sulle ciglia lunghe e nere curvate all’insù poi il naso piccolo e grazioso per tornare infine sulle labbra socchiuse, che sembrano davvero tanto morbide.
E all’improvviso non mi sento più patetico, perché sono semplicemente felice per questa vicinanza che ho voluto a tutti i costi provocare.
Non che non abbia modo di stare con lei tutti i giorni ma così, noi due da soli, vicinissimi…
Non c’è proprio paragone.
Sanae si dirige ora verso l’armadietto del pronto soccorso, credo per prendere le pinzette con cui fermare la fasciatura.
Le mie spalle si abbassano quando emetto un piccolo sospiro, rassegnato all’idea che tutto questo sia durato davvero troppo poco.
Sanae intanto continua ad armeggiare dietro di me, ignara del mio stato d’animo sconsolato.

“In infermeria…” mormora però all’improvviso, facendomi deglutire sonoramente.
“Il dottore era un po’ sorpreso…” aggiunge, usando un tono di voce un po’ più alto.
M’irrigidisco subito, colto in fallo, mentre inizio a imprecare sottovoce per la figura da imbecille che sto per fare.

“Ha detto di salutarti!”
“Ah grazie…” rispondo voltandomi leggermente, un po’ perplesso.
Il mio sguardo però torna subito a fissare avanti a me quando Sanae torna sui suoi passi.
Quando mi è di nuovo accanto, mi ostino a guardare altrove in maniera un po’ pavida.
Sanae applica le morsette sulla fasciatura rimanendo in silenzio, ma posso sentirla respirare tanto è vicina.

“Fatto!”
Facendomi coraggio, torno a guardarla.

“Domani alla stessa ora?” mi chiede allegramente, quando incrocio il suo sguardo.
Sembra felice.

“Uh?”
“Per la fasciatura, no?” e inclina la testa sorridendo…
Maliziosamente?!

Arrossisco.
Ancora.
Di più.
Che abbia capito tutto?!

“Vestiti adesso, io ti aspetto fuori. Giro in centro prima di tornare a casa?”
“Mi servono degli scarpini nuovi!” rispondo annuendo, frastornato dagli eventi.
Tornando a nascondermi dietro a delle scuse, quando avrei potuto semplicemente dire di sì, senza dover aggiungere altro.
Soprattutto dopo essere stato scoperto…

“Ok… Andiamo a cercare insieme questi scarpini, allora!” e prima di allontanarsi mi sorride ancora ma dolcemente, sfiorando la spalla fasciata con la punta delle dita.
Ammutolisco di nuovo, le guance in fiamme.

Sanae esce dallo spogliatoio e quando la porta si richiude alle sue spalle, mi alzo di scatto e raggiungo la camicia appesa nel mio armadietto.
La infilo di nuovo ma con qualche difficoltà in più, la fasciatura infatti è incredibilmente fastidiosa per i miei movimenti.
Ma sopporto anzi, sopporterò anche per un mese.

Continuando a fare il finto tonto finché non mi sentirò forte come in campo anche con lei.
Allora non avrò più bisogno di garze e bende per starle vicino e glielo dirò.

Le dirò che mi piace.
Sì, prima o poi lo farò…

Mi volto verso il tavolo prima di uscire e fisso i rotoli di cotone bianco abbandonati sopra il legno scuro.
Sospiro, stringendo le dita intorno alla maniglia.
“Per ora mi siete ancora strettamente necessarie…” borbotto aprendo la porta, prima di raggiungere di nuovo la mia Sanae.

 

 

 

 

 

 

Cosa non si fa per una dose, eh? Mi sembro un po’ Tsubasa…
Tutto ciò è colpa dell’arpia Silen e diciamocelo, della mia dipendenza. XD
Doveva essere una FF sul comico questa, ma il morbo T/S è duro da tenere a bada e alla fine è uscito il classico miele… la voglia poi di sfatare il “capra pensiero” dando delle attenuanti all’agire del mio pupillo, ha fatto il resto.
La storia si colloca, ovviamente, prima della partenza di Tsubasa per il Brasile e si può dire che questo scorcio sia antecedente a ciò che accadrà poi in “Butterfly”.^^

Ringrazio l’Arpia per lo sprone (***), tutti coloro che leggeranno queste righe e naturalmente :Mnemosyne: aka Reichan86 per aver ideato il contest e avermi così permesso di rincontrare, dopo tanto tempo, i “miei” Tsubasa & Sanae!
Che mi mancavano…^^

OnlyHope

 

 

   
 
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