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Autore: Sylphs    06/09/2014    7 recensioni
Belle era sua. Aveva promesso. Aveva giurato. E senza la sua compagnia, sarebbe impazzito. Lui era il principe, era il padrone, e gli era stato tolto anche troppo. Non si sarebbe lasciato portar via la ragazza.
"Bestia" chiuse gli occhi, sferzato dall'insopportabile dolcezza che le leggeva nella voce "Io non voglio darvi un dispiacere. Ma ho bisogno di rivedere mio padre, di assicurarmi che sta bene".
"Se ve ne andaste" sibilò: "Io morirei di dolore".
Non esagerava. Privarsi di Belle sarebbe stato come privarsi dell'ossigeno.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Let me go
 
 
 
 
 
“Sta male. Mio padre sta male”.
Tra le pareti d’oro e borgogna della più sontuosa camera da letto del suo maniero, un tripudio di tendaggi in porpora e broccato, suppellettili scintillanti, tavolinetti di mogano e vasi di cristallo contenenti i fiori più rari e variopinti – ma lei non aveva mai subìto il fascino della ricchezza e dell’ostentazione, per mesi aveva tentato con disperazione di comprare il suo affetto con abiti e gioielli degni d’una regina ma per mesi Belle glieli aveva rimandati indietro insieme al suo disgusto e al suo rancore – aleggiava, lieve e soffuso come uno spettro, il profumo delle lacrime della fanciulla. Avevano riempito i begli occhi color del cielo a mezzodì, gli unici gentili al punto da posarsi sul suo volto aberrante, erano colate silenziose lungo le guance di porcellana, troppo perfette perché i suoi affilati artigli potessero graffiarle con una carezza tremante, erano rimaste appese qualche secondo al mento morbido e poi erano cadute giù, a guisa delle gocce di pioggia, scivolando sulle coperte del letto a baldacchino e tuffandosi fino al marmoreo pavimento.
La Bestia, immobile sul vano della porta come un incubo vivente ch’esitava a turbare il riposo della splendida giovane, le osservava senza comprendere, ammantandosi di ombre e del proprio mantello lacero e fissando con il suo sguardo di mostro l’evidente dolore della sua ospite. Oh, ella aveva pianto spesso da quando l’aveva fatta prigioniera – anche se negli ultimi tempi, negli ultimi tempi i singhiozzi si erano acquietati ed erano comparsi piccoli, timidi sorrisi ch’egli raccoglieva come fossero perle inestimabili e rarissime, ripiegandoli con cura e sistemandoli in un cantuccio della sua nera anima dove alimentavano speranze inammissibili – tuttavia stavolta non erano lacrime di odio e ripulsa quelle che le rigavano un viso che a principio gli era parso bello, poi ammaliante, e infine ultraterreno. Avevano un odore, una consistenza e un aspetto diversi, e rimase colpito poiché prima del di lei arrivo mai si sarebbe accorto di una simile, impercettibile differenza, fatta per essere percepita da cuori meno spietati del suo.
“Belle” mormorò, la voce roca e storpiata che si librava in quel sacro santuario di fiori e di gemme come un soffio timoroso: “Belle, siete malata?”
Doveva esser stato un qualche malore a causare il disperato pianto della giovane, i cui singhiozzi cristallini gli trafiggevano come dardi di selce la dura e spessa pelle di bestia. Non vedeva davvero altre possibili ragioni. E in tal caso, avrebbe sprecato la sua magia anche fino all’ultima goccia pur di guarirla…giacché in quel momento gli sembrava che la salute di Belle troneggiasse davanti ad ogni altro scopo, compreso quello di tornare umano.
Cosa mai gli stava accadendo?
Ella non sussultò al risuonare della voce infernale, e una gioia violenta lo invase mentre gli si stagliava in mente con prepotenza il ricordo di come la ragazza trasalisse atterrita i primi tempi, quando la raggiungeva in sala da pranzo e strisciava nelle ombre tutto intorno a lei, opprimendola con la sua presenza oscura e saziandosi di quella femminilità che da troppi anni non contemplava più. Aveva dunque capito che avrebbe preferito strapparsi la carne dalle ossa al posare sul suo corpo perfetto un singolo dito? Aveva dunque guardato al di là? S’era innamorata di lui?
Non lo guardò – se per vergogna d’esser stata sorpresa in quelle condizioni o per ribrezzo egli non avrebbe saputo dirlo, ma si permise di credere nella prima ipotesi – e gli girò lievemente le spalle, i capelli sparsi come una colata d’oro fuso sui guanciali di seta, quei lunghi e soffici capelli che ah, avrebbe tanto voluto stringere tra gli artigli, annusare, accarezzare: “Non io” sussurrò, straziata: “Mio padre”.
“Vostro padre?” ringhiò la Bestia bruscamente, per poi rimproverarsi aspro d’aver parlato così a colei che era divenuta quasi suo malgrado il centro nevralgico del suo universo. Ma credeva, o forse s’illudeva che quel patetico e gretto omuncolo fosse scomparso dalla mente della fanciulla, ch’ella se lo fosse lasciato alle spalle insieme a tutta la sua vita di prima per concentrarsi sulla nuova vita che le aveva offerto, e che forse, oh, magari, aveva incominciato ad apprezzare. Perché ci pensava ancora? Perché non aveva speso una sola delle sue lacrime d’amore per lui e ne dedicava un’infinità ad un individuo tanto pavido e vigliacco da venderla ad un mostro, ad un incubo incarnato partorito dall’animo crudele di un principe e dalla magia d’una fata? Se quell’imbecille la faceva tuttora soffrire, meritava la morte, e la morte peggiore. Quanto sarebbe stato appagante, giusto affondare le zanne nella carotide pulsante del vecchio, penetrare attraverso tendini e muscoli flaccidi e recidere finché tutto il sangue non fosse…
No. No, non sarebbe stato giusto. Per lui, forse, ma non per Belle. Ella avrebbe patito ancora di più se le avesse strappato il genitore, lo avrebbe detestato fino alla morte, e non sopportava di vederla triste. Non sopportava più il suo odio. O anche solo la sua rabbia. Lui era… bisognoso come un affamato, come un cagnolino dei suoi sorrisi cortesi, delle sue occhiate dolci, degli sfioramenti occasionali che aveva donato al suo corpo grottesco. Uno solo di essi lo annientava totalmente, lo lasciava inerme e svuotato. Non era più carceriere, ma carcerato, e la sua prigioniera lo teneva in pugno senza neppure rendersene conto. Se gli avesse ordinato di buttarsi dal balcone per non offendere più la sua vista…
Io mi butterei.
Belle si mise a sedere tra i tendaggi fluenti del baldacchino, un’impalpabile camicia da notte candida a coprirle le forme e una spallina cadente che rivelava un’ampia porzione di pelle lattea. La gola della Bestia divenne arida quando gli occhi ferali indugiarono sulla clavicola delicata e la curva dei seni, il cuore batté più forte contro la cassa toracica, e un istinto antico come il mondo gli ingiunse di annullare le distanze che lo separavano da quello splendore e di farlo finalmente proprio, di cessare d’interpretare la parte del timido gentiluomo che sopportava in silenzio e stringendo i denti le carezze distratte della sua ospite e di dimostrarle a quale punto fosse arrivato a desiderarla. Forse, qualche tempo prima, lo avrebbe fatto.
Ma non adesso. Opporsi alla brama che lo divorava dall’interno era come impedire al vento di soffiare, tuttavia la paura d’atterrire e fare del male a Belle superava anche la sua sfrenata lussuria, superava qualsiasi cosa.
Lei non rifuggì alle sue abominevoli sembianze, al modo in cui ogni parte del suo corpo paresse concepita dall’immaginazione del Diavolo stesso, lo osservò tristemente, asciugandosi le lacrime con una manica, e la vista del suo volto bagnato e stropicciato dal dolore inflisse alla Bestia una fitta atroce.
“Sì” soffiò la fanciulla, rannicchiandosi sul letto e portandosi al petto le gambe snelle e flessuose: “Io…ho fatto un sogno terribile. C’era mio padre, ed era… malato, febbricitante, in agonia… solo nel buio, con una candela che lo illuminava per metà… e… mi invocava… chiamava il mio nome, ancora e ancora, chiedendomi aiuto… ed io… io non ero lì”.
La Bestia tacque per qualche istante, assimilando ciò che gli era stato detto.
“Era solamente un sogno, Belle” rispose infine, sforzandosi di modulare la sua orrida voce in un accento dolce e rassicurante: “Non avete nulla da temere”.
“Ma…” ansimò lei: “Ma… pareva così vero! E mio padre non ha mai goduto di ottima salute, è sempre stato… oh, Bestia, mi… mi manca così tanto”.
Egli, dinnanzi a quel capo sconsolatamente chino e a quelle lacrime che riprendevano a scorrere, avvertì l’impulso irrefrenabile di cingerla in un abbraccio e consolarla con reverenti sussurri all’orecchio, ma non osava varcare la soglia, poiché quella era pur sempre la stanza da letto della sua ospite e poiché lui era pur sempre un mostro: “È per questo che piangete?” le domandò invece, atono: “Perché vi manca vostro padre?”
Ella annuì debolmente, tirandosi su la spallina della camicia da notte: “È una sensazione insopportabile, che non mi dà requie… la notte non mi consente di riposare serenamente… e il giorno mi pungola come uno spillo…”
“Credevo che ormai foste felice qui”.
La Bestia non poté impedirsi di assumere un tono acido e accusatorio, e le scagliò contro quelle parole con irritazione. Ma era in realtà infuriato con se stesso, non con la fanciulla. Perché lei non poteva semplicemente dimenticare il padre ed essere contenta? Perché non poteva rendersi conto delle comodità e degli agi che le aveva regalato, di quanto la desiderasse, e farselo bastare?
Perché, per contro, le hai negato l’unica cosa che è diritto di tutti possedere: la libertà.
Ebbe un brutale scatto della testa grottesca. Non era forse libera di andare e fare ciò che voleva? Di scegliere i propri svaghi e le proprie attività? L’aveva forse presa con la forza, o costretta ad amarlo? Le chiedeva solo, ogni sera, di diventare sua moglie, e accettava a denti stretti e cuore pesante il no timoroso che seguiva immancabilmente le sue proposte. Era stato un mirabile esempio di sopportazione e abnegazione, e cosa aveva ottenuto? Un fiume di lacrime.
Sei e resterai sempre una bestia ai suoi occhi.
Ferita dalla sua accusa, Belle sollevò su di lui uno sguardo vacillante che lo fece fremere di rimorso: “Io… sono felice qui”.
La speranza accese il petto della Bestia, come l’esile fiamma d’una candela, e lo spinse a muovere un passo in avanti, ad accostarsi a quella creatura che lo attirava come una calamita: “E allora… potreste non… non…” esitò, con improvviso impaccio: “Non piangere… così? Io… io non sopporto di vedervi in un simile stato”.
La ragazza tremò, stringendosi al seno le coperte: “Vi fa arrabbiare?”
“No!” un altro passo in avanti, questa volta concitato, un’altra stilettata di sofferenza all’idea che ella lo temesse ancora: “No, al contrario! Io… io soffro a vedervi soffrire. Io vorrei solo…”
Averti. In ogni modo possibile.
Furono tuttavia altre parole a lasciare la sua bocca senza labbra: “Vorrei solo rendervi felice”.
Ed era vero. Ah, quanto era disperatamente, orribilmente vero.
Il viso di Belle si rischiarò, colmandolo per un attimo d’un’aspettativa e una gioia talmente potenti che quasi gli parve di poterli toccare. Ma ciò che rispose un istante più tardi lo precipitò nuovamente nell’inferno personale in cui albergava da diversi anni.
“Potrei esserlo” mormorava la ragazza: “Se solo… se solo mio padre non mi mancasse a tal punto”.
Egli si sentiva beffato, dal destino e da lei, e strinse i pugni per impedirsi di devastare il ricco mobilio della stanza e squarciare le stoffe pregiate e i quadri con i lunghi artigli ricurvi, riservando la bile alle proprie parole.
“Vi manca una persona che vi avrebbe mandato a morire senza rimpianto?” fu crudele, crudele com’era stato da umano, insensibile e malvagio, ed era così semplice rifugiarsi nell’antica cattiveria, era un rifugio sicuro, caldo, che teneva alla larga i nuovi, incomprensibili e terrorizzanti sentimenti che lo avevano aggredito: “Per quel che vostro padre ne sapeva, avrei potuto mangiarvi, o uccidervi nel peggiore dei modi, o… servirmi di voi per i più biechi fini. Come potete torturarvi così per lui?”
Furono gli occhi feriti di Belle, che non si distolsero dai suoi e rimasero saldi a dispetto dello stato d’animo della ragazza, a fargli capire d’essere stato ignobile, a dargli la chiara consapevolezza di quanto mostruoso fosse, e non nell’aspetto, nell’animo, un animo marcio e venefico tanto, troppo diverso da quello puro e sincero dell’altra. Ella sentiva la nostalgia del genitore, l’uomo che nonostante tutto le aveva dato la vita, soffriva all’idea di non rivederlo mai più, e lui, invece di confortarla, l’attaccava, le rivolgeva frasi crudeli come la peggiore delle bestie. E non era certo la prima a ricevere quel trattamento, ma l’unica che, con il solo sguardo, lo aveva edotto su quanto fosse inumano.
“Belle…” boccheggiò, fioco e pieno di melmoso senso di colpa: “Belle, perdonatemi, io…”
“Anche voi mi avete recato torto” lo interruppe lei con repentina determinazione: “Imprigionandomi qui per l’eternità. Ed io vi ho concesso ugualmente una possibilità e vi sono stata amica. Credete che chiunque sbagli non meriti un perdono?”
Quanta inconsapevole ironia risiedeva in quella domanda!
“Belle…”
“Mio padre è anziano e debole” proseguì la ragazza: “E, tanto per precisarlo, sono venuta in codesto maniero contro la sua volontà. Probabilmente è in pena per me e si chiede cosa mi sia accaduto. Probabilmente anche lui mi sogna come io lo sogno”.
Egli era soggiogato da lei, dalla sua forza interiore, dalla sua risolutezza, dai suoi occhi così dolci e così combattivi, così umani e così pieni di acciaio. Avrebbe mai potuto, ora, vivere in un mondo dove lei non c’era?
No. No, non avrebbe potuto.
E avrebbe potuto vivere sapendo di infliggerle volontariamente sofferenza?
“Da quanto fate questi pensieri?” chiese piano.
“Non mi hanno mai abbandonata”.
Con quel coraggio che non mancava mai di stupirlo – pochissime fanciulle avrebbero avuto l’ardire di rinchiudersi nel cupo castello di un mostro e di mantenere comunque un contegno degno di nota – Belle s’alzò dal letto e gli venne incontro, leggera, incurante dell’oscurità e delle tenebre che sembravano raggrupparsi e serpeggiare intorno a lui, al suo incubico sembiante, e gli prese ambedue le mani nelle proprie, pelle ruvida contro pelle morbida, gelo contro calore, orrore contro purezza, senza che il minimo accenno di repulsione le alterasse i lineamenti perfetti. E sussultò, la Bestia, al contatto improvviso, ebbe l’impressione di sciogliersi e andare in pezzi, di distruggersi e di essere riplasmato da quelle mani tiepide diverso, forse… migliore. Le sarebbe bastato un cenno, in quel momento… e sarebbe divenuto un cagnolino adorante pronto a morire per lei.
Ma si limitò a guardarlo negli occhi senza paura, da pari a pari, come rianimata dall’abisso di infelicità in cui era sprofondata prima, e a scandire le parole con quella voce che era come balsamo sulle ferite: “Vi chiedo di lasciarmi andare”.
Se non fosse stato tanto agitato, egli probabilmente avrebbe sorriso con amarezza. Perché mai quella richiesta che si era aspettato di sentirsi rivolgere i primi tempi, tra le suppliche e le grida, arrivava adesso che si era concesso finalmente di sperare, di scorgere la luce dell’alba all’orizzonte della sua notte eterna? Perché ella non aveva mai chiesto la libertà quando ancora aveva orrore di lui, quando non osava neppure guardarlo e gli negava la bellezza dei suoi occhi ostinandosi a tenerli bassi, e veniva a pretenderla ora che gli aveva dimostrato perdono, gentilezza e forse…affetto? Perché?!
Avrebbe voluto strappare le mani artigliate da quelle fin troppo calde e generose di lei, o anche solo distogliere lo sguardo dal suo, ma non ne ebbe la forza, Belle era come l’aria, come il cibo, come l’acqua e tutto ciò di cui necessitava per sopravvivere, e pendeva da lei, era perso per lei, non sapeva oramai neanche cosa fosse diventato, in cosa lo avesse trasformato. Che cosa gli avesse fatto.
“Avete fatto una promessa” le ricordò a voce bassa, lugubre: “Avete promesso che sareste rimasta con me per sempre”.
“Lo so” fu la tranquilla replica: “Per questo vi domando di sciogliermi dalla promessa in nome della nostra amicizia”.
“Amicizia?!”
Stavolta le liberò, le mani, incapace di tollerare oltre il benefico e doloroso contatto con quelle della ragazza, e le voltò le spalle, nascondendosi nelle ombre che strisciavano rapide ai suoi comandi, più che mai consapevole della propria repellenza, una repellenza che non gli avrebbe mai fatto meritare ciò che davvero voleva, ciò che era infinitamente oltre l’amicizia. Era per amicizia, che avrebbe dovuto privarsi della sua ragione di vita, dell’unica salvezza in cui poteva sperare? – giacché se doveva rompere l’incantesimo, desiderava che fosse lei e soltanto lei a romperlo, nessun’altra.
No. No, mai. Belle era sua. Aveva promesso. Aveva giurato. E senza la sua compagnia, sarebbe impazzito. Lui era il principe, era il padrone, e gli era stato tolto anche troppo. Non si sarebbe lasciato portar via la ragazza.
“Bestia…” chiuse gli occhi, sferzato dall’insopportabile dolcezza che le leggeva nella voce “Io non voglio darvi un dispiacere. Ma ho bisogno di rivedere mio padre, di assicurarmi che sta bene”.
“Se ve ne andaste” sibilò: “Io morirei di dolore”.
Non esagerava. Privarsi di Belle sarebbe stato come privarsi dell’ossigeno.
“Non sarebbe per sempre!” le dita esili della fanciulla si serrarono sul suo mantello sbrindellato e lo costrinsero a voltarsi e a fare nuovamente i conti con quel volto bellissimo e addolorato: “Ascoltate, io sono felice qui con voi, e tornerei”.
“No” ribatté, sordo: “No, non tornereste. Chi tornerebbe da un mostro? Chi, avendo la possibilità di scegliere la luce, la bellezza, la normalità, le rifiuterebbe per un reame di putredine e di tenebre? Se vi lascio andare, vi perderò per sempre”.
E arrivarono anche da lui, le lacrime. Lacrime che non versava da una vita intera, di cui non aveva mai conosciuto il sapore salato. Spinsero contro le palpebre e non riuscì a reprimerle, non riuscì a far smettere al suo cuore di sanguinare, e le sentì scorrere sulla sua faccia di bestia e scavare sottili sentieri di dolore, cicatrici indelebili che ardevano fino al midollo. Vedendole, Belle avrebbe avuto pietà di lui come lui l’aveva avuta di lei? Si sarebbe rabbonita, avrebbe compreso che aveva bisogno di lei mille volte più dello stolto e inutile padre e sarebbe rimasta? Oh, se fosse bastato, si sarebbe messo in ginocchio e avrebbe detto addio ad ogni dignità per implorarla!
Trasalì, guardandolo con mortificazione: “Bestia…”
“Belle, vi prego” l’autocontrollo in cocci ai suoi piedi, il mostro osò sollevare una delle sue orrende mani e immergerla nella fluente capigliatura della fanciulla, fremendo di beatitudine nello scoprire che le ciocche bionde erano soffici e seriche esattamente come aveva sempre immaginato, attento, scrupolosamente attento a non ferirla con gli artigli affilati: “Non chiedetemelo, vi supplico. Tutto, tranne questo. Io… io non posso lasciarvi, Belle, non posso. Non posso prendere commiato da voi sapendo che potreste non tornare mai più”.
“So che vi sentite solo” ella non mostrava il minimo disgusto per le sue tremanti e riverenti carezze, anzi, gli pareva addirittura che si fosse avvicinata, non molto, certo, ma a sufficienza: “Ma dovete provare a fidarvi, a confidare in me come io ho confidato in voi. Vi ho creduto quando mi avete promesso che non mi avreste mai fatto del male, anche se ogni buonsenso mi diceva il contrario. Non potete fare lo stesso? Non potete credermi quando vi giuro che tornerei?”
Le sue parole erano esatte, ma proprio per questo lo facevano ardere di disperazione e di rabbia ferale.
“Questi sono compromessi da gente come te!” ruggì, mutando bruscamente atteggiamento e afferrandola per le spalle con una stretta feroce, quasi a marcarne il possesso: “Te e il tuo adorato padre, per cui tutto può essere scambiato con qualcos’altro e non c’è soluzione che non giunga in soccorso! Ma io sono una bestia, e le bestie si tengono quello che vogliono finché lo vogliono!”
I suoi ringhi rimbalzavano contro il soffitto coperto di stucchi, riecheggiavano nella camera dorata e mentre li lasciava uscire fuori e scuoteva Belle, qualcosa dentro di lui gridava ch’era tutto sbagliato, che la stava aggredendo quando avrebbe voluto sentirla felice tra le sue braccia e appagata dai suoi baci, che per l’ennesima volta stava dimostrando alla fata che aveva avuto ragione a maledirlo, che era ancora egoista, viziato e crudele come prima. Ah, ma ogni cosa era così terribilmente ingiusta! Non aveva già sofferto abbastanza? E Belle non gli aveva offerto la salvezza? Perché doveva rinunciarvi? Perché doveva lasciarla libera e ottenere in cambio la fragile, impalpabile speranza che sarebbe tornata come professava?
“No!” esclamò lei, irrigidendosi: “No, mi fate male!”
Fu come risvegliarsi da una trance viscosa. Strabuzzando gli occhi, la Bestia staccò subito le mani dalle spalle della fanciulla e scorse i segni dei suoi artigli, i graffi che le aveva lasciato sulla pelle candida. Gli sembrò di avvertirne il dolore nella sua stessa carne.
“No…” un ansito strozzato uscì dalle sue fauci, impulsivamente fece per andarle incontro ed aiutarla.
“Non mi toccate!” fu un grido ferreo quello di lei, un ordine al quale non poté disobbedire; Belle respirava a fatica, scarmigliata e sudata, ma c’era più delusione che furia sul suo viso, più sofferenza che terrore. Scosse convulsamente la testa, agitata: “Credevo che foste cambiato… credevo che foste diverso”.
“Questo è quello…” mormorò lui, sperduto e scorato: “Quello che sono sempre stato”.
Ed ora non sono più neanche quello. A causa tua.
La osservò fissamente, soffermandosi sul petto che si alzava e si abbassava a ritmo affannoso, sul pallore che le dominava le gote, sulle labbra strette e bianchissime, sulle mani artigliate alla colonnina del baldacchino come se potessero trovarvi un sostegno. Gli occhi azzurri riflettevano il mostro che era fin dalla nascita, l’essere crudele che la teneva prigioniera. Per un attimo, prima di quella discussione, lo avevano quasi fatto sentire… umano. Normale. Benvoluto.
Era così che voleva essere. Per lei. Del resto del mondo non gli importava alcunché, avrebbe ucciso volentieri il vecchio mercante se fosse servito a farle cambiare idea, ma fintantoché Belle era lì, fintantoché gli parlava e lo osservava, sentiva di poter, no, di voler essere diverso, migliore, di avere l’obbligo di trattarla come meritava. Perché…perché semplicemente era lei. Perché semplicemente era tutto. E il concetto di “giustizia” assumeva improvvisamente un significato. Improvvisamente i suoi peccati e le sue mancanze giungevano a chiedere un riscatto, concretizzati nell’espressione risoluta e tranquilla della fanciulla.
Poteva tenerla presso di sé con la forza, legarla, e con chiunque altro lo avrebbe fatto. Ma… per la prima volta… guardandola negli occhi… si rendeva conto che i desideri di lei, le speranze di lei, valevano più delle sue. Che lei valeva più di lui. E che era disposto all’estremo sacrificio, pur di saperla felice e soprattutto orgogliosa nei suoi confronti.
Il suo sguardo deluso, i segni degli artigli sulle clavicole, quella postura di difesa… erano sbagliati. Non erano ciò che lui voleva.
Sbatté le palpebre, sentendosi svuotato e impaurito dall’intensità delle sue emozioni, e le chiese con un fil di voce: “Stai davvero male lontana da tuo padre?”
Senza perdere la sua compostezza da guerriera, lei annuì, ancora stretta alla colonnina.
La Bestia si morse la guancia finché le zanne non aprirono uno squarcio e il sapore dolciastro e rivoltante del sangue non gli riempì la bocca.
Stai davvero per farlo? Stai per prendere il tuo cuore e spezzarlo in due?
Era qualcosa di irrazionale ma invincibile ad imporglielo. Qualcosa che andava ben oltre il suo egoismo e il suo istinto di conservazione, qualcosa che finora era stato alieno alla sua natura e che forse, nelle ultime settimane, aveva covato senza che venisse allo scoperto. Qualcosa che Belle, con la sua personale perfezione, e la fata – quella maledetta! – lo avevano costretto a scoprire.
“Allora va’ da lui” pronunciare la propria condanna con voce tanto inespressiva: “Vai, se è ciò che desideri”.
Una confusione più che plausibile apparve sui dolci lineamenti della fanciulla: “Cosa?”
E vorresti sentirmelo ripetere?
Ma avrebbe fatto questo e altro. Avrebbe fatto tutto per Belle.
“Ti lascio andare. Sei libera”.
Occorsero alcuni istanti affinché il messaggio venisse assimilato. Istanti che la Bestia visse in uno stato di rabbiosa disperazione umanamente impossibile.
Non avrebbe mai scoperto che sapore avessero le labbra di Belle, o come apparisse quel flessuoso corpo senza stoffa a coprirlo. Mai più avrebbe conversato con lei di questo o quell’argomento, pendendo dalle sue labbra e dalle sue opinioni sorprendentemente argute e intelligenti, fornendo le proprie che venivano accolte con attenzione e interesse, osservandola mangiare con sincero appetito e ridere della sua risata indescrivibile. Non ci sarebbe stato il sorriso di Belle a dargli il buongiorno e la buonanotte, la sua figura aggraziata a spezzare la gelida solitudine del maniero, i suoi passi leggiadri a scandire il tempo e a dargli un senso. O meglio, forse ci sarebbero stati, ma si sarebbero ridotti a mere illusioni, immagini evocate dalla sua mente ossessionata e martoriata, deliri di un cuore che batteva per qualcuno ormai lontano e inaccessibile. E la sofferenza più grande non sarebbe stata la consapevolezza di rimanere per sempre un mostro… ma di aver sfiorato, per un attimo, la luce, la bontà, l’umanità e averli lasciati fuggire volontariamente.
No, non posso farlo, NON POSSO FARLO!
Ma doveva.
Perché?!
Perché…se ne era innamorato. Era questo il mistero, triste e fin troppo ovvio. Amava Belle e quell’amore era la sua condanna. Non c’era neppure una spiegazione per il suo estremo masochismo.
Se la ami, se la ami dovresti tenerla con te!
Se la amava doveva accettare quello che era il suo volere. Perché…sì. Era questo che aveva inteso la fata? Era questo che voleva dire imparare ad amare? Sacrificarsi e sapere di non poter fare altro, sapere che la persona che amavi era talmente importante che ti costringeva contro la tua stessa volontà a mettere il suo bene sopra il tuo?
“Mi lasciate andare?” c’erano gioia e sorpresa nella voce di Belle, e il fatto che avesse ripreso a dargli del voi – come se si preparasse a dirgli addio – penetrò nel suo animo come un chiodo di ghiaccio mentre, per contro, il sorriso luminoso della ragazza lo riscaldava in ogni parte del corpo: “Sono libera?”   
“Belle, vi prego” la Bestia strinse convulsamente la mano sullo schienale della sedia accostata alla toletta per trattenersi dalla brama di distruzione che gli cresceva nello stomaco, dal dolore che minacciava di sopraffarlo: “Vi prego, non costringetemi…a… ridirlo” il suo tono sapeva di supplica: “Siete libera”.
E non sarebbe tornata mai più. Era talmente palese che non occorreva nemmeno porsi la domanda. Non dubitava della sua lealtà, ma era umano rifuggire da un mostro e dal suo antro tenebroso, era sano. E in fondo…era meglio per lei. Se fosse davvero tornata… ah, avrebbe rischiato di non lasciarla andare mai più.
Salvati, salvati da me.
“Oh, Bestia!”
La fanciulla gli volò incontro, gettandogli le braccia al collo senza la minima esitazione, e di colpo, nel giro di un battito di ciglia, egli si ritrovò sommerso da un profumo femminile e inebriante che gli assaliva le narici con intensità prorompente, dal calore dello snello corpo che gli si premeva contro e dalla soffice morbidezza dei capelli d’oro che gli solleticavano la mandibola. Il fiato gli rimase strozzato in gola, gli arti si paralizzavano mentre Belle, la sua amata Belle, lo abbracciava quasi fosse un uomo normale e ripeteva, tra singhiozzi misti a risate: “Grazie, grazie!”
Aveva dovuto permetterle di andarsene per vederla davvero felice.
Non mi amerà mai.
Ma lo stava abbracciando. Ed era… bello. Era troppo bello. Da quando qualcuno non lo abbracciava? Nella sua vecchia vita aveva giudicato tutti troppo indegni per arrivargli tanto prossimi, e da quando era diventato una bestia la repulsione aveva impedito ogni contatto fisico. Solo che non c’era repulsione nell’abbraccio di Belle. C’erano…pace, e fuoco, e fiamme. Le sue membra sembravano bruciare sfiorando quelle di lei e il sangue gli scorreva pesante nelle vene mentre sollevava le dita tremanti e le accarezzava la schiena.
Non posso lasciarla andare. Semplicemente, non posso.
Bruscamente, si obbligò a prenderla per gli avambracci e a scostarla da sé.
“Andate” disse concitato, guardandola avidamente negli occhi: “Andate subito, prima che… prima che io vi trattenga”.
E faccia cose per cui poi mi ucciderei.
Giacché la amava più di se stesso, ma era pur sempre un mostro, nell’animo e nell’aspetto.
Ella appariva perplessa: “Non volete neanche che…”
“No!” dalle zanne fuoriuscì un mezzo ringhio: “No, andate e basta. Io…me la caverò. Ma andate, vi prego. Belle, vi prego” soggiunse, per assaporare un’ultima volta il suo nome sulla lingua.
Non avrebbe dovuto – se voleva che lei fosse salva del tutto, avrebbe fatto meglio a tagliare definitivamente i ponti, ma non era mai stato una persona disinteressata – tuttavia la tentazione fu troppo forte ed estrasse dalle pieghe del mantello un semplice anellino d’oro, schiudendo con estrema delicatezza il palmo della giovane e depositandocelo sopra.
“Portatelo con voi” spiegò, mangiandosi le parole per l’agitazione: “Se vi addormentate con esso sul tavolino da notte…vi permetterà di raggiungere la vostra casa, ed eventualmente…eventualmente questo maniero. Serbatelo con cura”.
Belle lo strinse, sperduta e – possibile? – triste: “Lo farò”.
Il corpo e la mente sfuggivano al suo controllo, scalpitavano per afferrarla e impedirle di andarsene, ma l’amore ne imbrigliava la violenza: “Belle, io…”
Vi amo. Senza di voi non sarei cambiato. Senza di voi questo non lo avrei mai fatto.
A che serviva ammetterlo, se non a rendere la situazione ancor più penosa e legare quella poverina al suo infausto e crudele destino?
Voglio che sia legata a me.
No. Voleva che fosse felice.
“Tornerò, ve lo prometto” mormorò Belle con la voce rotta. Piangeva per lui?
“Non promettere” replicò, tremando come una foglia: “Non promettere e non farmi sperare. Va’ via e basta”.
“Io…”
“VATTENE!”
Corse fuori dalla stanza, la bestia. Corse sulle quattro zampe come un animale, svanendo nel dedalo gorgheggiante di corridoi e nelle tenebre da cui era stata partorita, e si lasciò alle spalle la donna di cui era innamorato, la donna che non avrebbe mai avuto, la donna che avrebbe desiderato trattenere con la forza ma che non avrebbe sfiorato neppure con un dito…
Perché aveva imparato ad amare.
 
Angolo autrice: Da cosa nasce questa roba? Da una riflessione che ho fatto stamattina invece di studiare per l’esame XD La riflessione è la seguente: in quasi tutte le versioni della mia fiaba preferita, la Bestia lascia andare la Bella con molta naturalezza, soffrendo sì, ma non esitando, non mostrando particolari dilemmi interiori. Lo fa e basta. Però non bisogna dimenticare che non si tratta di una persona buona ma di un individuo viziato, crudele ed egoista, un individuo che disprezzava il mondo intero e avrebbe lasciato morire una vecchia signora nella tormenta senza pensarci. Un individuo che deve essere trasformato in bestia per imparare ad amare. Finora ci si è interrogati molto sulla questione di come Belle sarebbe arrivata ad amare lui, ma che lui amasse Belle appariva, a mio parere, un fatto scontato, su cui non si rifletteva troppo. Però la formula era proprio “Se avesse imparato ad amare e a farsi amare a sua volta”, e in fondo, mi sono detta, la prima parte della prova deve essere difficile quanto la seconda.
Da qui è nata la seguente roba. Dubito di essere riuscita nel mio intento, ma volevo provare a soffermarmi su come l’amore per Belle entrasse in contrasto con il carattere crudele ed egoista della Bestia e rendesse la famosa decisione di lasciarla andare una vera e propria battaglia interiore, l’apice del cambiamento del principe che solo vincendo i propri desideri personali impara davvero ad amare, ma che lo fa con difficoltà, e che fino all’ultimo tentenna ed è in balia dei suoi stessi scatti e sbalzi d’umore. Mi rifaccio alla versione tradizionale della favola, non a quella Disney – anche se ho buttato lì un riferimento ad essa e al Fantasma dell’Opera ;) – e ho descritto Belle bionda perché nelle illustrazioni che mi è capitato di vedere lei appare sempre come una fanciulla dai capelli chiari e gli occhi azzurri.
Che ne pensate? Spero davvero tanto che mi farete conoscere il vostro punto di vista! Critiche e consigli bene accetti :D
Un bacione grande,
Sylphs
 
 
  
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