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Autore: Maharet    06/09/2014    0 recensioni
Una voce, nella sua testa, aveva iniziato a sussurrarle che la stava prendendo in giro. Una voce che aveva il tono duro e cinico di suo fratello quando le ripeteva che era sempre stata brava a mettersi nei guai. Lei l’aveva ignorata, all’inizio, legando con le proprie mani la pesante benda di velluto nero che le impediva di vedere quello che stava succedendo davvero.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non era previsto, Alexander. Dopo che lei se n’era andata – non riusciva ancora a pronunciare il suo nome senza che un fiotto acido di delusione e rimpianto le risalisse lungo la gola – aveva giurato a sé stessa che non ci sarebbe più ricascata. L’amore non faceva per lei, si era detta, e quindi lei non avrebbe più rincorso inconsistenti miraggi di una felicità a cui palesemente non era destinata. Per qualche mese era andata bene, era riuscita a non lasciarsi mai coinvolgere, abbandonandosi ad una serie di avventure che la sera le permettevano di andare a dormire stanca ed appagata, senza l’ombra di un pensiero a turbare i suoi sogni. Poi era arrivato lui. Veleno ricoperto del miele più dolce, aveva risvegliato con frasi romantiche e gesti ad effetto la sognatrice che aveva sepolto dentro di sé. Era stato tutto veloce, troppo veloce. Avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava. Dal primo bacio a due spazzolini nel bicchiere sul lavandino era passato appena un istante, e lei si era ritrovata invischiata in qualcosa che non avrebbe mai dovuto nascere, perché portava già in sé il germe della propria distruzione.

Le cose avevano iniziato a cambiare poco a poco, talmente piano che quasi non se n’era resa conto, all’inizio. Lui aveva preso a rientrare sempre più tardi, la sera. L’ufficio lo stava uccidendo, le diceva infilandosi nel letto accanto a lei e dandole un bacio leggero, più simile a quello di un fratello che di un amante. Aveva tolto la suoneria al telefono, per non disturbarla, diceva, quando riceveva messaggi e chiamate di lavoro a qualsiasi ora del giorno e della notte. Infine aveva preso a fermarsi a dormire nel suo appartamento, che era più vicino all’ufficio, così non l’avrebbe svegliata rincasando a notte fonda ed alzandosi all’alba il giorno successivo. Una voce, nella sua testa, aveva iniziato a sussurrarle che la stava prendendo in giro. Una voce che aveva il tono duro e cinico di suo fratello quando le ripeteva che era sempre stata brava a mettersi nei guai. Lei l’aveva ignorata, all’inizio, legando con le proprie mani la pesante benda di velluto nero che le impediva di vedere quello che stava succedendo davvero. Finché, invece del suo ragazzo, quella dannata sera era arrivata soltanto una e-mail.

Ricordava davvero poco, di quei giorni. Piccoli flash, frammenti di un tempo che all’improvviso aveva preso a scorrere in maniera sottilmente diversa. Il soffitto della sua stanza, ancora tappezzato delle stelline che aveva attaccato Angeline, dichiarando che avrebbero illuminato le loro notti insieme. Sirius, che all’inizio aveva cercato di strapparla al suo torpore, e si era infine arreso, accovacciandosi contro il suo stomaco e lasciandosi stringere, facendo le fusa. Il telefono che squillava ininterrottamente, nella stanza accanto. La suoneria le giungeva alle orecchie debole, quasi ovattata. Infine Tristan, che entrava nella stanza come una furia, urlando frasi che non era riuscita a cogliere, intontita. L’aveva strappata quasi a forza al bozzolo di coperte in cui era avvolta e l’aveva sollevata di peso, portandola con sé nel piccolo bagno e depositandola nel box doccia. Neppure il tempo di realizzare cosa stesse facendo e l’acqua gelata l’aveva investita, inzuppando gli abiti stropicciati e strappandole un grido. Era la prima volta che udiva la propria voce da giorni, e le era parsa estranea, come se non le appartenesse più.

Tristan l’aveva tenuta ferma sotto il getto d’acqua, mentre lei lottava con tutte le sue forze, ricoprendolo di insulti e tempestandolo di pugni che il giorno dopo avrebbero dato vita, sotto il suo sguardo carico di rimorso, ad una serie di lividi bluastri sulla pelle candida del fratello. Eppure non aveva fatto una piega, lo sguardo duro e freddo, lasciandosi colpire, permettendole di riversare fuori, insieme alla rabbia, tutto il veleno che aveva accumulato dentro di sé. Solo quando le urla si erano trasformate in singhiozzi aveva chiuso l’acqua e le aveva permesso di uscire, stringendola a sé mentre inzuppava la sua maglietta di acqua e lacrime, aggrappandosi a lui come se fosse l’unico punto fermo in un mondo le che stava crollando addosso. L’aveva portata davanti allo specchio, mostrandole quello che vedeva, quello che lei stessa non poteva che osservare stupita, un gelo che non era causato dai vestiti zuppi a stringerle il petto. Non era il modo in cui gli abiti le aderivano addosso, mettendo in risalto i contorni di un corpo che non le era mai sembrato così magro, né le pesanti ombre violacee che le circondavano gli occhi. Era il suo sguardo, fisso e torbido, uno sguardo che non riconosceva e che, se l’avesse visto negli occhi di un estraneo, le avrebbe fatto scorrere un brivido gelido lungo la schiena.

Si era girata nuovamente verso di lui, voltando le spalle a quell’immagine che non poteva accettare. Lei era sempre stata forte, non aveva mai permesso a nulla di spezzarla. Non sarebbe stato un uomo che non meritava neppure tale appellativo a distruggere ciò che aveva impiegato anni a costruire. Si era rifugiata nuovamente tra le braccia del ragazzo, di quel fratello che aveva abbandonato qualunque cosa stesse facendo per correre da lei. Potevano litigare, urlarsi contro, non parlarsi per giorni. Ma in cuor suo sapeva che lui non le avrebbe mai negato il suo appoggio quando avesse avuto davvero bisogno di lui. L’aveva stretto forte, cercando di ritrovare in sé stessa la forza che Alexander non era riuscito a strapparle del tutto. Tristan aveva ricambiato il suo abbraccio, cullandola. Tu ci sarai sempre, aveva pensato confusamente in quel momento. Non cadrò mai abbastanza in basso da impedirti di venire a riprendermi.
   
 
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