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Autore: _Mikan_    06/09/2014    4 recensioni
Capelli neri come la pece ed occhi azzurri come il ghiaccio. Questo caratterizza Margaret, oltre ad una passione smisurata per la natura. Ed è proprio in mezzo al verde che questa drammatica storia si apre, ricordando i bei momenti passati col padre defunto, accanto al proprio cane Calzino.
*Dal testo*
Mamma si avvicinò alla scura scrivania "da lavoro" o così la definivo io.
Era ancora in disordine con mille fogli sparsi un po' dappertutto.
Delicatamente sfiorò dei disegni con le dita.
Si soffermò su uno in particolare: raffigurava una donna seduta su una grande pietra.
Lo sfondo era un meraviglioso giardino con rose di ogni tipo. C'era perfino una fontana.
Ma le vere protagoniste erano delle ali bianche con piume candide e morbide.
Mamma prese il foglio e lo avvicinò per osservarlo meglio.
Ciò che più la ammutolì furono dei bellissimi capelli lunghi, lisci come la seta e di un nero come il carbone.
Si portò la mano alla bocca.
"Non è possibile."-Disse perplessa-"Non può averlo scoperto."
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si stava bene.

Anche se era un giorno d’agosto, la dolce carezza del vento lo rendeva sopportabile.

In più, quel posto era fantastico. Il mio corpo appoggiato sull'erba morbida e quella rimanente che si muoveva al richiamo del vento, che smuoveva anche le foglie degli alberi.Il cinguettio degli uccellini era stupendo, così come i raggi solari che toccavano la pelle, regalandoti dei minuti di felicità e calore; il tutto equilibrato dall'armonioso cielo azzurro, con tanto di nuvole dalle forme più particolari che si muovevano lentamente, ma con passo deciso.

“Così fragili e così belle. Chissà, magari anche buone, dopotutto assomigliano allo zucchero filato.” Questo mi ripeteva sempre mio padre, quando tutte e due ci sdraiavamo su quel paradiso a contemplare le nuvole. Anche le stelle ci piacevano. Soprattutto ci piaceva pensare che loro c'erano sempre per noi: ovunque eravamo, potevamo rimanere uniti grazie ad esse.
“Se un giorno saremo distanti, alza gli occhi e osserva il cielo, giorno o notte che sia. Le dolci nuvole e le romantiche stelle ci uniranno per sempre.”
Si, anche questa era un'altra di quelle cose che il babbo mi ripeteva sempre e non ho mai smesso di crederci, anche allora che avevo sedici anni.

Quel posto, quell'immenso prato circondato dal bosco, era il nostro rifugio. Più tardi però, diventò solo mio.

Purtroppo un incidente portò via la vita di mio padre. Avevo sette anni quando successe. Fu uno shock per me, gli volevo un bene dell'anima ed era, oltre a una figura paterna, il mio migliore amico. Con lui condividevo ogni cosa e mi insegnò fin dal piccola tutto quello che sapeva sulla natura, noi che l'amavamo così tanto, se no non si spiegherebbe un trasloco in mezzo a tanto verde. 
Inoltre, ero abbastanza grande per non credere a storie come “Papà è partito, ma tornerà presto”, per non tornare mai più. Per questo motivo mi fu detto tutto fin da subito e mi rinchiusi in me stessa, portando una maschera di sorrisi per non far preoccupare la mamma.
In realtà, quella che più aveva bisogno di aiuto era lei: avrebbe dovuto trovare un lavoro in così poco tempo e con così poco preavviso, tra il dolore della perdita di suo marito. Non dimenticherò mai quelle sue notti insonni sul tavolo della cucina, tra i debiti e le mani fra i capelli, per poi dirmi: “Va tutto bene, non ti preoccupare: la mamma si prenderà cura di te”. 
Quello che in realtà non le ho mai confessato è che le vedevo benissimo le borse sotto gli occhi, anche con tutto il trucco per nasconderle e soprattutto notavo gli occhi rossi e gonfi per le lacrime versate la notte.
Perciò non potevo permettermi di lamentarmi o piangere: dovevo essere forte per appoggiarla; lei che stava facendo così tanto per me non meritava altre preoccupazioni e problemi. 
Fortunatamente poco dopo ci riprendemmo: la mamma trovò lavoro nel paese vicino e anch'io divenni una normale studentessa delle superiori, nello stesso paese.


Quel giorno mi stavo godendo più che mai il mio rifugio. Con me c'era anche il mio cane, Calzino. Lo chiamai così perché era marroncino con una macchia bianca nella zampa anteriore destra che sembrava, appunto, un calzino. Come se il nome non fosse abbastanza, a volte lo chiamavo “Pantofola” per la brutta abitudine di infilarsi dentro le pantofole della mamma che si infuriava parecchio nel ritrovarsi i peli dell'animale nei piedi. Io, ovviamente, morivo dalle risate.
Ricordo che nella mia mente giravano frasi come: “A sedici anni stai ancora a giocare?” oppure “Ormai sei grande! Smettila di oziare e dammi una mano!”
Io mi infuriavo parecchio: non poteva certo sapere cosa si provava senza prima averlo testato. Ah, le madri!
Una senzazione magnifica come la libertà, non la si può descrivere: bisogna viverla per capirla.
Inolte, quando la natura si impossessava di me, mi sembrava di avere accanto mio padre e questo mi rendeva così felice da poter superare ogni prova.


All'improvviso Calzino iniziò ad abbaiare energeticamente.
“Ehi, cosa ti prende Calzino? Sta buono!”
Sembrava come se ci fosse veramente qualcuno, ma per quanto io mi sforzassi per capire, riuscivo a vedere solo un cane che abbaiava al vuoto.
“Che ti prende?! La finisci?”
Ero incuriosita, ma anche spaventata. Magari c'era qualche serpente nell'erba alta: non erano rari.
Presi un grosso ramo dal terreno e iniziai a sbatterlo più forte che potevo, provocando delle vibrazioni che avrebbero fatto scappare il serpente, sempre se effettivamente c'era. Anche dopo “il piano anti – serpenti” Calzino non smise di abbaiare. Ma cosa accidenti aveva quel giorno?
Forse qualche ultrasuono l'aveva spaventato, ma era di più del solito spavento: anche con il suo pelo marroncino, riuscivo a vedere i suoi muscoli tesi, le orecchie, anch'esse ricoperte di peluria, restavano in alto, immobili e la sua figura se ne stava davanti a me, come se il suo obbiettivo era quello di proteggermi.
Inoltre, presi Calzino all'età di dieci anni, perciò conoscevo molto bene i suoi movimenti. Per qualche strano motivo, quando voleva difendermi da qualcuno o qualcosa, la sua zampetta bianca rimaneva leggermente alzata. Non ho mai capito il vero motivo, ma quelle erano le sue abitudini.

Non avevo più dubbi: mi stava difendendo da qualcuno. Ma … da chi?

   
 
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