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Autore: George Herald    07/09/2014    0 recensioni
James e Sid sono due ragazzi completamente diversi. Il primo abita a Londra, l'altro a Liverpool. Non si conoscono e hanno poco in comune. si incontreranno per caso su una nave mercantile e partiranno per un viaggio verso l'America. Un viaggio che li porterà ad affrontare la vita, la difficoltà del crescere, la voglia di trovare se stessi e l'amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Muri grigi,banchi grigi, tetti e porte grigie. Il cielo è grigio, ma la luce del sole appare quando meno te l’aspetti. E tutto può colorarsi.


 


 

Sid Wiston si avviava a passo lento con lo zaino in spalla verso la stazione. Canticchiava ( più che un canto era un lamento) una triste ballata dal sapore di un’ altra epoca. Indossava due felpe ma, a causa del suo corpo esile, il freddo di metà Dicembre gli gelava il sangue nelle vene e gli faceva colare il naso. Tra un colpo di tosse e l’altro, molto lentamente, tirò fuori una sigaretta dal pacchetto di Camel e se l’accese. Il sapore del tabacco gli fece brontolare lo stomaco e una sottile sensazione di nausea si propagò per tutto il corpo.

Sono stanco

penso Sid.

Effettivamente era stufo marcio della sua vita, monotona e priva di stimoli. Si sentiva estremamente solo. Certo, in realtà era pieno di “amici” con cui passare il sabato sera, con cui “sballarsi”, ma era ormai da troppo tempo che la solitudine l’aveva avvolto. Il rumore del treno sui binari spezzò le sue fantasticherie. Buttò a terra la sigaretta e, con sguardo basso, salì sul treno.

Il treno procedeva velocemente sui binari attraverso la campagna inglese. Enormi distese di campi si allungavano per svariati chilometri, Sid si ricordò di quando adorava i colori invernali e di come passava le ore con gli occhi fissi sul paesaggio. Pareva fosse qualcosa appartenente ad un'altra vita. Ora tutto gli sembrava triste e spoglio, privo di qualsiasi sentimento. Nei pochi istanti in cui il treno entrava in una galleria riuscì a vedere il suo riflesso nel finestrino. Aveva degli occhi grigi e spenti, i lineamenti del suo viso erano spigolosi e scarni, i suoi capelli,biondo cenere, erano sempre arruffati, aveva l’aspetto di uno che si è appena alzato dal letto. La locomotiva, con un stridulio di freni, si fermò e Sid scese ad occhi spenti accendendosi un’altra sigaretta.


 

James Lee, come ogni mattina, era alle prese con una vecchia automobile e il suo motore fuori uso. James, una volta espulso da un’importante scuola cattolica di Londra, andò a lavorare nell'officina di suo padre. L’espulsione era dovuta al fatto che James era stato beccato a imbrattare la macchina del preside Cavendish con foto poco ortodosse e scritte provocatorie del tipo: “Lee domina brutto stronzo”. Dopo questo fatto James venne espulso su due piedi. Frequentava il terzo anno e,a dir la verità, era sempre stato considerato uno “studente scomodo” .

  • James! Ricordati che domani dobbiamo riconsegnare quella fottuta macchina-

era la voce del padre, Robert. Era un omone sui cinquant’anni, alto e robusto. Il suo viso, duro e rugoso, era molto spesso rossastro a causa del suo vizio, l’alcol. Robert aveva incominciato a darsi all’alcol dopo la morte di sua moglie, nonché della madre di James. Le sere che suo padre tornava a casa ubriaco lo aiutava a salire le scale e a metterlo a letto. Non era mai stato violento nei suoi confronti, non era mai stato picchiato dal padre anche nelle sere in cui aveva bevuto più del solito.

  • Si, si! Ho quasi finito – rispose James, urlando per farsi sentire.

  • Ah, quasi dimenticavo, ti voglio nel mio ufficio tra 10 minuti. Questa volta mi hai fatto veramente incazzare –

James non rispose. Sapeva cosa doveva dirgli suo padre. Da qualche mese ormai James aveva voluto mettere da parte un po’ di soldi per scappare. Ciò che molto probabilmente aveva fatto incazzare suo padre era il fatto che lo stava facendo spacciando Crack a Whitechapel Road. A James non era mai interessato del rischio che correva, ne tanto meno gli fregava dello stato pietoso con cui i clienti si presentavano da lui a chiedergli una dose. Lui vedeva solo i soldi che aveva tra le mani dopo una serata di “lavoro”.

James appoggiò la chiave inglese sul piano lavoro e si avviò con passo deciso verso l’ufficio di suo padre. L’ufficio ( se così si può dire ) era un angusto sgabuzzino allestito ad ufficio. Al centro della stanza c’era un tavolo ( molto probabilmente rubato da una discarica ) pieno di fogli, fatture, documenti di revisione, bollette da pagare e riviste porno. C’era solo una finestra che dava su Gun Street. Fuori pioveva a dirotto e si sentivano i rumori del traffico di Londra che, come spesso pensava James, non avrebbe mai smesso di sentire.

  • James, io non voglio seccature cazzo. Se vuoi spacciare quella merda fallo pure. A me non importa. Tu sei minorenne e,purtroppo, la responsabilità sul tuo culo ce l ho ancora io. Quindi, smettila di fare cazzate, non voglio finirenei casini. Pensa a lavorare piuttosto. –

James nonostante fosse abituato al menefreghismo di suo padre gli si contorceva comunque lo stomaco sentendo certe parole. Soffocò questa sensazione. Alzò lo sguardo verso il padre e disse:

  • Mi dispiace papà, d’ora in poi lavorerò solo nella tua officina –

  • Ah si? Non dire stronzate, quando mai hai fatto ciò che ti dicevo? James, torna a lavorare! Io vado in pausa ci vediamo stasera. Prima di tornare a casa passa a comprare la cena –

James sapeva benissimo che l’espressione “vado in pausa” significava “vado a sbronzarmi”. Il padre gli lascio 5 sterline sul tavolo e sbattendo la porta uscì dal suo ufficio.


 


 


 


 

  • Tesoro, come è andata a scuola? Togliti il giubbotto è pronto a tavola. – disse dolcemente la madre di Sid

Sid fece un verso e si avviò verso camera sua.

  • Sid! Dove sei? Veloce che si fredda. -

In realtà non aveva molta fame, ma entrò comunque in cucina e, accennando ad un veloce saluto, si sedette a tavola e ingurgitò a fatica il suo piatto di “fish and chips”. Non si ricordava l’ultima volta che aveva avuto fame. Forse era passato un mese, forse due. Proprio non si ricordava.

  • Come è andata a scuola? – gli chiese ancora sua madre

    Il solito mamma, tanti libri e infiniti discorsi . Ah, l’insegnante di matematica, il signor Moore, vuole vederti dice che è preoccupato perché troppe volte sono molto distratto -

L a madre non disse niente sul momento, si sistemò una ciocca dei suoi capelli rossi dietro all’ orecchio e, dopo aver fatto un lungo sospiro, disse con calma

  • Sid, quante volte ti ho detto di smetterla di fantasticare? Devi stare con i piedi per terra. Cerca di essere più concreto per favore. –

Sid soffocò, come era abituato, un impeto di ribellione e rispose con voce fioca

  • Si mamma, hai ragione. Farò del mio meglio –

Passarono il resto del pranzo in silenzio. Sid mangiò il più in fretta possibile e scappò in camera sua distendendosi sul letto. Probabilmente avrebbe dovuto studiare matematica o storia o fisica. Non gli importava. “Chi se ne frega” preferiva continuare a fantasticare. Si alzò lentamente, aprì la finestra, afferrò la sua Ashton acustica e si accese una sigaretta. Iniziò a suonare “ My Back Pages” di Bob Dylan e,intanto, si guardava intorno. La sua era una camera abbastanza piccola. I muri erano ormai coperti da poster degli Smiths, dei Cure, di Jonnhy Cash e da locandine di film come Pulp Fiction e The Godfathers. Al centro della stanza c’era il letto che puntualmente era disfato e coperto da vestiti usati o sporchi. All’altezza del cuscino c’era un comodino in cui Sid appoggiava i pacchetti di sigarette e i libri. Con il passare del tempo molti dei pacchetti erano caduti finendo sotto il letto e i libri formavano un alta piramide barcollante che spesso, durante la notte, finiva per cadergli in testa. La brezza gelida del vento invernale gli punse la nuca facendogli salire i brividi. Smise di suonare e si affrettò a finire la sigaretta per poi richiudere la finestra. La porta della camera si spalancò ed entro sua madre vestita per uscire.

  • Sid caro, io esco a fare la spesa. Studia, mi raccomando –

gli si avvicinò e si piegò per dargli un bacio sulla fronte.

  • E smettila di fumare. Lo sai che ti fa male –

detto questo uscì dalla camera lasciando aperta la porta. Sid si alzò per rinchiuderla e, una volta chiusa, si sedette ai piedi del letto raggomitolato con le ginocchia all’altezza del petto e le mani tra i capelli. Non sapeva perché, ma ogni volta che rimaneva in casa da solo sprofondava in una tristezza infinita. Si sentiva estremamente solo e aveva questa paura assurda: Sin da bambino, pensava che, dopo essere uscita per fare la spesa o quant'altro, sua madre non sarebbe più tornata e l’avrebbe lasciato veramente solo . Si avvicinò allo scaffale vicino al letto, quello in cui teneva tutti i suoi dischi e i suoi CD. Prese “Another Side Of Bob Dylan” e mise la vera versione di “My Back Pages Sid ripensò alla storia del cantante. Sollevò la testa e, fissando il poster di Kurt Cobain, cercò di ricordare le grandiosi storie dei suoi gruppi e scrittori preferiti. Si rese conto che tutti loro ad un certo punto della loro vita avevano fatto una scelta. Una scelta difficile,ma facendo ciò, avevano vissuto la loro vita al meglio. Certo, molti di loro erano morti giovani, ma nessuno poteva affermare che non avevano vissuto. Una idea pazza, “assurda” l’avrebbe definita sua madre, gli passò improvvisamente per la testa. I suoi occhi si illuminarono e si formò un timido sorriso sul suo viso. E se fosse scappato? Se avesse preso davvero una scelta? ma come avrebbe potuto? I suoi genitori che avrebbero pensato? No, non si poteva fare. Era un’idea troppo stupida, eppure sapeva benissimo che non voleva passare il resto della sua vita a Liverpool. Si accese l’ennesima sigaretta e chiuse gli occhi ricadendo nella tristezza.


 

Erano ormai le sei passate quando James abbassò la saracinesca dell’officina di suo padre avviandosi verso Whitechapel Road. Doveva ancora vendere qualche di grammo di Crack. Entrò nella Devil’s Tavern ( un locale mal frequentato ) ordinò una birra e un sandwich. Fuori aveva ormai fatto buio e le luci dei lampioni e dei Pub illuminavano la strada scoprendo volti di uomini e donne stanchi e distrutti che si muovevano silenziosi tra i marciapiedi. Qualche volta qualcuno allungava una banconota ricevendo in cambio una dose, altre volte qualcuno usciva da un vicolo buio con gli occhi a palla, tutto agitato. La porta del locale si aprì e un uomo magro avvolto in un lungo cappotto a doppio petto si avvicinò a James. Era il suo cliente.

  • Ce li hai i soldi? – gli chiese James in modo freddo senza guardarlo e dando un morso al suo sandwich al formaggio

  • Si, eccoli – rispose l’uomo tirando fuori una busta. James allungò la mano e la prese velocemente. L’aprì e contò i soldi. Erano giusti.

  • Ci sono tutti. Ecco ciò che ti spetta. – disse infine James allungandogli gli ultimi grammi di Crack che gli erano rimasti.

  • Grazie, amico – disse l’uomo scoprendo un sorriso inquietante e guardandolo con occhi luccicanti.

James accennò ad un sorriso e si alzò avviandosi verso il bancone. Aveva reso felice un altro tossico. Eppure non gli faceva ne caldo ne freddo. Lasciò una sterlina al barista e uscì. Fuori si gelava. Tirò su il cappuccio e abbassò il viso nel colletto della giacca coprendosi dal freddo. Si muoveva velocemente evitando di tanto in tanto altri uomini che andavano nel senso opposto.

Ho abbastanza soldi ormai

pensò James evitando un barbone collassato ai margini della strada.

Entro una, o forse due settimane sarò a New York

si disse

Il cuore gli batteva all’impazzata e sentiva le farfalle nello stomaco se pensava al fatto che un giorno, non troppo lontano, avrebbe girato tra Wall Street e Broadway guardando a bocca aperta gli imponenti grattacieli. Chissà chi avrebbe incontrato, chissà quali avventure avrebbe vissuto. Forse, al contrario, neanche a New York sarebbe stato felice

  • Niente può essere peggio di questo schifo -

sussurrò infine James scoppiando in una risata che non si preoccupò assolutamente di soffocare.

James svoltò in fretta verso Osborn Street fischiettando una vecchia canzone dei The Kinks. Era eccitato e non stava più nella pelle. Voleva tornare a casa a consultare mappe,piantine. Voleva viaggiare in nave attraversando l’atlantico. Dio, che avventura. Stava attraversando la strada, quando un’automobile gli sfrecciò accanto a luci spente quasi investendolo. L’auto sbandò per evitarlo e,dopo aver fatto un terribile testa a coda, andò a sbattere contro la saracinesca di un negozio. Il rumore dei freni e delle lamiere che si contorcevano fu assordante. La gente si affacciò curiosa alle finestre urlando, sussurrando:

  • Cos’è successo?

  • Qualcuno vada a vedere cos’è successo

  • Oh Dio! Chiamate un’ambulanza

James senza accorgersene stava già correndo verso all’impazzata verso l’auto. Era un istinto naturale, per James, quello di soccorrere le persone in difficoltà. Sin da quando sua madre era morta e suo padre aveva incominciato a bere. Era a pochi passi dall’automobile accartocciata e distrutta quando,dalle lamiere, strisciando, uscì un uomo sanguinante. Quell’uomo era suo padre. A James parve che il mondo avesse smesso di girare e il tempo di scorrere. Guardò suo padre e in un secondo, che sembrò durare un secolo, teneva la sua testa sopra le sue ginocchia. Aveva il naso sanguinante,il labbro rotto e gli occhi sbarrati. La parte inferiore del corpo era incastrata tra ciò che rimaneva della portiera. Scaglie di vetro gli perforavano l’addome facendo fuoriuscire una vasta pozza di sangue. Puzzava d’alcol, era chiaramente ubriaco.

  • Papà! Rispondimi, ti prego - urlò James in preda al panico

  • Papà andrà tutto bene. Dimmi che sei ancora … vivo -

    disse, poi, passando in lieve sussurro

  • James …

Disse Mr. Lee con voce fioca

  • Papà!

Esclamò James riacquistando un po’ di speranza

  • Non parlare, non ti affaticare. Ora chiamo l’ambulanza

Continuò accarezzandogli la guancia

  • No James, sto morendo.

  • Non dire cosi! Non pensarlo neanche

  • Ascoltami bene.

Continuò suo padre

  • Da quando tua madre è morta…

Tossì gravemente sputando sangue

  • Non sono mai stato un buon padre. Voglio che tu te ne vada, vivi la tua vita

  • Papà, tu non morirai!

Disse James trattenendo le lacrime. Quel “non morirai” gli sembrava una bugia, un qualcosa di irrealizzabile.

Mr Lee tossì ancora e prese fiato

  • Scappa da questa vita, per favore. Promettimi che te ne andrai! Prometti che vivrai la tua vita al meglio, che, nonostante gli sbagli, avrai sempre la forza di rialzarti. Perchè non è mai troppo tardi James. C'è sempre la possibilità di rincominciare da zero.

I suoi occhi emanavano bagliori di speranza e commozione

  • Lo farò, te lo prometto, ma ora stai tranquillo. Ti salvo io

Suo padre lo guardò e sul suo viso si formò una lacrima. Sorrise e disse

  • Aveva ragione tua madre. Sei un ragazzo fantastico

Il petto smise di alzarsi e abbassarsi e gli occhi si spensero. Era morto

James lo fissò per attimi, forse minuti, ma lui sembrò fossero passate ore. Si alzò e incomincio a correre. Corse come un forsennato. Non piangeva. Ancora non poteva crederci. Stava scappando dalla convinzione di essere rimasto veramente orfano. Non si era mai sentito cosi... solo. Sua madre era morta in ospedale e se l’aspettava ormai da mesi. Ma suo padre … beh pensava che suo padre fosse immortale. Pensava che sarebbe vissuto per sempre, che una volta che lui avesse finito di viaggiare sarebbe tornato per raccontargli delle sue avventure e insieme avrebbero vissuto uno accanto all'altro. Magari lui avrebbe trovato una moglie e messo su famiglia, mentre suo padre si divertiva a scoprire i benefici della vecchiaia. Corse per Commercial Road, girando poi in Cannon Street. Senza accorgersene stava correndo verso casa. Entrò in Wapping Lane e si ritrovò davanti alla porta rossa di casa sua. Le mani gli tremavano e gli caddero le chiavi. Dopo averle raccolte aprì la porta. Vi entrò in fretta e se la richiuse alle spalle . Sentiva il cuore in gola. La luce dei lampioni in strada si faceva spazio tra le persiane semi aperte e illuminavo il salotto. In preda all’agitazione James salì di corsa su per le scale entrando in camera sua.

Qualcuno mi aiuto

Aiuto

Ho paura.

Pensò James camminando freneticamente avanti e indietro per la stanza.

Non può essere successo veramente, non è possibile.

Il cuore era come una gran cassa che gli rimbombava in tutto il corpo. Gli mancava il respiro. James era arrabbiato. Arrabbiato con la vita, con il mondo, con quel destino orrendo che gli aveva portato via la famiglia. Avrebbe voluto correre via. Uscire di casa e scappare senza portarsi dietro nulla. Le ultime parole di suo padre gli martellavano nella testa, l'immagine del suo ultimo sorriso appariva ancora nitida davanti a suoi occhi.

Fanculo

Fanculo

Fanculo

Urlo James tirando un pugno al muro della sua stanza.

Ne tirò un altro, e poi un altro ancora, finchè il sangue incominciò a colare dalle nocche. tirò un’ ultimo ancora più forte e dopodiché scoppio in lacrime. Pianse per sua madre, per suo padre, per essere stato espulso da scuola, per aver spacciato Crack nell’ultimo mese, pianse per tutto. Le gambe incominciarono a cedere e si lasciò cadere sul letto. Si ricordò di quando suo padre l’aveva portato per la prima volta allo stadio a vedere Arsenal -Chelsea. Aveva comprato degli ottimi biglietti. L’Emirates Stadium era enorme. James aveva otto anni ai tempi e , a dirla tutta, era veramente un nano, ma quando suo padre lo prese e lo sollevò mettendolo sulle sue spalle. James lì in quel momento, si era sentito il bambino più fortunato del mondo.

Grazie papà

Pensò infine James prima di svenire sul letto.


 


 

La campanella che segnava l'inizio del' ultima ora suonò, risuonando tra i corridori della scuola. Sid entrò pigramente in classe, sedendosi silenziosamente al' ultimo banco. L'ora di Lettere era la sua preferita, ma quella mattina Sid si era svegliato con la luna storta (come succedeva da troppo tempo ormai) e quindi decise di limitarsi ad appoggiare la testa sul banco. Il professore parlava ormai da un ora, di metrica e figure retoriche, schematizzando dettagliatamente la costruzione di una poesia.

stronzate

pensò Sid mentre ascoltava di sfuggita l'infinito monologo del professore. Lui non pensava per niente che la poesia fosse una questione di rime, strofe e versi. Sonetti e canzoni erano la morte della poesia. Lui amava poeti moderni. Amava Ginsberg, Kerouac, Whitman. Sentendo quell'inutile spiegazione del professor Allen gli saliva il nervoso dalle unghie dei piedi. Non ce la faceva proprio, ma cosa avrebbe potuto fare? Alzarsi e urlare che erano tutte stronzate? Troppo faticoso e inutile. Sid, semplicemente, si vergognava troppo. Cosa serve sapere cosa dire se poi non hai il coraggio di farlo?

- andate a pagina 66.

disse il professor Allen

Sid non si mosse, diede una sbirciata sul libro del compagno di fronte e lesse:

Jack Kerouac (Sulla Strada)

Adesso considera un po' questi qua davanti. Hanno preoccupazioni, contano i chilometri, pensano a dove devono dormire stanotte, quanti soldi per la benzina, il tempo, come ci arriveranno... e in tutti i casi ci arriveranno lo stesso, capisci. Però hanno bisogno di preoccuparsi e d'ingannare il tempo con necessità fasulle o d'altro genere, le loro anime puramente ansiose e piagnucolose non saranno in pace finché non riusciranno ad agganciarsi a qualche preoccupazione affermata e provata e una volta che l'avranno trovata assumeranno un'espressione facciale che le si adatti e l'accompagni, il che, come vedi, è solo infelicità, e per tutto il tempo questa aleggia intorno a loro ed essi lo sanno e anche questo li preoccupa senza fine.

Sid e il professore finirono di leggere nello stesso momento. Solo che il ragazzo era stato in silenzio, assaporando quelle parole nella sua testa, invece , il professore aveva enunciato questo monologo con grande enfasi, ma pochi lo avevano realmente ascoltato. Forse solo Sid ne era rimasto veramente colpito. Il professore posò gli occhiali sulla cattedra e fece un sorriso alla classe. I suoi occhi anziani brillavano ancora. Le sue mani tremavano e le gambe erano fragili. Il signor Allen aveva bisogno di un bastono per poter camminare senza cedere al peso della vecchiaia, ma i suoi occhi... i suoi occhi splendevano ancora di luce propria, come se la poesia e la letteratura ricaricassero la sua anima, proprio come la benzina per le macchine. Sid, che fino ad allora era convinto che il professore fosse banale e scontato, si dovette ricredere. Alzò la testa dal banco e fisso il Signor Allen.

- rileggetelo bene questo pezzo di Sulla Strada -

inizio il professore

- settimana prossima faremo un compito scritto su questa passaggio.

Sid rimase deluso,s'aspettava qualcosa di più. La classe sbuffò, ma non si lamentò più di tanto poiché la campanella che annunciava la fine della giornata suonò. Una massa indefinita corse fuori dalla classe mentre Sid semplicemente arrancava verso il bagno. Aveva l'abitudine di passare sempre un po' di tempo chiuso nel bagno della scuola quando tutti gli altri ragazzi erano andati via. Strano e bizzarro a dirlo, ma la toilette gli dava uno strano senso di sicurezza. Si sedette e fissò la porta. Prese l'Ipod dalla tasca e si mise le cuffie. Scorse la vasta libreria musicale per un importante lasso di tempo e poi decise: All I Want dei Kodaline. Un attimo prima il silenzio tombale e, in un istante. la chitarra e la voce di Steven Garrigan risuonavano nella sua testa. Era sembra qualcosa di assolutamente rilassante passare da un inquietante silenzio ad una melodica canzone come quella che stava ascoltando. Amori perduti era ciò che penserebbe un qualunque ascoltatore sentendo All I Want. Sid ci vedeva di più. Ci vedeva la speranza di una vita più stimolante, che più si avvicinava alle sue mille fantasticherie. Quel giorno, però, la voce del professore Allen gli risuonava ancora nella mente. Ripensò a quando aveva enunciato lo scritto di Kerouac. Non aveva ancora letto “Sulla Strada”. Voleva aspettare ancora. Aveva letto “Tristessa” e “I Sotteranei” di quel pazzo scrittore americano. Aprì lo zaino e tirò fuori il libro di poesia e andò a pagina 66. Rilesse attentamente quel pezzo. Steven Garrigan urlava ancora malinconia. Le righe e le parole di quel romanzo, scritte in piccolo sul libro, parlavano di gente persa e ansiosa. Imprigionata in una gabbia invisibile costruita dalla folle società in cui vivono. Sid ci vedeva il futuro del umanità. Più lo leggeva, più si sentiva terribilmente arrabbiato. Quella rabbia che sentiva esplodere nelle vene, quella rabbia che gli faceva battere il cuore mandandolo in tacchicardia. Non resisteva. Quando leggeva pensieri come quello di Kerouac gli veniva voglia di urlare, urlare a squarciagola.

le loro anime puramente ansiose e piagnucolose non saranno in pace finché non riusciranno ad agganciarsi a qualche preoccupazione affermata e provata e una volta che l'avranno trovata assumeranno un'espressione facciale che le si adatti e l'accompagni, il che, come vedi, è solo infelicità, e per tutto il tempo questa aleggia intorno a loro ed essi lo sanno e anche questo li preoccupa senza fine.


 

Sid era li, Immobile mentre All I Want finiva. Le parole dello scrittore ancora sospese nel aria quando il telefono gli squillo'. Era sua madre.

- pronto

disse lui innervosito

- ciao tesoro, volevo sapere come stavi?

Rispose sua madre nel suo solito tono allegro

- si mamma, tutto a posto. Devo andare ora

- no aspetta!

Disse lei poco prima che Sid riattaccasse

- io e tuo padre siamo molto preoccupati per te. Ti vediamo sempre molto arrabbiato e triste. Noi ti vogliamo bene, non vogliamo che tu stia male. Abbiamo pensato che magari qualche volta sarebbe meglio se provassi ad andare da uno psicologo. Niente di importante, solo qualche seduta.

Sid rimase in silenzio. Teneva lo sguardo sulle sue scarpe pronto a dire a sua madre che, per niente al mondo sarebbe andato da uno strizza cervelli.

- Sid tesoro ci sei?

- Si mamma va bene. Ci sentiamo quando torno a casa.

Riattacco' sentendo in lontananza la voce della madre che diceva ti voglio bene.

   
 
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