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Autore: The Lady of His Heart 23    07/09/2014    1 recensioni
Daiana Reynols è una ragazza da poco diciottenne che si trasferisce con sua madre in una nuova città a causa di un divorzio dovuto all'infedeltà del padre. Durante il trasloco ritroverà in una scatola una vecchia play con cui passerà ore a giocare nel tentativo di distrarsi e non pensare alla difficile situazione familiare in cui si trova. Questo si trasforma in una passione che condividerà con Drake, vicino di casa. Quando una sera i due si incontrano per sfidarsi, Daiana proporrà un nuovo videogioco che ha noleggiato al negozio vicino casa. Ma il gioco si rivelerà più di un semplice gioco e i due ci si ritroveranno immersi dentro completamente ....
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Osservo il cielo chiaro e limpido davanti a me. Ha un colore strano, dolce e intenso. E’ azzurro ma anche bianco, è chiaro ma anche scuro. Vi sono infatti delle sfumature violacee che gli conferiscono un colore alquanto gradevole. Mi ricordano tanto il vino che a pasqua papà fece cadere sul tavolo sporcando la tovaglia bianca. Il tutto è accompagnato da leggeri batuffoli rosa e gialli che lo rendono ancora più intrigante. Il sole, nascosto dietro enormi nuvole colorate cerca di farsi spazio tra esse sprigionando i suoi raggi, quasi come a voler dire “Hey ci sono anch’io!”. E’ così piccolo che sembra un’ostrica seppellita dalle nuvole in fondo al cielo. Sospiro e premo il pulsante del finestrino che si abbassa al mio comando. Nonostante le continue prediche di mamma riguardo al fatto che non dovrei sporgermi, decido di ignorare ogni avvertenza e mi appoggio con le braccia allo sportello sporgendo la testa fuori.
“Torna dentro” mi dice mamma in tono quasi scherzoso, ma so che è seria. Nonostante tutto non le do ascolto, non posso darle ascolto. Sono troppo presa dalla brezza fresca che sfiora il mio viso e mi accarezza la pelle. Resto immobile mentre osservo case e palazzi addossati l’uno all’altro allontanarsi dalla mia visuale cercando con disperata attenzione di immedesimarmi in ogni persona del posto, di catturare ogni momento, ogni frammento di luce soffuso, ogni riflesso. Mi mancherà questo posto. Mi mancherà la mia città, mi mancheranno i miei amici e mi mancherà la mia casa.
“Daiana non voglio ripetertelo ancora.”disse mia madre in tono di comando concedendomi un ultimatum. Sospirando rientrai e mi lasciai cadere all’indietro sprofondando nei polverosi sedili in pelle dell’auto che un tempo apparteneva a mio nonno. Mentre socchiudo il finestrino noto che mamma ha lo sguardo rivolto verso di me. Faccio finta di niente per cercare di non guardarla, dato che non sarei in grado di sostenere un altro sguardo rimproveratore.
“Ti va se mettiamo un po’ di musica?”mi chiese in tono gentile. Io alzo le spalle in segno di indifferenza e lei si sporge per accendere la radio. Ci impiegò un po’ a capire come funzionasse e più di una volta distolse lo sguardo dalla strada per cercare di accenderla. Facciamo appena in tempo a scansare un tizio in bici che parte la musica. L’auto è vecchia e impolverata con dei sedili foderati in pelle rossa. Sul sedile posteriore vi è un’enorme coperta marrone molto trasandata che nasconde una serie di graffi e tagli ben visibili sui sedili. Lo sterzo è foderato di una pellicola in pelliccia sintetica leopardata. Appeso allo specchietto retrovisore vi è una bambola vudu molto inquietante fatta con spago e bastoncini di legno. Ha un solo occhio e delle piume attaccate ai piedi. Sta appesa per il collo come se fosse impiccata e ironia della sorte ha una maglietta con su scritto “gioia”. Dentro il cassetto del sedile anteriore accanto al posto di guida vi sono delle bottiglie di birra e dei pacchetti di sigarette vuoti.Ho sempre odiato quell’auto. Ricordo ancora l’imbarazzo che provavo ogni giorno quando il nonno mi veniva a prendere a scuola per portarmi a danza. Danza, un’altra cosa che non mi paiceva.Non è che la odiassi il punto e che mi sentivo sempre a disagio come se quello non era il mio posto. Le altre ragazze erano aggraziate, coordinate e delicate io invece assomigliavo a un elefante coi pattini. No che fossi grassa ma avevo le caviglie troppo grosse i fianchi sproporzionati e le cosce troppo rigide, sembravo più una ginnasta che una ballerina. Quando il nonno è morto ha lasciato a mamma l’auto. Fosse per me l’avrei rottamata subito o almeno ripulita. Ma a mamma piace così com’è e la custodisce come se fosse un cimerio di famiglia super prezioso da proteggere a ogni costo. Onestamente non ci vedo nulla di speciale. E’ un auto vintage, un pezzo antico, certo, ma è orribile. In compenso però lo stereo è decente, molto carino. Di un bianco acceso che spicca tra il rosso dei sedili in pelle. Partì una canzone strana che non avevo mai sentito che venne subito interrota da strani rumori e turbolenze varie. Rettifico, anche la radio fa schifo. Sospiro rassegnata passandomi una mano tra i capelli sudati dietro la nuca. No, non c’è l’aria condizionata e mamma non vuole che tenga aperto il finestrino. Primo perché non vuole scompigliarsi i capelli con il forte vento, secondo perché non vuole che io mi sporga e terzo perché non vuole scompigliarsi i capelli. Ero così immersa nei miei pensieri che bastò un semplice trillo per riportarmi alla realtà con i piedi per terra. Aprii la borsa alla ricerca del cellulare.
“E’ tuo padre?”mi chiese mamma. Io annuii leggendo il nome sul display. “Non rispondere, metti silenzioso”disse e io ubbidii. Chinando la testa rimisi il telefono in borsa e senza farmi notare sollevai lo sguardo. Notai che mamma stringeva lo sterzo tra le mani con forza. Degludii guardando altrove. Mamma nutre ancora dei forti risentimenti nei confronti di papà. Il che è plausibile dato il suo tradimento. Quel pomeriggio infatti si scatenò il putiferio, ma in un certo senso mi sento responsabile dell’accaduto. Perché tutto ciò che accade è una diretta conseguenza delle nostre azioni, ed è l’insieme delle nostre scelte e dei nostri errori a determinare chi siamo. Ogni singola scelta, ogni singolo pensiero, ogni singolo gesto, decisione o sbaglio, vanno a incastrarsi come tanti piccoli tasselli di un puzzle a formare il nostro destino. Sapevo che qualcosa non andava, avrei dovuto capirlo dal semplice fatto che mio padre non c’è mai stato per me. Era sempre fuori per lavoro. Un giorno mentre frugavo nella sua borsa alla ricerca di un temperamatite trovai un rossetto. Avevo dieci anni all’ora così lo conservai credendo che fosse di mamma. Ma col passare dei giorni mi resi conto che non poteva essere suo. Era un colore troppo intenso e lei scusa sempre colori molto chiari e tenui per non dare nell’occhio e attirare l’attenzione. E poi era quasi consumato ed ero certa di non averla vista mai con un colore del genere. Poi crescendo dimenticai l’accaduto fino a che non iniziai le superiori. Il tratto da casa a scuola era molto breve così lo percorrevo spesso a piedi da sola e poi avevo quindici anni, non mi serviva un passaggio, ma forse avrei dovuto. Mentre tornavo a casa mi divertivo a osservare le targhe delle auto componendo con l’iniziale di ogni targa una parola. Da piccola lo facevo spesso. Camminando trovai un’auto parcheggiata dietro un vialetto, dentro c’erano due che si stavano baciando. Quando l’uomo si alzò notai che era mio padre. Senza dire una parola e certa che non mi aveva visto mi voltai e corsi dritta a casa. Mamma mi sentì arrivare quel giorno perché chiusi la porta con un gran tonfo e mi invitò ad entrare in cucina.
“Daiana sei tu? Puoi venire qui un momento” disse lei.
“Mamma c’è una cosa che devo …”
“Pensi che a tuo padre piacerà?”disse lei interrompendomi e mostrandomi una torta a forma di cuore. “E’ troppo sdolcinato secondo te? Dovrei fare qualcosa di diverso? No, perché oggi è il nostro anniversario di matrimonio e volevo che fosse qualcosa di speciale” disse lei. La guardai un momento e degludii.
“E’ … molto bella”dissi annuendo.
“Tesoro cos’hai sembra che tu abbia visto un fantasma”disse mamma accarezzandomi la guancia con le sue mani sporche di farina.
“No no, sto bene. Tutto ok, vado a cambiarmi”dissi e corsi in camera.

Dovevo dirglielo, ma non potevo. Era così felice e radiante che non potevo distruggerla in quel modo. Passai ore in quella camera ad escogitare un piano, a cercare le parole più adatte per confessargli tutto, ma certo non potevo entrare in salotto distruggendo la loro serata romantica, e poi che cosa avrei dovuto dire:“Hey mamma papà ti tradisce con una ragazzina, chi vuole la torta?” Mentre ero appoggiata alla sbarra del letto con le braccia intrecciate tra i capelli sobbalzai al suono della porta. In quel momento lo shock e la paura si trasformarono in rabbia e frustrazione. Fu per questo che decisi di mantenere il segreto per non farla soffrire e al tempo stesso di vendicarmi. Frugando nel mio armadio trovai il vecchio rossetto di quando avevo dieci anni e me lo misi in tasca. Salutai i miei con la scusa di essere stanca e di voler riposare e loro la bevvero pensando che fosse un gesto carino nei loro confronti. In realtà mi chiusi a chiave e uscii dalla finestra percorrendo poi l’uscita sul retro del giardino per sgattaiolare via. Mi diressi presso lo studio di papà con in tasca il rossetto, le chiavi dell’ufficio e il suo telefono che avevo rubato dalla sua giacca. Controllai le ultime chiamate e notai che erano tutte indirizzate a una sola ragazza Hilary. Entrai nell’ufficio con molta facilità anche perché non c’era nessuno e le telecamere non funzionavano. Mentre l’ascensore saliva al piano destinato lessi i messaggi, vidi le foto e tutto ciò che si erano detti. A quanto pare la loro relazione andava avanti da molto tempo. Tra un messaggio piccante e l’altro mi soffermai a riflettere sul nome della ragazza e ricordai che era la segretaria dell’ufficio di papà. Gli ultimi messaggi dicevano “Devi rompere con tua moglie se vuoi continuare questa relazione, sono una ragazza seria io” Sorrisi pensando a quanto quelle parole fossero ironiche in quel momento. Come può definirsi seria una ragazza che si mette con un uomo già impegnato. Entrata nell’ufficio misi tutto sotto sopra iniziando a rompere tutto ciò che mi capitava a tiro. La prima cosa che feci a pezzi fu una fotografia sulla scrivania con la foto della mia famiglia riunita. Poi presi il rossetto e imbrattai i muri con scritte decisamente poco adatte a una ragazzina della mia età. A operazione finita mi rimisi in testa il cappuccio e mi diressi verso casa. Inutile dire che nei giorni seguenti resi un inferno la vita di mio padre facendogli perdere il lavoro. All’epoca non capivo, ma mi sembrava giusto che dovesse pagarla in un modo o nell’altro. Rimasi soddisfatta solo quando papà e Hilary si lasciarono, ma nonostante tutto, una mattina mentre mamma puliva l’ufficio di papà notò della biancheria tra le pieghe del divano che di certo non era la sua. Separazione, divorzio, affidamento e trasferimento. Via verso un’altra vita e un nuovo inizio.
All’inizio mi sembrava una cosa giusta, ma adesso, lontana dalla mia camera, dal quartiere dove vivevo prima e dai miei amici mi sento persa e sola. Se prima credevo fosse la cosa migliore da fare, adesso so per certo che magari avrei potuto agire diversamente. Mi sarei risparmiata un sacco di sofferenze.
   
 
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