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Autore: AidenGKHolmes    07/09/2014    3 recensioni
Bisogna fare molta attenzione a considerare la solitudine come la propria migliore amica. Perchè tutti gli amici possono tradire... e lei non fa eccezione.
One Shot da 1551 parole
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A LETTER TO MY FUTURE SELF...
 

"Quest'orrore della solitudine, questo bisogno di dimenticare il proprio io nella carne esteriore, l'uomo lo chiama nobilmente bisogno d'amare"

- Charles Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo, 1859-66 (postumo, 1887-1908)



Marco era solo, nella sua vita; viveva in quella che, apparentemente, si potrebbe definire una famiglia normalissima, nè benestante nè povera, entrambi i genitori lavoravano e lui aveva imparato ben presto ad arrangiarsi per alcune cose che i suoi coetanei continuavano ad affibbiare ad altre persone.
Non era mai andato troppo d'accordo col suo fratellino, erano troppo diversi: uno appassionato di tecnologia ed informatica, l'altro fanatico di calcio e sport, cosa che Marco non aveva mai sopportato. Nonostante ciò era comunque riuscito a mantenere un fisico degno e apprezzabile.
Aveva vissuto una vita felice fino ai 18 anni, sebbene non avesse mai avuto molti amici, nè tantomeno una ragazza, ma era contento della sua solitudine e del suo pensare in maniera totalmente differente dalla massa, che contemporaneamente guardava dall'alto in basso.

"Chi ha bisogno di qualcuno, quando io basto a me stesso?" Si era chiesto una volta, intorno ai 15 anni. Era convinto che la solitudine, fino a quel momento sua amica, non l'avrebbe mai fatto soffrire.
Passò innumerevoli weekend da solo, davanti a un monitor, ad esplorare la rete e tutti quei videogiochi che, per molto tempo, erano diventati la sua unica fonte di svago, mentre scherniva in maniera pesante tutti quei ragazzini della sua classe che trascorrevano le notti in discoteca, conoscendo ragazze e ragazzi nuovi ogni volta.
Non bisogna pensare che Marco fosse un misantropo, sia chiaro. Non disprezzava la compagnia di altre persone, ma dovevano essere loro a cercarlo, altrimenti lui stava bene per conto suo, chiuso nel suo mondo inaccessibile alla pressochè totalità della gente.

Era sinceramente in pace con sè stesso, almeno fino a che non conobbe Eleonora, una ragazza dai capelli rossi che, per una serie di coincidenze, diventò improvvisamente sua amica. Le voleva molto bene, ma anticipo subito quello che si potrebbe pensare: non fu mai attratto da lei in quel senso, non la vedeva come una possibile partner, ma poco a poco Marco iniziò ad abbandonare quella vita che aveva vissuto fino a quel momento, fatta di numeri, computer ed elettronica per ritrovarsi in un mondo a lui nuovo ed estraneo. Non cambiò radicalmente le sue passioni, ma si aprì per sperimentarne di nuove.
Iniziò quindi ad uscire con Eleonora, conoscendo nuove persone con le quali strinse amicizie e contemporaneamente iniziò a frequentare alcuni dei suoi compagni di classe, fino ad ora visti semplicemente tra le mura scolastiche. Contemporaneamente a quei cambiamenti, improvvisi come un acquazzone estivo in una giornata limpida, molte delle sue certezze e dei dogmi in cui credeva fermamente cominciarono a cadere come castelli di carte...

La verità, dolorosa al pari di un coltello conficcato nel cuore, lo aveva finalmente illuminato: la solitudine poteva far male. Molto male. Era rimasto solo fino a quel momento e non riusciva a capire come avesse fatto a vivere in pace e serenità senza impazzire.
Sapeva perfettamente che, a 18 anni suonati, tutte le compagnie di amici erano ormai chiuse e formate, non era possibile iniziare a frequentare le persone del paese dove viveva, che considerava troppo diverse e incompatibili con lui...
Attorno a lui vedeva crearsi e dissolversi storie d'amore e fidanzamenti, le classiche cose da adolescenti, certo, ma rimpiangeva di non aver nemmeno mai baciato una ragazza e nello stesso momento arrivarono le prime insicurezze sul suo aspetto fisico, che non era di certo al pari di certi suoi conoscenti, perennemente circondati da ragazze, ma si chiedeva se il suo viso, il suo aspetto, fossero così terribili da far sì che tutte le ragazze a cui si dichiarò lo respingessero.
La sua cara amica, la solitudine, era diventata improvvisamente un fantasma di cui aver paura, da evitare... da cercare di sconfiggere.

Si sentiva peggio ogni giorno che passava, nella sua mente il suo pensiero fisso era "Rimarrai solo"
Lo pensava al mattino quando si svegliava, a scuola, quando vedeva i suoi compagni baciare le loro ragazze, quando lui non sapeva nemmeno cosa fosse il sapore delle labbra di una sua coetanea, la sera prima di andare a dormire... fu in quei terribili mesi, fatti di depressione, sbalzi d'umore e continui litigi coi suoi genitori, che prese LA decisione definitiva; aveva tentato di raccontare del suo malessere, ormai evidente, a qualcuno tra i suoi amici più intimi, e loro gli avevano detto semplicemente di aspettare, che quelle cose sarebbero arrivate nei momenti più inaspettati.

Ebbene era disposto a provarci, ma solo fino ad un certo punto...

***

Dicembre, anno 2031. L'aria all'esterno della casa era gelida, mentre la neve cadeva silenziosa sul grande balcone della mansarda in cui Marco si era trasferito da poco. La città sembrava stranamente tranquilla, non vi era un singolo rumore nell'aria, tutto appariva ovattato  e calmo.
Lentamente Marco rientrò in casa, chiudendo la porta alle sue spalle. Quella casa gli era costata diversi anni di stipendio, ma grazie ad un amico del padre era riuscito ad avere un forte sconto e il suo lavoro era fortunatamente ben pagato, ragion per cui non aveva dovuto attendere molto prima di avere una cifra sufficiente per avere una casa tutta sua.

Si era trasferito solo in quel momento perchè l'idea di vivere senza nessuno in una casa che non conosceva lo faceva sentire ancora più triste di quel che già era. La depressione, iniziata ormai nel lontano 2014, non sembrava placarsi. Non si era mai fatto aiutare da uno psicologo, non sarebbe servito, l'unica cosa che poteva aiutarlo era il vero amore.
Che lui non aveva ancora trovato. Lo aveva cercato, e tanto anche; si era fatto avanti con diverse ragazze, ma tutte lo avevano liquidato con la classica frase "Ti vedo solo come un amico".
Gli amici... si trattavano così? Sul serio? Marco non ne era sicuro, ma ormai non contava più. Arrivato all'età di trentacinque anni certe cose gli scivolavano addosso come gocce d'acqua su un materiale idrofobo.

Si ricordava benissimo cosa si era ripromesso di fare anni prima... le lettere al futuro sè stesso non le aveva dimenticate... non poteva. Le luci della stanza, riflettendo il colore delle pareti, la facevano sembrare stranamente calda, sebbene la sua anima fosse stranamente gelida e allo stesso tempo consapevole.

Aveva mantenuto i contatti con pochissime persone dai tempi delle superiori, e a causa del suo lavoro non era più riuscito ad incontrare nuova gente. Allo stesso tempo, però, aveva saputo di matrimoni dei suoi ex compagni di classe, a cui era stato saltuariamente invitato.
Non vi era andato. A nessuno di essi. Mai. Avrebbe sofferto ulteriormente nel vedere la felicità altrui. Perchè lui non poteva essere felice come tutti gli altri? Che aveva fatto di male? Era una brava persona... per questo era destinato a rimanere solo? No, altri trentacinque anni così no...

Lentamente si sedette al tavolo di vetro in mezzo al salotto, squadrando la piccola valigetta di fronte a sè.
La scritta Sig Sauer sull'esterno era ben visibile sulla plastica nera della confezione. Lentamente la aprì, per poi estrarre quella scintillante pistola che aveva comprato pochi giorni in un'armeria poco distante. Aveva fatto il porto d'armi anni prima, nell'eventualità gli fosse mai servito per quel momento... ebbene, a quanto pare gli serviva davvero. Era tutto pianificato e studiato meticolosamente e nessuno avrebbe mai messo in dubbio la sanità mentale di Marco, nè tantomeno si sarebbe detto che soffrisse di depressione. Non lo dava a vedere tanto facilmente.

Inserì lentamente l'unico proiettile che aveva appoggiato sul tavolo nel caricatore, che reinserì subito dopo all'interno del manico dell'arma. Tentennò un paio di secondi, prima di infilarsi la canna all'interno della bocca; il sapore metallico gli dava quasi la nausea, mentre quest'ultima premeva contro la parte alta del palato.

Sul tavolino da caffè poco distante giaceva un piccolo foglio contenente le sue ultime volontà. Non che ne avesse tante... l'unica cosa che chiedeva non gli era mai stata concessa. Aveva stabilito che tutti i suoi organi venissero espiantati anche se, data la modalità della sua morte, non sapeva se sarebbe stato possibile. Il suo conto in banca, abbastanza nutrito come somme, andava diviso in parti uguali tra i suoi famigliari e l'unica sua migliore amica, Eleonora.
L'ultima frase recitava:

"Non vivrò altri quarant'anni, forse di più, rimanendo solo come un cane, sopportando le ferite che troppo a lungo mi sono state inferte. Non siate tristi, nè pensiate che io sia un egoista, perchè il vero atto di egoismo è pretendere che una persona resti in vita solo per avere la coscienza a posto, fregandosene se questa vive male; alcuni ci riescono, per far felici coloro che amano, come una moglie o i figli. Ma io non ho nulla di tutto ciò e quello che mi rimane non sono motivi validi per proseguire su questa linea"

Le mani non gli tremavano affatto, si sentiva stranamente sicuro, deciso ad arrivare fino in fondo.
Appoggiò l'indice sul grilletto e lo premette, nell'ultimo atto di forza della sua vita. Il buio lo circondò all'istante, come un pesante lenzuolo scuro. Non aveva nemmeno udito lo sparo, nè si era sentito sbalzare in avanti o indietro.
Il dolore non l'aveva minimamente attraversato. La solitudine non poteva più raggiungerlo.

Note dell'autore: allora... è la primissima storia che scrivo, su questo genere. Diciamo che non è campata proprio per aria, ma non mi addentro ulteriormente nei dettagli. Spero che piaccia, nel caso lasciate pure una critica, se lo ritenete opportuno.

Kesserling
   
 
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