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Autore: midnightdream97    07/09/2014    1 recensioni
Ecco ciò che viene fuori dopo aver visto un film meraviglioso come Cadillac Records e aver riletto Life.
L'amore impossibile fra Keith Richards e Etta James, i miei più grandi idoli. Un amore che sboccia quando due persone si conoscono a malapena.
Nella realtà, forse, mi piace pensare che ci sia stato del tenero tra loro due.
In effetti, il loro "matrimonio rock and roll" c'è stato davvero, il 14 giugno 1978. Ciò che ho scritto io è successo molto prima, e ho preso spunto da ciò che Keith ha scritto nel suo libro riguardo a quel giorno. Ecco ciò che immagino sia successo, l'ho scritto in questa fanfiction che spero vi piaccia.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Keith Richards
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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At Last

L'aveva incontrata solo due volte.
L'aveva vista per la prima volta a Chicago, la città dei suoi sogni. Era il 1965.
Ma una cosa era certa. Keith non sapeva che l'avrebbe rivista ancora.

A dicembre, gli Stones erano appena atterrati all'aeroporto di Chicago giusto in tempo. Come al solito, erano in ritardo.
Andrew non sapeva più che fare con loro. Soprattutto con Brian, che aveva fumato troppa erba di nascosto nei bagni dell'aereo e che era troppo strafatto per rendersi conto di ciò che stava accadendo attorno a lui. Per tutti loro, essere lì a Chicago era un sogno. Soprattutto per Keith, che sognava l'America da quando era piccolo.
Ora aveva vent'anni, e nella primavera di quello stesso anno aveva avuto la prima fidanzata, una bellissima modella dalla pelle scura di nome Linda Keith. Essendo in tour, Keith non aveva modo di potersi mettere in contatto con lei molto facilmente, a parte qualche telefonata.  Keith le era sempre rimasto fedele, al contrario di lei che a volte lo faceva innervosire, perché doveva sempre civettare con qualche altro ragazzo. Ma anche Keith aveva avuto diverse cotte che aveva sempre tenuto per sé, come l'infatuazione per la bella Ronnie Bennett, la cantante di colore delle Ronettes. Ma ciò era andato avanti silenziosamente, e Keith non lo aveva detto quasi a nessuno per paura di Phil, il fidanzato di Ronnie. In effetti, anche Ronnie era cotta di Keith. Ma alla fine il tutto passò, scomparve semplicemente, e i due non si rividero più. Non successe nulla per la troppa timidezza, per paura, per insicurezza e soprattutto, per fedeltà.
Ma a volte nessuno è in grado di prevedere cosa può accadere, soprattutto quando si è così lontani da casa.

Dopo l'ultimo spettacolo degli Stones in un grandissimo auditorium di Chicago, la band venne invasa dai fan americani, e perciò tutti insieme decisero di svignarsela per cercare di rilassarsi un po' e andare in giro per Chicago prima di ripartire per l'Inghilterra dopo quel lungo tour americano.
Ovviamente, senza pensarci due volte, giunsero tutti insieme davanti alla Chess Records, dove erano situati gli studi di registrazione più famosi e più grandi di sempre fondati da Leonard Chess, il produttore discografico di artisti come Muddy Waters, Little Walter e Chuck Berry, gli idoli più grandi degli stessi Stones.
All'interno di studi del genere, erano successi miracoli. C'era stata la svolta della musica. Il rock and roll aveva preso vita lì.
Proprio mentre gli Stones camminavano davanti gli studi, si ritrovarono praticamente davanti Muddy Waters che usciva dal portone, come se nulla fosse.
I ragazzi rimasero senza parole, incapaci di reagire per lo stupore. Fu Mick l'unico ad avere il coraggio di compiere qualche passo in avanti rispetto agli altri e di rivolgere la parola al bluesman per primo.

«Hey, Muddy!» esclamò il ragazzo ad alta voce, facendo voltare l'uomo verso di lui.
«...Tu saresti?» domandò Muddy, con un'espressione incuriosita stampata in viso.
«Sono Mick Jagger, sono un tuo grande fan.» disse Mick, sorridendogli e volgendosi poi ai suoi compagni dietro di lui per un attimo. «Il nostro gruppo si chiama come una delle tue canzoni.»
«Ah, davvero?» domandò Muddy di nuovo, sorridendo.
«Sì. Siamo i Rolling Stones.» disse Mick, accennando un altro orgoglioso sorriso, mentre Keith accanto a lui aveva assunto una languida espressione in viso, e gli occhi sembravano quasi illuminati per l'emozione.
«Allora mi pare di avervi già visto in televisione, da qualche parte. Beh, che aspettate? Seguitemi dentro e fatemi vedere ciò che sapete fare.» disse Muddy, facendo cenno ai ragazzi di seguirlo.
Tutti gli Stones lo seguirono con il cuore che batteva a mille nei loro petti, e una volta entrati negli studios videro anche Leonard Chess che li ospitò e li accompagnò fino ad uno studio colmo di strumenti musicali. Era fresco, accogliente, enorme. Nessuno dei ragazzi aveva mai visto nulla di simile.
Dopo pochi minuti, i ragazzi si ritrovarono a registrare nello stesso studio in cui i loro idoli avevano inciso i loro dischi. Mick attaccò con la cover di Muddy 'I want to be loved', che fece sorridere il bluesman, perché Keith, Brian, Bill e Charlie furono in grado di suonare il pezzo alla perfezione, notando che Mick suonava l'armonica fin troppo bene per essere bianco e così giovane.
Chiunque si aggirava all'interno degli studi avrebbe potuto sentirli, tra cui anche Etta James. Da alcuni anni era diventata una star, una delle cantanti di colore più amate. Era afroamericana, ed era bellissima. Era piena di classe e stile anche a soli ventisette anni, con una voce meravigliosa.
Ma allo stesso tempo, malgrado avesse ottenuto successo, conservava aspri ricordi della sua infanzia. Suo padre l'aveva abbandonata quando era piccola e sua madre era stata una prostituta e per questo, Etta aveva da sempre dovuto affrontare varie crisi depressive che col tempo l'avevano portata a fare uso di eroina, insieme a un costante abuso di alcol.
Etta era da sempre stata tanto sensibile, fragile, incapace di farsi forza troppo a lungo. Dopo averla lanciata, Leonard cercò di aiutarla per diverso tempo, ma Etta continuò a bucarsi e delle volte non c'era niente che riusciva a farla ragionare. Inoltre, Leonard era stato innamorato di lei per un paio di anni e durante tutto il tempo lui cercò di restarle vicino il più che poteva, senza avere successo. La incoraggiava spesso di provare a sfogare tutto il suo dolore cantando, nella musica. Ma lei semplicemente non ci riusciva, e si teneva tutto dentro fino a scoppiare e poi accumulare il tutto di nuovo, lentamente, come una sofferenza perenne che cresceva in lei.

Etta aveva un bel caratterino. Di solito, appariva una tipa tosta, decisa. Nessuno che la conosceva poteva rendersi conto di quanto fosse fragile, in realtà. Le faccende di cuore la rendevano ancora più dura e chiusa di quanto appariva di solito.
Non aveva mostrato segni di gratitudine a Leonard, nemmeno dopo un intenso bacio che si erano scambiati dopo che lui l'aveva salvata quando era andata in overdose. Il tutto finì lì, e Etta continuò a chiudersi in se stessa.

Anche lei, fra tutti, aveva notato gli Stones.

«Sembrano bravi, vero?» domandò Leonard a Etta accanto a lui, che manteneva lo sguardo fisso davanti a sé, a braccia conserte.
«Ma per favore, Leonard! Questi inglesini qui non ne capiscono un cazzo di blues. Chi vogliono imitare?» disse Etta, scuotendo la testa e ridendo.
«Sono giovanissimi, infatti, ma sono una band rock and roll. A me piacciono.»
«Beh, a me no.» rispose Etta, accennando un sorrisetto, per poi voltarsi e andare via.

Era quasi ora di cena, e aveva intenzione di tornare a casa.
Ma mentre usciva dallo studio, Etta non passò inosservata. Gli Stones la videro allontanarsi. La stimavano tutti, in particolare Keith e Charlie. Ma Keith soprattutto, era ossessionato. Aveva collezionato tutti i suoi dischi, perché dopo aver sentito la sua voce la prima volta ne era rimasto stregato da continuare a comprare un disco dopo l'altro.
Keith semplicemente se ne andò, per raggiungerla. Tutti gli Stones rimasero di stucco, soprattutto Mick. Sapeva quanto Keith era timido e incapace di farsi avanti con una ragazza, soprattutto con una ragazza più grande, Etta in quel caso.
Keith cercò di avvicinarsi, senza avere la minima idea di come affrontare la cosa. Continuava ad avere quella sigaretta fra le labbra, che poco dopo portò fra due dita dopo l'ennesimo tiro, e dopo pochi secondi si ritrovò Etta davanti, che si dirigeva dalla parte opposta.
La prima occhiata fu la più forte, la più intensa. Gli occhi di Keith incontrarono quelli di Etta dopo pochi istanti, per un attimo, un lasso di tempo che sembrò passare violentemente in una frazione di secondo che sconvolse entrambi.
Keith stava per portare la sigaretta fra le labbra di nuovo, ma la fece rimanere a pochi centimetri di distanza da esse, trattenendola fra due dita e rimanendo immobile, troppo impegnato a guardare gli occhi della ragazza, che erano grandi, intensi, color nocciola, proprio identici ai suoi. Ma allo stesso tempo quegli occhi avevano qualcosa di diverso, qualcosa di più triste. E dalle pupille, era chiarissimo il fatto che Etta fosse sotto l'effetto dell'eroina, come al solito.
Ma in quel secondo, in quel lasso di tempo così breve, Keith riuscì a vedere un mondo nei suoi occhi, un'intensità che non aveva mai visto negli occhi di nessuno.
In quell'attimo, Etta si era accorta del modo in cui Keith la stava guardando, senza capire il perché la stesse guardando così. Un ragazzo tanto più giovane di lei, che sembrava innamorato di lei senza nemmeno conoscerla.
Etta non sapeva cosa dire, come reagire. Ma pensò che forse tutto ciò era solo una sua impressione. Così, la ragazza fece finta di niente e si limitò semplicemente a fargli cenno di spostarsi per farla passare. E poi se ne andò.

Quella fu la prima volta che Keith la vide.
Il giorno seguente, gli Stones dovevano ripartire per Londra. Era ora di tornare a casa, e anche Keith dovette andarsene dopo essere rimasto tutto il tempo a pensare a lei, al fatto che ora avrebbe dovuto lasciare la città dei suoi sogni, dove aveva incontrato la ragazza che avrebbe potuto davvero essere quella dei suoi sogni.

Keith non poteva sapere che quella non sarebbe stata semplicemente la prima e l'ultima volta che l'avrebbe vista, ma che l'avrebbe incontrata ancora.
Ma per incontrarla, Keith avrebbe dovuto aspettare dieci anni. Non uno, non due, ma dieci. Dieci lunghissimi anni che però per entrambi passarono in un lampo.
Col tempo, ovviamente, erano cambiati entrambi.

Era l'estate del 1975, e gli Stones erano pronti per un altro grande tour in America. A luglio atterrarono a Chicago, per dare inzio ad una serie di concerti. Sarebbero rimasti lì tre giorni.
Col passare degli anni, Keith era sprofondato nel mondo della droga, di cui era diventato uno dei più grandi consumatori, soprattutto di roba pesante, proprio come era successo a Etta.
Dieci anni fa, a Keith non sarebbe passato mai per la testa di arrivare a drogarsi a livelli così alti, ma a quanto pare il tempo e varie situazioni che aveva vissuto lo avevano cambiato.

Anche Etta era cambiata. Da Los Angeles si era trasferita definitivamente a Chicago, in modo da smettere di viaggiare continuamente e stabilirsi nella città dove aveva avuto possibilità di farsi lanciare. Continuava a cantare, ad esibirsi, ad essere sempre una donna meravigliosa con una voce amata da tutti, e piena di classe e di talento, con i suoi trentasette anni.
Era riuscita a farsi pulire, smettendo definitivamente con la droga. Infatti, col passare degli anni, Etta era diventata una donna più forte. Era riuscita a scegliere di vivere la vita a pieno, o almeno in quello che poteva, sfogandosi con le sue canzoni. Ma anche se le canzoni di Etta parlavano spesso d'amore, lei non riusciva sempre ad immedesimarsi, perché anche se diceva spesso di conoscere l'amore, le capitava di smentirsi più volte, dato che non le era mai capitato d'innamorarsi davvero di nessun uomo con cui era stata. Il suo carattere rendeva le sue relazioni amorose sempre più complicate e instabili. In realtà, Etta non conosceva affatto l'amore.

Era la notte del 24 luglio, una di quelle serate calde, col cielo pieno di stelle. Chicago era in fermento per l'ultima esibizione degli Stones.
La sera prima, Mick riuscì a mettersi in contatto con Etta; voleva farla esibire con gli Stones.
All'inizio, Etta fece la vaga e si oppose, ma dato che per i suoi fan e quelli degli Stones sarebbe stato uno show perfetto e richiesto, Etta decise di accettare.
Si presentò nel backstage del Chicago Stadium in perfetto ritardo. Ovviamente, quando giunse nel backstage e si ritrovò gli Stones davanti al completo, i ragazzi rimasero quasi stupiti di quanto il fascino di Etta fosse rimasto sempre lo stesso, sebbene fossero passati ben dieci anni dall'ultima e unica volta che l'avevano vista dal vivo alla Chess Records.
Mick le diede il benvenuto, e tutti gli altri la salutarono, tranne Keith, che rimase in silenzio, in disparte, limitandosi ad osservare.
Charlie ricordava bene quell'occhiata fulminea che Keith aveva lanciato a Etta quando la vide; infondo, al batterista non sfuggiva quasi nulla, era da sempre stato un ottimo osservatore. Capì che molto probabilmente a Keith sarebbe piaciuto poter rimanere da solo con lei, glielo lesse negli occhi.
Così, con una rapida scusa, incitò Mick ad andare a provare alcuni pezzi e riuscì a portarlo fuori con sé, lasciando Keith da solo con Etta.

Keith aveva ottenuto involontariamente ciò che voleva, solo grazie a Charlie. Etta cominciò a guardarsi un po' attorno, limitandosi ad osservare silenziosamente alcuni manifesti attaccati al muro del backstage, tra cui uno che aveva visto già poco prima di raggiungere lo stadio. Un manifesto che annunciava il concerto degli Stones, con il suo nome scritto a caratteri cubitali sotto. Per Etta, ciò era un onore. Forse dieci anni fa non sarebbe stato per niente un onore, ma dopo anni gli Stones erano cambiati, migliorati, e sotto sotto ora le piacevano. Ma non lo avrebbe mai dato a vedere.
Così, mentre era intenta a contemplare quel manifesto, sentì di colpo la voce di Keith dirle qualcosa.

«Comunque salve, Miss Peaches.»

Etta si girò, ritrovandosi Keith davanti, seduto sul divanetto del backstage. La ragazza gli rivolse un piccolo sorriso, dato che Keith si era rivolto a lei chiamandola per il suo soprannome. Poi, gli rispose: «Salve a te. Dunque tu sei Keith Richards...come mai non sei con gli altri?»
«Gli altri se ne sono andati? Non me n'ero nemmeno reso conto.» rispose Keith, con fare sarcastico.
«Ah, no?»
«No. Sono rimasto troppo stupito da una certa presenza qui davanti a me.» disse Keith, rivolgendole un languido sorriso.
Etta accennò una lieve risata, scuotendo la testa e rimanendo poi in silenzio, non sapendo quasi cosa rispondere. Si sentiva quasi in soggezione per il modo intenso in cui Keith la guardava, che le dimostrava a pieno quanto Keith fosse ammaliato da lei. Ma cercò di nascondere il suo piccolo imbarazzo, rispondendo: «Beh, sono passati dieci anni. In dieci anni possono cambiare un sacco di cose...» Poi, avvicinando una mano verso di lui, gli fece una carezza fra i capelli, guardandolo attentamente negli occhi, domandandogli poi senza esitazione: «Dì un po', sei un tossico?»
«Sì, più o meno.»
«Anch'io sono stata una tossica in passato.»
«Me n'ero accorto...»
«Bella merda, eh? Però come ne sono uscita io, puoi farlo anche tu.»
«Non ho detto che voglio uscirne.»
«...Di sicuro non puoi continuare così per sempre.»
«La questione è: perché lo sto facendo? Perché tu l'hai fatto?» domandò Keith, guardandola negli occhi di nuovo.
Etta distolse lo sguardo, guardando davanti a sé, come se stesse pensando a cosa rispondere. Poi, scuotendo la testa e compiendo un paio di passi in avanti, rispose: «Per trovare un senso. Un fottuto senso alla vita, Keith.»
«Anche. Sai, la fama a me non fa impazzire. Preferirei continuare a suonare, vivere per ciò che amo fare. Ma per farlo devo pagare tutto ciò, perché la fama è questo, infondo. Causa autodistruzione.»

Etta ascoltò quelle parole come se le stesse dicendo lei, sentendosi capita. Rimase in silenzio di nuovo, assumendo un atteggiamento di freddo distacco mentre dentro di sé avrebbe voluto fare tutto il contrario; non riusciva semplicemente ad accettare il fatto che quel ragazzo davanti a lei l'aveva colpita anche solo con una confessione simile, intuendo quanto la sua sensibilità fosse simile a quella di Keith.
Keith cercò di riprendere un contatto con il suo sguardo, ma un po' timidamente, ponendo due dita sotto al suo mento per farla lentamente voltare verso di sé.

«Secondo me tu hai un mondo, dentro. Hai qualcosa che non riesci ancora a buttare fuori malgrado il lavoro che fai, malgrado ciò chi sei. Qualcosa di speciale.»  le sussurrò, continuando a guardarla negli occhi.
«Tu dici? E come fai ad esserne sicuro? Mi conosci appena, ragazzo bianco.» disse Etta, rivolgendogli un sorrisetto deciso.
«Lo vedo nei tuoi occhi.» rispose Keith, in un sussurro ancora più rauco e debole.

I due rimasero a guardarsi negli occhi per diversi minuti, ma vennero interrotti bruscamente da Mick, che li chiamò per sbrigarsi a raggiungere gli altri, dato che avrebbero dovuto esibirsi entro pochi minuti.
Così, Etta e Keith si voltarono verso di lui e lo seguirono, cominciando a sentire nei loro corpi la tipica sensazione colma di adrenalina che sente chi è sul punto di esibirsi.

Sin dal primo pezzo, il concerto fu un vero e proprio evento. Fu una performance lunga, che durò fino alle undici e mezza e che fece impazzire il pubblico americano.
Etta diede il meglio di se stessa come corista, e nel frattempo Keith non smise mai di levarle gli occhi di dosso mentre suonava.
Ovviamente, dopo lo show, tutti si sentivano ancora eccitati, tanto da aver quasi voglia di festeggiare.
Ma Charlie ancora non si era dimenticato della sua piccola 'missione', perché si era reso conto di quanto Keith fosse particolarmente interessato a Etta e si sentiva come se dovesse portare a termine il tutto, come a fargli un favore, solo per amicizia, cercando di fare il possibile per farli rimanere soli.
Così, mentre Mick usciva dal backstage, carico per i festeggiamenti, insieme a Charlie che cercava di farlo distrarre per non fargli pensare a dove Keith fosse rimasto, Etta cercò di rilassarsi, sedendosi sul divanetto del backstage, per poi bere un bicchierino del suo adorato gin.
Era stato un concerto speciale per lei, perché non si era esibita sola, ma con una band calorosa come gli Stones, godendo di un'atmosfera unica.
Ben presto Keith andò a sedersi accanto a lei, rivolgendole un sorriso più ampio del solito, mentre entrambi erano ancora troppo eccitati per l'adrenalina accumulata durante la performance.
Rimasero tutti e due in silenzio, a guardarsi negli occhi ancora, senza sentire il bisogno di dirsi nulla. Infondo, perché utilizzare per forza le parole per poter comunicare, quando due persone come loro avevano così tanto da dire anche solo con gli sguardi?
Tutti e due erano di poche parole, soprattutto Keith. E anche Etta, dal canto suo, le piacevano i silenzi che non mettevano in imbarazzo, quei silenzi che poteva sopportare solo in presenza di una persona come Keith.
Una cosa era certa: l'attrazione tra i due era sempre più reciproca, sempre più forte.

«...Sai, c'è una cosa a cui ho pensato per tutto il tempo mentre eravamo sul palco. Una cosa che voglio chiederti di fare.» disse Keith, abbassando lo sguardo con un sorriso un po' timido stampato in viso.
«Cosa, sentiamo.»
«E' che non è facile. Di sicuro avrei rimandato a domani nel chiedertelo. O un altro giorno. Però il fatto è che con questa vita che faccio, ora che sono in tour, c'è il rischio che io non riesca a vederti più. Domani me ne andrò da Chicago, e potrei davvero non rivederti, quindi sono obbligato a chiedertelo oggi...»
«Avanti, Richards.» disse Etta, scoppiando a ridere nel vedere l'atteggiamento un po' impacciato che Keith aveva assunto nel rivolgerle la parola con tutta quell'insicurezza. «Non tenermi sulle spine, che sarà mai? Dimmelo ora, sono curiosa.»
Keith cercò di buttarsi, e si alzò di colpo in piedi.
«Bene, alzati.»
Etta accennò un'altra lieve risata, e decise di assecondarlo, alzandosi e rimanendo davanti a lui.
«Allora?» domandò, cercando di non ridere.
Keith le sorrise appena, con un sorriso un po' tenero, prendendole poi entrambe le mani, dicendole: «Ciò che voglio chiederti di fare è...»
Etta strinse le sue mani, sorridendogli a sua volta.
«Eddai, non bloccarti. Buttati!»
«...Di sposarmi.» disse Keith, in un sussurro, quasi tutto d'un fiato.
Etta sgranò gli occhi, rimanendo a bocca semi aperta.
«Come?» domandò, assumendo un'espressione piuttosto confusa.
«Sì, Etta. Vuoi sposarmi?» domandò Keith, alzando lo sguardo, centrando i suoi occhi, non sembrando per niente uno che sta scherzando.
Etta accennò una nervosa risata, mollando le mani di Keith, scuotendo la testa.
«Non puoi essere serio...» disse.
«Chissà. Forse sto facendo una cazzata, forse sto scherzando, o forse sono serio.»
«Nemmeno mi conosci. Non faccio parte della tua vita.»
«Sì che ne fai parte.»
«Ah, sì? E da quanto, un paio d'ore?»
«...Ne fai parte da anni, da quando ascoltai la tua voce per la prima volta, ed ero solo un ragazzino convinto che i sogni, anche i minimi, non si sarebbero potuti avverare. O almeno non uno come questo. Ma vedi, sono da sempre stato un piccolo sognatore, e chi lo è ha anche abbastanza coraggio da provare, almeno tentare, di far realizzare qualsiasi sogno. Il mio è di poter sentirmi unito a te, come uomo, in qualsiasi modo, anche il più stupido, e voglio farlo adesso, perché domani io e te potremmo non vederci più.» disse Keith, prendendola per un braccio, guardandola negli occhi tanto intensamente, sentendo intanto le sue gambe quasi tremare, perché non gli sembrava vero di essere riuscito a dirlo senza esserselo tenuto dentro.
Etta rimase stupida da quelle parole, totalmente intenerita e meravigliata, sentendo che infondo non aveva sbagliato sul conto di Keith. Era davvero speciale come le era sembrato.

«Potrei essere d'accordo. Non ti conosco abbastanza, ma mi azzardo a dire che sei un ragazzo d'oro, Keith.» gli disse Etta, sorridendogli teneramente, in un modo in cui forse non aveva mai sorriso prima.
«Davvero?»
«Sì. Però c'è una cosa di cui sono convinta...»
«E cosa?»
Etta si avvicinò di più a lui, mantendo il suo viso lontano da quello del ragazzo di qualche centimetro, sussurrandogli qualcosa in modo un po' malinconico.
«Una ragazza di colore e un ragazzo bianco...» sussurrò così, socchiudendo gli occhi. «Non potrà mai essere possibile...»
«Sì, invece.» rispose Keith, prendendole una mano. «Sai, in passato ho amato una ragazza di colore. E mi sono fatto in quattro per lei, le ho anche salvato la vita perché sarebbe stata vittima dell'Apartheid lì in Sudafrica. Stavamo quasi per sposarci, forse ce l'avremmo anche fatta, ma poi è finita per colpa mia. Ma secondo me ciò sarà comunque possibile se rimarrà fra noi.»
«Rimarrà fra noi.» disse Etta, accennando un piccolo sorriso, portando una mano a carezzare una guancia di Keith.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui i loro occhi s'incontrarono. Il 'matrimonio' doveva avere inizio.
Uno di quei matrimoni che nel gergo dello show business ci si sposa in segreto, come se fosse un gioco, e perciò non si è davvero sposati. Però sarebbe stato sicuramente qualcosa che li avrebbe sconvolti emotivamente quella stessa notte, con un tipico 'matrimonio rock and roll' che culminò proprio in quel backstage dopo un memorabile concerto.

Poco prima dello scoccare della mezzanotte, i due si diressero verso l'ampio balcone dove si affacciava il camerino di Keith. Davanti a loro c'erano solo luci, le luci immense di una città come Chicago durante la notte.
Etta si tolse uno degli anelli che indossava. Non era una vera e propria fede, ma era molto simile, con un piccolo diamante.

«Keith Richards, vuoi prendermi come legittima sposa?» gli domandò Etta, cercando di trattenere una risata emozionata dal momento, per ciò che stavano facendo, che da un lato le sembrava qualcosa di comico, solo un gioco, ma dall'altro era un qualcosa che le faceva battere il cuore e la emozionava al massimo, perché Keith era davanti a lei, così bello, ancora un po' sudato dopo quella performance, desideroso di sposarla in quel modo tanto unico quanto speciale per entrambi, proprio sotto le stelle, con dietro di loro l'enorme panorama illuminato dalle luci notturne della città.
«Lo voglio.» rispose lui, guardandola dritta negli occhi.
Etta gli sorrise, sentendosi quasi sul punto di commuoversi mentre gli infilava il suo anello al dito. Ora quell'anello sarebbe appartenuto a lui per sempre.
Keith fece lo stesso con lei. Si tolse uno dei suoi tanti anelli che di solito portava, con un piccolo smeraldo sopra, e domandò alla ragazza: «E tu, Jamesetta Hawkins, vuoi prendermi come legittimo sposo?»
«Sì, lo voglio.» rispose Etta, con gli occhi quasi lucidi.
Keith le sorrise, stringendole entrambe le mani, per poi baciargliene una.
Etta rimase in silenzio per alcuni secondi, per poi dire in un debole sussurro: «...Ora lo sposo può baciare la sposa.»
Keith la guardò negli occhi in un modo enormemente languido, poggiando poi una mano dietro la sua nuca, avvicinando finalmente le sue labbra a quelle di Etta, baciandola subito in modo intenso, stringendola fortemente a sé.
I loro corpi si sentirono quasi rabbrividire mentre si scambiavano quell'intenso e lungo bacio, che sembrò far accendere la scintilla tra di loro, facendoli innamorare l'uno dell'altra.
Dopo un po', Keith si staccò dal bacio per sussurrarle qualcosa: «...Ti amo, ragazza mia.»
«...Anch'io, ragazzo bianco. Ma solo per questa notte. O forse...per sempre?»
Keith le sorrise di nuovo, e la zittì di nuovo con un bacio, riprendendo a baciarla con ardore sotto quel cielo stellato, mentre erano entrambi circondati da quelle magnifiche luci della città, grazie a quel panorama davanti a loro.
Etta si strinse fortemente a lui, sentendo che in quel momento non avrebbe mai potuto desiderare nulla dalla vita. Ricambiò ogni suo bacio, rendendo quel momento quasi magico.
Così, dopo baci e carezze, fu Etta a dimostrargli che per lei tutto ciò che stava accadendo era qualcosa di significativo, qualcosa che l'avrebbe segnata per il resto della sua vita. Fu lei a spingersi oltre, cercando di togliergli la camicia nera che Keith aveva indossato per esibirsi, facendogli capire che se lui avesse voluto farla sua, avrebbe potuto farlo.
In quel momento, infatti, Keith non avrebbe desiderato nient'altro che lei.
Così, i due finirono per fare l'amore quella stessa notte, sotto le stelle, distesi sopra un morbido divano destinato agli ospiti, pieno di cuscini che si trovava in quel terrazzo. Ai loro piedi, nel piccolo registratore di cassette, risuonava la melodia di 'At Last', insieme poi ad altre canzoni di Etta per rendere l'atmosfera perfetta, romantica, indimenticabile, mentre Keith non smetteva di baciarla.
Nessuno avrebbe mai potuto disturbarli, perché erano nel loro mondo, travolti da una dolce passione composta da infinite emozioni, per tutta la notte.

Ma dopo aver passato insieme una notte piena di emozioni, Keith si accorse di dover tornare alla realtà, dopo aver vissuto quel sogno. Quando dovette ripartire, il suo cuore era distrutto. Etta era ormai in lacrime dopo la sua partenza, ma Keith non lo venne mai a sapere.
Cercarono di salutarsi da amici, mentre in realtà non si conoscevano nemmeno. Non erano amici affatto.
Ma si amavano. Si conoscevano appena, ed erano semplicemente innamorati. E lo sarebbero stati per sempre.
Col passare del tempo, se solo Keith ripensava a quella notte, si sentiva sempre più convinto del fatto che dopo tanti amori mancati, Etta sarebbe stata la più difficile da dimenticare.
I due rimasero in contatto per anni. Keith le scriveva tutti i mesi e Etta gli rispondeva, raccontandogli tutto ciò che faceva.
Ma non riuscirono mai più a rivedersi. Semplicemente non ne ebbero più l'occasione. Keith fu occupato col suo lavoro, i vari tour in giro per il mondo, la sua vera moglie, i suoi figli, i problemi legati alla sua famiglia, alla sua dipendenza dall'eroina. Ma non riuscì mai a dimenticarsi di lei. Per lui era impossibile.
Scrivendosi così spesso, Keith e Etta ebbero modo di conoscersi meglio, a pieno, parlando di tante cose, scoprendo di averne altrettante in comune.
Nessuno dei due voleva andare in pensione, con l'intenzione di continuare a fare musica fino al giorno della loro morte.

Ma verso i primi mesi del 2010, Etta sparì. Keith continuava a scriverle, ma non riceveva più nessuna risposta. Neanche una.
Non l'aveva nemmeno più vista in televisione, non aveva fatto nemmeno più nessun concerto. Così, Keith decise di far passare del tempo, affidandosi a varie sue conoscenze per cercare un indizio, qualcosa che avrebbe potuto farlo mettere in contatto con lui.
Dopo due anni, Keith venne a sapere che Etta si era ricoverata in una clinica di Riverside, in California, perché aveva avuto alcuni problemi di salute. Non riuscì a sapere che tipo di problemi di salute fossero; ma senza pensarci due volte, Keith si procurò il numero della clinica per cercare di mettersi in contatto con lei.

Era la notte del 20 gennaio 2012, quando Keith telefonò alla clinica di Riverside per avere notizie di Etta.
La dottoressa che gli rispose fu costretta ad informarlo che Etta era deceduta quella stessa mattina, in seguito ad una lunga lotta contro l'Alzheimer, il diabete e la leucemia.
Quella notizia fu sconvolgente per Keith. Lo lasciò di stucco, tanto che dovette riattaccare, sentendosi quasi sul punto di piangere.
Di solito Keith non aveva mai pianto per la morte di qualcuno. Ma quella notizia per Keith fu qualcosa di impossibile da accettare, perché nelle lettere si erano promessi di rivedersi un giorno.
Ma non ci erano riusciti. Però dopo solo due incontri così significativi per loro, si erano amati per anni, all'insaputa di tutti.

Tutto ciò che rimase a Keith di Etta fu il vivido ricordo di un'unica notte che non avrebbe dimenticato mai, nemmeno a distanza di anni. Keith riascoltò sempre tutti i suoi dischi, in modo che avrebbe potuto sentirla vicina a lui per sempre, ascoltando la sua voce. Infondo, una come lei non sarebbe mai morta davvero.
Ma Keith era riuscito comunque a realizzare il suo sogno, solo grazie a lei.

 
   
 
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