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Autore: H1Corona213    08/09/2014    1 recensioni
Ultimamente mi chiedo spesso come sarebbe stato, baciarti e stringerti e sapere che mi sarebbe bastato allungare un braccio per intrecciare la mano nella tua, condividere la vita insieme per il resto dei nostri anni.
Certamente non avremmo mai smesso di litigare ma ehi, è proprio questo quello che ci ha sempre reso così speciali. Ora lo so, che quello era solo il nostro stupido, infantile modo per dimostrare di tenere l'una all'altra, e che le altre lo avevano capito da molto prima di noi e che ogni loro presa in giro, ogni loro allusione, era solo per spingerci verso la strada giusta.
Eppure in qualche modo quella strada non siamo state in grado di imboccarla, o forse era semplicemente destino che i nostri dovessero essere due binari paralleli destinati a correre fianco a fianco senza mai incrociarsi. Fino a che tu non hai imboccato una nuova strada.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Kyoko Sakura, Sayaka Miki | Coppie: Kyoko/Sayaka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A  fool's dream


Perché te ne sei andata?
Quante volte mi sono posta quella domanda.
E' di nuovo settembre, cammino per le strade ed il caldo dell'estate inizia già ad essere solo più un ricordo lontano di sole cocente e sudore appiccicoso. Nei parchi, la gente fa jogging correndo su e giù per i viali come se la loro vita dovesse dipendere da quello, ignara dei problemi di chi gli transita attorno.
Tra poco sarà di nuovo il tuo compleanno, ma tu non sarai qui per festeggiarlo.
Ovunque tu sia, ci sarà qualcuno a ricordartelo?

E' dicembre, la neve avvolge le strade ed il freddo è pungente: immergendo il naso nella sciarpa, stringendo le spalle per cercare di scaldarmi, vago in mezzo alla moltitudine di persone che disperata cerca regali per il Natale che si avvicina. Anche quest'anno, non ci sarà nessun albero da decorare. Un soffio di vento più gelido degli altri, un café è la promessa di tepore per le mie ossa congelate. Ma, una volta dentro, il freddo non si scioglie comunque.

Siamo state vicine di casa per anni, ma il nostro primo incontro è stato tutto meno che pacifico: tu eri troppo testarda per retrocedere, ed io facevo di tutto per spingerti al limite. Abbiamo litigato e continuato a farlo ancora ogni volta che ci siamo incontrate, persino andare a prendere la posta era diventato un pretesto per vederci e trovare nuova materia di scontro. Tu non ti tiravi mai indietro, e rispondevi ad ogni mia parola in egual misura, drizzando la testa con uno sbuffo di orgoglio quando ti sembrava di aver ribaltato la situazione a tuo favore. E quante volte invece te ne sei tornata a casa sbattendo la porta, mogia come un cane bastonato e con la coda in mezzo alle gambe, certa senza ombra di dubbio della tua totale sconfitta.
A quei tempi, non avrei potuto immaginare che quei litigi sarebbero diventati così importanti per me.

Fu una sorpresa scoprire che avevamo amiche in comune. In realtà sarebbe stato più corretto dire che le tue amiche conoscevano la mia… unica amica, e questo portò direttamente alla formazione di un unico grande gruppo. Inizialmente nessuna di noi due prese troppo bene la cosa, ma la gentilezza di Madoka, i commenti acidi di Homura, le prese in giro di Nagisa e le immancabili torte di Mami riuscivano sempre a far evaporare il cattivo umore prima che le cose potessero iniziare a diventare troppo serie. Anzi, la loro presenza spesso finiva per spingerci a coalizzarci contro di loro, ad organizzare piani per vendicare il nostro onore offeso dalla causticità di Homura, o per prendere in giro la tua migliore amica sulla sua palese cotta per la ragazza dai capelli neri, mentre Mami non poteva fare altro che sospirare e continuare a riempirci i piatti con i suoi squisiti manicaretti. E non passò molto tempo prima che fossero loro a coalizzarsi contro di noi, ridendo alle nostre sciocche discussioni e definendoci un chiaro caso di coppia sposata. A quei tempi quante volte ci siamo girate di scatto e, con una sincronia tanto perfetta che neppure se avessimo voluto saremmo riuscite a replicare volontariamente,  le abbiamo guardate stralunate quasi soffocandoci con gli spaghetti del ramen, urlando che non avremmo mai sposato una testa vuota come quella che ci stava di fianco?
Allora non potevo saperlo, che bisogna sempre pensare prima di parlare.
Ma era passato un solo anno e noi ci definivamo ancora rivali, anche se a tutti era chiaro che niente di meno di un'amicizia, a quel punto, avrebbe dovuto legarci.

Mi hai presentato il tuo ragazzo una volta: la prima impressione che ho avuto, è stata che voi non foste fatti per stare insieme. Lui era troppo ricco, troppo educato, troppo dannatamente perfetto mentre tu eri… beh, tu eri tu. Nei tuoi occhi, ogni volta che si posavano su di lui, c'era una luce tanto brillante che non mi sarei meravigliata se si fossero messi a brillare al buio: eri così completamente, stupidamente persa di lui da non notare il sorriso di circostanza che gli curvava le labbra quando ti parlava, e la postura nervosa delle spalle ogni volta che passava a trovarti. Provava dell'effetto nei tuoi confronti, e come non avrebbe potuto, vi conoscevate praticamente da quando eravate nati, ma mancava quel desiderio di rendere le cose tra voi più serie di quanto non fossero in quel momento. Quando ti disse che sarebbe andato a studiare all'estero, lo salutasti con il sorriso sulle labbra e le lacrime versate nel buio della tua stanza di notte, quando pensavi che nessuno ti sentisse. Ancora non ti eri resa conto che le nostre camere erano comunicanti, e che io riuscivo a sentire tutto quello che dicevi. Quando ti inviò un messaggio, scusandosi con tutta la sua più cavalleresca cortesia, invitandoti a dimenticarlo, accogliesti le sue parole con la forza di chi non vuole cedere e lasciarsi cadere nella disperazione davanti agli altri. Ma la tua ritirata, sembrava più una fuga.
Quella notte, ed anche in quelle successive, venni a bussare alla porta del tuo appartamento, colpendo quel'unica sottile divisione che ci separava con tanta forza che nessuno si sarebbe meravigliato se presto l'avessi ridotta in mille pezzi. Eppure, nonostante sentissi i tuoi singhiozzi a pochi centimetri da me, tu non apristi mai. Forse a quel punto avrei potuto rinunciare ed andarmene, lanciando imprecazioni sulla stupidità della tua persona e decidendo di lavarmene per sempre le mani. In fondo chi eri tu, per me, per spingermi a comportarmi in maniera tanto idiota?
Ma me ne sarei resa conto molto presto, che quello non era che l'inizio dello smisurato vortice di stupidità in cui la mia persona stava affondando, trascinata da quella testa vuota che eri tu. La tua presenza aveva finito per avere effetti deleteri su di me, pensavo, mentre mi lasciavo cadere con uno sbuffo con la schiena contro la tua porta di ingresso: ero rimasta a bussare per ore, urlandoti di aprirmi la porta a meno che non avessi voluto ritrovartela sul pavimento del salotto il mattino dopo, ma neppure quelle minacce erano servite a qualcosa se non a meritarmi le proteste infastidite dei vicini, a cui avevo risposto con la mia migliore occhiata omicida.
Faceva dannatamente freddo quella notte, perché ovviamente non poteva non essere inverno a quel punto, e noi ci conoscevamo già da tre anni: io non avevo preso alcuna coperta con cui riscaldarmi, e neppure una felpa o qualche abito più pesante della maglietta con cui giravo abitualmente per casa. Iniziavo già a sentire i denti battere ed i brividi percorrermi la schiena, ma pur continuando a masticare imprecazioni ed insulti nella tua direzione ero decisa a non schiodarmi da quel quadrato di pavimento neppure se qualcuno avesse chiamato la polizia denunciandomi per stalking. Ero decisa a farti uscire da quel guscio in cui ti eri stupidamente ritratta, ovviamente dopo averti tirato un pugno sul naso per farti scontare tutte le pene che ero stata costretta a sopportare per causa tua. Il fatto che avessi scelto volontariamente di sottopormi a quella tortura, a quel punto non lo tenevo neppure più in conto. Probabilmente dovevo essere caduta in un leggero dormiveglia, perché quando aprii gli occhi il corridoio era vuoto e immerso nella più completa oscurità, mentre dalle finestre sul lato delle scale si notava appena il luccichio proveniente dai lampioni della strada sottostante. L'aria era assolutamente gelida, e mi sfuggiva dalle labbra in piccoli sbuffi di fumo bianco mista alle sottili e velenose imprecazioni che stavo rivolgendo a te, alla stupidità del genere umano, e al bisogno di castrare ogni essere maschile che mi fosse capitato sottomano da quel momento in poi. In un primo momento, non mi ero resa conto di cosa ci fosse di diverso, almeno fino a che non mi ritrovai con la schiena sul pavimento ed il tuo volto stupefatto che mi osservava a testa in giù. Mi ci volle qualche attimo per capire che ero io, quella a testa in giù, e che tu che ti stavi coprendo gli occhi con una mano, mormorando parole incomprensibili, eri perfettamente in piedi sulla soglia di casa. Avrei voluto alzarmi, tirarti un pugno, abbracciarti fino a farti scricchiolare le costole ed urlarti nelle orecchie di non comportarti mai più in maniera così stupida.
La tua mano tesa verso di me, ed il piccolo sorriso tirato che finalmente parve fare capolino sulle tue labbra mentre mi guardavi, mi lasciarono come unica replica possibile quella di accettare la tua offerta di aiutarmi ad alzarmi. A quel punto, sembrò calare un silenzio particolarmente denso tra noi, a cui non trovai altra soluzione se non quella di dedicarmi alla rimozione della inesistente polvere che si era accumulata sui miei pantaloncini, tutto per cercare di non incrociare gli occhi con i tuoi. Avrei voluto solo correre via ed infilarmi nel mio appartamento sbattendo la porta e facendo finta che niente di tutto quello fosse mai successo, e forse dopo un anno o due sarei finalmente riuscita a convincermi che quella veglia fuori da casa tua, alle tre del mattino di un gelido inverno, era stata solo il frutto della mia malsana ed assolutamente pazza immaginazione.
Volevo farlo, seriamente, fingere che tutta quella assurda scenetta non avesse mai avuto luogo: ed ero certa che tu avresti concordato con me, negando fino alla morte un simile coinvolgimento in qualcosa di tanto stupido da sfiorare l'assurdo. La nostra vita non era un dannato film da adolescenti romantiche, diamine! Esistevano limiti oltre i quali i clichè diventavano impraticabili.
Eppure, quella volta riuscisti veramente a sorprendermi.
"Vieni dentro"
E mentre cercavo di dare un senso alle tue parole, fissandoti come un cerbiatto colto di sorpresa dai fari di un camion, mi parve di vedere le tue guance tingersi di un curioso mix di sfumature di viola, prima di darmi la schiena con un movimento improvviso, appoggiando la mano allo stipite della porta.
"Ti preparo qualcosa di caldo, vieni dentro prima di prenderti un malanno, idiota"
Non avevo dato peso al rossore che ti era risalito fino alle orecchie, creando un improbabile contrasto con il disordinato ammasso di capelli azzurri che circondavano la tua testa. Mi ero limitata ad annuire, seguendoti nell'appartamento e chiudendo la porta dietro di me.
Certamente non potevo sapere, che quello sarebbe stato l'inizio di tutto.

Da quel momento, qualcosa cambiò tra noi: diventammo inseparabili, tanto quanto possono esserlo due persone della stessa età che vivono in appartamenti confinanti. Ogni scusa era buona per vederci, e anche se tu sbuffavi od io mi lamentavo, in realtà sapevamo bene tutte e due che non avremmo mai rinunciato l'una alla compagnia dell'altra. Sempre più spesso capitava che trascorressi le serate nel tuo appartamento, il mio era semplicemente troppo disordinato e caotico per poter ospitare qualcosa di più di una intensa sessione di pulizie, a guardare la tv o a sfidarci ai videogame fino alle prime luci dell'alba, per poi crollare sul divano perfettamente consce che a quel punto alzarsi ed andare al lavoro sarebbe stato terribilmente faticoso. Le nostre amiche se pure furono sorprese dal nostro cambiamento non lo diedero troppo a vedere, come se avessero sempre saputo che prima o poi le cose fra noi sarebbero giunte a quella fase. D'altro canto, continuarono a prenderci in giro ora più che mai, ridendo e scherzando sul fatto che, se dovevamo essere tanto inseparabili, tanto valeva che ci sposassimo. Tu sghignazzavi apertamente, e dicevi che una vita come mia moglie sarebbe stata tutta un susseguirsi di pulizie e lavoro in cucina, per riempire il mio insaziabile stomaco. Allora non ci detti troppo peso, e risi dell'assurdità della cosa prendendoti in giro e mimando scenette di te in grembiule che mi accoglievi a casa con la canonica frase di bentornato.
Ora me ne rendo conto, che io ti avrei sposato.
Il modo in cui tu riuscivi a riempire la mia vita, era qualcosa che non sono mai più riuscita a replicare, e adesso dopo tutto questo tempo finalmente capisco che, per quanto possa continuare a cercarlo, non troverò mai più qualcuno come te.
Ti avrei sposato, e ti sposerei ancora adesso.
Ho riso e scherzato su questa cosa per tanto tempo, internamente crogiolandomi nell'idea che mi sarebbe bastato bussare alla porta di fianco alla mia per vederti, e che nient'altro avrebbe potuto rendere il nostro rapporto più stretto di così.
E poi perché avrei dovuto sposarti, mi dicevo. Mi la amo, mica stiamo insieme, mi ripetevo.
Avrei dovuto capire che il semplice fatto di pensarci, di passare stupide notti insonni a rigirarmi nel letto e chiedermi come sarebbe stato vivere non nella stanza di fianco alla tua, ma nella tua, erano l'unica prova di cui avevo bisogno e un motivo abbastanza consistente da potermi spingere a bussare alla tua porta con un mazzo di fiori in mano ed il mio più stupido ed imbarazzato ghigno a rispondere al tuo sguardo stupefatto, chiedendoti di uscire con me.
Sarebbe stato divertente osservarti boccheggiare come un pesce, indecisa se sbattermi la porta in faccia lanciandomi insulti irripetibili o buttarti a terra a pregare che la fine del mondo non giungesse veramente. Forse a quel punto mi sarei arrabbiata, ti avrei tirato un pugno sul naso e me ne sarei andata calpestando il pavimento del corridoio con la rabbia e la forza di cento elefanti. O forse avrei zittito ogni tua parola ancora prima che potessi formularla con un bacio che ci avrebbe lasciate entrambe senza fiato.
Ultimamente mi chiedo spesso come sarebbe stato, baciarti e stringerti e sapere che mi sarebbe bastato allungare un braccio per intrecciare la mano nella tua, condividere la vita insieme per il resto dei nostri anni.
Certamente non avremmo mai smesso di litigare ma ehi, è proprio questo quello che ci ha sempre reso così speciali. Ora lo so, che quello era solo il nostro stupido, infantile modo per dimostrare di tenere l'una all'altra, e che le altre lo avevano capito da molto prima di noi e che ogni loro presa in giro, ogni loro allusione, era solo per spingerci verso la strada giusta.
Eppure in qualche modo quella strada non siamo state in grado di imboccarla, o forse era semplicemente destino che i nostri dovessero essere due binari paralleli destinati a correre fianco a fianco senza mai incrociarsi. Fino a che tu non hai imboccato una nuova strada.

Quanto tempo è passato?
Ho smesso di contare i giorni al centotrentanovesimo suono della sveglia, quando i ciliegi hanno iniziato a fiorire e Mami ci ha invitate tutte per un pic-nic al parco: fin da subito, è stato chiaro che le cose non avrebbero mai più potuto essere come prima, e che tutte quante stavamo combattendo una dura lotta per costringerci a mandare giù bocconi che sembravano decisi solo ad incastrasi in gola. Alla fine, Madoka non ce l'ha fatta ed è scappata via piangendo, mentre Homura l'ha seguita con la solita freddezza spezzata solo da uno sguardo più spento del solido. Persino da nostra regina dal cuore di ghiaccio, alla fine, non è stata in grado di impedire alle sue emozioni di manifestarsi. Mami si era limitata a chinare il capo, stringendo fra le braccia Nagisa e combattendo per trattenere le lacrime al loro posto.
Mi sono alzata e me ne sono andata, incapace di resistere oltre.
Da quel giorno, abbiamo deciso di non riunirci mai più a casa di Mami.
Talvolta capita che incontri qualcuna di loro per strada, Homura spesso mi offre un caffè od uno spuntino che sono più io ad imporle che la sua generosità a propormi, e Mami ogni domenica mi invita ad unirmi a lei e Nagisa per il pranzo. Madoka mi saluta per strada, ma i suoi occhi sono più spenti di una volta, ed il solo incrociarli è come sentire una corona di spine stringermi il petto, perché mi ricordano che io non sono l'unica persona che soffre per la tua mancanza.
Molte volte nel buio della mia stanza vorrei poterti avere tra le braccia e stringerti fino a spezzarti tutte le ossa, e poterti urlare che sei una stupida, e che ci sono persone a cui manchi e che darebbero qualunque cosa per rivederti. Poi la ragione ritorna, e lascio che la testa affondi mollemente nel cuscino liberando lacrime che non potrei mostrare di fronte a nessuno.
Ah, se tu potessi vedermi, quanto prenderesti in giro questa sciocca e debole me che non riesce a lasciarsi alle spalle il passato e mettere un piede davanti all'altro per andare avanti.
Ma è questa la vera stupidità, o lo è di più la tua inutile fuga che ti trascina lontano da tutte noi, senza volontà di ritorno?
Dimmi Sayaka, per quanto tempo ancora vorrai fuggire?
O forse, in fondo, sarà solo un piccolo sogno sbocciato alle prime luci dell'alba, sotto i grigi cieli della notte che scompare, quello in cui tu busserai alla mia porta ed io verrò ad aprirti sbadigliando, prima di sgranare gli occhi dimenticando sonno e stanchezza nel vedere i tuoi corti capelli azzurri incorniciare il tuo volto imbarazzato, che rifiuta testardamente di incrociare il mio sguardo, mentre mormori un debole
"Kyouko, sono a casa?"

Ah, questo è sicuramente… solo il sogno di un folle.


N.d.A. :

Non ho la minima idea di come questa storia sia venuta fuori, dove voglia andare a parare, che cosa sia successo a Sayaka da spingerla ad andarsene senza dire niente a nessuno, se sia viva o morta, se mai tornerà e se lo farà ricambierà o no i sentimenti di Kyouko. E' tutto nato come un semplice flusso di pensieri generato dall'ascolto della canzone "Ichiban no takaramono" (Yui version), che di per sè spinge già abbastanza l'acceleratore sull'angst, e poi il tutto è proseguito così. Probabilmente la folle qui sono io, e non Kyouko che dopo mesi ed anni continua ancora a sperare inconsciamente in un ritorno di Sayaka. O più semplicemente, mi sentivo in vena di angst e l'ho scritto!
Essendo una AU qui le ragazze non sono Puella Magi, e quando le due si conoscono frequentano già il liceo ed hanno sedici anni, mentre alla fine ne hanno oltre venti. Per qualche motivo entrambe vivono da sole, e per di più in due appartamenti che sono l'uno di fianco all'altro. Non oso immaginare le litigate alle riunioni di condominio XD
Il loro rapporto quindi si evolve molto più lentamente che nell'anime, ma grazie a Mami ed alle altre a poco a poco imparano ad andare d'accordo, e a creare quella sintonia che Rebellion (e certo materiale bonus) ci hanno mostrato, fino ad arrivare al punto di diventare una coppia "de facto" agli occhi di tutte: peccato che Kyouko se ne sia resa conto quando ormai era troppo tardi...
Ah, il ragazzo di Sayaka di cui si fa menzione è ovviamente Kyousuke (e qui si capisce quanto io detesti quel ragazzo).
Posso solo dire che mi vergogno di me stessa: avevo giurato che avrei sempre dato un lieto fine a queste sei povere ragazze che nell'anime hanno sofferto in modi che nessuno potrebbe immaginare, eppure qui l'ho infranta ed ho creato qualcosa che è tutto meno che a lieto fine.
Posso almeno promettere che d'ora in poi farò in modo che non succeda mai più...

  
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