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Autore: SnowIsa    08/09/2014    0 recensioni
Un angolo di vita quotidiana, un'adolescente chiusa in sé stessa e tante parole lasciate in sospeso nell'aria. Un inizio fatto di sguardi, di avanzate e ritirate da parte di entrambi. Un evento quasi inaspettato che rompe un già delicato equilibrio.
"era un sorriso fantasma il suo, alle volte nessuno capiva che stava sorridendo, ma io lo sentivo. Sollevava appena l'angolo delle labbra, lo sguardo si ammorbidiva. Era tutto qui."
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Avevo sostituito Karis nell'organizzazione dell'evento. Non so perchè l'avevo fatto, in fondo non le dovevo niente, non ci apprezzavamo nemmeno l'un l'altra più di tanto. Alla fine però l'avevo fatto.
Avevo visto la palestra trasformarsi da grigia e umida struttura ad un palazzetto di tutto rispetto, pronto ad accogliere il torneo.
Erik mi era venuto incontro quella volta, aggirando i compagni di sqadra che lo chiamavano per ogni inezia. 
All'inizio nemmeno me n'ero accorta, impegnata com'ero a controllare che ogni decorazione fosse sitemata dove e come Karis aveva chiesto.
Mi aveva presa per un polso e mi aveva trascinata in un corridoio, in penombra. Gli ero finita addosso quella volta, completamente bloccata tra il suo petto e le sue braccia. Non capivo a che gioco stesse giocando. Se Karis ci avesse visti, mi avrebbe uccisa nel modo più doloroso possibile. 
Proprio non capivo perchè quella sua espressione sempre fredda e distaccata dosse scomparsa, lasciando il posto ad un sorriso luminoso e dolce.
Potevo sentirlo, sotto di me, quel suo corpo così ambito dalle ragazze. Era estate, quasi autunno, e due maglie sottli non potevano certo impedirci di percepire l'una il calore dell'altro.
aveva detto quella volta. aveva sussurrato al mio orecchio, leggendomi dentro.
Io, dalla mia, avevo la testa come ovattata. Non capivo, non volevo capire.
Mi aveva sorriso, guardandomi negli occhi. Era un sorriso fantasma il suo, alle volte nessuno capiva che stava sorridendo, ma io lo sentivo. Sollevava appena l'angolo della labbra, lo sguardo si ammorbidiva. Era tutto qui.
Quella volta mi aveva baciata, dolcemente. Ma io non avevo capito, non volevo capire, o forse non avevo fatto in tempo a capire. Lui se n'era andato, così com'era arrivato.
Era un'ombra, il fumo profumato di un incenso, un fruscio alle mie spalle, nulla di più.
Mi ero sfiorata le labbra quella volra, con un dito, e avevo sorriso anch'io, col suo stesso sorriso. Mi sentivo vuota, come immersa in una nebbia chiara, rassicurante, incompresa, incomprensibile persino a me stessa.
L'evento era cominciato il giorno dopo, e anche quel giorno lui aveva trovato il tempo per me, per portarmi via un altro pezzetto di armatura, di lucidità, di freddezza.
Non ci eravamo neanche sfiorati, eravamo lontani in quel momento, ma io avevo sentito ugualmente la carezza del suo sguardo.
avevo mimanto con le labbra. Lui aveva risposto con un cenno del capo e quel suo strano sorriso. Avevo sorriso anch'io, fiduciosa.
Per tutta la mattina l'avevo seguito con lo sguardo, avevo trattenuto il fiato ad ogni colpo subito, e festeggiato con lui ogni vittoria.
Avevo visto dall'alto, lontana, Karis e Georgina avvicinarsi, offrirgli dell'acqua e civettare allegre. Io, ferma in un angolo, non avrei mai osato rompere la sua concentrazione. 
Sapevamo entrambi, sorprendentemente, che non avevamo bisogno di vederci, di parlare, di sfiorarci, per avere il reciproco sostegno.
Era quasi ora di pranzo quando cominciò il suo ultimo incontro. L'avversario era più alto, più grosso er indubbiamente più aggressivo, ma lui non si era scomposto.
Senza accorgermene avevo portato la mano alle labbra, a coprire il loro silenzioso muoversi in preghiera.
Sembrava che si equivalessero. Più l'uno caricava con la forza, più l'altro rispondeva con la grazia. Guardare Erik era come osservare l'acqua che s'infrange sugli scogli, un momento quasi giocosa, il momento dopo spaventosamente violenta. Colpiva, forte e preciso, poi si ritraeva, lontano dalla portata dell'avversario.
Vidi l'altro preparare un colpo, tratenni il fiato, forse troppo rumorosamente. Percepii il movimento del suo capo nela mia direzione, ma un grido distrasse entrambi. Fu in quell'istante che la scena riprese a muoversi davanti ai miei occhi.
Il calcio lo raggiunse su un ginocchio, preciso e ben assestato. La gamba cedette e l'avversario infierì.
Non volevo guardare, ma non potevo non farlo. Sentivo che se mi fossi voltata si sarebbe arreso. Contavamo tutti su di lui, non poteva lasciarsi battere.
Fui lì, a sostenerlo col cuore e con tutte le mie forze. Potevo vedere lo sguardo segnato dal dolore e dalla fatica, ma vidi anche la determinazione e questo mi rincuorò. Ogni movimento era straziante, ma, anche se non ricordo come, riuscì a vincere quell'ultimo incontro. Avevo tenuto lo sguardo fisso su di lui, avevo immaginato di cedergli tutte le mie energie, così, alla fine, ero stremata anch'io.
Dal mio angolo sugli spalti, lo vidi abbandonarsi tra le braccia dei compagni mentre il palazzetto si svuotava. Udii Karis inveire a gran voce contro un paramedico che le intimava di lasciarlo lavorare.
Erik le strinse appena una mano e le sussurrò qualcosa, la vidi sorridere. Alzò lo sguardo e mi trovò, nascosta nell'ombra; sorrideva vittoriosa.
Era venuto il momento per me di abbandonare il campo, senza nemmeno aver lottato.
Uscii dal palazzetto e presi la bicicletta. Faceva caldo, ma pedalai ugualmente fin dove i pedali mi portarono; poi mi trascinai al seguito dei miei stessi piedi.
Ricordo l'odore opprimente di disinfettante, la voce di un'infemriera che mi chiedeva se volessi dell'acqua, poi una porta socchiusa dopo due rampe di scale. Mi fermai prima di entrare, accanto a volti che conoscevo. Da quella porta uscì Karis, non mi notò nemmeno. L'unico ad accorgersi dell'intrusa fu Marco, un amico in comune.
era arrabbiato. Mi strinse dolcemente un braccio. chiese. Scossi il capo.
Avevo visto uscire Karis, non ritenevo che gli servisse altro supporto che quello. Lei c'era sempre, ovunque lui fosse, in prema fila, in bella vista. Ed io dov'ero? Nell'ombra, al sicuro.
Pensai e ripensai, poggiara ad un balconcino di marmo gelido. Alla fine scrissi in biglietto, banale, anonimo: "guarisci presto" . Mi sfuggiì una lacrima, macchiò l'inchiostro, ma non ci feci nemmeno caso. Abbandonai quel pezzetto di carta nelle mani di Marco e me ne andai.
Cos'avevamo in comune io ed Erik? Nulla. No, una sola cosa, l'ombra.
A nessuno dei due piacevano i riflettori. Spesso mi era capitato di vederlo affacciato ad una finestra aperta, d'inverno, ad occhi chiusi ad ascoltare la pioggia, proprio come facevo io. L'avevo anche incontrato più volte al parco, dopo un temporale, ad assaporare l'aria frizzante e l'odore di terra bagnata.
C'erano però tante altre piccole cose che ci univano e ci dividevano.
Lui era sempre in ordine, puito, come un foglio bianco. Non lasciava trapelare nulla, ma potevi immaginarci sopra qualunque cosa.
Io invece stavo tornando  al mio universo di polvere e fieno.
Tornavo di corsa da compagni di squadra a quattro zampe. Sapevo che loro potevano ascoltarmi e comprendermi molto meglio di quanto io stessa fossi ingrado di fare. Il rumore degli zoccoli, la mente limpida al solo pensiero di salire in sella... non chiedevo altro.
Chiunque mi avesse cercata, poteva trovarmi lì, sporca di povere, accaldata, indaffarata, ma viva.
Mi sentivo come un foglio, di quelli che ritrovi dopo tanto tempo, stropicciati, pieni  di scritte disordinate e cancellature. Uno di quei fogli che al solo vederli riportano indietro mille ricordi. Ero una pagina scritta di fretta, piena di cose non dette... e solo lui sapeva dove leggere.

   
 
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