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Autore: Oldyears    08/09/2014    1 recensioni
Ora erano nel buio di una splendida sala cinematografica, a fissare il megaschermo stellato, con i corpi sudati e le bocche ancora unite; spasmi soffocati da schiocchi di labbra sempre più rosse, più bagnate;
parole e promesse che come sorgenti appena nate, andavano a creare il loro oceano personale.
Accanto quello splendido e bellissimo fiore azzurro che dormiva steso su di lui, stretto come se potessero prenderlo da un momento all’altro per ripiantarlo in un terreno avvelenato, Harry respirò.
Si riempì i polmoni come si fa dopo aver passato una serata con l’amore della tua vita ad osservare le stelle. Come dopo aver fatto l’amore.
Si sentì pieno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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-Non adesso.-
Non doveva finire in quel modo. Era come arrivare a cogliere il fiore più bello di un giardino, consapevoli di poter custodire quella bellezza per poco tempo ma tra le proprie mani, quando lasciarla dov’è, sotto lo sguardo altrui, avrebbe significato vederlo più bello che mai.
 Si allontanò, con le labbra ancora bagnate da saliva che, muta, aveva incollato due corpi che di unito non avevano altro; due esseri troppo diversi per riuscirsi ad avere ma che si desideravano così tanto da lottare ogni giorno contro i propri limiti, per cercare di appartenersi.
Non si sarebbe mosso da lì nemmeno per un secondo. Avrebbe solo voluto che quell’attimo fatto di sciocchi di labbra non finisse mai, o meglio, che potesse finire e ricominciare tutte le volte che avrebbe voluto succedesse di nuovo.
Ma non poteva desiderare più niente, se non secondi fuggenti, in una vita che i secondi te li riempie e storpia fino al midollo.
Sentiva lo sguardo intriso del più grande sulle sue spalle, che vibrava di rabbia ma ancor più di senso di colpa per ciò a cui si era prestato. Perché era anche colpa sua e del suo spasmodico ed incondizionato amore verso quella schiena che, curva su stessa, cercava di difendere ciò che di più caro avesse al mondo, allontanandosi da lui il più possibile, facendogli e facendosi- più di tutti-del male, nella speranza che un altro concentrato momento come quello potesse essere abbastanza curativo per quelle ferite perennemente sanguinanti.
Il silenzio dei corridoi di quell’hotel e le urla di cuori e anime che non riuscivano a contenersi; il pulsante desiderio di invertire le regole del gioco per una volta, una sola, e giocare secondo le loro regole.
La voglia matta di baciarsi le bocche ogni giorno, davanti a tutti i visi che seri e muti stanavano sul nascere ogni loro tentativo soffocato d’amarsi. Quasi come se fosse sbagliato, potersi amare in quel modo.
E forse sbagliato lo era davvero, in quella loro vita in cui nulla veniva deciso se non da ragazzette, da uomini, da numeri, da grida, da cd, da canzoni, da visualizzazioni, da contratti.
Si riduceva tutto ad un apparente gioco di ruolo dove si prestava solo la propria faccia e poi, chi riusciva a manipolare la loro vita nel modo più simile a quello che potevano far credere fosse il loro, vinceva.
Era una prigione invisibile ed enorme, che rinchiudeva tutti e due in uno spazio troppo angusto e buio. Ed entrambi avrebbero voluto tanto prendersi per mano, stringersi l’uno tra le spalle dell’altro ed accarezzarsi i capelli, in ginocchio in un angolo a fissare un punto a caso di quel buio incommensurabile, consapevoli di essere soli ma insieme.
Non potevano farlo. Neanche il buio era sicuro per loro. Tenevano troppo l’uno a l’altro per poter uscire allo scoperto. Tenevano troppo ai loro amici e alle conseguenze che quell’egoistico gesto avrebbe portato. Tenevano al loro amore libero, che di libero non aveva niente.
Il piccolo camminava, a testa bassa, con le lacrime che rigavano le guance e le erodevano come la pioggia acida fa con gli scogli del mare; con lo stomaco rigonfio di botte di tessuti tesi, carichi di disperazione in ogni minima particella; con la bocca ancora umida stretta in una linea paurosamente retta e chiusa e le mani strette nei capelli, a volerli tirare via perché testimoni di irresistibili e tentatrici carezze.
Pochi metri dopo, muto, si fermò per respirare, sentendosi i polmoni sgonfi, vuoti.
Provò a riempirsi di aria, come si fa quando hai baciato così a lungo una persona da esserti svuotato completamente d’ogni cellula d’ossigeno. Come quando devi provare a soffocare un pianto, o come quando, quel pianto, non riesci a soffocarlo per niente.
Ma gli parve di introdurre solo buio, coltre nera che gli otturava qualsiasi spazio vacante creando un vortice pronto ad ingoiare dentro tutto quel nulla e farne un nulla più grande.
Non riuscì a fare altro che prendere enormi boccate di quella velenosa sostanza scura come carbone, creandosi il suo buco nero personale.
Riprese a camminare, con passo più lento, la testa fissa davanti a quello di cui si era appropriato, cercando di plasmarlo in modo sufficientemente decente a ciò da cui stava scappando.
Ma non ci riuscì. Perché il silenzio si fece troppo pesante, rumoroso. Assordante.
E il buio lo spaventò. E l’aria cominciò a diventare una prima necessità.
Per cui ripercorse a ritroso quel breve tragitto piastrellato fino al punto da cui era partito, fino al suo splendido fiore- che era ancora fermo lì, ad aspettarlo, con le labbra dischiuse, gli occhi lucenti e brillanti di quell’azzurro ghiaccio che emanava più calore di quanto potessero produrne le fiamme dell’Inferno.
E quel fiore, decise di coglierlo quella sera stessa, su quel pavimento bianco e con quel buio mangia-tutto.
Cambiarono le regole e giocarono la loro partita.
Non ci furono più ‘grande’ e ‘piccolo’, ‘puttaniere’ e ‘comico mancato’, ‘cantante’ e ‘compagno di band’, autografi, telecamere, cd, tour, fans.
Non ci furono più sguardi seri, tagli e censure alle loro azioni o parole, facce burbere e bocche ricolme di fumo che passavano la giornata a masticare ordini sconnessi e sommessi che miravano solo a distruggerli.
Non ci fu più quel silenzio vuoto, così fastidioso da ascoltare e da ignorare.
Non ci fu più quella coperta spaventosamente buia a soffocargli il respiro, a mozzargli le parole in gola, a trattenere il nodo di lacrime alla bocca dello stomaco.
Non ci fu più la folla di sguardi matti, iniettati di pazzia, che stava a fissare e strapazzare quel meraviglioso fiore così delicato, così profumato e così bisognoso di vita.
 
Ora erano nel buio di una splendida sala cinematografica, a fissare il megaschermo stellato, con i corpi sudati e le bocche ancora unite;  spasmi soffocati da schiocchi di labbra sempre più rosse, più bagnate;
parole e promesse che come sorgenti appena nate, andavano a creare il loro oceano personale.
Accanto quello splendido e bellissimo fiore azzurro che dormiva steso su di lui, stretto come se potessero prenderlo da un momento all’altro per ripiantarlo in un terreno avvelenato, Harry respirò.
Si riempì i polmoni come si fa dopo aver passato una serata con l’amore della tua vita ad osservare le stelle. Come dopo aver fatto l’amore.
Si sentì pieno.
                                                              
Anche quel fiore, senza farsi notare, respirò.
E sentì il profumo di quelle colline verdi entrargli dentro, rigenerarlo come la pioggia dopo giorni di caldo arido- con l’unica differenza che quel fiore e quel terreno, la sete, la pativano da quattro anni.
Era il grande tra i due ma si sentì così piccolo, così infinito dentro quel torace così largo, impostato, dentro quelle braccia forti che lo tenevano saldo a quel corpo con forte delicatezza, imponendosi di non fargli male ma di non farlo scappare lontano.
Louis sorrise, nel buio di quel cinema che continuava a proiettare loro due in preda alla loro disavventura amorosa- immaginandosi recitare le classiche battute da cliché “Ma se c’è l’amore, c’è tutto”.
Accennò ad una risata, che non riuscì a trattenere se non dopo che quelle braccia lo strinsero ancora un po’ di più vicino quelle distese verdi su cui avrebbe voluto dormire per sempre.
-Sei felice, Louis?-
Quella notte non gli sarebbe mai bastata. Mai. Anzi, quasi sicuramente l’avrebbe odiata di lì a poche ore dal sorgere del sole, quando la classica routine cadenzata avrebbe ripreso a scorrere e a trascinarlo lontano da quell’essere con cui voleva unirsi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo della sua vita.
Lo avrebbe maledetto nelle notti in cui era costretto a dormire con la sua fidanzata, lontano da lui, lo avrebbe dovuto ignorare in quei momenti dove-invece- avrebbe voluto saltargli in braccio, piangere e chiedergli aiuto, implorandolo di scappare via con lui nel loro splendido giardino, lontano da tutti e tutto.
Soli ma insieme.
Ma in quel momento, lui era felice. E sapeva che nonostante tutto, con il suo Harry, lo sarebbe stato sempre.
Come un fiore trapiantato in un terreno soffice ma illegale.
-Sì, sono felice Harry.-
Rimasero stretti nelle loro morse possessive per tutta la notte, dormendo addossati- pensando che era quello, il posto più bello dove avrebbero voluto vivere per sempre: l’uno accanto all’altro, in quel giardino variegato di quelle mille sfumature che aveva il loro amore.
Vivendo da soli.
Ma sempre insieme.








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Buongiorno a tutti! 
Sono Ales e questa è la prima OS che pubblico.
Non è la prima volta che pubblico qualcosa su EFP in quanto ho sempre cancellato e ricancellato le storie e gli account perché li consideravo troppo banali.
Grazie però, ad una mia cara amica (Anna, ti ringrazio tantissimo <3) ho ritrovato la voglia di scrivere e pubblicare i miei pensieri più reconditi, sui One Direction -ma non solo!
Parlando di questa OS in particolare: la storia l'ho scritta con in sottofondo il nuovo album di Ed Sheeran, X, in particolare ispirandomi a Photograph, una delle canzoni secondo me più belle mai cantate.
Personalmente, anche se non a rating rosso, sono abbastanza affezionata a questo scritto perché è la mia chiave personale riguardo la questione Larry (su cui sì, scriverò molto) e sì, insomma, se dovete criticare andateci piano.
Detto questo, mi rivedrete presto sia con altre OS (molte riguardo anche bromances)sia con FF- una in arrivo proprio a momenti.
Bye bye, sweeties:*
-Ales

 
   
 
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