L’ultimo
treno
Passeggio
lentamente affianco alla ferrovia.
Sono
giorni che penso a quanto è accaduto.
Giorni
che non mangio, che non sorrido, che non esprimo
nessuna di tutte le emozioni che la mia anima sta provando quasi
contemporaneamente.
L’mp3
cerca di consolarmi, ma non ci riesce più da tanto
tempo.
Un
campanello lontano mi intima di spostarmi dai binari. Un
fischio altrettanto distante.
No,
non è ancora il momento. Non è ancora giunto il
tempo
esatto.
Mi
sposto qualche secondo prima che passi il treno. Uno di
quelli scassati, distrutti dai vandali.
Il
vento freddo mi sferza il viso, gelandomi la pelle, ma
ormai non sento nemmeno il freddo.
Sbuffo
una nuvoletta di vapore, desiderando ardentemente che
sia il fumo di una sigaretta, ma ti avevo promesso che avrei smesso,
quindi
posso solo accontentarmi del mio fiato che si condensa con il freddo di
novembre.
Mi
infilo le mani in tasca. Nonostante i guanti sento le dita
che si gelano pian piano. Mi stringo nel cappotto scuro ed alzo il
volume della
musica, finché non mi alieno completamente dal mondo.
Sbuffo
nuovamente e guardo l’ora dal cellulare. Sono quasi le
cinque. Il tramonto mi accoglie non appena supero la cima della
collinetta.
L’arancio del sole domina su qualunque cosa.
Sorrido,
ma non di gioia. Credo sia un riflesso dovuto allo
splendore della natura. L’unica cosa che per il momento non
mi ha mai delusa.
Sospiro,
poi mi avvio verso casa. Estraggo le chiavi dalla
tasca destra ed apro la porta, richiudendola quasi subito per non far
uscire il
caldo, o per non far entrare il freddo a seconda delle interpretazioni.
Mia
madre è in cucina e sta preparando la cena. Mio padre in
bagno a fare la doccia, mio fratello minore all’allenamento
di calcio.
Io
vado in camera, non saluto nessuno.
Sanno
tutti che non sto bene, che non sono più la ragazza
contenta e solare di una volta.
Mi
spoglio e mi metto il pigiama, poi mi collego ad internet e
vado sul mio blog.
Ovviamente
nessun commento, ma non m’importa. Pubblico un
nuovo intervento, poi guardo un po’ la posta elettronica.
Spam…solo
quella.
Cancello,
senza nemmeno aprire i messaggi.
Sbuffo,
questa volta senza che una nuvoletta fredda si formi
davanti al mio naso.
Certe
volte vorrei essere invisibile, per poter sparire.
Sospiro,
poi spengo il computer e mi sdraio nel letto. Non ho
sonno, o almeno non ne ho più da tempo.
Una
lacrima solitaria finisce sul coprimaterasso candido e la
cosa mi stupisce. Pensavo di averle esaurite tutte almeno tre giorni
prima.
Già.
Da tre giorni la mia vita ha completamente perso
significato.
Ho
preso il coraggio a due mani e ho detto di amarti, che
nonostante tu sia il mio migliore amico io ti amo con tutta me stessa.
Certo,
sapevo che questa mia dichiarazione ti avrebbe spaventato, ma non
credevo
potessi rivelarti un bastardo.
Un
bastardo come tutti gli altri.
Ancora
non capisco perché mi eviti…
Perché
non mi parli più. Non ho mica detto di aver ucciso
nessuno. Sono sempre la stessa, solo che ora sai anche tu quello che
penso. Ti
ho reso partecipe di un grande segreto della mia vita e pare che tu sia
schifato da questa cosa.
Non
sono diversa da prima, sono la stessa di una settimana fa,
sono la stessa di sette anni fa…già, a giugno
sono stati sette anni. Sette anni
di intensa amicizia, di complicità e di sogni nascosti,
sì perché ho saputo che
all’inizio eri tu quello che aveva un debole per me, ma io
ero cieca…accecata
da qualcun altro, quel qualcun altro che si è rivelato la
persona sbagliata.
Un
bastardo, come tutti gli altri.
Già,
siete tutti così voi uomini.
Chissà
perché ogni volta che venite a sapere che piacete ad
una ragazza vi rivelate degli stronzi di prima categoria. Iniziate a
fare i
superiori. A credervi al centro del mondo e a snobbare tutti,
diventando
nient’altro che degli idioti, dei palloni gonfiati senza
cervello.
Anche
tu, nonostante io pensassi che fossi diverso. Nonostante
credessi che tu mi avresti capita, avresti sicuramente accettato questa
cosa.
Mi
sarebbe bastata una qualsiasi risposta, persino un rifiuto,
un semplice “No, restiamo amici”. Me ne sarei fatta
una ragione, invece ti ho
trasformato in un mostro.
In
uno di quelli che mi avevi promesso non saresti mai stato.
E
io ti ho creduto, tutti ci hanno creduto, perfino tu.
Sei
un ipocrita. Hai mentito a te stesso e non c’è
cosa
peggiore. Io ti amavo, sì amavo quel ragazzino innocente che
ascoltava le
colonne sonore dei film, invece della musica commerciale. Quel
ragazzino che
nonostante avesse diciassette anni ancora non sapeva nulla
dell’amore, che
ancora se ne stava davanti alla tv a guardare i cartoni. Uno come me,
che non si
faceva problemi se io, a diciotto anni ancora me ne fregavo di non aver
mai
avuto un ragazzo, di non aver mai dato un vero bacio. Quel ragazzino
che non mi
aveva mai detto che ero una sfigata e che mai aveva parlato di aspetto
fisico.
Che andava oltre le apparenze e che per questo avevo imparato ad amare.
Già,
probabilmente mi sono illusa che tu fossi quello giusto.
Mi sono illusa che tu fossi veramente diverso, veramente unico,
veramente te
stesso.
Ora
devo andare. Il treno sta arrivando e questa volta non mi
scanserò.
Il
colpo arriva rapido, indolore. Sento solo una cosa…riesco a
sentire l’anima che si stacca dal corpo, poi più
nulla.
Ho
sprecato la mia vita inseguendo sogni irrealizzabili, alla
fine sono riuscita a farne avverare uno.
Sono
riuscita a volare, in alto.
Lontana
da tutti e da tutto…
Felice
per la prima volta da quando mi hai spezzato il cuore.