Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    09/09/2014    3 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo XXII





Le partenze fanno paura. Paura a chi parte, perché non può prevedere cosa lo aspetta.

Tre gennaio, partenza ore sei e dieci.
Tetsuya conosceva a memoria ogni millimetro del biglietto aereo che in quel momento stringeva fra le mani intirizzite dal freddo, distogliendovi i propri occhi solo ogni tanto, per dare un'occhiata a Kagami e poi alle porte girevoli dell'ingresso nella speranza di scorgere anche qualcun altro oltre loro.
Parlando della malattia di Akashi e dell'intenzione di andare in Svizzera per fargli visita, erano riusciti ad ottenere, chi tutta, chi in parte, la cifra desiderata, ad esclusione di Kise che aveva attinto direttamente dai propri guadagni.
Chi aveva ricevuto solo parte della cifra, proprio come Tetsuya, era riuscito a farsi dare il resto in prestito o arrotondare con i propri risparmi e, solo due giorni dopo Natale, avevano finalmente prenotato i biglietti e l'albergo.
Kagami teneva gli occhi fissi sulle porte girevoli, in attesa che qualche volto conosciuto facesse capolino fra la miriade di estranei che, rapidi e irrequieti, scalpitavano per accaparrarsi un posto in sala d'attesa, per correre al gate o per togliersi immediatamente l'impiccio del check-in.
Dopo circa una decina di minuti, stufo di fissare i giri regolari e silenziosi delle porte, Kagami rivolse il proprio sguardo alla figura di Kuroko, che avvolto nel cappotto e in quella grossa sciarpa sembrava ancor più piccolo e gracile.
«Ohi, hai messo dei maglioni in valigia?» poi sembrò incenerire con lo sguardo il trolley nero ai piedi del fidanzato: aveva paura che lì dentro ci fossero solo magliette leggere, che Kuroko si sarebbe preso un brutto raffreddore.
«Sì, Kagami-kun.» gli occhi di Tetsuya indugiarono ancora sul biglietto, poi si sollevarono e incontrarono quelli dell'altro, anche se per un solo istante.
Kuroko era consapevole di quanto fosse stanco e nervoso Kagami: non aveva chiuso occhio per quasi tutta la notte, non aveva fatto altro che agitarsi e si era alzato almeno un paio di volte, assentandosi in entrambi i casi per una buona decina di minuti.
«Kagami-kun?» Kuroko lo chiamò con voce flebile; Kagami non rispose, ma i suoi occhi si soffermarono immediatamente sulle dita esili di Kuroko, stese e spalancate.
Tetsuya sarebbe partito con gli ex membri della Generazione dei Miracoli e lui sarebbe rimasto in Giappone. Tetsuya avrebbe incontrato Akashi, e lui sarebbe rimasto a marcire sul letto, con la testa piena di strane e sgradevoli congetture.
Taiga gli afferrò la mano con una certa cautela, quasi avesse avuto paura che le dita di Kuroko si spezzassero sotto le sue.
L'intreccio di dita durò poco, perché Kagami lo sciolse e si piazzò davanti all'altro, mostrandogli entrambe le mani e invitandolo a fare lo stesso con un rapido e ripetuto movimento delle dita.
«Sono congelate.»
Kuroko lo guardò in silenzio e gli sorrise, per poi adagiare le proprie mani sulle sue e lasciare che le sue dita ne accarezzassero il dorso e le scaldassero.
Si era ricordato solo nel tardo pomeriggio che Nigou aveva ridotto a brandelli l'unico paio di guanti che possedeva, e quindi aveva pensato di chiederli in prestito a Kagami, dimenticando che le sue mani erano la metà di quelle del fidanzato e che quindi li avrebbe persi in un batter d'occhio.
Le dita di Kagami continuarono a carezzare e massaggiare lentamente le mani dell'altro, sentendo la pelle scaldarsi e ammorbidirsi a poco a poco; schiuse le labbra per un solo attimo, e poi le serrò nuovamente, più indeciso che mai se intavolare o meno una questione che gli ronzava in testa da Natale: tralasciando l'imbarazzo iniziale, la cena con i genitori - e la nonna - di Kuroko era andata bene e quindi, quella stessa sera, aveva cominciato a pensare se non fosse il caso di telefonare a sua madre e a suo padre per discutere della sua situazione sentimentale.
Una cena andata bene non significava certo la benedizione della famiglia Kuroko - soprattutto perché nessuno aveva ancora capito che Kagami era molto più di un amico -, ma si era trovato talmente a suo agio da realizzare che voleva mettere al più presto in chiaro le cose con i suoi genitori, dire a sua madre e suo padre che amava un ragazzo e che la cosa era seria, in modo che un giorno anche Tetsuya potesse passare una bella serata e sentirsi accettato e apprezzato.
Kuroko doveva aver notato l'assenza nel suo sguardo e doveva essere stufo di quel clima freddo e silenzioso, così scostò improvvisamente le proprie mani e si avvicinò a lui fino ad abbracciarlo.
Kagami, dal canto suo, sembrò quasi ringhiare per l'imbarazzo, ma non osò respingerlo, anzi lo strinse, seppur timidamente, e decise di rimandare la disputa che in quel momento gli stava consumando ogni singolo anfratto del cervello.


«Tetsu-kun! Kagamin!»
Kagami allentò la stretta e drizzò il viso, resistendo alla tentazione di voltarsi verso le porte girevoli: era pronto a scommettere che la voce di Momoi provenisse dalla parte opposta, ovvero da quella a cui lui stava volgendo lo sguardo e Kuroko le spalle.
Il sospetto fu confermato pochi istanti dopo, quando Momoi sorpassò un grosso gruppo di persone e valige, seguita da Aida, Murasakibara e Himuro.
Tetsuya si scostò lentamente dal corpo dell'altro, contrariato a sciogliere quell'abbraccio e a rinunciare a quel piacevole calore.
Non appena i quattro li raggiunsero, Kagami schiuse le labbra e li osservò con la fronte aggrottata, voltandosi per un solo attimo verso le porte girevoli.
«Eravamo al bar, Mukkun aveva fame.» Momoi, che aveva intuito la confusione, gli spiegò brevemente la faccenda. Tetsuya, dal canto suo, trovò finalmente il coraggio di staccarsi dal corpo di Kagami, rinunciando al suo calore, e si voltò verso di loro.
«Buongiorno.»
«Buongiorno.» Himuro fu l'unico a rispondergli, perché Murasakibara si mise a rosicchiare qualcosa, Momoi gli saltò al collo ripetendo come un'ossessa quanto fosse felice di fare quel viaggio con lui e Aida si affiancò a Kagami sbuffando spazientita.
«Devono partire fra poco e c'è solo la metà di loro.»
Taiga rivolse una rapida occhiata a Riko che, accanto a lui, se ne stava con le labbra incrinate in una smorfia pensierosa e vagamente amareggiata e le braccia conserte al petto.
«Figurati, quell'idiota di Aomine starà ancora dormendo.» ringhiò fra i denti e tornò a fissare vigile le porte girevoli.
«Oh no! Ho sentito Dai-chan al cellulare, poco fa!» Momoi sciolse la stretta attorno alle spalle di Kuroko e sbirciò per qualche istante le porte girevoli «nessuno arriverà in ritardo, state tranquilli.»
«Sicura?» Riko la fulminò con lo sguardo e Satsuki, in tutta risposta, sorrise e annuì energicamente.
«Stiamo pur sempre parlando di Akashi-kun.» Kuroko intervenne, appoggiando Momoi.
«Kuro-chin e Satsu-chin hanno ragione.» parlando con la bocca piena, Murasakibara accartocciò la carta di una merendina e la lanciò lontana, centrando il cestino che si trovava a pochi metri di distanza da loro.
«Perfino Atsushi non ha fatto storie stamattina.» Himuro seguì la traiettoria della cartaccia e sorrise non appena la vide sprofondare nel cestino.
«Ah!» Momoi sorrise e guardò davanti a sé, nello spazio che stava fra Aida e Kagami, e gli altri seguirono immediatamente il suo sguardo.
Riko sembrò trarre un sospiro di sollievo e Tetsuya sorrise debolmente.
«Eccoli.»
C'erano tutti: Aomine, Kise e Midorima, accompagnato da Takao.
«Bene!» Riko si staccò dal gruppo e andò incontro agli altri quattro «forza, andiamo al check-in!»
«Ci deve dare gli ordini anche quando non stiamo giocando a basket?» Taiga sbuffò sommessamente, borbottando e facendo sorridere sinceramente Tetsuya.
«Kagami-kun! Kuroko-kun!»
La voce di Riko sembrò perforare i timpani di entrambi e li fece sussultare.
«Volete sbrigarvi?!»
Riko e gli altri erano già tutti riuniti e loro erano rimasti lì impalati, sopiti nella loro intimità e nella contemplazione dell'altro.
«Sì, coach!» e ancor prima che Aida potesse dire qualcos'altro, scattarono entrambi in avanti e raggiunsero in tutta fretta il gruppo.


Percorsero alcuni metri della pista d'atterraggio in silenzio, alcuni con le sciarpe fin sopra il naso, altri con le mani ben nascoste nelle tasche, gli occhi socchiusi e il naso arrossato a causa del freddo pungente che sferzava i volti.
Quando arrivarono a pochi metri dall'aereo, si fermarono e si prepararono ai saluti.
«Se fa così freddo qui, non voglio immaginare in Svizzera.» Momoi borbottò sommessamente a causa della sciarpa che le avvolgeva parte del viso e le copriva la bocca.
Riko scorse con gli occhi i sei che aveva di fronte e parve un generale che, affiancato dai sottoposti - in questo caso Kagami, Himuro e Takao -, ammirava e valutava con sguardo attento il potenziale dei suoi soldati.
«Mi raccomando.» Aida si rivolse a Momoi, che proprio in quel momento, a causa di un alito di vento freddo che le si era insinuato fra i capelli, fino a sfiorarle la cute, fu colta da un brivido improvviso «tienili d'occhio.»
Momoi dondolò appena e saltellò sul posto con gli occhi chiusi e il viso quasi completamente sprofondato oltre la sciarpa.
«Va bene, Riko-chan, ma adesso è meglio che vada dentro, sto congelando!»
«Ohi Satsuki, al primo scalo vedi di metterti qualcosa di più pesante addosso, laggiù farà un freddo cane.»
Momoi annuì appena alle parole di Aomine e poi si rivolse a Kagami, Himuro, Takao e Aida.
«Bene, allora alla prossima settimana!» infine si congedò con un cenno della mano e mostrò un sorriso, per poi voltarsi goffamente e procedere verso la porta d'ingresso dell'aereo.
«Aominecchi?» Kise afferrò la manica del piumino di Aomine e la tirò appena.
«Che c'è?»
«Raggiungiamo Momoicchi-chan sull'aereo?» dopotutto loro due erano gli unici che non avevano un fidanzato da salutare, visto che sarebbero partiti insieme, per cui non aveva senso restare lì al freddo ad ascoltare le mille raccomandazioni di Aida.
Aomine indugiò appena e diede un'occhiata ai quattro che sarebbero rimasti in Giappone - fra i quali, per sua gioia, c'erano Kagami e Himuro -, poi annuì.
«Io e Kise saliamo.»
«Va bene.»
«Ciao a tutti, ragazzi!» mentre Aomine si limitò ad un rapido e confuso cenno della mano, Kise cinguettò e dispensò un grande sorriso, infine, una volta congedatosi, si ritrovò a seguire a passo estremamente rapido l'altro, che era già avanti di almeno un metro.


«Appena arrivi chiamami, va bene?» le parole di Kagami risuonarono estremamente lente e caute, e questo perché si stava sforzando di non finire per dar voce ai suoi pensieri: perché esistevano gli aerei? Perché non poteva andare con lui? Al diavolo la Generazione dei Miracoli! Al diavolo la Svizzera!
Kagami non voleva che Kuroko partisse, e in quel momento pensò che quasi un anno prima doveva essere stato lo stesso per Tetsuya, se non peggio. Anzi, sicuramente peggio: lui stava soffrendo per una settimana di lontananza, mentre Tetsuya, che tempo prima lo aveva accompagnato all'aeroporto, non aveva certezze se non il fatto che lo amava e che probabilmente non lo avrebbe più rivisto.
Solo immaginare che Tetsuya era stato costretto a patire una pena simile per mesi lo faceva sentire terribilmente in colpa, oltre che irrimediabilmente impotente nei confronti del destino.
«Kagami-kun, quando io arriverò in Svizzera, qui saranno le quattro del mattino.» gli fece presente Kuroko, con voce calma.
«Non importa.» pur di ascoltare la voce di Kuroko, Kagami si sentiva più che preparato a reggere un orario simile.
«Ti chiamerò.» Tetsuya sorrise flebilmente, poi riprese «ci sentiremo tutti i giorni.»
Le labbra di Kagami si incresparono in un sorriso quasi impercettibile: gli faceva piacere sapere che anche Kuroko era della sua stessa idea, che non avrebbe sfruttato quei sette giorni per staccare un po' dalla monotonia quotidiana, ma che avrebbe sentito la sua mancanza esattamente quanto lui.
Alla fine non era riuscito ad avvertirlo dell'intenzione di dire ai suoi genitori che aveva una relazione con un ragazzo; pensò di parlargliene in quel momento, ma non voleva rischiare di lasciare una conversazione importante a metà, visto che l'aereo sarebbe decollato di lì a momenti.
«Kagami-kun, se incontri mia nonna per strada salutala, va bene? Non ti farà del male.»
Kagami aggrottò la fronte stranito e lo fissò in silenzio per qualche istante: il fatto che lo avesse detto con quello sguardo serio e la voce impassibile lo rendeva fin troppo divertente.
«Non mi fa più così paura.» Taiga gli prese il viso fra le mani e si chinò un poco «dopotutto ha settantadue anni, giusto?»
Tetsuya lo guardò negli occhi e gli sorrise, per poi ricambiare il bacio.
«Ti amo.» quando le mani di Kagami erano ancora aderenti alle sue guance, Kuroko gli sussurrò sulle labbra.
Kagami ebbe la tentazione di guardarsi intorno, ma immaginava che anche Midorima e Takao e Himuro e Murasakibara fossero nel bel mezzo dei saluti, quindi, pur trovandosi in uno stato di imbarazzo quasi paralizzante, sussurrò di rimando.
«Anch'io.»
Tetsuya ampliò il sorriso e si scostò piano piano da lui.
«Allora ci vediamo fra una settimana, Kagami-kun.»
«Ti verrò a prendere.»
«Ciao.»
«Ciao.»
Quando Kuroko gli voltò le spalle, Kagami lo vide allontanarsi sempre di più, ad ogni passo, e improvvisamente lo avvertì così distante da sentirsi soffocare.
Solo, era completamente solo: ecco cosa doveva aver provato Tetsuya quando lui se n'era tornato in America senza preoccuparsi delle conseguenze.


Shintarou aveva fatto di tutto per dare il suo sostegno a Takao: nei giorni prima della partenza aveva trascurato completamente lo studio e si era occupato di lui, pensando che si sarebbe potuto dedicare ai suoi doveri universitari durante il soggiorno settimanale in Svizzera.
Nonostante Kazunari sembrasse migliorare di giorno in giorno, Shintarou non si sentiva ancora del tutto pronto a partire e lasciarlo solo per una settimana: ecco perché avrebbe cercato, per lo meno, di contattarlo ogni volta che gli si sarebbe presentata l'occasione - tenendo conto del fuso orario, ovviamente -.
Takao non si sarebbe fatto del male, forse si sarebbe lasciato andare più spesso allo sconforto e ai rimorsi, ma i suoi genitori erano molto protettivi e avevano assicurato a Midorima che avrebbero fatto di tutto pur di rivedere il sorriso del figlio, per cui non gli rimaneva che fidarsi.
Kazunari aveva una paura terribile: l'allontanamento di Midorima lo avrebbe senza dubbio riavvicinato al Takao triste, silenzioso e isolato di qualche settimana prima, e allora avrebbe ricominciato a ricordare, sarebbe caduto nel baratro dei rimpianti e dei rimorsi e si sarebbe sentito morire. C'era qualcosa, però, che lo spaventava ancor più del ricordo: Midorima sarebbe salito su un aereo di lì a pochi minuti.
Midorima conosceva perfettamente la ragione di quello sguardo apprensivo, velato di tristezza e paura, ma gli aveva già ripetuto un centinaio di volte che sarebbe andato tutto bene e che purtroppo non aveva altra scelta e, per quanto le sue parole fossero rassicuranti, Takao non era riuscito davvero a calmarsi ed ora sembrava supplicarlo con gli occhi di non partire.
«Allora ...» Takao cominciò timidamente, ormai consapevole di non avere altra scelta se non quella di lasciarlo andare.
Midorima lo guardò con insistenza, soffermandosi sulle guance leggermente arrossate dal freddo e la morbida sciarpa arancione che si annodava attorno al suo collo come un serpente.
«Mi chiamerai non appena atterrerete, vero?»
Midorima sapeva che gli orologi svizzeri erano impostati sette ore indietro rispetto a quelli giapponesi e, anche se in quel momento non riuscì a calcolare l'ora precisa in cui Takao avrebbe ricevuto la telefonata, capì che sarebbe stato molto presto.
«Sei sicuro?»
«Sì, non mi importa dell'ora, Shin-chan.» ed era sincero: non gli importava davvero, il cellulare sarebbe rimasto sempre acceso, il volume al massimo, in modo da non poter perdere neppure la più breve e banale delle chiamate o il più insulso e passivo scambio di sms.
«D'accordo.» Midorima inforcò gli occhiali e inspirò leggermente, e in quello stesso istante Takao si soffermò sul bacio fra Himuro e Murasakibara, - lo stesso tipo di saluto che poco prima si erano scambiati anche Kuroko e Kagami -.
Kazunari aveva una paura assurda di non vedere mai più Shintarou, per cui gli venne naturale soffermarsi su di lui più del dovuto, afflitto dalla terribile tentazione di baciarlo.
Cosa avrebbe potuto rappresentare, quel bacio? Un arrivederci affettuoso o un nuovo inizio? Perché non entrambi? E poi non era neppure la prima volta che una tentazione simile lo metteva alle strette.
Quando Takao si decise che forse avrebbe dovuto baciarlo per davvero, Midorima compì un gesto inaspettato e gli scompigliò affettuosamente i capelli con la mano, paralizzandolo.
«Vedrai che andrà tutto bene, Takao.» dopo pochi istanti, la mano di Midorima scivolò lontana, quasi avesse voluto chiedergli di dimenticare quel gesto imbarazzante, fargli credere che era stato solo frutto della sua immaginazione.
«Ci vediamo fra una settimana.»
Takao continuò a guardarlo e gli sorrise, seppur in modo vago e insicuro.
«A presto.»
«A presto.» Midorima fece eco ed ebbe di nuovo intenzione di intrecciare le dita ai suoi capelli, stringergli le mani nelle proprie oppure baciarlo: dopotutto Takao non era l'unico ad essere spaventato e a desiderare un saluto più intimo.


«Mido-chin?» non avevano ancora raggiunto gli altri quando Murasakibara biascicò alle sue spalle.
«Che c'è?» Midorima gli rispose senza fermarsi né voltarsi, ma piuttosto facendo segno a Momoi, - che a qualche metro di distanza aveva cominciato a dimenare le braccia, stringendole e allargandole sopra la testa -, che l'aveva vista e che presto l'avrebbe raggiunta.
«Mi siedo io vicino al finestrino, vero?»
A quella domanda, che a dire il vero sembrava più che altro la ricerca di una conferma, i passi di Shintarou subirono un rallentamento, un'esitazione.
Quando arrivò ai loro sedili, Midorima si fermò e diede un'occhiata oltre al finestrino appannato, scorgendo quattro sagome confuse e concentrandosi su una in particolare che, grazie ai colori, riconobbe come quella di Takao; per un attimo aveva dimenticato che il suo compagno di viaggio era un bambino imprigionato nel corpo di un adulto alto due metri e otto: era ovvio che si volesse sedere vicino al finestrino per salutare Himuro e per avere una panoramica migliore dell'esterno durante il viaggio, e di certo non avrebbe rinunciato a quel posto per permettergli di vedere ancora una volta il suo ex compagno di squadra.
Midorima non disse nulla e gli fece cenno di precederlo, quindi aspettò che si sistemasse accanto al finestrino e finì per sedersi al suo fianco con un sospiro di flebile rassegnazione.
Murasakibara si affrettò a passare la mano sul vetro per crearsi un varco nitido al centro del finestrino offuscato e vaporoso, salutando Himuro non appena la sua figura divenne ben visibile.
Kuroko, che si trovava dietro Midorima e Murasakibara, tra il finestrino e Momoi, aveva rischiarato il vetro appannato già da un pezzo e cominciava a percepire un fastidioso senso di intorpidimento alla mano, stufa di ondeggiare in quel saluto calmo e timoroso che già da troppo tempo rivolgeva al fidanzato.
Lasciare Kagami era uno sforzo immane per Kuroko, soprattutto perché con lui sarebbero rimaste altre persone, e proprio in quel momento, quando adagiò la fronte contro il vetro freddo e lo vide allontanarsi dalla pista con Himuro - e al seguito Aida e Takao -, capì che non avrebbe dovuto mai e poi mai abbassare la guardia: Tatsuya non gli era mai piaciuto, gli aveva sempre dato l'impressione che volesse portare via Taiga, rovinare il loro rapporto, così, che fosse vero o meno, la consapevolezza che sarebbero stati insieme per una settimana intera, mentre lui si sarebbe trovato a chilometri e chilometri di distanza, aveva già cominciato a distruggerlo. Sarebbe stato come qualche mese fa, quando lui si trovava a Tokyo e loro due a Los Angeles: uno strazio dell'anima, il progressivo marcire dei pensieri spiacevoli che di giorno in giorno si erano annidati nella sua mente.


«Ahh! Hai visto? Siamo gli unici a non essere separati!» dopo aver passato gli anni delle superiori separati, a differenza degli altri che si trovavano nelle stesse scuole, Kise era davvero felice che per una volta fossero lui e Aomine a non essere divisi.
«Già, e sei anche troppo appiccicoso per i miei gusti!» Aomine brontolò a denti stretti e cercò di scrollarselo di dosso, ma Kise continuò a confabulare felice, strusciando la guancia contro la sua spalla.
Per la gioia di Aomine, Kise si arrese un paio di minuti dopo la sua protesta e si raddrizzò sul sedile, dando un'occhiata nei dintorni e poi rivolgendo la propria attenzione a Momoi e Kuroko, separati da loro solo dal corridoio centrale.
«Kurokocchi, a che ora arriviamo?»
Tetsuya non lo sentì neppure: continuava ad osservare quel punto ormai vuoto sulla pista d'atterraggio.
«Kurokocchi?!»
«Tetsu-kun?» Momoi gli stuzzicò la spalla con un dito e Tetsuya si ridestò, rivolgendo uno sguardo piuttosto confuso e vagamente assente prima alla ragazza, poi a Kise, che al di là dello stretto corridoio aveva tutta l'aria di star attendendo con impazienza un po' della sua considerazione.
«Va tutto bene, Kurokocchi?»
«Sì, devo aver presto freddo.»
Kise rimase a fissarlo per un po', indeciso se credergli o meno.
«C'è qualcosa che volevi dirmi, Kise-kun?»
«Eh?! Ma come Kurokocchi? Non mi hai sentito?» Kise si lagnò, ma il piagnucolio andò a spegnersi in un rantolo sommesso non appena Aomine gli stuzzicò il fianco con il gomito per farlo smettere.
«Ti ho chiesto quando arriviamo.» Ryouta gonfiò le guance e si massaggiò il fianco, in attesa di una risposta.
«Arriveremo alle ventuno.»
«Oh, quindi il viaggio non dura più di venti ore!» da quel che gli avevano detto i suoi colleghi di lavoro, il suo viaggio sarebbe stato molto lungo, ma a quanto pareva si erano sbagliati.
Kuroko rimase in silenzio per qualche attimo, senza distogliere i propri occhi da quelli di Kise.
«Durerà circa ventidue ore, Kise-kun.»
Kise aggrottò la fronte e cercò una spiegazione a quella risposta.
«Ma se …»
«C'è il fuso orario.» Kuroko rispose senza tradire alcuna emozione.
«Oh!» Ryouta sorrise rallegrato e si rilassò per qualche istante contro lo schienale del sedile, quasi avesse capito tutti i misteri della vita e avesse trovato la pace dei sensi, poi si raddrizzò, irrequieto e confuso, e si rivolse nuovamente a Tetsuya.
«E quindi a che ora arriviamo?»
«Oddio, Kise, dormi e non rompere!»
«Ma io non ho voglia di dormire, Aominecchi!»
Parlando, Aomine attirò su di sé gli occhi di Momoi, che lo additò immediatamente con sguardo ricolmo di disappunto.
«Dai-chan! Mettiti la cintura!»
«Che palle.» Aomine sospirò spazientito e guardò dall'altra parte, rivolgendo il proprio sguardo ad un altro aereo che aveva uno strano stemma sulla coda.
«Kuro-chin, ho fame.»
Kuroko sollevò il proprio sguardo e si soffermò sulla chioma viola di Murasakibara che, in piedi, rischiava quasi di toccare il soffitto dell'aereo con la testa.
«Mi dispiace Murasakibara-kun, ma non ho niente da darti.»
«Mi hanno portato via tutti gli snack.» Murasakibara si lagnò, forse nella speranza di attirare un po' di attenzione su di sé e avere la compassione di qualcuno.
«Davvero pensavi che ti avrebbero permesso di portare quelle porcherie sull'aereo?» ma tutto ciò che ricevette fu il rimprovero di Midorima.
Murasakibara lo fulminò con lo sguardo e passò all'attacco.
«Non sono porcherie. E tu volevi che ti lasciassero a tutti i costi il cacciavite.»
«Non è colpa mia se l'oggetto fortunato di oggi è un cacciavite.» Midorima sbuffò e inforcò gli occhiali, rivolgendo il proprio sguardo davanti a sé per cercare di ignorare il più possibile Murasakibara.
«Aominecchi, guarda che te la devi mettere sul serio la cintura!»
Gli occhi di Tetsuya, che fino a quel momento erano rimasti puntati sulle teste di Midorima e Murasakibara, si rivolsero agli altri tre.
«Eh?! Non se l'è ancora messa? Dai-chan!» Momoi si dimenò sul posto, quasi fosse tentata di togliersi la cintura per andare da Aomine e mettergli la sua.
«Ma che palle!» e non appena Daiki rispose, l'attacco di Kise e Momoi divenne ancor più rumoroso e insistente.
Tetsuya, dal canto suo, rimase ad osservarli ancora per un po' e poi inspirò profondamente e cercò di rilassarsi contro il sedile, chiudendo gli occhi ormai rassegnato all'evidenza: sarebbe stato un lunghissimo viaggio.


Quando varcarono la soglia e si ritrovarono nella hall calda e confortevole dell'albergo, trassero tutti un sospiro di sollievo.
In quell'ambiente sconosciuto, rimasero imbambolati per qualche istante: c'era chi si sfregava le braccia con le mani, chi si alitava sulle dita e chi - Tetsuya - cercava chissà quale informazione sulla guida del posto.
Ancor prima che potessero avvicinarsi alla reception, il ragazzo che stava dietro al bancone si rivolse a loro in una lingua completamente sconosciuta.
Aomine, più degli altri, si ritrovò con le labbra schiuse in una smorfia di disprezzo e di confusione, poi si voltò e si rivolse a Kise.
«Che cazzo ha detto?»
Kise, che sembrava ancor più confuso di lui, si strinse nelle spalle e si guardò attorno.
«Credo che abbia parlato in … tedesco, vero Tetsu-kun?» Momoi si massaggiò la tempia con le dita e si rivolse a bassa voce a Kuroko, leggermente in imbarazzo a causa di quella situazione di immobilità in cui il ragazzo della reception continuava a fissarli inebetito.
«Sì, qui c'è scritto che parlano anche il francese.»
«E chi cazzo lo sa il francese? Tetsu, metti via quella guida, è inutile.»
Quando il ragazzo della reception si rivolse di nuovo a loro, Momoi arretrò leggermente e tirò la manica del cappotto di Kuroko.
«Ci sta parlando!»
«Io so qualche nome di dolce, in francese.»
«Ora sì che siamo salvi, Murasakibara.»
«Kuro-chin, credo che Mido-chin ce l'abbia con me.»
Midorima sbuffò sommessamente e lo incenerì con lo sguardo.
«Posso ...» Kise interruppe in tempo quello che sarebbe potuto divenire un battibecco con i fiocchi e avanzò di qualche passo «posso provare in inglese.»
«Ecco, bravo, che voglio andare a dormire.» Aomine gli diede una piccola spinta e Kise si staccò dal gruppo, ma esitò nel notare lo sguardo spazientito del ragazzo che stava alla reception.
Proprio nel momento in cui Ryouta si decise a schiuse le labbra, pronto a presentargli brevemente la loro situazione, una voce calda e calma riecheggiò nell'etere tiepido della hall e attirò la loro attenzione: era un timbro famigliare e l'accento era chiaramente giapponese, anche loro che non sapevano una sola parola di tedesco riuscirono ad intuire che chi aveva parlato non era svizzero - né europeo -.
«Pensavo arrivaste più tardi.» l'altro sorrise e rivolse al gruppo un saluto con un rapido cenno della mano «meglio così, comunque.»
«Nijimura-san!» Momoi si scostò dal gruppo e gli corse incontro, e gli altri, nonostante fossero ancora leggermente confusi di vederlo lì, si avvicinarono a passo rapido.
«Secondo voi perché Akashi vi ha consigliato questo albergo?» Shuuzou fece cenno ai sei di aspettare e adagiò entrambi i gomiti al bancone della reception, cominciando a scambiare qualche parola con il ragazzo.
«Chissà cosa stanno dicendo ...» Kise rimase a fissare con attenzione i due, cercando di afferrare qualche parola per isolarla e analizzarla, ma non riusciva a carpirne nemmeno una.
«Da quando sa il tedesco?»
«Mi sono dovuto arrangiare, Aomine.» Nijimura si voltò verso di loro e adagiò la schiena contro il bancone, tendendo una mano.
«Documenti e passaporti.»
I sei si affrettarono a recuperare i documenti e i passaporti dalle valige e li misero sul bancone, così il ragazzo della reception, che finalmente sembrava aver capito e non aveva più l'espressione nervosa e stupita, cominciò a registrare con calma i loro dati.
«Ho fame.» Murasakibara si lamentò per l'ennesima volta e Aomine e Midorima alzarono gli occhi al cielo, esasperati.
«Non sei cambiato di una virgola.» Shuuzou accennò un sorriso e poi riprese «siete ancora in tempo per la cena, penso vi terrò compagnia.»
A Tetsuya si illuminarono gli occhi: sperava in quelle parole, così avrebbe potuto sapere qualcosa in più sulla condizione di Akashi.
«Oh! Ragazzi, dobbiamo pensare alla divisione delle stanze!»
«Ohi, non cominciare a fare casino, Kise.»
«Io e te stiamo con Kurokocchi, va bene Aominecchi?»
«Ah? Va bene.»
Kuroko guardò entrambi e si preparò alla morsa soffocante di Momoi.
«Non dovreste decidere senza di me.»
«Tetsu-kun! Non puoi lasciarmi sola!» e come previsto, Momoi allacciò le bracca intorno alle spalle di Kuroko e cominciò a lagnarsi di quell'ingiustizia.
Nijimura si schiarì la voce quel tanto da attirare la loro attenzione.
«Vi stanno guardando tutti.»
Aomine aggrottò la fronte e si guardò intorno, per poi arricciare il naso.
«Tutti? Sono solo due vecchiette!»
«Beh, state facendo casino.»
«Pft, magari sono pure sorde!»
«Aominecchi, non essere maleducato! Guarda ch–» quando Kise vide la mano pesante di Nijimura abbattersi sulla spalla di Aomine, si zittì.
Daiki, dal canto suo, sostenne lo sguardo di Shuuzou ma si irrigidì.
«Aomine, sei venuto qui per disturbare o per far visita ad Akashi?»
Quello era lo stesso tono di voce che Nijimura usava quando decideva che avrebbe riempito la faccia di Haizaki di pugni, e Aomine sembrò capirlo in tempo, tanto che gli rispose abbassando leggermente la voce.
«Per far visita ad Akashi.»
Nijimura rimase ad osservarlo in silenzio per qualche attimo, poi accennò un sorriso soddisfatto.
«Bene.» gli lasciò la spalla e tornò a rivolgersi al ragazzo della reception, che restituì i documenti e i passaporti al gruppo.
«Adesso andiamo a mangiare?» con ancora il passaporto e il documento fra le mani, Murasakibara piantò i propri occhi addosso a Nijimura, impaziente di varcare la soglia del ristorante.
Nijimura annuì e si mise in testa al gruppo, per poi sollevare la mano e colpire l'aria con un cenno rapido.
«Seguitemi.»

E paura a chi resta. Soprattutto a chi resta, perché chi è partito potrebbe decidere di non tornare più.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Innanzitutto mi scuso per lo schifo epico (eh già, non sono per niente convinta di questo capitolo).
Sono sempre tranquilla quando scrivo perché mi dico: “Nel caso avessi scritto qualcosa che non sta bene nel resto del capitolo, quando lo rileggo lo modifico o lo elimino”, ma quando lo rileggi a mezzanotte, con l'umore sotto le scarpe e i vicini che fanno un casino assurdo è un po' difficile correggerlo nel modo giusto (ecco perché alla fine l'ho riletto e ricorretto due volte con le cuffiette incollate alle orecchie).
Tralasciando lo schifo generale, vi devo come al solito qualche spiegazione. In particolare mi voglio soffermare su quella delle ore e dei fusi orari (probabilmente perché capendoli poco ho sempre bisogno di scriverlo per mettere bene in chiaro le cose xD): partono alle sei e arrivano alle ventuno (ci vogliono dalle ventidue alle ventiquattro ore dalla Svizzera al Giappone, scali - di solito due - compresi. Io, in questo caso, ho considerato ventidue ore e ovviamente ho tenuto conto del fuso orario - ci sono sette ore di differenza fra la Svizzera e il Giappone -).
Per quanto riguarda la partenza, so che non è corretto che le persone stiano sulla pista di atterraggio, anche perché di solito si passa nel gate (o almeno, l'unica volta che ho avuto la sfortuna di prendere l'aereo sono passata per il gate e non certo sulla pista di atterraggio), ma i saluti al gelo, a pochi metri dall'aereo, facevano il loro effetto scenico (insomma, sorvolate sul fatto che si trovino sulla pista di atterraggio - tanto li ho fatti andare via molto prima della partenza - e pensate piuttosto alla KagaKuro, alla MuraHimu e alla MidoTaka).
Capitolo corto, vero, ma è di transizione anche questo. Il prossimo no, non sarà di transizione, ma sarà piuttosto complicato e difficile da gestire, io ho tanto da studiare e sono piuttosto stanca, quindi non so davvero quando pubblicherò.
E poi: via con i sensi di colpa di Kagami e con la paura/gelosia di Kuroko nei confronti di Himuro! 8D
Ah, continuando a parlare di KagaKuro, il riferimento alla nonna settantaduenne richiama ad un loro discorso che si trova nello spin-off che ho pubblicato un capitolo fa.
Per quanto riguarda la fine: Nijimura l'ho fatto sorridere un po' troppo, ma ehi, credo sia davvero felice di avere tutti i membri della GoM lì, pronti a sostenere Akashi. E niente, credo che Aomine sia piuttosto remissivo nei suoi confronti, non che abbia paura o cose simili, dopotutto l'ho detto che sostiene il suo sguardo, però capisce quando è ora di smettere di scherzare, ecco tutto (questa è una mia visione personale della cosa, siete libere di dissentire se per voi non è così!)
Mi auguro che, nonostante tutto, questo capitolo piaccia e spero di riuscire a pubblicare presto anche il prossimo (anche se temo che mi serviranno almeno … due settimane? Gh-)
Alla prossima!
   
 
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