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Autore: Roberta24    09/09/2014    1 recensioni
Verità, che parola dura e autoritaria. A volte conoscerla non è facile. Ma cosa accade nella mente delle persone che ne sono a conoscenza? Cosa pensano e come si comportano di conseguenza? Se volete scoprirlo non vi resta che leggere il mio racconto.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Prima di cominciare, devo ringraziare Roberta che mi ha permesso di postare la mia storia sul suo profilo. Io mi chiamo Martina ed è la prima volta che pubblico qualcosa. Mi raccomando ditemi che ne pensate. Scusate per eventuali errori ortografici.
Buona lettura o, come piace a me, buon appetito. 
 


Nascondersi dietro alle ombre
 
L'acqua era calda e mi inondava tutto il corpo. Il getto era continuo e io me ne beavo.                                                                      La mia mente giocava gioiosa, compiendo gesti avventati, confusi, ma tutti divergenti nella medesima direzione. Arrossii anche dentro a quel calore che mi avvolgeva come un turbine saporito, che vestiva tutto il bagno. Quando tornai alla realtà sentii un suono. Un suono martellante, potente e continuo mi stava trafiggendo. Chiusi gli occhi e lasciai che il mio cuore mi scuotesse, dalla testa ai piedi.
Avevo deciso.
Volevo dirglielo a tutti i costi.
Uscii dalla doccia, mi misi l'accappatoio e mi appoggiai al lavandino. Avevo ancora gli occhi bagnati ed essi rilasciavano ancora più scintille. Ero decisa, dovevo tentare. Che cosa ne sarebbe stato di me se mi fossi ritratta? L'angoscia mi salì acida fino alla gola e, in quel tragitto, mi sentii mancare. Avevo intenzione di farlo ma, da una parte, avevo paura. Sì, una paura imbottigliabile che vagava nei meandri del mio corpo e mi diceva: "Dimentica Anne. Non rischiare"  Questo grido dentro la mia testa mi faceva contorcere. Non riuscivo a stare ferma.                                                  
Mi asciugai in fretta i capelli, misi un paio di jeans, una camicetta e uscii. Camminai per le strade desolate di quel luogo a me ormai malinconico. Ogni cosa intorno a me mi ricordava lui.                                                                         
Mi sedetti sulla scogliera.                                                                                                                                                     
L'acqua salata continuava a premere sugli scogli e l'odore salmastro arrivava fino alle mie narici contratte.                    
I suoi occhi parevano stati rubati dal mare. Erano così penetranti e misteriosi che mi ci sarei tuffata dentro se ne avessi avuto la possibilità. Ogni volta che mi guardava cercavo di restituirgli lo stesso sguardo ma non ci riuscivo. Ero obbligata ad abbassare la testa, intenta a nascondere le mie gote scarlatte.                                                      
Il riflesso che il mare restituiva al fiero sole eretto nel cielo mi ricordava la sua criniera arruffata. Capelli di grano maturo erano sempre scompigliati al suo passaggio. Me ne vergognai amaramente di questi pensieri. Non osavo parlarne con nessuno. Mi sentivo ostacolata e fragile, assai fragile.        Ero combattuta perché avrei voluto lasciar perdere ma, allo stesso tempo, sapevo che non me ne sarei mai dimenticata. Guardai il sole ormai tramontare all'orizzonte con il vento che scompigliava i miei lunghi capelli corvini. Una piccola lacrima scese dai miei occhi verdastri e cadde sulle mie gambe, soffocata a tratti dai capelli che ancora volteggiavano.
Non ci feci caso.
Stavo ancora studiando il tramonto. Come era bella la natura e come era avvantaggiata. Non disponeva di una mente e stava lì, serena, nella speranza che l'uomo non le facesse del male. Troppo tardi, stava già succedendo. Anche lei non veniva risparmiata dalla sua ira.
Strinsi i pugni e serrai la mascella. Sentii in bocca il sapore del sangue, probabilmente perché, nel farlo, mi ero morsa la lingua.
Mi sentivo scoppiare, non potevo più reprimerlo. Silenzioso si era fatto strada tra le mie titubanze. Fu come un colpo di fucile. Il mio grido trafisse il cielo come la mia anima. Uscì di getto, spontaneo. Un urlo di dolore, paura e angoscia atterrì tutta la natura calma e pacifica intorno a me.
Mi alzai.
Dovevo assolutamente raggiungerlo, prima che fosse troppo tardi. Il mio passo era lento ma deciso. Non riuscivo a vedere bene da lontano perché avevo chiuso gli occhi a sottili fessure orizzontali.                                                 
Lo raggiunsi.                                                                                                                                                                                      
Ormai c'ero.
Ancora una volta quelle dannate parole mi scavarono la testa. Sgusciavano fuori lentamente e, anche se le persone intorno a me non lo sapevano, stavo malissimo.
La porta era di fronte a me. Bussai e un angelo apparve, in tutto il suo splendore. Non ebbi il coraggio di guardare quei suoi occhi profondi, non volevo farmi male.
"Oh ciao Anne".
La sua voce mi mozzò il fiato. Per tutto quel tempo ero riuscita a reprimere le dolci parole che mi aveva rivolto il primo giorno in cui lo vidi. Cercai di non cedere alla tentazione di scoccargli un bacio, un ultimo bacio.
Feci un forte sospiro, durante il quale il mio cuore si rovesciò.                                                                                       
"Ciao Stephen. Ho Bisogno di parlarti." Ero riuscita a dirlo tutto ad un fiato a testa bassa.                                           
"Come desideri, angelo mio." Come poteva chiamarmi così, come poteva avere ancora il coraggio di guardarmi. Dopo tutto io non ce l'avevo più.
Ci incamminammo verso la spiaggia.                                                                                                                                
Cercavo di risucchiare le lacrime che minacciavano di cadere nitide e sicure sul mio volto.                                                 
Ci fermammo. Uno davanti all'altro.                                                                                                                                                  
Lui mi prese il viso. Volevo vomitare, ma cercai di reprimerne il desiderio e ricacciai in bocca il vuoto che mi riempiva.                          
"Allora?"
Eravamo vicini. Riuscivo a sentire il suo fiato sul mio collo. Adesso anche i nostri nasi si toccavano. Come avrei voluto non scoprirlo.  Strizzai gli occhi e gli aprii.  Per la prima volta lo guardai in faccia. Non mi rintanai nelle mie paure, rimasi lì fissa a guardarlo. Ormai ci stavamo avvicinando. Perché Stephen mi ha fatto questo? Avvicinai le mie labbra al suo orecchio. Dovevo liberarmi di quel peso, mi stava facendo precipitare in un pozzo senza fondo.
Ora... o mai più.
"Non posso più stare con te. Non ti amo più." Scottanti e laceranti mi erano uscite dalla gola ancora fumante. Fu il sussurro più assordante che feci. Mi allontanai da lui e mi nascosi dietro i miei folti capelli. Cosa avrebbe fatto ora? Ero stata troppo schietta? Ma in fin dei conti se lo meritava...
Fu ancora più doloroso il suo silenzio. Non rispose. Lasciò che le mie parole andassero a perdersi sotto il grande cielo stellato. Soltanto dopo molto tempo parlò. Disse una sola parola: fu come se presi uno schiaffo in pieno viso. Urlò con tutte le sue forze e io rimasi li a fissarlo. "No!"
Non riuscivo più a stare lì. Dovevo andarmene. Sentivo il corpo irrigidirsi e tremare.  Le tempie pulsavano e la testa scandiva il tempo del mio battito cardiaco, un battito veloce e unico.
"Mi dispiace." mormorai e corsi via. La sabbia che sollevavo  mentre correvo creava una nuvola di polvere ma, anche senza di essa, non riuscivo a vedere dove andavo. Il buio stava prendendo possesso di me anche all'esterno. Ormai mi stava rapendo del tutto e mi stava trascinando verso il suo antro oscuro.              
Mi fermai e caddi a terra. 
Piansi più forte che potei. I fiumi che scendevano non erano neanche lontanamente paragonabili alle emozioni che provavo dentro, che mi opprimevano e facevano di me una marionetta.                                              
Mi costrinsi a smettere e urlai un'altra volta ma, in questo caso, in silenzio. Fu ancora più lacerante del precedente, provocandomi un nodo alla gola e la voglia di addormentarmi e non ricordare più nulla.   
Anche se ceravo di convincermi, la rabbia non mi raggiungeva. Provavo moltissime emozioni, tutte confuse e avvinghiate intorno alla mia anima ma nessuna tra queste rientrava nella collera.
Mi sedetti su un tronco.                                                                                                                                                        
Cercavo di reprimere quella visione. Vidi ancora una volta due persone che si baciavano. Nessuna delle due era me e nessuna delle due era il mio fidanzato.                                                                                                                    
Stephen stava baciando un'altra ragazza.                                                                                                                            
Non potevo sopportare che mi si mentisse. Non me lo rivelò mai e io lo sapevo.                                                              
Soffocai a stento un ennesimo singhiozzo.
Mi alzai e lasciai la spiaggia.
Dovetti, però, riconoscere la verità.
Nonostante tutto avevo mentito, come lui aveva mentito a me.
Io lo amavo ancora. 

 
   
 
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