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Autore: Ronnie92    09/09/2014    1 recensioni
Simone e Marco si incontrano su un treno in ritardo. Per evitare la noia, i due iniziano un gioco che li porterà a riflettere sui massimi sistemi, con semplicità e leggerezza.
Genere: Introspettivo, Satirico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ un quarto d’ora che siamo fermi in questa stramaledetta stazione, persa fra le montagne. Siamo partiti da nemmeno mezz’ora è già si è fermato il treno. Guasto tecnico. Maledizione! Sembra quasi che lo facciano apposta. Ogni volta che prendo il treno per andare a Roma sempre la stessa storia.
Ma il problema è qui: senza soldi dove vai? Mica ti puoi permettere un superextra treno con i sedili comodi, e che vanno veloci. No! Adesso ti becchi le conseguenze.
Odio riflettere così tanto, la mia testa si sovraffolla di pensieri, e mi ritrovo claustrofobico nella mia stessa pelle. Porto lo sguardo a sinistra, e vedo il mio ignaro compagno d’avventure in questo viaggio.

“Ciao!”

Dico distratto per attaccare discorso con il ragazzo seduto al mio fianco, intento a rimirare il paesaggio.

“Ehi.. ciao.”

Mi risponde girandosi verso di me un po’ seccato. Nel buio dei suoi occhi neri noto la stessa carenza di vitalità, un motivo in più per fare due chiacchiere. Soprattutto visto che arrabbiarsi è completamente inutile.
Non si riesce mai a migliorare niente su questo treno.

“Che palle questo viaggio, sembra non finire più. Lo so che è un regionale e costa poco, ma con quello che ci mette farei prima a piedi.  Tanto Roma sta a solo 300Km.”

Cerco una battuta per fare il simpatico. Odio rimanere in silenzio per troppo tempo.  Necessito di qualcuno che mi ascolti, che mi tenga sveglio, che alzi la mia soglia di interesse.
Lo vedo ridere alla mia affermazione, mentre annuisce convinto, sono più tranquillo adesso.

“Mi chiamo Simone”

Gli tendo la mano, mentre l’altro me la stringe con un inaspettato vigore.

“Mauro ”

La sua risposta è secca, precisa e concisa. Più o meno gli do la mia età, 23 anni. Però siamo vestiti nel modo completamente opposto.  
Capelli perfetti, barba fatta, faccia pulita, camicia bianca con gemelli d’argento, e pantalone blu scuro in tinta con le scarpe in pelle. Sembra un affarista.
Deve aver avuto una gran botta di culo se ha già trovato lavoro a quest’età.
Io stesso sono in cerca da ormai 4 anni. Quando finii il liceo avevo ambizioni enormi.
Volevo aprire una officina tutta mia. Riparare motori è il mio sogno sin da bambino. Ogni tanto svolgo lavori part-time. Ho fatto di tutto: call-center, facchino, autista, volantinaggio, animatore, lavapiatti, muratore. Chi più ne ha più ne metta.
Due anni fa ero pure riuscito ad essere assunto per qualche tempo in una grande officina della mia città. Ma per colpa della mia testa marcia, e soprattutto per il mio amore spropositato per le ragazze, ho mandato tutto “a puttane” come si usa dire dalle mie parti.
Proprio la figlia del capo dovevo portarmi a letto. Maledetta la mia testa e la mia voglia di averla.

“Che ci vai a fare a Roma? Lavoro?”
 
Domando più per curiosità che per farmi i fatti i suoi.

“No ci vivo. Sono della Tiburtina. Sto tornando a casa.
Sono andato a chiudere un affare in trasferta. Ma non è andato proprio come me l’aspettassi”.

Quelle cose dette e non dette, mi diedero subito la conferma.
Non voleva che entrassi nella sua vita, e tutto di lui me lo diceva. Il tono di voce, l’espressione, la postura.
Certo fare 5 anni di psico-pedagogia mi aveva sempre aiutato a conoscere il mondo e le persone, ma io sono proprio un caso perso. Agisco sempre per ciò che voglio IO e non per ciò che chiedono gli altri. Ma questa volta non voglio esagerare.

“Capisco”.

Rispondo brevemente, così da fargli intuire che non lo disturberò più nel corso del viaggio. Ma qualcosa non va secondo i piani, che la mia mente stravagante ha già elaborato.

“Simone, ti va di fare un gioco?”

Rimango stupito da quelle parole. Tutto mi sarei aspettato da quel personaggio, ma non un gioco. Lì nei suoi abiti firmati, con la sua valigetta in pelle, non credevo di poter mai sentire una cosa del genere.

“Si con piacere!”

Alla fine era proprio quello che cercavo, un diversivo per evitare la noia. Mancano ancora più di due ore o forse più all’arrivo, chissà cosa ne esce fuori.

“Ti spiego subito. Io sono un  editor di una piccola compagnia letteraria. “

Si accorge subito del mio stupore, e non ne rimane impassibile.

“Si,  immaginavo questa reazione. Non preoccuparti non sei il primo che rimane stupito, ma ho molti più anni di quelli che dimostro. Non sono più un ragazzo da anni.”

Mentre lo guardo attonito, scrollo la testa, e rido insieme a lui. Si allenta del tutto la tensione. Mi rendo conto che il tono si sta facendo più amichevole. Credo che da questo momento non mi annoierò più.

“Si, mi hai fatto proprio fesso. Pensavo avessi sui 23, massimo 24 anni.”

Gli rispondo con il mio solito tono da saccente, mentre porto la catenina dietro la maglietta nera a mezze maniche, così da poter sentire il tocco freddo dell’anello che porto al collo.

“Ahimè sarebbe bello, ma no. Ho la bellezza di 32 anni. Da qualche settimana.
Ma non perdiamoci in chiacchiere. Ti ho promesso un gioco, e un gioco avrai.
Il tempo non ci manca, e di sicuro non credo ci annoieremo.”

“Sempre meglio che il silenzio”

Rispondo compiaciuto. Odio il silenzio. Le domande mi si affollano in testa, e non riesco più a trovare la pace.

“Bene allora ti spiego in cosa consiste. Io ho delle frasi che ho scritto sul mio taccuino durante la mia permanenza esterna, e vorrei che tu mi spiegassi cosa provi. Ogni tua sensazione. Non preoccuparti se scriverò ogni tanto. Noto che sei un ragazzo intelligente, e la tua opinione mi serve per  scrivere una storia.”

Un  editor che chiede aiuto a me? Ma siamo impazziti? Che cosa assurda, ma tanto non mi costa nulla.
Alla fine è un bel modo di passare il tempo.

“Spara”
Dico convinto.

Tollera l’intollerabile per accedere al superiore

Mi prendo qualche momento per riflettere. Tollera l’intollerabile. Neanche 20 secondi che sparo tutto d’un fiato.

“Penso che sia difficile sopportare tutto nella vita, ma la frase mi ha colpito molto. Riuscire a sopportare anche i dolori più forti, anche le violenze più grandi non ci renderebbe semplici umani, ma qualcosa di più. Accedere appunto a un livello superiore, a qualcosa che non ci compete. Forse qualche cosa di divino.
Non mi fraintendere, non ho un bel rapporto con la religione. Ma io ho una mia fede, credo in un qualcosa lassu’, che possa giudicarci in modo imparziale.
Noi non siamo fatti per tollerare, ma per subire, per capire che siamo errati. Ma è proprio qui che troviamo la nostra forza. Negli errori. Perché quando sbagliamo troviamo il nostro limite, e possiamo correggerci e diventare migliori. Superare l’ostacolo che la vita stessa ci ha dato nel momento della nostra nascita.
Raggiungere il divino peccando è la via più diretta. Perché, per come la penso io, l’unico che ci possa giudicare è un –non uomo -. Siamo troppo intenti nel giudicarci gli uni con gli altri, disprezzandoci apertamente. Siamo troppo crudeli. Per me l’unico modo di accedere al superiore è peccare e pentirsi, qualora il peccato sia stato smascherato.”

Lo vedo scrivere attento, neanche come se mi fossi ritrovato ad essere analizzato.
Certo c’è molto di mio in quello che dico. Spero non capisca che sia un folle. Dentro di me sorrido, per aver pensato una cosa del genere.






 
   
 
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