Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony
Segui la storia  |       
Autore: Alvin Miller    09/09/2014    0 recensioni
A pochi mesi dall'incoronazione a Principessa di Twilight Sparkle, una legione di mostruose creature giganti emerse dal nulla minacciando di ridurre l'intero regno di Equestria a una nuvola di polvere.
Il primo attacco colpì Manehattan. Il secondo puntò a Baltimare. Il terzo insidiò Las Pegasus.
Quando anche Canterlot fu presa di mira, capirono che gli Elementi dell'Armonia non erano più sufficienti.
Per combattere i mostri chiesero aiuto a Bibski Doss, un ribelle inventore sopravvissuto al primo attacco, che creò dei mostri a sua volta.
La battaglia per il destino del regno è cominciata!
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Princess Celestia, Twilight Sparkle, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

IL QUARTO ATTACCO

Parte ⅔: L’inganno del mostro


La coda di Pinkie Pie fremette violentemente, ultimo di tanti altri stimoli che la pony in rosa aveva captato dal momento dell’emersione del Kaiju.

«Spike, levati da lì! ORA!!»

Il draghetto viola e verde, che durante le scosse era sceso dal dorso di Rarity, riuscì a malapena a scansarsi dal punto in cui si trovava, che una gigantesca massa di pietrame e metallo, spessa qualcosa come cinque metri e piovuta da chissà dove nel cielo, impattò come una meteora sulla strada in cui lui e le quattro Custodi erano fermi, delineando una scia lungo tutto l’isolato e fermandosi al centro dell’incrocio successivo.

La scia era rossa. Un colore denso e scuro, costellato qui e lì da ciuffi di piume bianche, intrise dallo stesso colore.

Al solo pensiero che lì sotto vi potesse essere qualcuno – magari un’intera famiglia in fuga – i membri del gruppo impallidirono uno dopo l’altra (e Rarity gridò).

«G-grazie Pinkie… » Balbettò, conscio che se non fosse stato per lei, ora starebbe condividendo la stessa infausta sorte di chi si trovava lì sotto.

«Ora capisco gli incubi e tutto il resto! Lo sapevo che non poteva essersi trattato solo di una cena andata a male!» Disse Applejack, non sapendo se sentirsi soddisfatta delle sue intuizioni o angosciata dalla situazione tutt’intorno.

«Ma un attacco dopo appena quattro mesi… e per giunta in città! Non è in alcun modo possibile!!» Contestò Rarity, ad un passo da una crisi nervosa.

La palla di detriti che aveva appena volato su di loro le aveva smosso la criniera scompigliandola in modo osceno, e nonostante fosse consapevole della gravità del momento, non riusciva a fare a meno di soffrire per essa.

Mentre cercava di restituire la decenza ai suoi dolenti crini, sentì qualcosa di soffice attaccarsi alla punta del suo zoccolo, e gridò nuovamente dopo essersi resa conto che si trattava di un’altra di quelle piume.

«Beh, levati di dosso le ciglia finte e apri bene gli occhi, perché sta succedendo davvero!» Le contestò Dash, che dall’alto della sua posizione vedeva meglio di tutte le atrocità che stava subendo la capitale.

«Senza contare che non sappiamo ancora che fine ha fatto Fluttershy!» continuò la cowgirl.

«Lì!» Puntò lo zoccolo la pony della Gioia.

«Pinkie, non adesso. Ti prego… »

«No, no! Dico davvero! Guardate, eccola lì, e c’è anche Twilight con lei!»

Si voltarono nel verso indicato e le videro arrivare al galoppo, con le espressioni sconvolte di chi era appena partito per un viaggio allucinante nel Tartaro e ritorno.

Si accorsero anche che con sé avevano indosso i loro Elementi, e una bisaccia che probabilmente conteneva i restanti.

«Twi! Shy! Per fortuna state bene!» Esordì la giumenta dal manto arancione unendosi a loro in un abbraccio di gruppo, a cui poi si aggiunse anche Spike.

«Sì, ma c’è mancato poco! Laggiù la situazione è catastrofica! Cielo, terra, niente è al sicuro!» Rispose la Principessa.

«Dimmi una cosa, tesoro. È proprio quello che sembra?! Un Kaiju ha davvero attraversato le difese di Canterlot?!» Domando Rarity, angosciata.

«Peggio, ha… ha sfondato il centro della città da sotto terra… » rispose Fluttershy, cercando nel contempo di contenere le lacrime. Squittì turbata quando si accorse della coda rosso sangue che accompagnava la palla di macerie più in là.

Le pony si osservarono tra di loro in un cupo silenzio.

«Sì, ma non c’è tempo per parlarne ora!» Tagliò corto l’alicorno estraendo gli Elementi e consegnandoli alle legittime proprietarie «Tenete, indossateli subito. Stanno radunando tutti i superstiti al castello. È l’ultima spiaggia per mettere al sicuro più gente possibile. Dobbiamo sbarazzarci del Kaiju prima che li raggiunga!»

Rainbow Dash sacrificò alcuni secondi del loro risicato tempo per trarre una stima della tratta che dovevano percorrere. Cercò con lo sguardo una figura ciclopica che sovrastasse sui palazzi, e una volta localizzata calò sul gruppo portando con sé conclusioni gravate di dubbi. «È una bella galoppata fin laggiù, ragazze. Siete certe di riuscire a mantenere il nostro ritmo?» Chiese rivolgendosi a chiunque non avesse le ali.

«Sì, certo! Aspetta che mi faccio prestare l’Equalizzatore da Bibski Doss. Ops, che sbadata, ho dimenticato il suo contatto nell’altro cappello!» Disse Applejack con accidia manifesta.

«Non sarà necessario… » intervenne Twilight sollevando la testa. Posò lo sguardo sulla prima balconata che si frappose nella sua panoramica e con l’immaginazione finse di tracciare un potenziale percorso fatto di tetti e sommità di edifici «… passeremo dall’alto.» Disse poi.

Applejack inarcò un sopracciglio, non capendo se la sua amica la stesse prendendo in giro oppure se facesse sul serio.

Le sei giumente intrapresero una corsa sfrenata tra i tetti di Canterlot, come un’elegante coreografia d’azione durante un’esibizione teatrale.

Chi era dotata di ali si librava sulle altre, mentre gli zoccoli delle rimanenti galopparono da un cornicione all’altro senza quasi mai fermarsi.

Il tutto era reso possibile dalla magia di Twilight, che servendosi del suo corno, teletrasportava se stessa e le sue compagne proiettandole al punto successivo, mentre il gigantesco Kaiju si stagliava sempre più grande davanti a loro.

Gli occhi della Principessa scandagliavano costantemente l’ambiente, in cerca di tetti piani e ampi terrazzi in cui compiere i “salti”, e dove non arrivavano i suoi riflessi, ci pensava la vigile alleanza di Rainbow Dash a indicarle con rapidi gesti la successiva tappa da raggiungere.

Nessuna esitazione le intimoriva al margine di un edificio, neppure la stanchezza di Rarity o la paura di Fluttershy. La fiducia che tutte riponevano su Twilight era totale, consce che mai la loro amica le avrebbe lasciate precipitare nel vuoto o teletrasportare su percorsi troppo scoscesi per avanzare.

La fluidità della loro elegante corsa sarebbe stata una perfetta esibizione di magia, lavoro di squadra e riflessi pronti, se solo fosse avvenuta in un contesto meno agitato.

Più la marcia le portava vicine al perimetro della distruzione e più il pericolo di teletrasportarsi nel raggio di un attacco del Kaiju si palesava di fronte ai loro occhi.

Dopo aver evitato per un soffio il crollo di una torre sul cornicione nel quale erano saltate, stabilirono all’unisono che era giunto il momento di fermarsi.

Atterrarono sulla copertura parzialmente divelta di una grande villa residenziale, dalla cui cima vedevano chiaramente a circa un chilometro di distanza le spalle del gigantesco bestione muoversi al di sopra del canyon delle rovine.

Rarity fissò incredula i resti di quella che un tempo era la città dei suoi sogni, le cui strade ora erano tappezzate di cadaveri e inermi vittime in fin di vita. «Tutto questo dolore… è orribile… non ha senso… » bisbigliò tra sé e sé, scuotendo la testa.

«Qui dovrebbe andare. Presto, mettetevi in posizione!» Si affrettò a dettare Twilight, rivolgendosi poi a Spike seduto sua groppa. «Scendi e vai da quella parte. Non ti avvicinare a noi finché il rituale non sarà concluso!»

«Vorrei poter fare qualcosa per aiutarvi. Qui mi sento inutile… » Si lamentò mestamente il drago.

«Stai al riparo e cerca di fare attenzione. È il favore più grande che posso chiederti!»

Fatto scendere il suo assistente, che andò a ripararsi dietro un grande blocco di cemento e tondini piovuto chissà da dove, le sei amiche si radunarono ad anello e cominciarono ad attivare i loro Elementi.

«Twilight, io… n-non so se me la sento di rifarlo… » confessò la pegaso giallo canarino prima di cominciare.

«Ne abbiamo già parlato, Fluttershy. Non te lo chiederemo se ci fossero delle alternative!»

E difatti non ce n’erano. Non in quel momento, non di fronte a tanta sofferenza.

Come da prassi, ogni Elemento si accese e cominciò a emettere pulsazioni colorate dal suo nucleo.

Il Kaiju si voltò verso di loro, come se avesse percepito l’ondata di energia che si propagava dalle sei Custodi, emettendo un leggero grugnito mentre le fissava con curiosità.

La gravità intorno all’anello si annullò progressivamente, e le sei furono sospinte per aria dall’immensità energetica dei loro simboli.

Il Kaiju iniziò a compiere qualche passo verso di loro, avvicinandosi pericolosamente alla villa.

Spike si mordicchiava nervosamente le unghie delle dita, augurandosi che il rituale fosse compiuto prima che la creatura le raggiungesse.

Da ciascuna delle gemme partì un raggio colorato, che si unì a quello di Twilight in un immenso arcobaleno celestiale.

Gli occhi della Principessa dell’Armonia divennero candidi come le stelle e accecanti come il sole, e il grande raggio, dopo essersi ingigantito nel cielo, compì un’ampia arcata che cadde a mo’ di cascata sul corpo del mastodontico ponycida.

Il ciclope avvertì il potere dell’Armonia lambirgli lo strato coriaceo e urlò, mentre gli Elementi lo avvolgevano in un turbinio di magia allo stato puro, ma le fasce multicolore dell’arcobaleno riuscirono a contenere l’onda sonica del suo potente attacco, evitando così che le pony venissero sbalzate via prima della fine. Fine che si presentò con una grande detonazione di luce, che abbagliò la capitale piombandola in un silenzio spettrale, degno di una città fantasma.

Le Custodi adagiarono dolcemente i loro zoccoli al tetto divelto dell’abitazione e respirarono profondamente per riprendere le forze.

Tutte insieme guardarono poi verso la stessa direzione, dove un leviatanico muro di fuliggine si era sollevato nell’aria frapponendosi tra loro e il Kaiju.

«È… è finita? Ce l’avete fatta?» Chiese Spike, col cuore ricolmo di speranze.

Un sottile venticello di montagna, ansioso di prendere parte alla battaglia, condusse fin da loro un miasma di carne bruciata mischiato alla caligine, che impastò le loro narici.

«Non lo so… » enunciò Twilight, starnutendo «non ci siamo riuscite a Las Pegasus… non vedo perché ora dovrebbe essere andata diversamente… »

«Suggerisci di preparare un'altra emissione?» chiese Rarity, speranzosa di levare le tende il prima possibile.

«Ripeto, non lo so. Per il momento rimettiamoci in posizione, cerchiamo almeno di farci trovare preparate.»

«Pinkie Pie, che ci dice la tua coda? Senti niente?» Chiese invece Rainbow Dash.

La pony guardò per un momento il grande batuffolo rosa attaccato al posteriore. «Boh, in questo momento ha troppa paura per parlarmi, trema tutta!»

La pegaso sbuffò. «Pff… scema io che poi vado a chiedere pareri a te…» ma poi i suoi occhi si sgranarono di colpo «aspetta un momento… hai detto “TREMA”?!»

Un nuovo ruggito, assordante e animato di vendetta, sfondò la barriera di polveri portando allo scoperto l’iracondo ciclope.

Le pony dovettero tapparsi le orecchie per non rimanere rintronate dall’urlo, mentre tentavano al contempo di resistere all’implacabile spostamento d’aria uscito dalle sue fauci.

Il Kaiju emerse del tutto dalla coltre, mostrando così le piaghe da ustione che ora gli ricoprivano la pelle: unico effetto riscontrabile dell’azione degli Elementi.

Applejack imprecò chiassosamente, mentre il Kaiju – salvo per le bruciature superficiali – non appariva in alcun modo provato dal loro attacco.

«Presto, ragazze! Colpiamolo di nuovo prima che si avvicini!!»

Le giumente si rimisero subito ad attivare la corona e i loro preziosi.

Twilight tenette gli occhi fissi sul ciclope, pronta a teletrasportarle nel caso il mostro si fosse fatto troppo vicino.

Le sue zampe divennero leggere e si sollevarono in aria, i suoi occhi s’illuminarono, e per un momento la Principessa vide soltanto una luce abbagliante coprirle le pupille.

Solo Spike poteva scorgere con assoluta lucidità ciò che stava per accadere subito dopo.

Il Kaiju, invece di ingaggiare battaglia con le sei pony, si fermò sul posto dopo aver compiuto appena due passi, portandosi le mani all’altezza delle tempie (o per lo meno, là dove si sarebbero dovute trovare).

Lì per lì sembrò che una forte emicrania lo avesse ghermito nella sua morsa e ora gli stesse trapassando il guscio ovoidale da parte a parte, ma Spike vide chiaramente le dita stringersi sui bordi lisci del cranio e cominciare a tirare verso le due estremità.

“Sembra un cucciolo che scarta ansiosamente un regalo… ” pensò, dopo aver divorato tanto i suoi artigli da non lasciarvi niente di più che insignificanti moncherini oltre al corpo ungueale.

D’improvviso, la testa del ciclope si aprì in due, spaccandosi dalla rigatura verticale al centro del viso (sì, la stessa che pocanzi qualcuno avrebbe considerato una semplice cicatrice).

Il suo interno rivelò una grande cupola di carne gelatinosa e gialla, che ricordava in modo fin troppo eloquente un tuorlo di gallina avvolto da maglie di capillari, non fosse che in realtà era… un occhio!

La testa del Kaiju, in tutta la sua ampiezza, altro non era che un grande e immenso occhio giallo, con una minuscola macchia nera come pupilla al centro e una grande coppia di palpebre ossee che ne celavano l’inganno.

Grandi fasci di fibre muscolari tenevano coeso il bulbo con le due metà del guscio protettivo, che ora pendevano in modo simmetrico, inclinate ai fianchi del collo come le fauci di un insetto.

Dei piccoli incavi a mezzaluna all’altezza della pupilla interrompevano la continuità della spaccatura sulle due metà del “guscio”, che quando si chiudeva lasciavano uno spiraglio aperto per consentire al mostro di osservare in tutta sicurezza l’ambiente che lo circondava, come da dentro un grande elmetto.

Era questo l’inganno del mostro. L’occhio, che in realtà non era un occhio, ma il valico per un segreto molto più pauroso che si celava al suo interno.

E cosa avrebbe portato con sé questo segreto, ora che aveva deciso di mostrarsi a loro?

Il grande occhio del ciclope strinse il fuoco sul gruppo delle sei Custodi, mentre Spike si chiedeva se le sue amiche lo stessero vedendo a loro volta, o se la trance che le aveva rapite le aveva condotte in uno spazio esterno alla realtà, dove i sensi erano isolati e la consapevolezza spenta.

Osservò che i raggi degli Elementi iniziarono a unirsi nell’aria e immaginò l’arcobaleno mentre si piantava nell’enorme occhio del mostro, infliggendogli finalmente una ferita mortale.

Provò disgusto per quel pensiero, ma anche uno sbuffo di fiducia: almeno l’incubo sarebbe finito.

Dall’immenso bulbo, invece, colò una goccia di quella che sembrava una lacrima dalla superficie nero-opaca.

Era molto piccola (sì e no mezzo metro) rispetto alle proporzioni della creatura – una goccia di rugiada dalle fronde di una quercia – appena visibile da quella distanza, ma carica dei riverberi sottratti dai raggi solari.

Essa gocciolò dal bordo turgido dell’occhio, condensandosi nell’aria in un globo di fluido che levitò sospeso nel nulla, animato non si sa come da una forza invisibile, che cominciò a dirigersi a gran velocità verso il cerchio tracciato delle Custodi.

Prima che gli Elementi avessero il tempo di concludere e Spike di capire come avvisarle, il globo investì in pieno Rarity, scaraventandola fuori dalla formazione ad anello.

«Rarity, noo!!» Gridò il draghetto, preso da spasmodiche vampate di panico.

Si lanciò in soccorso alla sua amata.

Twilight e le altre caddero a terra, e ci misero un po’ a rialzarsi, scosse e frastornate dalla brusca interruzione.

«Per tutte le stalle… che accidenti è successo?!» Chiese Applejack, recuperando da terra il suo cappello.

«Gli Elementi… l’emissione…. qualcosa è andato storto!» Constatò Twilight, sentendo alle sue spalle la voce dell’assistente che invocava il loro aiuto. «Venite, presto! Rarity è stata colpita!!»

Si voltarono tutte verso la loro direzione.

Spike le teneva sollevata la testa. Era sveglia, ma con uno sguardo debole e la testa assente, che le fischiava pesantemente come dopo una forte esplosione. Il suo Elemento si era distaccato da lei e ora giaceva a terra, spento ed esanime.

«Ci… ci siamo riuscite?» Biascicò l’unicorno, ignara e confusa.

«Che cosa le è successo, Spike?! Perché il rituale si è interrotto?!?»

«Non lo so, Twilight! Stava andando tutto bene, ma poi il Kaiju ha fatto… oh Celestia… QUELLO!» Fece segno con l’artiglio mangiucchiato.

Le Custodi si girarono e i loro occhi furono testimoni del raccapricciante spettacolo messo in cantiere dal mostro: dal suo grande bulbo oculare continuava a grondare altro fluido opaco, che si condensava in numerosi globi dalla superficie grigio-traslucido prima di toccare suolo.

Essi poi, animati da una volontà tutta loro, si dispersero per la città come segugi in cerca di prede.

Uno di loro prese di mira la Principessa dell’Armonia, lanciandosi su di lei come una palla da cannone.

«Twilight!!» Rainbow Dash si mise in mezzo, spingendola via, e fu investita da un’esplosione umida e viscosa, che tuttavia si dissecò subito, evaporando quasi all’istante senza lasciarle sul suo manto alcuna traccia.

Dash si guardò stranita, quasi delusa dall’innocuità di quell’attacco.«Come, tutto qui?»

«S-stai bene…?» Chiese l’alicorno, titubante ma anche grata.

«Meglio che mai… non capisco… »

Twilight si accigliò, notando che le mancava qualcosa. «Ehi, che fine ha fatto il tuo Elemento?!»

La pegaso arcobaleno perlustrò la zona ruotando su se stessa, trovandolo a terra lì vicino, apparentemente intatto.

«Ma guarda. Mi dev’essere caduto quando quella roba mi ha colpito.» Ipotizzò, raccogliendolo con la zampa.

«Sei sicura che sia tutto a posto?» Insistette Twilight, irrequieta.

Rainbow Dash, da quando le aveva fatto da scudo, stava cominciando ad avvertire una leggera cefalea che si stava propagando su tutto il cranio man mano che parlavano, ma evitò di dirlo per senso dell’orgoglio.

Liquidò la domanda con un cenno d’affermazione e le fece conforto di un fiducioso sorriso.

Rarity nel frattempo fu aiutata da Fluttershy e Pinkie Pie a rimettersi sugli zoccoli.

Sulla sua criniera si era accumulato un quantitativo intollerabile di sporcizia e polvere, e per quanto avesse cercato di ignorarlo fino all’ultimo per il bene della squadra, l’impulso di attivare la magia per darsi una sistemata fu troppo forte perché potesse resistervi.

Attivò il corno per accingersi a scrollarsela, ma non successe nulla.

«Oh cielo… » provò di nuovo eseguendo la stessa formula, e ancora tentando con un incantesimo differente, ma dalla punta della sua escrescenza non ne uscì nulla, nemmeno una piccola scintilla.

Sgranò gli occhi, presa dal panico. «NOO!! NON E’ POSSIBILE, NON A ME, NON A ME!!»

«Rarity, che ti prende?!» Le chiese Spike, trasalendo alle sue urla.

«LA MIA MAGIA!! HO PERSO LA MIA MAGIAA!!!»

«Ti prego, adesso calmati, quello che dici non ha senso!» La implorò Twilight cercando di placarla, ma le sue parole finirono soffocate dalle urla dell’amica e dai rimbombi lenti ma impietosi del Kaiju.

Anche il suo piccolo assistente sentiva di essere ormai al limite della sua personale soglia di sopportazione, sentendosi come un peso inutile incapace di aiutare la sua amata o di apportare qualunque beneficio alla squadra.

Nel frattempo i globi grigio-scuri continuavano a piovere sui superstiti in fuga nelle strade, rivelandosi particolarmente selettivi nella scelta dei bersagli contro cui gettarsi.

Pegasi e pony di terra non erano neppure presi in considerazione dalle sfere, che addirittura si cimentavano in repentine virate pur di evitarli, ma non era concesso lo stesso riguardo agli unicorni, che finivano centrati uno dopo l’altro.

Sia Spike che le Custodi guardarono quello spettacolo travolti dal più profondo senso di smarrimento.

Fu allora che a Twilight venne un sospetto.

Osservò prima l’Elemento della Lealtà, ancora tra gli zoccoli di Dash, per poi trovarvi una raggelante correlazione con quanto successo a Rarity. «Spike, prova a metterle l’Elemento, presto!»

Il drago obbedì dopo una prima occhiata perplessa, ma quando il monile fu adagiato sul manto banco-perla della giumenta, invece di aderirvi come, di fatto, avrebbe dovuto, ricadde sul tetto con un timido tintinnio tra i suoi zoccoli.

Un orrore ancora più oscuro si arrampicò sul loro garrese per poi non scendere più.

«Dash, prova tu!» Disse la Principessa.

La pegaso arcobaleno avvicinò il suo Elemento al collo tremando di paura, quasi come se temesse le conseguenze dell’indossarlo, e come successo a Rarity, la collana si stacco per poi cadere privata dei suoi poteri.

Twilight avrebbe voluto deglutire, ma la gola era ormai riarsa quanto la sabbia di un deserto e il suo palato allo stesso tempo le stava prudendo e bruciando. «La magia… quelle sfere in qualche modo la cercano e la assorbono… il Kaiju sapeva che avremo usato i nostri poteri per abbatterlo e… ha trovato il modo di impedircelo… »

Mentre parlava, un altro globo grigio-scuro scese su di lei facendone il suo bersaglio. Se ne accorse per tempo e tentò di defletterlo con un colpo di magia dirompente, che tuttavia finì col dissolversi non appena vi impattò contro.

Twilight dovette scansarsi all’ultimo secondo per sfuggire alla stessa sorte toccata a Rarity e a Rainbow Dash.

«Dobbiamo andarcene da qui! Ci stanno prendendo di mira come i concorrenti di una gara di lancio del cibo! E tu sei quella che vale mille punti, Twilight!!» Strillò Pinkie Pie, con la coda e gli zoccoli in costante fermento.

«Per non parlare di quel brutto ceffo che si sta facendo sempre più imbestialito laggiù!» Aggiunse Applejack.

«Va bene, vedo che posso fare!» La Principessa prese a sondarsi intorno, in cerca di un nuovo punto dove poter trasferire il gruppo lontano dal rateo di fuoco della creatura.

Assunse che i tetti erano da evitare, troppo scoperti e alla mercé dei globi. L’ideale era cercare un nascondiglio a terra, che le tenesse al contempo lontane dalla vista del ciclope e dall’incombenza dei piccoli sciacalli sferici.

Scelse un vicolo non molto lontano da lì, che sembrava fare al caso loro. Perlomeno avrebbe dato il tempo di riorganizzarsi e cercare di riordinare le idee.

Attivò quindi il teletrasporto, trasferendoceli tutti.

Il Kaiju si arrestò, confuso dopo averle perse di vista, ma non si soffermò sulla ricerca, ben consapevole che i suoi piani erano tutt’altri.

Grugnì mestamente e riprese ad avanzare.

Le due metà protettive del suo guscio, prima chiuse, si aprirono un’altra volta liberando un nuovo sciame di globi pronti a estendersi sulla capitale.

Le pony lo guardarono allontanarsi, lasciando dietro di sé solo cortine di pulviscoli e strutture in procinto di crollare.

«Ok, ora spiega: cos’è questa storia della magia?!»

«Non ne sono sicura Dash» cominciò Twilight «ma credo che quelle sfere in qualche modo reagiscano a contatto con la magia. Sono come delle calamite: attaccano gli unicorni e li privano del loro potere… »

«Ma io che diavolo centro allora?! Va bene che sono la miglior aviatrice di Equestria, ma sono solo un accidenti di pegaso, santo cielo!»

«Ma mi hai fatto da scudo quando quella sfera ha cercato di colpirmi! La reazione deve aver avuto qualche effetto anche sull’Elemento della Lealtà, annullandone i poteri!» Si rivolse poi a Rarity, notando per lo meno che aveva smesso di piangere. L’ombretto intorno agli occhi le si era disciolto nelle lacrime, rigandole il volto, ma nessuno aveva il coraggio di farglielo notare. «Rarity, sei proprio sicura di non poter usare nessuna magia? Hai provato con incantesimi più semplici?»

L’unicorno digrignò e si mordicchiò il labbro con l’arcata superiore dei denti, ma qualsiasi cosa avesse tentato, non produsse risultati. «M-mi dispiace amiche mie… ma non mi è rimasto più niente… »

Una nuova vampata di tristezza prese il predominio su di lei.

Spike andò ad abbracciarla e lei ricambiò il gesto a sua volta stringendolo ancora più forte tra gli zoccoli. Nascose la testa tra le sue spalle e si mise a singhiozzare in silenzio, il più discretamente possibile.

«Quindi non solo lei non ha più la sua magia ma noi non abbiamo più nemmeno gli Elementi con cui combattere?!» Irruppe Applejack.

Da lontano un frastuono rimbombante fu susseguito da nuove grida d’isteria collettiva: un altro quartiere che veniva raso al suolo dal mostro.

«Dovrò fare delle ricerche per verificare se ci sono stati dei casi simili in passato, e scoprire eventualmente se esiste un contro-incantesimo che riporti tutto alla normalità.» Pronunciò con un filo di voce, quasi dando parola a pensieri che dovevano restare interiori.

Posta così, l’idea non suonava confortante, ma la verità è che nemmeno lei ci credeva fino in fondo. Anche se alla fine un rimedio si fosse trovato, per salvare Canterlot avevano bisogno degli Elementi dell’Armonia ora, in questo preciso momento.

«Io non capisco…» parlò Spike, scostandosi delicatamente dall’unicorno bianco-perla «se gli Elementi hanno bisogno della magia per funzionare, allora come fanno Applejack, Pinkie Pie e tutte le altre ad utilizzarli? Insomma, solo due di voi possono effettivamente usare incantesimi: tu e Rarity!»

«C’è della magia in ognuna di noi, Spike. Ricordi che è successo alla Canterlot High? Gli Elementi si legarono alle Custodi diventando parte di noi stesse, ma senza la magia che alimenta i nostri spiriti, sono inutili! Quelle sfere… credo che attacchino la fonte di magia più potente che c’è nei dintorni. Per prima cosa hanno attaccato noi, dopo di che si sono riversate su Canterlot. Il fatto che sia stata presa di mira Rarity e non io probabilmente è stato solo un caso dettato dal rituale…»

Fu interrotta da Applejack, che imprecò calciando con tutta la sua forza un pezzo di cemento, rotolandolo sulla strada all’infuori del vicolo. «Maledetto, ci ha fregate! Ci ha sepolte fino al collo nel suo liquame!»

Un’intimidita Fluttershy si fece avanti per dire la sua. «Twilight… i-io… credo che dovremo tornare a palazzo… dobbiamo dire alle Principesse cosa ci è successo… chiedere che mandino in campo Discord… lui ci salverà, ne sono sicura… »

Applejack si fece d’improvviso attenta. «Discord?! Che centra lui adesso?» Ma non era la sola ad aver avuto una reazione fuori misura.

«Era di questo che parlava Celestia.» Si affrettò a spiegare Twilight, per poi annuire alla pegaso canarino. «Stavo pensando la stessa cosa. Non vorrei dirlo ma credo che a questo punto sia l’unico in grado di fare qualcosa.»

In quel momento, un drappello di Wonderbolts volò sopra le loro teste, e tra loro Rainbow Dash riconobbe l’inconfondibile siluette del Capitano Spitfire. Immediatamente e senza preavviso, spiegò le ali e si lanciò al loro inseguimento.

«Capitano!» Urlò con tutta la forza del diaframma per farsi udire dalla pegaso dalla criniera di fuoco, già molto distante. «Signora! Mi aspetti la prego!» Ma per quanto si sforzasse, l’eco non risultava mai abbastanza tonante. «SPITFIRE!» Gridò ancora più forte, in un ultimo disperato tentativo.

La Wonderbolt si arrestò a mezz’aria, ruotando all’indietro. «Rainbow Dash?» Mormorò sorpresa.

Fece cenno alla sua truppa di proseguire per la loro strada e attese che la pony della Lealtà la raggiungesse.

«Dove vi siete cacciate?! Qui in giro si stava spargendo la voce che foste morte!»

«No, siamo ancora vive per ora.»

«Questo lo vedo da me.»

«Ma abbiamo avuto un contrattempo, non siamo più in grado di usare gli Elementi!»

La vide inarcare un sopraciglio, perplessa. «Ti prendi gioco di me?!»

«Vorrei che fosse così… cioè… no, non vorrei… » si tappo per un momento la bocca «insomma… vede quei globi di luce?» Ne indicò una coppia che stava pattugliando le strade in cerca di nuove vittime. «Non so come funziona, ma sembra che prendano di mira qualunque unicorno che gli capiti sotto zampa! Li privano della magia, li… li rendono incapaci di fare qualunque cosa!»

Spitfire la osservò con un’espressione che era un misto tra l’indifferenza e il cinismo. «E con ciò che cosa ti aspetti che faccia?»

«Beh… non lo so… mobilitate qualche squadrone che li protegga, distruggetele prima che possano colpire altri unicorni… fate qualcosa insomma, voi siete il Capitano degli… »

«Ti fermo subito, ragazza. Guarda laggiù e dimmi cosa vedi?»

Rainbow Dash seguì in linea d’aria la direzione contrassegnata dallo zoccolo della Wonderbolt: il Kaiju aveva raggiunto l’altopiano che s’innalzava per la vetta del castello, e lì, sulla parete a un paio di chilometri dal punto in cui osservava, lo vide aggrapparsi sul bordo del primo dei grandi bacini artificiali che dal picco raccoglievano l’acqua che andava convogliata a valle per il sostentamento della città.

La pietra di cui erano composti gli orli si frantumò come terra sotto la massa spropositata del mostro, e la cascata che alimentava i canali sottostanti con il suo lento ed elegante scorrere, si vide improvvisamente triplicare il proprio volume accompagnata dai larghi getti che tracimarono dai bordi dopo che il Kaiju vi si immerse dentro.

La piscina che di principio lo inondava fino alla vita, si svuotò in pochi istanti fino ad arrivare all’altezza delle ginocchia. La vasca nel frattempo si stava indebolendo, e sarebbe crollata da un momento all’altro se l’eccesso di peso non si fosse levato subito da lì.

In un certo senso, era quello che Rainbow Dash stava sperando: il Kaiju sarebbe precipitato e chi era già in viaggio per il castello avrebbe avuto più tempo per mettersi in salvo.

Invece lui, dopo aver percorso un tratto della vasca in ammollo, arrivò a ridosso della parete da dove prese a inerpicarsi verso l’altura successiva, spinto da una tenacia incessante, prova di una volontà inscalfibile.

Passo dopo passo il suo obbiettivo si faceva sempre più vicino.

«Ora, la situazione è questa» ricominciò Spitfire «abbiamo perso gran parte dell’Aviazione dei Grifoni e non ho idea di dove siano finiti gli altri. Nel frattempo le Principesse stanno facendo convergere tutti a castello, comprese le unità della Muraglia e gran parte dei miei pony. E indovina un po’ dove si sta dirigendo quel grasso culone flaccido? La circostanza è già drammatica di suo senza che mi metta a ordinare ai miei di correre dietro a delle bolle!»

Rainbow Dash spalancò le mascelle in uno schiaffo di sgomento. «M-ma… ma non possiamo abbandonarli a loro stessi! Quegli unicorni hanno bisogno di noi! Se prendessimo alcuni… »

«E allora vai e aiutali!» Tuonò la pegaso in uniforme blu. «Oppure raduna le tue amiche e vieni con noi a castello! So che rappresenti l’Elemento della Lealtà, Rainbow Dash, ma non puoi salvare ogni singolo pony di questa città!»

La giumenta arcobaleno ammutolì, incredula alle parole della Wonderbolt.

Davvero stava suggerendo di ritirarsi lasciando a loro stessi centinaia di pony indifesi? E con quale coraggio, in nome delle Principesse?!

Per un momento fu coccolata dalla tentazione dolce-amara di colpirla. Una zoccolata sul muso, un setto nasale fratturato e una lezione di buon senso impartitale da una vera paladina di Equestria, ma poi si rese conto che aveva ragione. In un modo ingiusto e oltraggiosamente sbagliato, ma sì… aveva ragione: il Kaiju era ormai in cima al picco, diretto al castello, e se davvero aveva il potere di annullare la magia, come sosteneva Twilight, non ci sarebbe stata nessuna Muraglia sufficientemente robusta da reggere il suo assalto.

Avrebbe presto fatto breccia e li avrebbe sopraffatti tutti. Loro. Le Principesse. I superstiti. Chiunque.

Spitfire aveva preso la sua decisione, e si era congedata su due zoccoli per riunirsi ai suoi pegasi, lasciando Rainbow Dash alle prese con i suoi dubbi. Dubbi che la schiacciavano a terra, intimandole di fare la sua parte.

Le strillavano nelle orecchie, ricordandole di essere fedele alle vite per le quali si battevano, ma qualcuna parlo anche al contrario. Queste erano più pacate, come dei saggi sussurri, e le spiegavano che anche Canterlot aveva bisogno delle sue paladine, e che lei doveva anche essere fedele alle sue amiche.

I dubbi la incatenarono, mentre davanti a sé si biforcavano due vie: tornare a palazzo con loro o dare credito ai suoi sensi di colpa?

Prese la decisione più logica. In fondo la priorità era il castello, e insieme a esso tutta la gente che vi si stava rifugiando, anche se il rimorso le trapassava il cuore come uno scocco delle lancia-dardi (e a questo proposito, fu lambita da un altro gemito di dolore. Spitfire aveva detto: “abbiamo perso gran parte dell’Aviazione dei Grifoni e non ho idea di dove siano finiti gli altri”. Al solo pensiero si sentì morire dentro. Chissà se Gilda stava bene?).

Si ripresentò alle sue amiche nel vicolo, aggiornandole sulle parole della Wonderbolt (indorandole) e sulle intenzioni del Kaiju. Dei pericoli a cui stava andando incontro il maniero delle Principesse e dell’urgenza di farvi subito ritorno.

Poche parole dal roboante potere, che le convinsero all’unanimità a rientrare immediatamente a palazzo.

Ripeterono a ritroso la loro elegante danza di galoppo acrobatico, di corse sui tetti e teletrasporti eseguiti con tempismo perfetto, guidate da una Twilight sempre più in ansia per la sua famiglia e per le sue Mentori.

A ogni isolato i loro occhi si sforzavano di ignorare l’agonia della popolazione che era rimasta indietro. Pony feriti, abbandonati a se stessi, oppure unicorni che avevano semplicemente perso la loro magia, colpiti dalle sfere opache del Kaiju.

Per loro vi erano le poche squadre di soccorso rimaste ancora attive in città. Ne avrebbero salvati quanti più potevano, ma per quanti si sarebbero prodigati, non sarebbero mai stati sufficienti per salvarli tutti.

Le esatte parole di Spitfire, concretizzate nella cruda realtà di quel giorno tinto di rosso.

Qualcuna di loro pianse mentre la corsa delle Custodi proseguiva.

La pony dal manto rosa aveva i crini sgonfi, mentre l’alicorno viola si era come chiusa in una specie di cecità selettiva, con la quale si focalizzava solo sulla ricerca del prossimo punto dove “saltare”. La pegaso arcobaleno invece covava dentro di sé un odio primordiale. Odio per il mostro e per le macerie, la cui coltre di fuliggine si levava da quella che un tempo era la città più radiosa di Equestria. Odio per il mostro e per i lamenti dei disperati, cui corpi stramazzati a terra tingevano di sangue i pavimenti delle dolci vie. Odio per il mostro e, semplicemente, per la sua esistenza, che per poterci essere, esigeva che loro si facessero da parte.

Qualunque pony, trovandosi nei pressi di Canterlot quel giorno, avrebbe sollevato la sua testa in direzione del Kaiju – che con tanta ostinazione s’inerpicava sulle pareti della montagna – e gli avrebbe rivolto la più solenne delle promesse, nell’attimo in cui le labbra si sarebbero smosse e avrebbero pronunciato la seguente condanna: la pagherai cara, tu e chi ti ha mandato! E le anime di coloro che avete portato con voi vi piomberanno addosso come lame pronte a pugnalarvi, finché non sarete morti, esalando la vostra sconfitta nell’ultimo melenso sospiro che la bocca vi permetterà di espirare!


x cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .png


Il Sergente Grizelda volò attraverso le colonne di fumo che s’innalzavano dai tetti variopinti di Canterlot.

Davanti a lei, sulla sommità della montagna, il Kaiju che stava ormai raggiungendo il castello.

Strinse le fibbie delle cinture sul petto, che durante le varie manovre di volo si erano allentate spostando l’attrezzatura lancia-dardi dalla sua corretta posizione.

La cassa dorsale che fungeva da fondina era ancora vuota e sul teniere della balestra rimaneva solo il giavellotto che le aveva donato Feather Scratch prima di morire.

Anche dopo lo sbaragliamento del suo plotone, dopo la fuga dei superstiti e le umiliazioni che aveva subito, aveva ancora la grinta necessaria per voler combattere.

Sentiva che la sua presenza, in qualche modo, era fondamentale per la sopravvivenza della capitale.

L’istinto dei guerrieri, lo chiamavano i cacciatori delle antiche tribù. Una voce molto diffusa nei racconti degli Anziani che narrava di un sesto senso insito in tutti i più valorosi grifoni, che parlava da dentro guidandoli sulla retta via delle loro imprese.

Gilda non ci aveva mai creduto, almeno fino a quel giorno, quando anche lei aveva cominciato a udirlo come un suggeritore nella sua testa.

Ne poteva sentire le parole come un oratore presente al suo fianco, che le volava vicino ripetendole che doveva esserci.

“La partita non è ancora conclusa!” Martellava incessante.

Aveva tratto un sospiro di sollievo quando la sua vecchia amica pegaso e le Custodi degli Elementi erano arrivate per inondare il mostro con il loro attacco speciale.

Lì per lì cominciò ad accusare il suggeritore di essersi sbagliato, che tutto sarebbe finito e che presto sarebbero tornati a casa, ma quando entrambi avevano visto il Kaiju riemergere dalla coltre cinerea, per poi tornare alla carica come se niente fosse successo, le sembrò quasi di udire le risate del suggeritore che si faceva beffe di lei. E avevano il suono del ciclope. Sì, le stesse risate, al contempo cavernose e gracchianti.

Allora ne ebbe la conferma.

Esistono dettagli in foto particolarmente guarnite, che gli occhi della mente non sono in grado di scorgere nemmeno quando vi si posa lo sguardo davanti, e quando un’intuizione – come una scossa elettrica – accende quelle regioni che consentono al cervello di focalizzarsi su di essi, tali dettagli diventano così nitidi che subito si è portati a chiedersi “ma come ho fatto a non accorgermene prima?!”

Il perché il Kaiju si stava manifestando come una vera forza della natura inarrestabile era spiegato dall’approccio con cui ogni fazione si era presentata al suo cospetto: scontri a turni, basati sulla falsa teoria che alternare gli assalti avrebbe consentito di avere la meglio.

Ma il Kaiju era sveglio, più di chiunque altro, e aveva dalla sua un bonus che lo elevava al di sopra di tutti: la mole.

All’accademia degli Aviatori, Feather Scratch (che riposi in pace accanto agli Antichi) le aveva insegnato che il gioco di squadra era più importante di qualunque azione in solitaria, pertanto, se volevano una speranza di scacciare il loro nemico, doveva raggrupparsi e agire tutti insieme, come un unico grande organismo che eguagliasse in numero ciò che li distanziava nella massa.

Riflettendoci, Gilda si sentì ancora più incazzata al pensiero che le reclute le avessero tirato il bidone poco prima di essere sbaragliata.

Avvertiva sulla punta degli artigli un fremito insistente, che era una voglia sanguinaria di affondarli nelle loro carni per espiantarli dalle colpe, portarle all’altezza dei loro occhi e costringerli a ingurgitarle di nuovo.

Ma doveva regolarsi, le serviva una squadra che fosse operativa e pronta volare.

Si sarebbe limitata a strigliarli a dovere, il giusto necessario per conquistarsi la loro fiducia e disporre di una truppa ligia e obbediente.

Li intravide sulla cima di una torre senza cupola. C’erano tutti e quattro, e tutti facenti parte dello squadrone di Feather Scratch.

Mentre si avvicinava a loro in volo, si domandò che tipo di elementi avrebbe dovuto aspettarsi. Erano una marmaglia di vigliacchi? Oppure si erano solo fatti convincere da un singolo elemento che li aveva plagiati tutti sino a indurli a fuggire con lui?

Presto lo avrebbe scoperto.

Atterrò sul ciglio, squadrandoli uno a uno nelle loro bardature da combattimento, e loro sussultarono, tanto preoccupati quanto arrossiti dal disagio che coceva i loro zigomi.

Uno deglutì pesantemente, emettendo un ingurgito che quasi si poteva osservare come una grande onomatopea alle sue spalle.

Studiandoli, la Sergente Grizelda verificò che le casse di tre di loro erano vuote, o quasi del tutto, e questo fu per lei un buon segno, stava a indicare che avevano combattuto, o per lo meno che erano stati abbastanza accorti da svuotarle prima di farsi scoprire (sebbene queste azioni avrebbero rappresentato per un grifone un’ umiliazione perfino più grave della sconfitta in battaglia).

Si soffermò invece sulla quarta, una giovane femmina dal manto nero e dal piumaggio grigio-vinaccia chiaro.

Occhietti bruni, lucidi e tremolanti come quelli di un usignolo spaventato, e la divisa che le stava larga e cadente come di una misura sbagliata.

Mentre la sondava, Gilda non poté esimersi dal domandarsi come un tal elemento le fosse sfuggito durante l’adunata di qualche ora prima, ma fatto ancora più incisivo, la sua cassa dorsale era vuota di un solo slot, conclusione che: non solo aveva sparato una sola volta, ma non si era nemmeno fatta carico della premura di mettere in canna un nuovo dardo.

«Spero che tu abbia una spiegazione per questa?» Chiese picchiettandole la cassa con le nocche.

«S-signora i-io… l’ho fatta ricaricare… Signora.» Rispose come se le parole le fossero state estirpate a forza dalla leader, mentre gli occhi le annegavano in un luccichio che non erano lacrime, bensì sudore incanalato sulle palpebre.

Gilda sollevò il sopraciglio destro, per nulla soddisfatta della risposta minimale della cadetta. «Ricaricare da chi?»

«D-da… » esitò, quanto un pessimo bugiardo in procinto di spararne una grossa «… un grifone al campo d-d’addestramento, Sign… »

«NON C’È PIÙ NESSUNO AL CAMPO D’ADDESTRAMENTO!! COME OSI MENTIRMI?!?»

La gracile grifone giacque a terra, sovrastata dalla voce della Sergente.

«L-la prego, Signora… m-mi dispiace… »

Gilda emise un acuto stridio da uccello rapace e la ordinò con poco garbo di rimettersi subito sulle zampe.

Se fosse stata un maschio lo avrebbe probabilmente conciato per le feste fino a farlo quasi svenire, ma una fragile grifone femmina senza alcun spirito combattivo era già inutile di suo senza menomarla delle sue già esigue condizioni.

Puntò invece lo sguardo al resto del gruppo, che guizzò per il brusco movimento. «E voi invece?! Aspettate che un Garuda gigante venga a salvarvi la giornata?»

I cadetti si osservarono viceversa, quasi a voler eleggere un portavoce, magari lo stesso fomentatore che li aveva sospinti alla fuga.

Uno di loro si fece coraggio e andò avanti, sperando di non pentirsi per la sua decisione.

«A-abbiamo cercato di resistere al Kaiju, solo che poi… »

«ZITTO TU! Non mi sembra di averti dato il permesso di rivolgermi la parola!»

Il grifone tornò al suo posto, con il collo calato in giù per l’imbarazzo.

«Che branco di patetici! Dovrei farvi condannare tutti alla corte marziale! “Alto tradimento”, “negligenza”, “insubordinazione”, “disobbedienza agli ordini di un ufficiale”! C’è n’è abbastanza per macchiare di guano le vostre famiglie per intere generazioni! E vi sta andando bene che la pena capitale sia stata abolita in tutto il continente da secoli!!»

Gilda era furente e il prurito sulle sue zampe si fece ancora più pressante.

Ancora un poco e si sarebbe avventata su qualcuno di loro.

“Cerca di controllarti. Non dimenticare le priorità.” Le sussurrò la voce del suggeritore e lei chiuse gli occhi per permettere ai suoi umori di riequilibrarsi, li riaprì, e per un istante le comparve la rappresentazione in negativo del volto di Feather Scratch.

Si sforzò di ignorare quella visione finché le retine non si riabituarono alla luce del giorno.

«Lasciamo perdere.» Disse con un’intonazione questa volta più calma. «Statemi a sentire pivelli, perché la situazione la potete ammirare anche coi vostri occhi: gli Elementi dell’Armonia hanno fallito, il che significa che abbiamo ancora del lavoro da sbrigare. Quello che voglio da ognuno di voi è che vi diate una scrollata e sistemiate le attrezzature. Sospetto che lo scontro stia per spostarsi a castello, quindi sarà lì che andremo anche noi.» Diede loro le spalle, convinta che la sua autorità fosse stata sufficiente a convincerli a smuoversi.

«Ora spalancate le alette e datevi una mossa.»

Avvertì invece che una cupa agitazione cominciò ad animarli.

Con la coda dell’occhio osservò un terzo membro del gruppo che si avvicinava prudentemente verso di lei.

«S-Sergente… » La chiamò «lei non… sta davvero pensando di tornare lassù?»

Gilda si girò per guardarlo.

Apparentemente era un cadetto sul generis, che non spiccava sugli altri per alcun elemento caratteristico. Un grifone uguale a molti, anonimo tra i suoi simili, come le Guardie Reali delle Principesse.

Gli altri grifoni si fecero irrequieti, convinti che da un momento all’altro la Sergente avrebbe perso le staffe.

“Le priorità, Gilda. Non cedere.”

Gli rispose in modo cinico, ma sempre sulla soglia della moderazione: «Forse la pausa di poco fa vi ha fatto sentire come se aveste il diritto di esonerarvi. Ma avete ancora degli ordini, e qui… »

«Con tutto il rispetto, Sergente Grizelda, ma… VADA AL DIAVOLO!» Irruppe lui sorprendendo tutti.

Gli altri cadetti gemettero, e a qualcuno probabilmente si slogò la mascella. Cautamente, presero le distanze dai due.

Una grossa vena cominciò a pulsare sulla tempia di Gilda. «Come, scusa?»

«Non so quale sia il suo problema! Se è frustrata oppure se stronza lo è di natura, ma io ho appena visto morire il mio migliore amico laggiù! Si chiamava Caronte Black, Quinto Reggimento Aviazione. Era uno dei suoi, se lo ricorda?!» Gilda tacque, ma non per amnesia. Non poteva credere alla sfrontatezza di quel giovane.

«No, penso proprio di no, dato che continua a trattare tutti come delle merde!» Delle lacrime cominciarono a fioccargli dagli occhi, ma a lui non sembrò importare. «L-lei… può anche fare quello che vuole… m-ma… noi restiamo qui… non vogliamo morire per colpa s-sua… Signora!» E quel “Signora” ebbe il suono di un moccolo violento.

Si sedette a terra, schiacciato dalla disperazione.

Il tetto della torre fu avvolto da uno sgradevole silenzio, cui neanche i suoni della distruzione lontana sembrarono penetrare.

Allora Gilda capì che si trovava dinanzi al vero fomentatore.

Si era tradito con le sue stesse parole, sebbene non sembrava essersene accorto.

Gilda rifletté sull’atteggiamento da adottare, ma questa volta il suggeritore tacque. Doveva forse sentirsi in colpa per la perdita della recluta? Compatirlo per poi aiutarlo a rialzarsi? Gli avrebbe dovuto dire frasi di conforto o mostrarsi a lui vicina?

Di nuovo, pensò a Feather Scratch e a come la sua unità lo aveva abbandonato senza accertarsi neppure della sua morte. Fosse dipeso da loro, lo avrebbero lasciato svanire nell’anonimato, senza nessuno a soccorrerlo, e la sua anima si sarebbe dispersa tra i fumi della città, per poi svanire col primo soffio di vento lungo i pendii della montagna.

Gilda sapeva di Caronte Black, al contrario di quelle scialbe insinuazioni, perché ne aveva visto il corpo accanto a quello del suo Maestro.

Aveva testimoniato alla sua dipartita molto più da vicino di quanto non avesse fatto il grifone che ora la stava accentuando.

Udì un mormorio provenire dal suggeritore, che le disse ciò che ormai aveva concluso da sola.

La recluta alzò lo sguardo da terra, ritrovandosi la Sergente addosso di sé, che lo schiacciò a terra impedendogli di muoversi.

Gemette dal dolore, mentre un artiglio gli bucava lo strato di pelle all’altezza del gozzo.

«DIMMI COSA SAI DEI FOLCRORI POPOLARI DELLE TRIBÙ FORZA!»

Con le lacrime ancora negli occhi, tentò di chiedere «c-cosa?» ma finì per essere schiacciato ancora di più dalle zampe di Gilda, che ora facevano pressione sulla trachea, rendendogli ancora più difficile la respirazione.

«Hai il permesso di parlare solo per rispondere alla mia domanda! Forza allora, RISPONDI!»

«I-Io… n-n-non lo so… non s-s-so n-niente!»

In verità, l’unica cosa a cui in quel momento avrebbe pensato era: “Perché ve ne state lì imbambolati, qualcuno mi aiuti!”

Ma nessuno sarebbe intervenuto in suo soccorso. Conoscevano fin troppo bene l’indole violenta della Sergente Grizelda e il suo attaccamento ai valori degli Antichi Guerrieri, e se anche così non fosse stato, bastava il suo furente sguardo per dissuaderli da qualunque tentativo d’intromissione tra i due.

«Non mi sorprende» gli sibilò Gilda a un orecchio «allora immagino che tu non abbia mai sentito parlare di qualcosa chiamato il “castigo del pollo”

Il fomentatore deglutì a fatica.

Quel nome, che a lui non diceva nulla, suonava tanto buffo quanto ben poco rassicurante pronunciato dalla leader.

«N-no Signora… » scosse la testa.

La vide quindi sorridere sadicamente e pregò che la lezione gli fosse impartita a parole e non coi fatti.

«È una vecchia tradizione che risale ai tempi dei primi clan, quando un grifone era accusato di tradimento davanti a tutta la comunità. All’autore del misfatto venivano legate le zampe e spezzata un’ala, di solito dallo stesso grifone che aveva ingannato, o da un suo familiare delegato per l’occasione. Allora lo gettavano da un precipizio, e lui era chiamato a scegliere se accettare la redenzione per mezzo della morte, oppure ostinarsi a sopravvivere servendosi dell’unica ala rimastagli, come un grasso pollo obeso che si dibatteva per aria. Se ci riusciva, il suo destino era di morire di stenti in fondo a quella gola, ferito e con la vita che pian piano se ne andava per la sua strada. Nessuno sarebbe mai sceso ad aiutarlo.»

Gilda a quel punto lo lasciò, dominandolo semplicemente con la sua portanza.

Lui tossi con foga, una volta che la sua gola fu lasciata libera di respirare.

«Ora, cosa m’impedirebbe di fare su di te la stessa cosa? Su tutti voi?» Si voltò a guardare anche gli altri, con flemma solenne. «Non solo avete tradito i vostri ideali e l’Aviazione, ma anche tutta la vostra specie! Avete consegnato nelle zampe del nemico le chiavi della città! Se Canterlot dovesse crollare, con essa crollerebbero gli equilibri sui quali poggia tutto il nostro mondo! È così che pensavate di tornare a casa? Davvero avreste accettato di ripresentarvi dinanzi alle vostre famiglie con quelle facce toste? E che cosa gli avreste raccontato una volta tornati, sentiamo?!»

Il fomentatore si alzò da terra, andando ad allinearsi accanto alla giovane cadetta dal piumaggio grigio-vinaccia, sconfitto nell’orgoglio.

Tutti e quattro presero a tacere, con lo sguardo disperso e le mandibole tanto serrate che i loro becchi sembrarono quasi sul punto di saldarsi.  

«Ora statemi a sentire, perché sarà l’unica volta che parlerò. È vero: la manovra SkyArrow è stata un enorme buco nell’acqua. Avete sputato sangue dietro a un addestramento che poi si è rivelato un fiasco su tutti i fronti. Avete perso degli amici ed è solo un miracolo se ora siete qui per ricordarli. Sono consapevole, anche, che vi abbiamo mandati in battaglia senza una dovuta preparazione, perciò… » chiuse per un momento gli occhi. «come unico grifone rimasto al comando qui a Canterlot, quando questa storia sarà finita mi assumerò personalmente la responsabilità di tutte le vite che oggi sono morte tra queste rovine…»

Il fomentatore alzò lo sguardo su di lei. Fu il primo del quartetto a trovare la forza per farlo.

«… ma è bene che vi ricordi che i vostri amici non sono gli unici ad aver perso la vita oggi. Guardatevi intorno e provate a immedesimarvi negli occhi di questi pony. La loro città è stata distrutta. Probabilmente molti stanno morendo proprio in questi minuti, e tanti altri stanno cercando le loro famiglie. Voi almeno quando tornerete troverete ancora le braccia dei vostri cari pronte ad accogliervi, e un tetto da poter chiamare casa! Non dimenticatevi che avete accettato dei rischi quando avete scelto di arruolarvi, e ora è vostro dovere onorare il retaggio dei vostri antenati! Siamo stati scelti personalmente dalle Principesse per la nostra forza e il nostro coraggio, e non esiste difficoltà che possa o debba fermarci! Perciò adesso torneremo alla base, ricaricheremo le nostre lancia-dardi e andremo ad aiutare i pegasi e gli unicorni che stanno combattendo sul picco della montagna! E chiunque abbia troppa paura per alzarsi in volo e unirsi a me, farà meglio a togliersi l’equipaggiamento e sparire dalla circolazione, perché non sarò padrona delle mie azioni se dovessi tornare e trovarvi nei paraggi!» Altri occhi si adagiarono su di lei, e ora gli attenti spettatori si lasciavano trasportare col fiato sospeso.

«Tutti gli altri invece, vi chiedo di unirvi a me! Aiutiamo i pony a scacciarlo da Canterlot e dimostriamo a quel bastardo che i grifoni non si arrendono facilmente, e che la grinta che batte nei nostri cuori è più forte di qualunque ostacolo! Unitevi a me e aiutatemi a scacciarlo da questa montagna! Per Caronte Black, per Rogue Fulvus e per il Sergente Maggiore Feather Scratch dell’Aviazione dei Grifoni di Equestria! Per loro e per tutti quelli che sono morti! Aiutatemi a vendicare i nostri compagni caduti!»

Concluse sollevando un pugno sopra la testa, e a quel punto aveva la piena e completa ammirazione del quartetto. In un’altra occasione sarebbero volate lodi e baraonde di applausi, ma non adesso. Gli eroi si elogiano sulle tombe dei loro sepolcri, o si premiano con facete medaglie quando la sorte li strappa alle grinfie della morte.

Adesso era giunto il momento di tornare in battaglia, e sta volta avrebbero volato fino alla fine.

Il drappello di superstiti si passò in rassegna in un confronto di sguardi.

Annuirono, motivati dalle parole della leader, e si fecero forza venendole vicino, pronti per eseguire i suoi ordini. Guidati dal suo coraggio.

Anche la giovane femmina, con la fondina quasi completamente carica di colpi, che aveva accettato di seguire con diligente fedeltà la scelta della sua squadra.

Prima di partire, Gilda diede un rapido controllo alle attrezzature di ognuno di loro, e prese dalla ragazza alcune munizioni distribuendone una a testa a chiunque ne avesse bisogno, per assicurarsi che tutti avessero almeno un dardo per ogni evenienza.

«Almeno avresti potuto farti furba.» Le disse con l’esplicito intento di schernirla.

La grifone grigio-vinaccia la guardò confusa.

«Avresti potuto dire che te la sei ricaricata da sola. Probabilmente non ti avrei creduto lo stesso» spiegò meglio «ma almeno ti saresti guadagnata qualche punto per l’astuzia.»

La grifone grigio-vinaccia annuì, arrossendo in una smorfia di disagio.

Finito di rimproverarla, Gilda si sollevò in volo ripetendo a tutti l’ordine di seguirla.

Di gran fretta, li ricondusse ai campi d’addestramento lungo le mura della città, atterrando vicino alle casse coi rifornimenti portati laggiù quella stessa mattina.  Come previsto, erano completamente deserti.

Quindi li incitò a ricaricare le proprie bardature il più velocemente possibile.

Aveva la visuale libera sul promontorio del castello e vedeva fin troppo bene che il Kaiju era quasi arrivato alla cima della montagna.

I minuti continuavano a opporsi a lei e se voleva sperare di ritornare per tempo, doveva augurarsi che gli altri si dessero una mossa.

Partirono per la meta non appena l’ultimo dello squadrone ebbe terminato di caricare la sua fondina, con i ricordi dei loro compagni come spinta trainante e le punte dei dardi che vibravano sul parallelo dei tenieri.


x cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .pngx cornicette .png


Una folla infinita di paura e puro istinto di sopravvivenza inondava le strade che si ramificavano su Canterlot, per poi confluire al barbacane che precedeva l’accesso alla grande piazza intorno al castello.

Il grande ponte levatoio in legno che collegava la roccaforte al resto della città era letteralmente straripante di una massa confusionaria di pony che si calcavano tra di loro per cercare di conquistarsi il proprio diritto a entrare.

La notizia del nuovo punto di raccolta si era sparpagliata a livello esponenziale con una tale rapidità che una delle principali difficoltà delle Guardie Reali e delle truppe stazionarie della Muraglia sopraggiunte sul posto fu proprio quella di contenere l’isteria collettiva che governava tiranna sui superstiti dell’attacco.

I soldati di terra, e con loro gli unicorni corazzati, accoglievano sulla piazza principale chiunque non avesse le ali, fornendo istruzioni e indirizzandoli ai punti di raduno nelle varie sale del castello, mentre lo stesso facevano le Guardie Reali pegaso ai loro simili che planavano dall’alto.

Gli Wonderbolt, intanto, continuavano a muoversi avanti e indietro in stormi scomposti, portando ogni volta con sé barelle cariche di feriti che veniva immediatamente trasferiti alle infermerie di fortuna allestite in piazza e all’interno.

Urgenza” era ora la parola chiave che dominava sulla bocca di tutti.

Qualcuno aveva sparso la voce che il Kaiju steva risalendo le pendici del promontorio, arrampicandosi sul versante e alternando la scalata a brevi tratti a piedi percorsi lungo lo stesso sentiero usato dai superstiti per arrivare fin lì.

Tali voci avevano poi trovato conferma da chiunque si era trovato abbastanza in alto da potersi sporgere per vederlo.

Ciò rese i cittadini ancora più irrequieti, esacerbando ulteriormente le già complicate operazioni di soccorso.

Chi era ancora fuori dal bastione, poi, era anche chi se la passava peggio: pony sopravvissuti all’attacco ora rischiavano di finire uccisi dalle stesse zoccolate di persone che un tempo avrebbero salutato con cordiali cortesie in una calda mattinata di sole.

Un plotone di Guardie unicorno aveva ricevuto lo specifico incarico di estrarre dal lago gli sventurati equini che venivano spinti giù dal ponte, e il loro compito diveniva sempre più gravoso man mano che l’agitazione cresceva.

Più in basso, i ruggiti assordanti del mostro erano l’unico rumore in grado di sormontare le urla sempre più isteriche della popolazione.

Il suo occhio giallo continuava a rilasciare gli sciami dei globi assorbi-magia, che dopo aver volteggiato per un po’ con una serenità quasi aliena, salivano sul promontorio per infierire senza alcuna pietà sugli unicorni ammassati nella folla in attesa.

Ogni tanto qualche giovane e coraggioso mago dell’accademia di Celestia si allontanava dal flusso per provare a ingaggiare battaglia con le sfere opalescenti, finendo inevitabilmente defraudato dalle sue abilità speciali.

Il Kaiju giunse finalmente al livello delle fondamenta del castello, e da lì decise di proseguire lungo il tratto restante del sentiero, infierendo sui ritardatari che ancora marciavano per raggiungere la cima.


Le Custodi dovettero ringraziare le potenti abilità insite in Twilight se riuscirono a raggiungere le porte del castello sane e salve.

In più di un’occasione la loro amica aveva rischiato di finire colpita da qualche globo subito dopo un “salto”, ma quando questo stava per succedere Rainbow Dash aveva sempre offerto il suo corpo come bersaglio alternativo parandosi in mezzo.

«Devi smettere, Dash! Non sappiamo che tipo di effetti possono avere a lungo termine quelle cose!» Aveva detto la Principessa dell’Armonia dopo il terzo salvataggio per ammonirla dei rischi, ma nessuna aveva il coraggio di ribattere che i suoi poteri erano più importanti delle loro stesse vite. E poi, qualunque cosa i globi facessero alla magia, sembravano non avere alcun’influenza sulle capacità di volo, pertanto Dash non trovava alcuna ragione valida per non sacrificarsi in favore della sua amica.

Entrarono nella hall del castello dovendosi spingere tra una calca di pony di tutte le razze, stanchi e spaventati, che aspettavano di ricevere istruzioni su dove dirigersi.

Rainbow Dash venne urtata in volo da un pegaso particolarmente esagitato, che volò sopra la testa dell’affollamento senza prendersi nemmeno la briga di domandarle scusa. «Se Discord è davvero qui, che aspetta Princess Celestia a farlo combattere?!» Chiese dopo aver liberato nell’aria una sonora imprecazione.

«Ma sei pazza?!» La investì Applejack «Ti rendi conto di quanto casino farebbe con tutta sta gente in giro?!?»

«Perché adesso ti sembra che le cose vadano meglio?!?»

Twilight lasciò che le due se la vedessero tra di loro e si diresse verso una Guardia Reale dal manto nero – quella che nel momento le sembrò la meno impegnata – chiedendo dove poteva trovare le Principesse.

Egli s’inchinò dopo averla riconosciuta (una pratica cui non si esimevano nemmeno nelle situazioni più affannate) e le rispose dicendole dove avrebbe senz’altro potuto incontrare Luna.

Lei lo ringraziò, lasciandolo ai suoi doveri, e si diresse alla rampa di scale che la condusse al piano superiore.

Luna era lì, circondata da altri soldati e qualche Wonderbolt. Impartiva ordini a qualcuno mentre veniva aggiornata da qualcun altro.

Si affrettò a concludere quando vide gli zoccoli della Principessa dell’Armonia farsi strada tra gli stalloni e le giumente che correvano per il corridoio.

«Twilight, per fortuna stai bene!» La abbracciò forte, come una sorella maggiore avrebbe fatto con quella più piccola.

«Princess Luna, ci sono stati dei problemi con gli Elementi! Rarity e Rainbow Dash sono state colpite da una sorta d’incantesimo scaturito dal Kaiju, non abbiamo potuto fare nulla!»

«Le sfere volteggianti? Lo sappiamo, stanno arrivando flotte di unicorni senza magia praticamente da ogni dove! Aspetta… hai detto Rainbow Dash?»

«Sì! Si è presa più volte dei colpi che erano indirizzati a me… mi ha protetto.»

L’alicorno della notte chiuse gli occhi affranta. «Capisco.»

«Senti… hai notizie dei miei genitori… ?» Chiese allora Twilight, ansiosa di sapere.

«Sono entrati mezz'ora fa. Li hanno trasferiti in uno dei punti di raccolta del terzo piano, stanno bene.»

«Sia lodato il cielo… » sospirò «a proposito, dov’è Celestia? Ho bisogno urgente di parlarne!»

«Sulla piazzola d’atterraggio della torre Sud, sta aiutando le squadre di soccorso. Sarà felice di sapere che sei tornata.»

«Vorrei poter dire lo stesso…» mormorò, facendo cenno alle amiche che la guardavano di sotto che stava per allontanarsi.


Celestia non se ne rendeva conto, ma era a pezzi, ferita nella mente quanto lo era la città che per secoli aveva regnato.

Le rovine fumanti erano le ferite che le rigavano il candido manto bianco, le morti sventurate erano gocce di sangue che colavano da esse.

Pony eleganti, acculturati e dall’animo nobile quanto le loro discendenze, ora si spingevano come animali braccati nelle poche entrate dell’ultimo baluardo rimasto alla capitale.

Aveva sbagliato tutto, si era affidata a vecchie esperienze per far fronte a una minaccia che invece non era mai stata così nuova e contemporanea, e ora aveva paura di prendere qualunque decisione.

Al suo rientro a castello, al Capitano Spitfire erano bastate poche parole per convincere la regnante a delegarle il comando di tutte le squadre dell’esercito Reale, e da quel momento, dovette ammettere, aveva svolto un lavoro eccelso.

Ogni pony che era nelle condizioni di farlo stava prestando assistenza ai suoi fratelli e alle sue sorelle in pericolo, facendo tutto il possibile con il poco che ancora avevano.

Celestia, dal canto suo, si limitava a dare supporto alle altre squadre. Accoglieva i pegasi in volo accertandosi di persona delle loro condizioni di salute, prestava assistenza ai feriti in fin di vita sottoponendoli a incantesimi curativi che permettessero poi ai medici di stabilizzare le loro condizioni. Delle volte volava fino agli alloggi privati, e da lì osservava attraverso il telescopio le condizioni della città e la posizione del Kaiju, e ogni volta sudava freddo nell’osservare quanto lunga fosse ancora la coda di esodati che migravano verso di loro. Si chiedeva quanti altri il castello e la piazza avrebbe potuto contenerne e cosa avrebbe dovuto fare se non ci sarebbe più stato spazio per ospitarli tutti.

Adesso stava pensando a Discord.

Da quando la crisi era scoppiata lo aveva completamente perso di vista. Letteralmente svanito nel nulla.

Cominciò a temere che forse le aveva tradite. Fuggito dalla capitale per poi lasciare al Kaiju che facesse per lui il lavoro sporco, così da potersi finalmente appropriare del regno che da sempre ambiva.

D’altra parte, forse invece si era solo fatto da parte, nascostosi in qualche anfratto al di fuori del tessuto della realtà, in attesa di ricevere il segnale di Celestia per intervenire.

Un segnale che l’alicorno non poteva ancora dargli, o forse… non voleva.

Qualunque domanda la sua ragione le ponesse, il suo intimo interiore non era più in grado di risponderle.

Una sola cosa frase si ripeteva come la singola strofa di una breve poesia: “È stata colpa mia. Non doveva finire così.”

E così Celestia cominciò a non fermarsi più. Si muoveva, cambiava posizione. Galoppava e volava, talvolta aiutando e talvolta intralciando.

Non era più in lei, si sentiva sola, abbandonata. Per la prima volta da secoli aveva cominciando a desiderare che qualcuno arrivasse da lei per darle conforto. Qualcuno che le dicesse cosa fare, che la consigliasse e la sostenesse, così come lei aveva sempre fatto per i suoi sudditi.

«Principessa!»

Quel qualcuno giuste sotto le spoglie di una pony che lei conosceva molto bene: Twilight Sparkle, la giovane unicorno che aveva elevato al rango di Principessa dell’Armonia poco più di due anni fa.

Celestia vide che la stava fissando. A bocca spalancata, con un ciglio di smarrimento sulla maschera del viso, lo stesso che lei aveva nei suoi confronti. Ricambiò il suo sguardo, ma non era sicura che fosse lì, e soprattutto, che fosse reale.

Avevano visto che avevano usato gli Elementi per respingere il Kaiju, ma non erano serviti.

Allora qualcuno aveva cominciato a confabulare che fossero morte, uccise dalla follia di quel nemico che nessuno riusciva a intimorire.

Ma ora invece era qui, presente e materiale, e le stava parlando.

«C-Celestia? Va tutto bene, che cos’hai?» Le mosse una zampa davanti agli occhi. Sarebbe sembrata una scena così divertente, se solo non fosse stata così tragica.

«Twilight?» L’alto alicorno dal manto bianco scosse la testa e strizzò gli occhi. Sì, ora ne era certa, era davvero la sua piccola ex-allieva, e non sembrava avere su di sé ferite gravi. La sua corona, oltretutto, era ancora lì, salda sulla sua criniera così come il tronco di un abete sulle sue radici. «Gli Elementi hanno fallito?» Le chiese a voce tiepida. Ma era retorico, o davvero sentiva il bisogno di avere una conferma?

Twilight annuì con un delicato gesto del mento. Quelli che i pony fanno quando sono rassegnati all’inevitabile. Dunque era a questo che stavano andando incontro? All’inevitabile?

«Ascolta, devi dire alle squadre di sbrigarsi, il Kaiju è quasi arrivato alla cima! Io… credo che tu abbia ragione… dobbiamo far intercedere Discord!»

Celestia rimase abbagliata dalle parole dell’altro alicorno. Davvero le aveva appena sentito dire che lei aveva ragione?

No, s’immaginò di scuotere la testa. Sicuramente Twilight si stava sbagliando.

Non aveva avuto ragione su niente, e inoltre…


 Era colpa sua se si stava verificando tutto ciò.


…aveva ignorato i suoi avvertimenti quando l’aveva avvisata della forza crescente dei Kaiju, e altrettanto aveva fatto dinanzi Bibski, che in un modo molto più sfrontato le aveva ripetuto quello che da mesi era già sulla bocca della sua ex-allieva.

Ed ora, di colpo, era tornata e le stava dando ragione?

C’era qualcosa che non le tornava, un frammento che si era spezzato e che lei non riusciva più a ricomporre, privata del coccio più importante.


Un urlo assordante, che da ore avevano tutti imparato ad associare al latrato della morte, si espanse su tutto ciò che rimaneva della devastazione di Canterlot.

A esso seguirono quelle dei sopravissuti, più acute e stridenti. Grida di paura, che si disperdevano ovunque, tra chi era in cerca di un riparo e chi, fuori, si accalcava per entrare.

Il Kaiju era arrivato.

Era ben visibile sia da terra che dalle torri. Aveva percorso l’ultimo tratto del sentiero che portava al castello, e lì si era fermato.

Piccoli branchi di quel che restava dei ritardatari si riunirono all’enorme calca che ancora combatte per entrare.

Al barbacane la situazione precipitò all’istante.

Le Guardie dovettero levarsi di torno per non rischiare di essere spazzate via dall’orda di pony terrorizzati.

Le assi del ponte scricchiolavano sotto il peso dei loro zoccoli.

Senza più nessuno a soccorrerli, molti di quelli che cascarono in acqua finirono per restare lì. Qualcuno riuscì a nuotare verso la sponda del lago artificiale, ma molti dei più deboli e giovani, caddero rapiti dalla corrente della cascata, precipitando nelle vasche inferiori, o peggio, trovando una tragica morte per annegamento tra i flutti.

Celestia fu travolta dalla paura, e con essa Twilight, Luna e chiunque stesse guardando in quel preciso istante al sicuro tra le mura del castello.

Spitfire tagliò l’aria sbraitando un unico ordine a tutte le Guardie unicorno presenti all’appello, sia intorno al barbacane che dentro i confini del castello: «ATTIVATE LA MURAGLIA, ORA!!»

Decine di unicorni con in testa un’unica formula piegarono la testa all’insù, da più punti della fortezza, e obbedirono a quella procedura che per mesi era stata alla base delle loro esercitazioni. La stessa formula usata dal Principe Shining Armor durante le passate invasioni al reame, ma potenziata dalla forza di tanti unicorni addestrati per quel saliente momento.

Raggi di luce magica partirono dai loro corni, mentre il gigante era fermo a osservarli con una curiosità quasi infantile.

Decise di passare all’attacco, e aprì ancora una volta le due parti del guscio protettivo sull’occhio, sprigionando l’ennesimo sciame di globi dal liquido vischioso che grondava sul bulbo.

La magia degli unicorni si concentrò nell’aria in una grande cupola di luce chiara, che calò sul castello come un velo protettivo, mentre i globi del Kaiju le zampillavano contro schiantandosi talvolta su di essa, oppure passandovi sotto prima che la chiusura fosse completa. Quando questo succedeva, spesso i bersagli presi di mira erano proprio gli unicorni che stavano eseguendo la Muraglia, i quali colpiti a tradimento, perdevano i propri poteri indebolendo la già incerta stabilità dell’incantesimo.

I superstiti, quelli che avevano la fortuna di essere più vicini, si spinsero l’un l’altro per riuscire a entrare, ma quando la cupola scese del tutto, inglobando nel suo diametro la roccaforte e con essa tutto il promontorio fatta eccezione per il ponte e la valle subito precedente, chi rimase dietro venne sfortunatamente tagliato fuori dalla fortezza.

Ora questi disperati picchiavano sulle pareti all’entrata del barbacane, supplicando di entrare.

Genitori in lacrime pregavano le Guardie dalla parte opposta di lasciar entrare i loro puledrini, coppie separate dal muro cercavano di ritagliarsi un frammento d’intimità per dirsi addio finché il tempo ancora glielo concedeva, e chiunque era dentro, guardava quello spettacolo con sofferenza e pietà, ma animati anche da un egoistico sollievo, al pensiero di avercela fatta.

Dei pegasi tentarono di volare fin sulla cima, e altri corsero lungo il perimetro, tutti in cerca di un varco da cui poter penetrare nella cupola, ma dovettero arrendersi alla cruda realtà dei fatti, quando compresero che niente era stato lasciato al caso. Non c’era nessun punto debole nella struttura, nessun cedimento, neanche un minuscolo pertugio lasciato lì per i pochi avveduti che se ne fossero accorti.

La Muraglia doveva restare intatta. Era questa la condizione per l’incantesimo. L’unica soluzione per la sopravvivenza.

«Non possono fare sul serio!! Non possono lasciare tutta quella gente fuori!!» Urlava Twilight, guardando disperata la sua Mentore, ma chi era anche più devastato di lei era Rainbow Dash, che dal livello sottostante aveva visto con i proprio occhi e udito con le proprie orecchie l’ordine di quella che un tempo era una dei suoi idoli più grandi.

Spitfire, da anni unico Capitano degli Wonderbolt, pegaso in apparenza dall’indole nobile e impavida, aveva appena condannato a morte centinaia di loro simili, e l’aveva fatto con una freddezza spietata, di quelle cui nessun pony prima di allora aveva mai osato spingersi fino a quel punto.

Ma cosa ancora più spiazzante, tutti sapevano che quell’ordine – insensato e innaturale prima di allora – aveva appena donato una speranza a Canterlot e ai suoi rifugiati. Perché fu proprio in quel momento, quando gli esclusi avevano compreso che per loro l’illusione finiva lì, che il Kaiju caricò la cupola con tutta la sua ferocia.


E ora correva, dando esibizione di una velocità che non gli si sarebbe mai potuta attribuire. Correva, mentre evocava il suo grido di battaglia, e protendeva in avanti spalle e testa, pronto a sfondare l’ultima illusione eretta dalle sue prede.

Qualcuno urlava. Altri si coprivano gli occhi e si rifugiavano nello loro ultime, insensate preghiere.

I più illusi – quelli che ancora credevano di avere una speranza – tentavano di scappare nelle direzioni più casuali, ma se le loro menti razionali, asfissiate dal cieco istinto di sopravvivenza, avessero potuto esprimersi, quasi sicuramente gli avrebbero detto di rinunciare. A quella velocità e posta la sua stazza, mai si sarebbero allontanati per tempo prima che le possenti zampe del ciclope facessero terra bruciata dei fragili corpi di cui erano fatti i pony.

Ancora pochi secondi e il picco di Canterlot si sarebbe imbevuto del rosso più carnoso che quella delicata montagna avesse mai assaggiato dai tempi della sua genesi.


   

Celestia, ripresasi completamente di fronte a quella visione, trovò la forza di ragionare, e fece ciò che invece avrebbe dovuto compiere da tempo.

Il piano che lei stessa aveva escogitato, ma che, per timore di sbagliare di nuovo, aveva posticipato fino al momento che stavano vivendo ora.

Quel piano era previsto per una battaglia che si sarebbe dovuta svolgere all’esterno della città, nella più completa sicurezza per gli abitanti, ma che altro doveva attendere prima di decidersi ad attuarlo? Aspettare che quei poveri pony finissero trucidati dal mostro? Vedere le pareti della Muraglia lordarsi del loro sangue?

No, non avrebbe potuto convivere con quel rimorso.

Spitfire aveva fatto la sua parte, conscia delle conseguenze a cui sarebbe incorsa con la sua decisione, e ora toccava a lei fare lo stesso.

Doveva dare il segnale. Permettere al Caos di restituire la loro Armonia.  

Alzò la gola al cielo e gridò. Le corde vocali vibrarono in un richiamo forte e maestoso, potente come il sole.

«DISCORD, DOVUNQUE TU SIA. FALLO!! ORA!!!»

E come terminò la sua invocazione, ogni singolo stallone, giumenta o puledro rimasto fuori dalla muraglia (compreso chi cercava di riemergere dal lago), venne immediatamente avvolto da un alone di magia caotica e teletrasportato all’interno del bioma della cupola.

Riapparvero nella piazza, gremendo ogni singolo metro quadrato di spazio disponibile, cadendo su soffici tappeti erbosi o sulla dura pietra del viale. Si fecero male, gemettero. Qualcuno atterrò su altri pony o perfino su qualche Guardia Reale, qualcun altro pensò di essere finito nell’altro mondo, e certi neppure si resero conto di ciò che era successo, continuando a stringere gli occhi convinti che presto sarebbe arrivata la loro ora.

Ma quali fossero le emozioni e i pensieri che galleggiavano nelle loro menti in quegli istanti, con gran sollievo di tutti, gli esclusi dalla Muraglia erano appena stati salvati. Tutti quanti.


E il Kaiju? Il Kaiju balzò con un salto oltre il lago, schiantandosi contro la parete della cupola.

Subito dopo, una cataclismatica onda d’urto si propagò su tutto ciò che si trovava al suo interno.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony / Vai alla pagina dell'autore: Alvin Miller