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Autore: Carliel    10/09/2014    2 recensioni
Cinque minuti dopo essermi seduto su quella panchina mi sono già scolato tre quarti di bottiglia. L’alcol comincia a fare effetto e mi ritrovo a ridere. Sto ridendo come un imbecille, seduto da solo su una panchina all’una di notte.
Missing moment della 1x12! Ho sempre shippato Dorian e John **
enjoy&rate
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Dorian, John Kennex
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Eric che cade dal tetto. E’ questo che vedo fissando il monitor di un computer in ufficio; è tardi, molti agenti stanno andando a casa, gli MX si dirigono verso il loro deposito per la carica quotidiana.
-Stai bene?- mi sento chiedere. Dorian.
-Sì. Sì, sto bene. Non c’è nessun problema- rispondo, sperando di non avere il mio vero stato d’animo scritto per filo e per segno sulla fronte.
Lui cambia argomento –grazie a Dio- e io smetto di ascoltarlo. Non sono proprio in vena di indossare la solita corazza di battutine e di silenzi forzati. Uomo duro fino alla fine.
Ho bisogno di bere. Bere tanto.
Dovremmo essere amati.
Un flash della conversazione con Eric appare all’improvviso nella mia testa.
Dovrei invitare Stahl. Basta sguardi e parole scambiate di rado. Lei è proprio ad una scrivania da me.
Al diavolo Anna e tutto ciò che non riesco a ricordare sul suo conto. Al diavolo tutto. Al diavolo quella vocina nella mia testa che mi sussurra che sono un’idiota a volerla usare come distrazione.
Dorian mi ha appena dato la buonanotte e se ne sta andando. Prendo la giacca.
Mi avvicino.
-Ehi, John- dice lei.
-Ehi- rispondo. Sempre un campione di eloquenza.
-Stai andando a casa?- continua Valerie.
Mi aggiusto la giaccia e dico: -Ci stavo pensando, ma forse prima mi fermerò a bere un drink. Conosci un posto che si chiama ‘Da Leo’?- opto per l’invito velato.
Lei sorride: -E’ proprio dove sto andando. Adoro quel posto!-
-Non ci credo. Scherzi?- rispondo io, sinceramente sorpreso.
-Detective Stahl- interviene una terza voce.
Io mi volto scocciato, incontrando il viso di un uomo perfetto.
Camicia a quadretti sotto un maglioncino marrone e una giaccia blu. Un Cromo, lo capisco subito.
-Sei pronta?- dice il nuovo arrivato, Jake, a Stahl.
-Sì- risponde lei, prendendo le sue cose.
-Ci vediamo lì, John?- aggiunge, prima di voltarsi.
-Certo, potrei fare un salto- dico –ma sai, ho qualche rapporto da finire, voi divertitevi!- dissimulo la mia delusione e la mia rabbia.
-Non lavorare troppo!-
Stahl e Jake se ne vanno insieme. Io fingo di guardare qualche cartella finchè non spariscono, poi esco dall’edificio.
Mi dirigo verso lo spaccio di alimentari che si trova a due strade dal dipartimento e compro cinque bottiglie dell’alcolico più forte che trovo. Non guardo neanche che cos’è.
La cassiera del turno notturno mi rivolge un’occhiata strana, che sul momento non mi premuro di comprendere.
Esco di fretta, dirigendomi verso il parco che si trova di fronte a casa mia e verso l’unica panchina che non è stata distrutta dai vandali del quartiere.
Mi ci butto sopra e sfilo la prima bottiglia dal sacchetto di plastica. Mando giù una sorsata. Per quanto brucia e per quanto è amaro potrebbe anche essere alcol etilico. O forse no, non mi importa.
Cinque minuti dopo essermi seduto su quella panchina mi sono già scolato tre quarti di bottiglia. L’alcol comincia a fare effetto e mi ritrovo a ridere. Sto ridendo come un imbecille, seduto da solo su una panchina all’una di notte.
La mia mente comincia a ripercorrere gli eventi traumatici degli ultimi tempi, come se la diga di contenimento che avevo piazzato in quella parte del mio cervello fosse improvvisamente esplosa.
L’imboscata dell’Insindacato, il coma, la sparizione di Anna, la memoria altalenante.
Sorsata.
La più recente morte di Vogel. Il salto dal tetto di Eric.
Sorsata.
La mia risata va a esaurirsi in un verso gorgogliante e all’improvviso sento una mano toccarmi la spalla. Mi giro di scatto sollevando la bottiglia vuota che ho in mano, pronto a romperla in testa ad un aggressore.
Il mio braccio si ferma a mezz’aria quando realizzo, forse un po’ in ritardo, chi mi sta di fronte.
Dorian.
La bottiglia cade a terra producendo un rumore stridente di vetri rotti.
-Tu… Cosa…- balbetto in modo confuso.
-Ti ho seguito- dice lui.
–Dall’incarico di oggi sei stato assente e prima non mi ascoltavi nemmeno- aggiunge, abbassando lo sguardo sulla bottiglia rotta ai suoi piedi.
Rimango un attimo in silenzio, guardando Dorian senza davvero vederlo, la vista leggermente annebbiata dall’alcol. Non so neanche come ho fatto prima a girarmi così in fretta senza perdere l’equilibrio.
Vengo scosso da un altro moto di risa ma mi accorgo solo più tardi, quando Dorian si sposta da dietro alla panchina per sedersi vicino a me, che in realtà non sono risate. Sono singhiozzi.
Mi accorgo solo più tardi che sto piangendo.
-John- mi chiama Dorian.
-John, va tutto bene. Guardami, guardami.- allunga una mano e mi prende il mento, girandomi il viso verso di lui.
-La… ragazza della cassa…- biascico, cercando di guardare tutto tranne gli occhi azzurri di Dorian –ecco… cos’era quello sguardo… mi guardava con pietà… sono… sono…-
Dorian non chiede spiegazioni riguardo il mio assurdo farneticare. Dorian non mi guarda con gli stessi occhi della cassiera. Dorian non mi sta giudicando.
Dorian si è sporto in avanti e mi ha abbracciato forte.
Dorian mi sta dicendo, senza parlare, che capisce perché sono qui. Che capisce perché sono qui da solo.
Che capisce. Che mi capisce.
Sento la mia corazza cadere. Pezzo dopo pezzo. Come i cocci della bottiglia ai nostri piedi.
E allora mi stringo a lui e piango più forte, dimentico l’orgoglio e la facciata da uomo duro.
-Dorian… Dorian… Dorian…- ripeto, come un mantra, mentre lui mi passa le mani sulla schiena e mi sussurra che non intende lasciarmi.
Dovremmo essere amati, aveva detto Eric.
E in quel momento avevo finalmente capito cosa quel ragazzo volesse dire.
Tra le rovine di un parco abbandonato e un fiume di alcol.
   
 
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