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Autore: isawniall    11/09/2014    0 recensioni
“quindi per favore” si sporse oltre il tavolo per avvicinarsi a Dylan, in modo tale da poter guardare bene quegli occhi così chiari, quasi trasparenti. “Lasciati salvare da me.”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza entrò frettolosamente nel bar. Fuori faceva freddo e lei era coperta solo da una canotta bianca ed una felpa. I pantaloni erano strappati sul ginocchio, uno zaino nero le cingeva le spalle.
Aveva l’aria di chi non dormiva da giorni. I pochi clienti nel bar si girarono a guardarla. Lei tremava sotto tutti quegli sguardi attenti, che la squadravano da cima a fondo. Arrivò al bancone muovendo lentamente quei piedi piccolissimi, in grado di fare grandi passi ma non di correre abbastanza lontano. La ragazza era minuta, si strinse nella sua felpa larga. Era stanca, non aveva dormito per niente. Di conseguenza aveva gli occhi arrossati marchiati dalle occhiaie e dal trucco colato.
Si sedette sullo sgabello bianco e poggiò i gomiti sul bancone. Una signora che prima sorseggiava altezzosamente qualche bevanda dal suo bicchiere, si girò a guardarla. Successivamente si alzò e camminò velocemente verso l’uscita, lasciando dietro di sé il ticchettio dei suoi tacchi sul pavimento. La ragazza tirò su con il naso. Era da giorni che vagava senza meta, le città, i paesini erano tutti diversi, ma le persone tutte uguali. La gente la guardava come se fosse un qualche strano morbo, la giudicavano, eppure non sapevano proprio niente di lei. Ma non le importava. Non sentiva più niente. Il barista si avvicinò mentre asciugava un bicchiere con un vecchio panno e le chiese gentilmente se volesse qualcosa. Lei scosse la testa. Non aveva né fame, né sete. Voleva solo riposare per sempre. D’un tratto sentì qualcuno sedersi sullo sgabello accanto. Non si girò a guardare chi fosse, mantenne sempre lo sguardo fisso, vuoto, sul bancone. Allora il barista andò verso il nuovo cliente e gli rivolse la stessa domanda, dopo averlo salutato battendogli la mano.
“Hey allora, come va?” chiese il barista.
“Bene Sam, senti fammi il solito e metti sul conto ciò che prende la ragazza qui accanto.”
Stavolta lei si girò e lo guardò incredula. La prima cortesia ricevuta dopo parecchi giorni.
Il barista tornò dalla ragazza e le rivolse la stessa domanda di prima. Non sapeva cosa fare, non voleva niente. Però scelse comunque di prendere un caffè, sperando di svegliarsi un po’.
Il ragazzo si avvicinò con lo sgabello vicino alla ragazza. Le sorrise dolcemente e le porse la mano.
“Io sono Calum”
Lei guardò prima la mano e poi lui, pressò le labbra e tornò a guardare la mano, dopodiché la strinse.
“Dylan”
Calum sorrise di nuovo. Era alto, aveva i capelli scuri come gli occhi, le labbra piene e carnose, la pelle ambrata. Aveva una giacchetta di pelle nera, sotto una camicia a quadri rossa e degli skinny jeans sempre neri. Appena arrivarono gli ordini, Calum si volle spostare in un tavolino infondo al locale. Si sedettero uno di fronte all’altro. Calum stringeva il piccolo bicchierino tra le sue grandi mani, mentre Dylan cercava di non sentirsi in imbarazzo sotto gli occhi del ragazzo. Fissava la sua tazza di caffè fumante senza dire niente. Infatti fu lui a parlare per primo.
“Sai, ti ho vista fuori dal bar.” Disse bevendo tutto d’un fiato la bevanda alcolica.
“Eri al semaforo e aspettavi che diventasse verde. Sono riuscito a vedere, nonostante fossi lontano, il modo in cui guardavi le auto che sfrecciavano davanti a te. Avevi uno sguardo così vuoto, spento, così come ce l’hai ora. Quando hai iniziato a fare qualche passo verso la strada e le auto ti suonavano, ma non si fermavano, poi hai avuto un fremito, ti sei come svegliata e ti sei fermata.
Perché? Ne hai abbastanza della vita o è la vita che non ne ha abbastanza di te per permetterti di andartene?”
Dylan lì per lì non disse niente e lo guardò con tale disprezzo che il ragazzo si mosse a disagio sulla sedia. Quelle parole l’avevano in un certo senso ferita. Però ripensandoci, era da giorni che, proprio sul punto di morte, si salvava.
“Sai Calum, se tu conoscessi metà di quello che ho passato questi giorni, queste cose non le avresti mai dette. Perché secondo te una persona deve per forza esprimere un parere anche se nessuno gliel’ha chiesto?”
Stavolta fu lui a rimanere zitto. Dylan gli era sembrata debole, fragile come una bambola di porcellana. Ma non lo era. D’altra parte però, era spaesata, sola, diffidente e spaventata. Amava da morire questo tipo di persone, che con un abbraccio si ricompongono e si sentono subito al sicuro.
La guardò negli occhi. Non sembrava ferita, per niente. Oppure lo era, ma era terribilmente brava a nasconderlo. Dylan scosse la testa e fece per andarsene, senza ringraziare il ragazzo del caffè. Ma proprio quando gli stava voltando le spalle, Calum si sporse in avanti afferrandole il polso.
“Rimani, io non volevo…”
“Dire quello che hai detto?”
Quando finalmente Calum lasciò il polso della ragazza, quest’ ultima incrociò le braccia sotto al seno, aspettando una risposta.
“Scusami” biascicò affondando le mani dentro le tasche dei jeans.
Dylan accennò un piccolo, minuscolo sorriso. La parola “scusa” sembrava così strana detta da qualcun altro.
“Vedi, è da giorni che mi succede. Ci provo, inconsapevolmente, ma proprio quando sto per riuscirci, mi fermo. Vivo la mia vita pronta per morire ma avendo la certezza di avere un momento per salvarmi.”
Lui annuì, in un certo senso aveva capito. Ovvio, non sapeva cosa si provava, ma se lo immaginava.
Si sedettero tutti e due di nuovo al tavolo. Dylan strinse tra le mani la tazza di caffè, ormai freddo.
“Calum” disse stringendola più forte. Lui alzò la testa verso la ragazza pronto ad ascoltarla.
“Grazie per il caffè e…per non avermi lasciato andare via… avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse di restare” ammise la ragazza, parlando a voce bassa, quasi rotta.
“Oppure hai semplicemente bisogno d’aiuto” disse sistemandosi per l’ennesima volta sulla sedia.
“Non voglio aiuto, me la sono cavata da sola in tutti questi giorni” sbottò.
“Non puoi scappare all’infinito lo sai?”
Dylan annuì. Avrebbe potuto vivere così per giorni, massimo una settimana. Ma poi?
“quindi per favore” si sporse oltre il tavolo per avvicinarsi a Dylan, in modo tale da poter guardare bene quegli occhi così chiari, quasi trasparenti. “Lasciati salvare da me.”





PATRIZI (non mi andava di scrivere plebei) Allora, innanzitutto vi ringrazio per aver letto tutto il capitolo. Poi, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, perciò se volete lasciate una recensione o seguitemi su twitter: sono @joctombie <3 Ringrazio anche le mie prime supporters: Sab, Krabby e Chiara, che me piaciono tantissimo e le lecco.
Al prossimo capitolo, ve bacio.
-Giò
   
 
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