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Autore: FlameOfficial    12/09/2014    5 recensioni
Fui sul punto di abbandonare il mio “cavaliere” ed andarmi a sedere con gli altri, con decisamente più dignità e pudore di me, ma qualcosa, o meglio qualcuno, mi bloccò per il polso, e non scherzavo se vi avessi detto che in quel momento, ancor prima di vederlo, le farfalle nel mio stomaco cominciarono a volare come i brividi per il mio corpo.
“Posso rubarti questa bellissima ragazza, per un ballo?” disse rivolgendo lo sguardo al ragazzo che subito annuì ridacchiando e ripescando Martha dalla folla.
Mi strattonò dolcemente verso di sé, facendomi sbattere goffamente contro il suo petto con le mani, mentre la sua risata mi riempiva più della musica; mi sorrise e da quel momento non capii più un cazzo.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appunti :
  1. Tutte le conversazioni tra i personaggi principali (gli altri e Flame) sono,in realtà, svolte in inglese.
  2. Kulana è la marca di succhi di frutta, nulla di sconcio lol
  3. Asling si pronuncia Ashleen, Maura si pronuncia Mora (con la “o” chiusa)
 
 
 
 
 
Sentii la sveglia del telefono risuonare dal fondo del pavimento per quelle quattro e strette mura, non persi tempo e schiusi gli occhi, riuscendo solo a distinguere, nel buio della tenda, la scrivania a due passi dal letto troppo morbido per essere abbandonato.
Poggiai i piedi a terra, sentendo il freddo del finto parquet assalirmi come la fame lasciata dalla merenda delle 00.34,  tastai con i piedi in cerca delle pantofole verdi come i miei capelli.
Una volta trovate le infradito ancora fradice dalla doccia della sera precedente, le infilai e cominciai a camminare barcollando come al solito verso la porta, solo dopo aver afferrato la tessera chiave che apriva solo la porta dell’appartamento e della mia stanza privata.
Benedetta, una delle mie quattro coinquiline italiane, era già nel salone intenta a spalmarsi il fondotinta sul volto bello anche al naturale.
 
“’Giorno Flame!” apostrofò con un sorriso troppo largo per essere solo le sette e dieci del 20 luglio.
 
Le risposi con un cenno del capo e il grugno di una che si è appena svegliata, segno di affetto ché se mi fosse stata sul cazzo, avrei direttamente cambiato sguardo e direzione.
Dopo aver fatto la mia solita capatina in bagno, tornai nella camera ancora immersa nel buio e, non appena tirai su la tenda, inizialmente bianca ma in quel momento grigia come un topo di fogna, sia la luce sia il sorriso di Ashton, un mio amico conosciuto nel primo giorno delle due settimane nella nostra permanenza in Irlanda - precisamente a Maynooth,  26 km da Dublino -, mi investirono.
Come ogni mattina, dal terzo giorno, il riccio piombò fuori dalla mia finestra per darmi il suo Kulana della sera precedente, visto che a lui non piaceva né all’arancia né alla mela, ed io lo accettavo più che volentieri.
 
“Cosa mi darai in cambio, alla fine della vacanza?” ridacchiò mentre faceva scendere il cartone dalla finestra.
 
Lo guardai male, con gli occhi ancora socchiusi e addormentati, prima di riabbassare la tendina, cullata dalle sue risate mentre lo sentivo muoversi verso il suo stabilimento, probabilmente per svegliare gli altri ragazzi del gruppo Jackass, il nostro.
Sbadigliai e mi gettai nell’armadio, sempre con lo stesso dilemma che mi affliggeva ogni santissima mattina : che cazzo mi metto?
Guardai il cielo, stranamente limpido e azzurro, così optai per i miei amatissimi jeans neri e stretti, una maglia dei Nirvana, le Vans nere e, per completare il tutto, una giacca di pelle presa da Penneys a otto euro.
 
Sentii i passi di Lorena, la siciliana tra le mi coinquiline, risalire il corridoio, e sperai le pene dell’inferno purché, come ogni mattina faceva, non sarebbe entrata nella mia camera a guardarsi allo specchio e assillarmi con quell’accento insopportabile solo perché era il suo.
Le volevo bene, a Lorena, ma mi rompeva troppo spesso le palle e, soprattutto, non capivo perché doveva specchiarsi nella mia stanza, mentre nella sua c’era uno specchio addirittura più grande del mio.
E la cosa mi mandava in delirio.
 
 
Quando scorsi l’ora, terribilmente eccessiva- ero tre minuti in ritardo-, osservai allo specchio quell’opera d’arte che avevo fatto con l’eyeliner e il rossetto, mentre mi pettinavo i lunghi e per nulla comuni capelli.
I capelli erano il mio punto di forza e non potevo permettere che tutto il campus Junior li vedesse senza neanche una pettinata, visto che tutti mi conoscevano per “quella con i capelli verdi” e mi chiamavano, di fatti, “Green”, quindi non potevo trascurarli, assolutamente.
 
Quando furono fermi e perfettamente lisci, in modo da far risaltare la lunghezza e le sfumature azzurre alla fine, li incatenai con la bandana rossa che Michael, compagno di stanza e amico di Ashton, aveva rubato per me al riccio dei Kulana, ed uscii di corsa dalla mia stanza, con lo zainetto in spalla, diretta verso il cortile appena fuori dal mio stabilimento, dove ogni mattina tutti i gruppi si riunivano per andare poi a colazione.
 
Ed eccoli là, tutti i ragazzi del viaggio studio Maynooth-2014 con il sonno che scendeva insieme alla bavetta all’angolo della bocca, che sognava ancora il materasso caldo e morbido, nonché l’unica cosa che avessimo mai amato in quel college.
In realtà per me non era l’unica cosa, c’erano anche i Kulana, i biscotti che la nostra Group Leader ci portava per la merenda serale, i cornetti, i toast,i muffin, le ciambelle alla Homer Simpson e lui, Luke Hemmings.
Luke era in stanza con Michael, Ashton e Calum, i tre che neanche arrivati a Dublino e già si erano presi troppa confidenza con me e le mie cuffiette; loro quattro si conoscevano già da tempo e l’intrusa, se così si poteva dire, ero io : la “ragazza”- anche se era troppo dire ragazza visto che non ci eravamo nemmeno mai baciati- del biondo che aveva conquistato tutto il campus, che m’ero unita a loro all’aeroporto.
 
Sentii i sassi deformarmi la suola delle Vans al passaggio, mentre camminavo incerta verso la mia Group Leader e i miei compagni di gruppo, ma, come ogni mattina, Luke non c’era, ritardato di mente e di vita.
 
“Ah ciao Flame! Dormito bene? Le altre?” la donna dai giovani lineamenti e i lunghi capelli biondi mi guardò con gli occhi verdi, porgendomi tutte quelle domande che per me, di mattina, erano decisamente troppe, soprattutto se accostate al tono alto della voce.
 
“Stanno arrivando” dissi con la voce bassa e rauca, prima di passarmi una mano sul volto per cercare di scacciare le briciole di sonno che si erano accatastate durante la notte.
 
Delle grandi mani s’avvinghiarono al mio bacino, sbucando con le braccia scure scoperte dalla maglia a maniche corte, il suo viso poi si posò sulla mia spalla, affianco al mio e lo sentii parlare al suo amico.
 
“Stai comodo?” pronunciai ridacchiando a Giuseppe, uno dei primi ragazzi italiani a parlarmi, data la sua spigliata parlantina inglese, che si era appollaiato come un koala su di me, già fin troppo stabile sulle mie gambe.
“Molto!” rise dandomi un bacio sulla guancia e sbatacchiandomi un po’, facendomi per poco risalire il Kulana della stessa mattina.
 
Ridemmo insieme finché altre risate, decisamente più sonore e addormentate, s’unirono al vocio generale del cortile, e fui ben contenta di constatare che quelle risate appartenevano ai quattro partiti con me da Sydney.
 
Li guardai, prima Michael, il ragazzo con cui facevo coppia per i capelli – i suoi erano leggermente più sul verde acido rispetto ai miei-, poi Calum, con quegli occhi che si chiudevano nella risata contagiosa che aveva, poi Ashton, con quei ricci scomposti ma perfetti nel loro disordine, come nel suo zaino, dove nascondeva furtivamente i Kulana degli altri solo per poi appiopparli a me, poi venne il turno di Luke e non feci neanche in tempo a pronunciare nella mia testa il suo nome, che già nel mio stomaco le farfalle facevano le capriole, saltavano e si rincorrevano, non pensando alle conseguenze che avrebbero avuto su di me.
 
Si avvicinarono e, dopo un saluto stanco ed assonnato, il biondo mi si attaccò addosso come fosse stato l’ultimo giorno della nostra vita; mi sciolsi in una risata, ricambiando quell’abbraccio atteso con ansia fin dall’ultimo della sera precedente.
 
“Buongiorno Flame” mi disse.
Agli altri poteva suonare una frase normale, ma il modo in cui lo disse mi fece ancora più innamorare di quegli occhi in cui vedevo l’universo, quell’universo che non ero riuscita a trovare in me stessa in diciassette anni che mi conoscevo.
Luke era speciale, per me, per i suoi amici, per chi lo conosceva e per chi non aveva ancora avuto questo piacere immenso.
 
“’Giorno Lukey!” ridacchiai ricambiando il sonoro bacio sulla guancia, e, una volta a contatto con la sua pelle leggermente increspata per la barbetta che s’accingeva a sorgere su quei lineamenti lisci e morbidi, un brivido mi percorse la schiena,le mani, le braccia, le gambe fino a farmi rizzare i peli delle braccia coperte dalla felpa che Luke indossava.
 
Si staccò leggermente ed io mi voltai verso il resto del gruppo raccolto intorno a Diletta-la nostra Group Leader-, giusto per sentire cosa stava dicendo, ma io lo sentii, il suo sguardo posarsi sulle mie labbra e la voglia di averle sue, di non lasciarle mai sfuggire verso qualcun altro.
Girai gli occhi verso i suoi nello stesso momento in cui la nostra Group Leader ci aveva dato l’ordine di incamminarci per la mensa, e lo vidi farsi avanti e socchiudere gli occhi, come a voler vedere la mia reazione a quel suo movimento che da tempo desideravo.
Chiusi i miei occhi color sterco di topo, invitandolo a continuare e, quando fummo a un centimetro di distanza, sentendo il suo respiro sulla mia pelle, la ragazza dai capelli biondi come quelli di Luke disse : “Ragazzi, sbrigatevi o non troverete le vostre amatissime ciambelle!”.
Il biondo scosse la testa ridendo, mi prese per mano, incrociando le nostre dita in una stretta che sarebbe stata troppo difficile da dividere, e ci incamminammo verso la mensa, sicuramente già gremita di persone.
 
 
 
 
 
 
Avevamo le pance piene e le labbra vuote e, dopo una chiamata sclerotica con mia madre, in cui le avevo distrattamente passato Luke e avevano parlato per ben quattro minuti e sette secondi, ci stavamo muovendo verso le classi, non troppo lontane.
 
Fui rigorosamente strattonata via da Martha,una ragazza italiana che aveva copiato da me al test, ritrovandosi nella mia stessa classe con Calum, rimanendo ancora una volta a bocca asciutta per quel movimento che mi strappò dalle braccia muscolose di Luke.
Cominciò a parlare un inglese tutto inventato da lei, di cui riuscii a capire solo “Test” e “Copy”, ma non servì che disse altro, visto che annuii vigorosamente, prima che Michael mi circondasse le spalle con il suo braccio troppo pallido per essere australiano, mentre io, per quanto ero abbronzata, sembravo una marocchina scappata di casa e datasi alla pazza gioia con le tinte per capelli, senza un risultato decente.
 
Canticchiò Dogs Eating Dogs dei Blink- 182, sapendo che amavo quel gruppo quanto avrei amato una casa fatta di pizza, ed io partii a mia volta, solo alzando il tono della voce, facendo girare buona parte dei senior e degli altri gruppi.
In un secondo fummo affiancati dagli altri due, ma Luke ci sorpassò e si fermò di colpo di fronte a me, facendomi sbattere contro la sua schiena, che, grazie alle magliette aderenti, potevo constatare d’esser ben muscolosa.
 
“Sali!” disse ridendo, e io non riuscii a fare a meno di contrassegnare anche questa stronzata, salendo goffamente sulla sua schiena, con il sottofondo dei ragazzi che ci circondavano.
 
Prese a correre, facendomi saltellare come fossi stata su uno struzzo indomabile, sfrecciando davanti agli altri e percorrendo la breve distanza che ci separava dal prato di fronte alla scuola, con la mia risata e le minacce di Diletta nell’orecchio.
 
Non fece in tempo a frenare, che ci sfracellammo sul prato talmente verde che più non si poteva, e la quiete venne sprezzata dai suoi lamenti simili a un lamantino in procinto di partorire un tricheco con il diametro della testa quanto quello di un pallone da rugby ed uno da calcio messi insieme.
 
Rotolammo tra i pochi fiori che decoravano quella verde distesa come i miei capelli, mentre i “Se vi siete fatti male, giuro che vi ammazzo!” e i “Niente merenda per nessuno dei due, oggi!” di Diletta, ma a me importava solo dei grandi occhi blu che dal basso mi fissavano vogliosi di qualcosa che anche io bramavo da tempo.
 
Si morse il labbro inferiore, facendo risaltare il piercing nero al lato della sua bocca; era così maledettamente sexy.
 
Ero a cavalcioni su di lui, ma nessuno ancora era accorso a vedere la scena, era il momento perfetto, quello che entrambi desideravamo dalla prima volta che ci eravamo visti; mi spostò i capelli, che ricadevano fino a sfiorare il suolo, dietro le orecchie, poi pose una mano sulla mia schiena e, nonostante gli strati di tessuto, sentii ogni minimo particolare, ogni venatura  e ogni ferita guarita.
Mi avvicinai al suo volto sempre di più, fino a che lui non sentii il mio respiro aumentare come l’ansia di quel momento, che mi divorava dall’interno per quant’era facile distruggerlo.
 
“Buongiorno, Flame!” tuonò Asling, la mia insegnante, dalla finestra della mia classe.
 
Scattai in su con la testa, venendo accolta da quegli occhi azzurri, ma non come quelli di Luke, un po’ vivaci e dispiaciuti d’aver distrutto quel momento così precario.
Le feci un sorriso pallido e ricambiai il saluto, poi mi alzai, già sentendo gli altri superarci come fossimo spazzatura; gli stesi la mano, e lui la prese, facendo leva per alzarsi.
 
Ci guardammo innamorati, ma ormai non bastavano più i nostri occhi.
Sfuggimmo al tocco che erano le nostre mani intrecciate e ci separammo per andare alle nostre rispettive lezioni.
 
 
 
Durante le quattro ore di scuola specializzata in rottura di coglioni,interrotte da un intervallo di trenta minuti, ci sarebbe stato un silenzio di tomba nella classe, se Calum non fosse stato il mio vicino di banco; ridevamo, scherzavamo e facevamo battutine sullo strano accento irlandese, e, all’insegnante, non passavano di certo inosservate tutte quelle risatine.
E come tutte le altre lezioni, Cal mi lanciava sguardi  complici mentre armeggiava con la mano nello zainetto più antiestetico di un super brufolo sulla punta del naso; ne tirò fuori l’Iphone con la cover nera, anche quella molto antiestetica per i miei gusti, ma parlavo io che andavo in giro con un telefono che neanche nell’anticristo usavano.
 
Mi avvicinò il telefono, tenendolo nascosto tra le sedie e mimandomi con le labbra grandi e morbide “ Guarda come dorme il tuo ragazzo” ; strinsi tra le dita il telefono del ragazzo con un ghigno molto più che divertito.
Luke era sdraiato su due sedie della loro sala comune, con le braccia aperte a mo’ di Gesù Cristo in croce, la bocca aperta, la testa tirata all’indietro sul bordo della sedia, con il cappello che gli copriva gli occhi.
A quella visione non riuscii a non trattenere una risata troppo fragorosa persino per me, scoppiai in un ululato di allegria che fece saltare sul posto Maura, l’altra nostra insegnante, e ridere gli altri.
Andai avanti con quella risata quasi ossessiva per quella foto, che avrei preferito non fosse una foto ma un mio ricordo, per dieci minuti, ovviamente tenendola a basso tono, ma non talmente basso da non essere sentito.
E fin quando Maura, con tono severo e leggermente irritato, non mi disse di spostarmi nel banco da sola, Calum ridacchiò con me.
 
 
 
Il resto delle prime ore di lezione passò noioso e monotono, come in qualunque tipo di scuola, per questo mi sembrava d’esser diventata vecchia quando il pallido sole, alto nel cielo sereno irlandese, sfiorò la mia pelle.
Scrutai la massa di persone fuori le gradinate della scuola, in cerca di quella testa bionda e di quel sorriso che mi faceva venire i brividi tant’era perfetto.
Avevo aspettato quel momento da quando mi ero svegliata, e non mentivo se dicevo che ancora stavo aspettando il momento della ricreazione, quello in cui sarei riuscita a ricaricarmi come un cellulare, vedendo lui e i suoi occhi da iniziatore d’uragani.
Difatti ero ancora lì, con la schiena rivolta verso l’entrata e gli occhi puntati su tutto ciò che mi si presentava davanti, ma riuscivo a vedere solo Lorena che scodinzolava dietro a Diletta che cercava di radunarci.
Mi mossi piano e sconsolata per il fatto d’aver perso anche Calum, raggiungendo il resto del gruppo.
Mi piazzai tra Diletta e Andrea, guardai  a terra, tra le cicche delle sigarette che,essendo minorenne, non potevo fumare- nonostante stessi diventando matta per l’assenza di nicotina- e i rimasugli delle gomme da masticare di chi era troppo pigro per gettarle nel cestino a tre passi di distanza.
Sentii delle braccia arrotolarsi attorno il mio bacino, ma il colorito troppo scuro mi fece capire che non si trattava di Luke o di uno dei ragazzi, e il suo accento marcato come quello di Lorena mi indirizzò, come i suoi ricci che spuntavano davanti ai miei occhi, a Giuseppe.
 
“Qualcuno ha visto Luke?” dissi io, facendomi piccola e vergognandomi di non riuscire a trovare da sola quel mistico luccichio, come lo chiamava Michael, del suo piercing.
“Sono andati a fare le prove per l’N-Factor” rispose distrattamente Diletta, indaffarata tra tutte le cartacce e fogli che le spuntavano dalle mani.
 
L’N-Factor era una stronzata assurda, almeno per me lo era visto che non avevo avuto il coraggio di iscrivermi, quindi l’avevo presa in questo modo : “Dai, Flame, è una stronzata, che cazzo ti iscrivi a fare!”; era una competizione canora, bisognava esibirsi con una canzone scelta, frequentare le prove e poi fare lo spettacolo finale, ed il vincitore avrebbe vinto una registrazione nello stesso studio degli U2- uno dei gruppi più famosi del mondo, ovviamente irlandese-.
I ragazzi si erano iscritti come gruppo, e dire che morivo dalla voglia di sentirli e di sapere il loro nome da band era troppo poco, ma già immaginavo la reazione da ragazza sclerotica che avrei avuto.
 
Sorrisi leggermente e,quando Diletta ci diede il via libero, mi sdraiai sul prato davanti le classi, con la testa sulle gambe di Giuseppe, chiusi gli occhi e pensai a quel sorriso meraviglioso che ogni mattina,pomeriggio,sera e notte, mi dava sempre il benvenuto.
 
 
 
 
Erano passate alcune ore e la scuola, il pranzo- se così poteva essere chiamato- e il tempo libero erano volate via tutte con lo stesso pensiero,Luke, con lo stesso desiderio che da giorni m’assillava: le sue labbra.
Mancavano solo pochi minuti all’incontro con i Group Leaders per dividerci nelle rispettive attività pomeridiane, tra cui fotografia, sport e cucina irlandese, ma io quel giorno non sarei andata, come al solito, a infangarmi per giocare a rugby : mi ero già messa d’accordo con Martha per scappare e andare a seguire le prove dell’N-Factor.
 Di fatti, ci appostammo fuori dall’auditorium, guardandoci intorno più sospette di due ladri evasi; facemmo molta attenzione, considerato che la scuola si trovava perfettamente di fronte il teatro e che i senior stavano svolgendo le loro lezioni.
 
Ci demmo uno sguardo per incoraggiarci a vicenda e subito ci buttammo correndo silenziosamente dentro le porte di vetro, accostandoci poi al muro per nasconderci dagli occhi esterni.
 
Fui sul punto si aprire la porta a molla, ma Martha urlò, con il suo timbro da romana inconfondibile : “Ao Green, da ‘sta parte!”, scomparendo dietro l’angolo.
Mi stupì il fatto che nessuno si accorse di quella specie di richiamo per uccelli che fu il suo tono, ma nonostante tutto gli occhi indiscreti furono solo quelli di Mildred, la cassiera del mini-market; mi avventurai alla volta della ragazza dai capelli corti e rossi, addentrandoci nell’immenso auditorium, nascondendoci tra una fila di banchi e l’altra.
 
Sul palco c’erano Sam e Lerio, due idioti più montati della panna ma troppo scarsi per essere considerati persino principianti, l’unica cosa dalla loro parte, era la loro bellezza e, talvolta, simpatia.
A giudicare dalla faccia degli organizzatori, non erano solo le mie orecchie ad avere un giudizio negativo riguardo la loro pietosa performance di “When I Was Your Man” di Bruno Mars, uno dei miei cantanti del tempo corrente preferiti.
I due furono liquidati con un “Bene, ma potete fare di meglio” e poi mandati a posto tra le prime file davanti al palco.
 
“Five Seconds Of Summer?!” Emanuela, il capo di tutti i Group Leader e, soprattutto,colei che decideva le punizioni per chi veniva beccato a fumare, disse con tono quasi sorpreso da quel nome.
 
Per essere sincera anch’io all’inizio ne rimasi un attimo basita, mettendo su una faccia da “Chi cazzo so’ mo questi?!”, ma poi, non appena vidi quei quattro, che riconobbi all’istante, muoversi verso il palco cominciai a fangirlizzare.
 
Vidi Luke salire e ridacchiare in preda al nervosismo,mordendosi il piercing come mai l’avevo visto fare, inforcò, nello stesso momento di Michael, una chitarra, sistemandosi poi su una sedia, mentre Calum teneva stretto fra le dita un basso troppo usurato per essere suo, e Ashton sedeva su un cubo troppo strano per essere un semplice sgabello.
 
Cominciai a sgomitare tra i banchi, emettendo dei suoni che neanche un procione in calore sarebbe riuscito a fare, mangiucchiandomi le unghie nervosamente, sperando che avrebbero cominciato prima che ci avessero scoperto.
 
Sentii Martha ridacchiare alla mia destra, pronunciando poi, con tono tutt’altro che basso, “A Green! Statte ‘npo bona!” , tant’è che credo che anche fuori dall’edificio l’abbiano sentita.
Di fatti gli occhi di tutti i presenti si voltarono verso di noi e, come al solito, i miei capelli saltarono subito all’occhio, in contrasto con le guancie troppo rosse, segno dell’evidente imbarazzo.
 
 
“Signorina Flynn e l’altra, cosa ci fate qui?! Non dovreste essere alle vostre attività?! Su, andate, prima che vi porti nel mio ufficio!” tuonò più che severa Emanuela, incutendoci più terrore di un serial killer che mangia orecchie umane.
 
Ridacchiando per l’imbarazzo e per la figura di merda, ci dileguammo piano, e non mi mossi senza aver incrociato quegli occhi chiari come l’acqua, che in quel momento sembrarono tristi per gli ordini a me dati, come sa già avessero saputo che noi due eravamo lì, a spiarli giusto per volergli ancora più bene.
 
Uscimmo dall’edificio con la coda tra le gambe, però con il divertimento sul viso che era più vivido della stanchezza che le nottate e i ritrovi decisamente mattinieri ci appioppavano, come il cibo obbrobrioso della mensa.
 
 
Rimanemmo circa una mezz'oretta nel prato che si trovava appena dietro l’auditorium, proprio sulla strada per andare ai dormitori, per questo eravamo decisamente nervose quando, in preda all’astinenza, cominciammo a fumare, guardandoci bene alle spalle e buttando le sigarette ad ogni minimo rumore.
 
 
Non potevo ancora credere d’aver conosciuto persone con cui condividere il pericolo, la gioia e l’insonnia a causa di quegli occhi che non avevano stregato solo me, e, a dire il vero, non riuscivo neanche a credere che lui avesse scelto me, tra tutte le ragazze stupende che c’erano.
Neanche mi interessava alla fine d’essere in Irlanda, perché venendo dalla stessa città ci saremmo potuti vedere più o meno sempre,invece mi dispiaceva per due ragazzi del mio gruppo : Adriana e Diego, sì, erano italiani, ma venivano dai parti opposte, e loro si che si erano presi una bella sbandata.
 
Questo era il brutto, affezionarsi e poi non vedersi per molto tempo, fortunatamente io non avrei avuto questo problema, anche perché non credo sarei mai riuscita a sopportare la distanza.
 
 
 
 
 
Sentii il vociare degli altri incamminarsi verso i dormitori, così ci nascondemmo dietro un albero e, al loro passaggio, ci unimmo a loro, ma dei quattro non ce n’era traccia, per questo mi rintanai nella mia stanza scoraggiata.
 
Guardavo fuori dalla finestra, sperando che Ashton sarebbe piombato all’improvviso con un Kulana, vista la sete che mi stava uccidendo, ma ero troppo paurosa di bere dallo stesso rubinetto in cui ero costretta a lavarmi i capelli, per non diventare verde; mancavano dieci minuti al ritrovo per la serata e, come al solito, non avremmo avuto abbastanza tempo per prepararci per la Irish Night, l’ennesima stronzata che si erano inventati per non farci divertire e tenerci tutti sotto controllo.
 
Mi alzai pigramente dal letto, diretta verso l’armadio, in cerca di qualcosa di verde, nonostante io avessi la testa del medesimo colore; mi infilai la felpa di Carroll’s, con la scritta Dublin in verde acido, con le immagini dei monumenti più importanti della città.
Intrecciai i capelli in una pettinatura che assomigliava molto vagamente ad una treccia, con l’eyeliner nero che assottigliava gli occhi e il trifoglio sulla guancia che sembrava un capello fuoriposto.
 
“Flame, è ora!” gridò Silvia dal salotto, percorrendo di gran corsa il corridoio.
 
Mi sistemai gli skinny jeans neri negli anfibi, sbuffai un poco mentre mi aggiustavo la felpa e, una volta afferrata la chiave ed il telefono, mi dileguai dalla mia stanza, ritrovandomi nel cortile dove tutti erano presenti, tutti tranne quei quattro coglioni.
 
Presi a mordermi nervosa le unghie, controllando ogni tre per due il telefono, dove sorgevano solo le notifiche di Facebook che, senza WI- FI, non potevo vedere, cosa che, in un paese dove i minorenni non possono avere una rete WI-FI, era più che normale- anche se io, genio, ero riuscita a farmi ricavare la password, ma non potevo usarla fuori dalla camera, altrimenti avrebbero potuto chiedermi informazioni a riguardo, e mi sarei trovata nella merda come al solito-.
 
Giuseppe mi prese sottobraccio, camminando al mio fianco verso la parte vecchia del college, ovvero quella in cui si sarebbe svolta la serata; il ragazzo durante il percorso mi aveva chiesto più volte cosa non andasse, ma ero troppo presa a fotografare ogni cosa per rispondere.
Dopo aver attraversato una stretta strada, fummo catapultati in una sorta di dimensione parallela, dove degli antichissimi edifici gotici ricoperti d’edera s’ergevano sui verdi prati curati nel minimo dettaglio; passammo anche vicino la chiesa dove, si diceva, abitasse un fantasma, che è possibile udire cantare inni di morte nelle serate di pasqua e natale.
Toccai con mano, sentendo poi i brividi diffondersi, il muro del dormitorio per collegiali in cui, circa duecento anni fa, due ragazzi, ognuno a distanza di un giorno, si buttarono dalla finestra, schiantandosi contro il terreno, una cosa “normale” voi penserete, ma come la mettereste se vi dicessi che le indagini affermano che nelle finestre non c’erano segni di rotture e sui corpi, ritrovati come scheletri tanta la magrezza e bianchi come cenci nei capelli- nonostante i testimoni avessero detto ch’erano neri come la pece-, nessun segno di ferite ma immersi in una pozza di sangue?
Una cosa lugubre a pensarci, e ancor più spaventosa se si pensa al fatto che nella stanza, chiusa dall’interno, una macchia enorme di sangue sorgeva ogni qual volta che si tentasse di pulirla.
 
A mettermi l’anima in pace fu il fatto che la camera era chiusa e sigillata da più di un secolo e mezzo.
 
Dopo quel tenebroso palazzo, dall’affascinanti mura, passammo per una delle cose più belle che si possa immaginare : un sentiero tra un bosco di strani alberi che s’incastrano alla cima, non permettendo al sole o al cielo di trasparire oltre a quella meravigliosa coltre verde accesa.
 
Alla fine di quel magico passaggio, c’era un cimitero, cosa che agli altri spaventava un po’, ma io lo trovavo affascinante il modo in cui tenevano cura di così tanta bellezza e di come rispettavano le loro leggende e soprattutto defunti; ed eccolo là, il palazzo in cui si sarebbe svolta la serata, lo capii dalla musica celtica che rimbombava da lontano.
 
Ci contarono come fossimo le pecore che vedevamo nei vari viaggi in autobus, poi ci diedero il via libera per entrare nella grande sala, ma non ne saremmo più potuti uscire, a meno che, come una volta avevo fatto, non avessi finto un attacco di panico; una signora parlava con i nostri tutor irlandesi sul palco, mentre altri due, con la chitarra, si guardavano ridendo e suonavano quella simpatica melodia.
 
La signora si voltò verso di noi, fece un sorriso a 8579857235843 denti e cominciò a parlare in modo talmente veloce che neanche Ashton l’avrebbe potuta capire; dopo aver ripetuto con più calma le stesse parole,cominciò a saltare sul posto e a fare cose che non ebbi mai visto e che, come minimo, mai sarei riuscita a fare.
 
Di fatti ci provai e, al contrario di come la pensavo, riuscii in minima parte, per questo, quando arrivò il ballo in coppia e Giuseppe si piazzò di fronte a me mentre mi teneva la mano, mi buttai in pista non sapendo neanche di cosa si trattasse.
E mi maledii per tutte le volte che ci provai ma non ci riuscii, ottenendo per di più i piedi sia miei che del ragazzo gonfi per le pestate; era ufficiale: la danza irlandese non faceva affatto per me.
 
Fui sul punto di abbandonare il mio “cavaliere” ed andarmi a sedere con gli altri, con decisamente più dignità e pudore di me, ma qualcosa, o meglio qualcuno, mi bloccò per il polso, e non scherzavo se vi avessi detto che in quel momento, ancor prima di vederlo, le farfalle nel mio stomaco cominciarono a volare come i brividi per il mio corpo.
 
“Posso rubarti questa bellissima ragazza, per un ballo?” disse rivolgendo lo sguardo al ragazzo che subito annuì ridacchiando e ripescando Martha dalla folla.
 
Mi strattonò dolcemente verso di sé, facendomi sbattere goffamente contro il suo petto con le mani, mentre la sua risata mi riempiva più della musica; mi sorrise e da quel momento non capii più un cazzo.
 
“Ciao” pronunciò con un sorriso divertito dalle mie smorfie per capire cosa stesse succedendo.
“Ciao” ridacchiai arrossendo per l’imbarazzo.
 
Era da tempo che ci ritrovavamo così vicini, ma mai mi ero sentita completamente a mio agio sotto quello sguardo vivido e attento ad ogni mio movimento,sguardo o respiro.
Forse fu questo che mi spingeva a volerlo sempre più conoscere, a volerlo sempre più mio, o forse fu il fatto che mentre io mi maledivo in continuazione, lui mi benediva per essere sua.
 
 
Mi prese per la mano, passando lo sguardo verso la donna che continuava a ballare pensando che tutti avessero capito come cazzo mettere i piede e muovere il culo a tempo di musica celtica.
Ed in quel momento, oltre al fatto che fosse bellissimo, pensai che fosse anche un genio per il modo in cui cominciò a seguire, filo per segno, i passi della signora, mentre io rimanevo di stoccafisso al suo fianco, basita come non mai e credendo di essere davvero stupida.
 
“Io non lo faccio!” incrociai le braccia e mi fermai di botto, guardandolo ridacchiare.
“Dai! E’ una stronzata!” rise e mi tese la mano nuovamente; feci finta di prenderla, per poi dirgli un sonoro “ Ma anche no!” e scappare via, tra le persone molto più agili di me.
 
Mi assicurai che lui mi stesse correndo dietro, e, quando lo vidi prendere la corsa, cominciai a fare lo slalom tra le persone, cercando di sfuggire a quelle gambe lunghe ed atletiche molto più delle mie.
Voltai la testa e lui era dietro di me che rideva e  si faceva sempre più vicino, godeva all’idea di prendermi, tenermi tra le sue braccia e convincermi a rifare quella figura di merda che per troppe volte, almeno in quella serata, avevo ripetuto.
 
 
“Ma che caspio state facendo?!” rise a crepapelle Michael, il quale mi faceva da scudo, o meglio era costretto a farmi da scudo, per via delle mie unghie, scrostate dallo smalto nero, infilzate nella sua carne più pallida di quella di un irlandese.
 
“I coglioni, come al solito” ridacchiò Ashton dando una gomitata a Calum.
 
Feci dei versi simili ad una delle tante risate di Ash, che sapeva molto di bambina, anzi di ragazzina sovraeccitata per il concerto di Violetta, quando Mike riuscì a scollarsi me di dosso, facendomi ritrovare di fronte all’oceano che Luke portava negli occhi.
 
Mi chiusi a mo’ di armadillo,come a volermi proteggere da quel bellissimo ragazzo,ma mi sciolsi subito non appena sentii le sue braccia cingermi il bacino e poggiare la testa sulla mia spalla, intravedendo con la coda dell’occhio i suoi ciuffi biondi e quel naso perfetto.
 
Cominciò a baciarmi la guancia ed io cominciai a non sentirmi più non solo le mani,i piedi e le braccia, ma proprio me stessa : l’unica cosa che sentivo era un gran casino dentro di me, come se ci fossero state delle persone completamente diverse tra loro ma che acclamavano per tutte quelle attenzioni che finalmente mi si stavano donando.
 
 
Mi voltai e non mi sembrò vero d’averlo così vicino, d’aver così vicino la persona, c’avrei scommesso l’anima col diavolo, più bella al mondo; vedevo ogni suo minimo dettaglio, ogni segno microscopico lasciato dai brufoli che solo in un piccolissima percentuale erano presenti su quel volto d’angelo, riuscivo a vedere persino il buco occupato dal piercing al lato sinistro del labbro inferiore.
 
Mi sorrise e tutto ciò a cui stavo pensando, persino a quanto potesse essere bello, svanì nel buio in cui la mia mente cadde con il triplo nodo ai piedi e alle mani.
Il modo in cui increspava gli occhi, in cui allargava la bocca fino a mostrare la perfezione che era la sua bocca.
 Era più ufficiale del fatto che non ero pratica a ballare la danza irlandese: Luke Hemmings era la morte della mia scarsa capacità di ragionamento.
 
 
E lo vidi, proprio come sentii il cuore saltarmi in gola e battere come un martello per l’emozione, avvicinarsi sempre di più con il viso, chiudere gli occhi e tendermi più verso di lui, come a volersi assicurare che io non sarei mai andata via,nonostante io non l’avrei mai fatto, nemmeno per scherzo.
 
Avevo aspettato quel momento per tanto, anche troppo tempo, e non aspettavo altro che le sue labbra sulle mie, sentire anche di quelle ogni minima forma e venatura.
 
Ma, come al solito, qualcosa più grande di noi aveva già deciso che neanche quella sarebbe stata la giornata giusta per darci quel fottuto bacio : la sirena, fin troppo simile a quella delle prigioni- nonostante il college non sia stato da meno-, suonò scatenando un gran trambusto, nel quale scoppiammo a ridere per le troppe coincidenze che ci bloccavano in continuazione, nonostante l’unica cosa che volessimo fare era ben chiara ad entrambi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Flame a che ora ti fai la doccia?” domandò Margherita, una mia ennesima coinquilina italiana, uscendo dalla sua stanza ed affacciandosi in parte nella mia.
Le sorrisi e, con il volto stanco le pronunciai “Quando mi sveglio” ridacchiando, ottenendo la stessa reazione da parte sua.
“Sei sicura di fare in tempo?!” chiese con un sorriso dolce e stupito sul viso.
“No, ma anche se dovessi fare tardi ci sarebbero Claudia e Erika che faranno, senza dubbio, più tardi di me!” risi a squarcia gola, mangiucchiando l’ultimo biscotto della mia merenda e sorseggiando, fino in fondo, il Kulana all’arancia.
 
La ragazza ridacchiò e si diresse verso il salotto e si mise a conversare con le altre, mentre io non riuscivo a non guardare il telefono ed aspettare che lui mi scrivesse come, da quando ci siamo conosciuti, ogni sera aveva fatto.
 
Mi ripetei nella mente di smetterla con questa storia della buonanotte, dei baci e stronzate varie, se il destino non voleva c’era poco da fare, e, soprattutto, non sarebbe stata una sfigata dai capelli verdi a cambiarlo.
Mi buttai a letto, con tutti quei pensieri che Luke aveva messo in stallo ma che ora s’accalcavano tra le pareti della mia fragile e stanca mente, ma, nonostante avessi appena bevuto quel succo dal gusto decisamente discutibile, avevo questa gran sete che mi otturava la bocca.
 
Ma sete di cosa?
 
Aprii la finestra per far circolare un po’ d’aria, poi m’avviai verso la cucina, guardando tutte le altre parlottare in italiano e non capendo una beneamata ceppa, così andai direttamente verso il rubinetto, e, dopo aver bevuto, diedi la buonanotte a tutte, ritornandomene in camera.
 
Spensi la luce senza neanche guardare e chiusi la porta alle mie spalle, quando “Certo che è buio qui, eh!” disse una voce che io conoscevo bene.
 
Riaccesi subito la luce, credendo che fosse solo la mia immaginazione drogata di quel sorriso, ma sperando che fosse la realtà e che non fossi diventata matta.
 
“Che cazzo ci fai tu qui?!” parlai con circa un’ottava in più del normale, coprendomi subito l’imbarazzante pigiama, che consisteva con la maglia, che mi stava piuttosto corta, della carica dei 101 ed i pantaloni della tuta di mio fratello Jonathan.
“Che c’è, non mi vuoi?” ridacchiò sedendosi sul piano appena sotto la finestra ed incrociando le braccia al petto.
“Non ho detto questo” risposi avvicinandomi a lui, che subito aprì le gambe e m’accolse sciogliendo quella morsa in cui si era chiuso, stringendomi a sé.
 
Sorrise scansandomi i capelli dietro le orecchie, abbassai lo sguardo imbarazzata di fronte a cotanta bellezza, mentre le farfalle nel mio stomaco sembravano aver preso sette caffè a testa, senza la minima ombra della stanchezza che, fino a poco prima di vederlo, mi stava opprimendo più del desiderio.
 
Mi fece più vicina, poi prese a baciarmi il collo, lasciando dei piccoli segni sulla pelle che sfiorava le sue labbra, come fosse stato l’acido che brucia tutto, ma lui era l’acido più dolce di tutti.
Con le mani mi chiuse a lui per la schiena, assaporando con le dita la maglia usurata e con la bocca l’incavo del mio collo.
Ridacchiai quando arrivò all’incontro della mascella con il collo, e lo sentii sorridere con quel bacio con cui annunciava che nulla l’avrebbe più fermato, come il mio cuore che batteva anche più forte di quella stessa sera, di quando l’avevo incontrato.
 
Se non che Benedetta, con la sua dolcissima delicatezza, cominciò a strillare : “ Ma che cazzo! No! Flame! Flame!”.
“Che c’è?!” risposi più sgarbata che mai, staccando con violenza le labbra del biondo dal mio collo, volgendomi con un movimento secco verso la porta.
“Sono rimasta chiusa fuori dalla mia stanza!” si lamentò rumorosamente.
 
Guardai lo spettacolo che ancora mi teneva stretta e che era preso dalle convulsioni per il ridere; sorrisi vedendo il suo divertimento e cominciai a ridacchiare, prima di risponderle : “Ah si?! Bene, chiama Diletta, ora sono occupata!”.
Non volevo essere cattiva, ma non potevamo aspettare oltre, non dovevamo e,soprattutto, non volevamo.
 
 
“In che senso sei occupata?” entrò nella mia stanza con la stessa foga di un bufalo inferocito e con la delicatezza di un elefante in una cristalleria.
 
Vidi Luke fare capolino con la testa oltre le mie spalle e poi dire, mentre si alzava e si avventurava verso la porta : “Nel senso che è occupata!”, per poi chiuderla a chiave e tornare a guardarmi con l’occhio di chi ancora non credeva a ciò che aveva.
 
Camminò svelto verso di me, mi afferrò per i fianchi e mi fece sedere sulla scrivania, insinuandosi tra le mie gambe e sorridendomi come mai l’avevo visto fare, mentre le mie mani s’increspavano con i suoi ciuffi corti e biondi.
 
Stavolta non indugiò, andò dritto al sodo, stampandomi le sue labbra sulle mie, massaggiandole delicatamente e assaggiandole come si fa con un cibo che si è sempre disprezzato, ma che solo al momento in cui lo si prova per la prima volta si capisce d’amarlo.
Le nostre lingue s’incontrarono e si conobbero ufficialmente per la prima volta, nonostante già sapessero delle reciproche esistenze, vista la loro voglia nell’incontrarsi e nel avere bisogno l’une delle altre; giocarono, fecero le capriole, si strinsero tra di loro, proprio come tutto quel miscuglio di cose che provavo.
 
Si staccò dolcemente, mordendo leggermente il mio labbro inferiore, mi guardò come se non avesse creduto d’averlo fatto sul serio, d’esserci riuscito.
 
“Ah! – fu come illuminato da un’idea- Ashton mi ha dato questo!” disse tirando fuori dalla tasca dei jeans neri e stretti una Kulana alla mela.
 
Lo guardai, poi volsi lo sguardo sul cartone ridacchiando.
“Non è di quello che ho sete” parlai prendendo la scatola in mano e gettandola con non curanza sulla scrivania.
 
Le nostre labbra si riunirono, con molta più foga di prima, con molta più voglia di stare insieme, essendosi già assaporate a vicenda e amandosi già al primo impatto.
 
E ne fui certa, quello sarebbe stato il primo di una lunga lista.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FLAME’S SPACE:
okay, lo ammetto, mi sono immaginata come protagonista nonostante io sia una Mike’s girl lol.
Anyway questa è la prima OS che scrivo e spero che vi sia piaciuta :)
Tutto ciò che avete letto, tranne la conoscenza dei 5sos e di un presunto ragazzo, è successo davvero e spero che anche a voi capiti di fare un viaggio e amicizie del genere.
Spero che continuiate a seguirmi, considerato che il 29 SETTEMEBRE pubblicherò il primo capitolo de “Somewhere New”, la mia nuova ff su Calum :3
Ora mi dileguo che sto crepando di sonno!
Grazie a tuttei, alla prossima,
un bacio,
la vostra
FlameOfficial xx (che però ha realmente partecipato all’N-Factor )
 
Ecco qui alcune foto dell’Irlanda :
         Il sentiero                   

 
 
  
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