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Autore: Clockwise    12/09/2014    1 recensioni
«Sicura di non aver ucciso il gatto di nessuno, rubato qualche fidanzato, avvelenato qualcuno, fatto ritratti offensivi, non so… Sei piuttosto pericolosa quando ti ci metti.»
Mel finse di pensarci su.
«No, non negli ultimi tempi.»
«Beh, dovremmo cominciare a indagare sulle tue passate e presenti relazioni, allora, e cercare di scoprire chi è che hai mortalmente offeso.»
«Suona bene, Sherlock. Ci vediamo domattina a Baker Street?»
«Ah, no, domani mattina devo fare un salto al Bart’s, poi ho merenda con Moriarty, ma potrei essere libero per le tre.»
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buondì!
Eccoci al penultimo capitolo. Lo pubblico adesso perché potrei diventare matta a tenerlo un altro po' nel pc, non smetterei di metterci le mani sopra. Anche se probabilmente matta lo sono già.
Dopo questo inizio incoraggiante, un altro grande ringraziamento alle bellissime personcine che leggono/ricordano/seguono/preferiscono/recensiscono e vi lascio al capitolo.
Fatemi sapere che ne pensate!
Sul serio, vi prego.
Ciao!
-Clock


 

Capitolo 11
Ben
 
 
 
Sabato 27 aprile, ore 17.43
Si voltò per controllarsi anche da dietro. Raddrizzò la schiena e alzò il mento, tornando a fronteggiarsi davanti allo specchio.
«Che dici, Matisse?»
Il gatto alzò la testa dal cumulo di vestiti sul pavimento dove l’aveva sepolta e le lanciò un’occhiata indolente. Poi alzò una zampa e iniziò a lavarsi lì dove non batte il sole.
Mel scosse la testa e tornò a guardarsi.
I capelli erano sciolti, lisci, lucenti e insolitamente disciplinati. Una camicetta color glicine le fasciava gentilmente il busto abbinata ad una gonna blu scuro di Ruth; un paio di bracciali ai polsi e una collana con un gran pendente argentato; ai piedi le sue fedeli Oxford beige.
«Non sembro troppo vecchia? Ho un’aria così professionale e seria… Bah.»
Lisciò le pieghe della gonna.
«Chissà se piacerà a Ben» mormorò. Spalancò gli occhi quando si rese conto di quello che aveva detto. Intercettò l’occhiata inquisitoria di Matisse.
«Voglio dire… intendevo la mostra, ovvio.»
Lui la guardò sospettoso.
«Non guardarmi così. Non l’ho ancora perdonato, che ti credi.» Tornò a guardarsi. «A volte mi sembra che tutto sia tornato com’era prima, poi lui mi guarda come preoccupato o colpevole e io… mi fa quasi rabbia. Perché è come se non avessimo chiarito nulla, non so… Come se avessimo una questione in sospeso» sospirò, incrociando lo sguardo del gatto.
«Beh, ci penseremo un’altra volta, che dici? Stasera abbiamo una mostra da inaugurare!» sorrise al suo riflesso nello specchio, alzando i pollici.
Matisse fece l’equivalente felino di uno sbuffo e tornò alle sue occupazioni.
Ruth fece capolino dal bagno, sorridendo.
«Stai d’incanto.»
Mel sorrise felice.
«Grazie.»
Le si avvicinò da dietro, splendida in camicia viola e pantaloni neri, e l’abbracciò, guardando il loro riflesso nello specchio. Sorrisero.
«Sono davvero orgogliosa di te. Andrà alla grande.»
 
°°°
 
Ore 17.52
Un disastro. Di nuovo.
Chiuse gli occhi, cercando di mantenere il controllo.
«Non è possibile, non sta succedendo davvero, non di nuovo…» mormorò, stringendo le mani a pugno davanti agli occhi, le unghie conficcate nei palmi. Ned le mise una mano sulla spalla. Ruth era rimasta in silenzio, lo sguardo nel vuoto, mentre Bernie imprecava a mezza bocca in elfico.
«Sono davvero desolato, signorina, non ho idea di come possa essere successo, ce ne siamo appena accorti…» si scusò il Direttore della Galleria, stropicciandosi le mani.
«Quale?» chiese, riaprendo gli occhi e tornando composta.
«L’autoritratto.»
Mel gemette. Era uno dei nuovi quadri, aveva finito di dipingerlo appena una settimana prima. E adesso era sparito. Un’altra volta.
«Questa cosa è assurda… I filmati delle CCTV non mostrano niente, è possibile?» esplose Bernie.
Il Direttore scosse la testa.
«Li stiamo controllando, ma per ora non c’è niente. Probabile che sia stato rubato mentre i quadri venivano portati dentro e posizionati, c’era una gran confusione… Sono davvero desolato, farò il possibile per setacciare il magazzino e il resto della Galleria, ma stiamo quasi per inaugurare, e… La cosa migliore sarebbe far finta di nulla e cercarlo più tardi, alla fine della mostra.»
Mel annuì. Era l’unica cosa da fare. Non poteva perdere l’occasione di esporre, sarebbe potuta essere l’ultima volta che le capitava.
«Va bene.»
«Melancholia! Cosa-cos’è successo, cosa sono queste facce da funerale?»
Il signor Reeves si avvicinò al gruppetto, preoccupato. Il Direttore gli spiegò brevemente l’accaduto. L’uomo si fece paonazzo dalla rabbia, boccheggiando alla ricerca di parole abbastanza forti contro quell’idiota di un Direttore. Alla fine rinunciò, fece un paio di respiri profondi e mise una mano sulla spalla di Mel.
«Fatti forza, cara. Andrà tutto bene, vedrai.»
Lei annuì, senza credergli veramente.
Dov’era Ben quando aveva bisogno di lui?
 
 
Ore 18.12
«Signorina Tipperary!»
Mel si voltò, interrompendo la sua ricerca di Benedict nella sala.
«Ispettore McConaghan, buonasera.»
«Sono stato informato» ansimò l’uomo: evidentemente aveva corso fin lì. «Ci sono degli altri agenti in borghese che indagano, le faremo sapere appena troviamo qualcosa. E, ah, abbiamo localizzato Rottenberg, appena fuori Londra. Delle pattuglie stanno lavorando per acciuffarlo. Speriamo abbia ancora i quadri» riferì, mantenendo la voce bassa con aria cospiratoria.
«Pensa che sia stato lui anche stavolta?» chiese Mel. L’Ispettore sospirò.
«Non abbiamo ancora abbastanza materiale per fare supposizioni. Ora devo andare. Splendida mostra, comunque» disse. Le fece l’occhiolino, contraendo tutta la faccia in un’espressione assolutamente ridicola e raccapricciante e si allontanò. Mel sollevò le sopracciglia e decise di cancellare quell’immagine dalla sua memoria.
 
 
Ore 18.26
Allungò il collo per sbirciare la porta d’ingresso. Sbuffò e guardò l’orologio. Perché era così in ritardo? Era sempre puntuale come uno stramaledetto orologio svizzero, e stavolta…
No, ricordò, anche alla prima mostra era arrivato in ritardo. Erano stati solo pochi minuti, tuttavia, non quasi mezz’ora.
Oh, questa me la paghi, Ben, altro che questioni in sospeso.
Scorse la signora Cumberbatch farsi strada nella sala e sventolare una mano nella sua direzione, accompagnata da un uomo alto dai capelli bianchi che assomigliava in maniera impressionante a Ben. Mel ricambiò il saluto, ma non riuscì ad avvicinarsi alla coppia che una giornalista – la seconda – la catturò piazzandole un registratore sotto il naso, mentre il fido fotografo le sparava il flash in faccia. La signora Cumberbatch le fece gesto di continuare, avrebbe visto la mostra prima. Mel tornò ai giornalisti.
«Buonasera, siamo dello Swan Independent. Bellissima mostra, complimenti. Uno dei quadri è un ritratto dell’attore Benedict Cumberbatch, ci dica, che relazione ha con lui?»
Bella domanda, che relazione abbiamo, Ben?
«Siamo amici» rispose, forzando un sorriso. La giornalista sembrò un po’ delusa mentre annuiva e passava alla domanda seguente e Mel avrebbe voluto batterle una pacca sulla spalla, comprensiva: era delusa anche lei.
 
 
Ore 18.38
«Benedict non è ancora arrivato?» chiese Bernie, mandando giù lo champagne tutto d’un sorso. Mel scosse la testa, guardando per l’ennesima volta l’orologio, il piede che ticchettava nervoso sul pavimento. Bernie se ne accorse e lo fermò gentilmente con la punta del suo, lanciandole un’occhiata di benevolo rimprovero. Ned arrivò con due bicchieri di Coca-Cola in mano, allungandone uno a Mel. Era molto elegante, con la camicia chiara, la cravatta rossa, i pantaloni e le scarpe neri, i capelli pettinati con il gel: non sembrava Ned.
«Non capisco perché tanto ritardo…»
«L’hai chiamato?» chiese Ned, passando un braccio intorno alla vita di Bernie.
«Devo aver lasciato il cellulare a casa, non lo trovo più.»
«Vuoi provare con il mio?» si offrì Bernie. Mel scosse la testa.
«Non so il numero. E comunque non importa, si vede che avrà avuto un imprevisto…» sorseggiò la sua Coca-Cola. Impedì alla sua mente agitata di iniziare a congetturare e collegare fatti slegati – come il fatto che sia Ben che il quadro mancassero – e si guardò intorno.
«Avete visto Ruth?»
«è di là con Keane e Reeves» rispose Ned. Mel spalancò gli occhi.
«Quand’è arrivato Keane? Non l’ho visto.»
Ned alzò le spalle. Mel finì la Coca-Cola e si fece largo fra la folla verso le sale dell’esposizione, elargendo sorrisi e strette di mano e ringraziamenti. La mostra stava andando benissimo, il furto era stato passato sotto silenzio, per fortuna.
«Ed ecco l’artista!»
Mel sorrise e si lasciò accogliere dall’abbraccio del vecchio Rettore, di nuovo.
«Sta andando a meraviglia! Guarda quante persone e giornalisti… Sono davvero fiero di te, nonostante tutto» le disse, allontanandosi e sorridendole con calore. Mel ricambiò il sorriso e lo ringraziò.
«Congratulazioni, è una mostra bellissima.»
La ragazza si voltò verso l’uomo che le aveva parlato e gli strinse la mano.
«Grazie mille, professore. Mi fa piacere che sia venuto.»
«Non me la sarei persa per nulla al mondo» sorrise Gerard Keane, rigido in piedi accanto a Ruth, un calice di spumante in mano. «Sono felice che stia continuando a lavorare, migliora sempre più.»
«Grazie, professore» sorrise lei, lusingata.
«Io te l’ho sempre detto, Gerry, che era una delle nostre studentesse migliori!» disse il Rettore, entusiasta, dando una pacca sul braccio del collega. «Non serve un occhio esperto per dire che la ragazza farà strada e aggiungerà il suo nome ai libri di Storia dell’Arte, vecchio mio» puntualizzò, agitando l’indice sotto il naso dell’altro uomo, che rise, assieme a Ruth.
Mel guardò in basso e arrossì. Gli occhi di Reeves si fecero improvvisamente distanti.
«Davvero tanta strada… Un giorno creerai meraviglie, guarderai a questi quadri e ti sembreranno così semplici…» si riscosse e le sorrise. «Vado a scambiare due parole con il Direttore, vedere com’è la situazione, a dopo, cara.»
Lo salutarono e l’uomo si allontanò, barcollando un po’. Mel si chiese quando champagne avesse bevuto.
«Io… devo andare un secondo, torno subito, Mel» si scusò Ruth, allontanandosi rapidamente a sua volta. “Bagno” sillabò a Mel, con una buffa smorfia allarmata. Lei represse un sorriso, mentre il silenzio fra lei e il vecchio professore si faceva più pesante.
«Ho… Uno dei quadri, il ritratto… è molto bello, le luci sono magnifiche, e il soggetto… Non è per caso un attore? Mi sembra di averlo già visto» disse l’uomo, voltandosi verso di lei, una mano in tasca. Mel annuì. Evidentemente non sapeva nulla del furto.
«Sì, è un attore, ci siamo conosciuti qualche tempo fa e ha posato per me più di una volta a dire il vero…»
«Capisco. Non hai avuto… insomma, essendo un volto noto, chiunque potrebbe fargli un ritratto, basterebbe una foto, perché tu hai deciso di ritrarlo?» domandò, cauto. Mel sorrise, malinconica.
«Non mi interessa se sia un volto noto o meno, potrebbero fargli tutti i ritratti del mondo, ma… Non capiterà mai più che si ritrovi in quella posizione, in quel momento, con quella luce, in quello stato d’animo… ed era con me. L’ho ritratto come io lo vedo, come lo sento, e non penso che qualcun altro lo veda allo stesso modo. E potrei ritrarlo mille volte, non mi stancherei. Voglio dire, io…» trasse un respiro, arrossendo all’improvvisa realizzazione che le era balenata alla mente. Deglutì e strinse i denti. No, no, no, non doveva pensare a lui in quel modo, o l’avrebbe delusa di nuovo, lo stava già facendo…
«Capisco» mormorò l’uomo. A Mel sembrò quasi rattristato – era possibile?
«Beh, ancora complimenti. E… Buona fortuna.»
Mel aggrottò le sopracciglia, mormorando un “grazie” mentre l’uomo si allontanava. Si chiese cosa avesse voluto dire. Poi venne raggiunta da Bruce Gallagher.
 
°°°
 
«Non sono sicuro che tu debba farlo.»
«Ormai abbiamo deciso, non tornerò indietro.»
«Ma perché una cosa del genere, io…»
«Troppo tardi, spiacente. Poteva impietosirsi prima.»
 
°°°
 
Lo fissò per qualche secondo. Il ragazzo allargò le braccia, facendo una smorfia buffa stringendo le labbra e sollevando le sopracciglia.
«I miei complimenti.»
«Grazie. Ora puoi andare, la porta è di là.»
Chiuse gli occhi, scuotendo la testa.
«Mel» mormorò, nello stesso tono caldo e avvolgente di tanti anni prima, quando c’erano solo loro due. La ragazza si impose di calmarsi e chiuse gli occhi un istante. Li riaprì e incontrò quelli di Bruce, dispiaciuti e feriti. Le si avvicinò, porgendole un mazzo di fiori che dapprima non aveva notato. Li accettò con un sorriso mesto.
«Grazie.»
Seppellì il naso fra i petali, assaporando il profumo delle calle delicate. Bellezza, nel linguaggio dei fiori.
Bruce ci sapeva ancora fare, niente da dire.
«Hai già fatto un giro?» gli domandò, guardandolo e notando adesso come si fosse fatto la barba con cura, avesse pettinato i capelli e messo una camicia e delle scarpe eleganti – aveva sempre i jeans e l’orecchino, ma Bruce era Bruce.
Lui sorrise.
«No, sono appena arrivato, perdonami.»
«Posso accompagnarti io, allora?» domandò, e sentì qualcosa dentro di sé lacerarsi: aveva fatto più o meno la stessa domanda a Ben, un mese prima, ma erano cambiate tante cose e adesso lui non c’era, chissà se sarebbe arrivato, ma c’era Bruce, e lei era così confusa…
«Sarebbe un onore.»
Strinse più forte le calle in mano per non lasciarsi andare e gli fece cenno con la testa di seguirla.
Gli mostrò i quadri, sorrise ai suoi complimenti e ai suoi scherzi e pensò che, sì, forse, forse, c’era un po’ di luce per loro.
 
 
Ore 19.07
«Bernie, dov’è Ruth?» domandò Mel, raggiungendo l’amica accanto al tavolo del buffet. Ned e Bruce, poco più in là, si rimpinzavano di tramezzini, in una tacita alleanza fra uomini.
«È scappata via venti minuti fa, suo papà non sta bene» riferì Bernie.
«Cosa? Che cos’ha?»
«Oh, soffre di ipertensione da un po’, l’ha chiamata dicendole che non si sentiva bene… è corsa via. Voleva salutarti, ma era davvero troppo preoccupata, non poteva cercarti.»
«No, certo. Mi dispiace. Speriamo stia meglio.»
«Già.»
Abbassarono lo sguardo entrambe.
 
°°°
 
Benedict scese dall’auto e si incamminò lungo il vialetto costeggiato di erba alta, socchiudendo gli occhi nel tentativo di capire nell’oscurità crescente se stesse andando nel posto giusto. Una costruzione vecchia e piuttosto malridotta, almeno all’esterno, si parò davanti ai suoi occhi. Un paio di finestre al pianterreno erano illuminate, ma non c’era un suono. Continuò ad avanzare, titubante. Tirò fuori il cellulare, ma non c’era segnale. Lo rimise a posto e bussò alla porta d’ingresso, che cedette sotto il suo tocco e si spalancò. Entrò, guardandosi intorno. Non c’era nessuno.
Si affacciò ad una stanza sulla destra, le pareti turchese scuro, pochi mobili di legno, una luce soffusa da diverse lampade sparpagliate in giro e un ritratto di Mel appoggiato al divano.
«C’è nessuno?»
«Ciao, Benedict.»
L’uomo si voltò di scatto. La ragazza gli sorrise dal corridoio, dietro di lui.
«Oh, ciao. Non ti avevo vista.»
 
°°°
 
«Signorina Tipperary!»
Mel e Bernie si voltarono verso l’Ispettore McConaghan che arrivava correndo verso di loro, seguito a ruota da Keane e Reeves. Ned e Bruce si alzarono e raggiunsero le due ragazze, con fare protettivo.
«Abbiamo trovato il quadro rubato.»
 
°°°
 
«Vieni, entra» gli disse, precedendolo nella stanza.
«Grazie» mormorò Benedict, facendo un passo avanti. «Non c’è nessuno? Pensavo di essere arrivato in ritardo» disse, confuso.
«Non sono ancora arrivati» rispose la ragazza, la testa bassa mentre trafficava con il telefonino. Poi sollevò la testa.
«Posso offrirti qualcosa, nel frattempo?» disse sorridendogli, la voce flautata. Benedict aggrottò le sopracciglia: non si era mai comportata così con lui.
«Non mi sembra un posto pronto per una festa. E perché non c’è nessuno? Cosa sta succedendo?»
«Oh, arriveranno presto, non preoccuparti. E allora sì che ci divertiremo.»
 
°°°
 
«Dov’è?» disse Mel, un improvviso flusso di adrenalina in corpo.
«227 Ebbisham Lane, Tadworth» ansimò McConaghan. «Abbiamo appena ricevuto una segnalazione dalla signorina Ruth Almond, ha inviato un messaggio al professore» spiegò, mentre Keane mostrava lo schermo del cellulare con il messaggio di Ruth.
«C’è il ladro?» chiese Mel, senza guardare il telefono. L’Ispettore deglutì.
«Sì.»
 
°°°
 
Corrugò le sopracciglia.
«Cosa sta succedendo?»
«Oh, perché tutto questo sospetto? Non sta succedendo nulla» sorrise lei, piegando la testa di lato. Lo sguardo di Benedict cadde sul quadro. Si adombrò.
«Quello è… è di Mel. Lei dipinge così, lo riconosco, è suo!» esclamò, indicandolo, un’agitazione crescente nel suo stomaco.
La ragazza annuì sorridendo serafica.
«Ci hai messo un po’. Sì, è suo. È qui, invece di essere alla mostra che è iniziata un’ora fa.»
«Di che cosa stai parlando? Tu mi hai chiamato e mi hai detto di questa festa, e venire più tardi perché la mostra sarebbe stata rimandata e…»
«Già, già. Perché non ti siedi? Voglio raccontarti una storia.»
 
°°°
 
Mel annuì perché continuasse, senza tuttavia osare formulare la domanda ad alta voce. E mentre l’Ispettore pronunciava il nome, quel maledettissimo, adorato, nome, poteva quasi sentire il suo cuore venirle strappato via ad ogni sillaba.
«È Benedict Cumberbatch.»
 
°°°
 
Ore 19.32
«E mi hai incastrato. Mi hai portato qui, con il quadro, per far credere che l’abbia rubato io» mormorò Benedict. Si sentiva svuotato, come se la storia che le aveva appena raccontato lo avesse fisicamente sfiancato.
«Esatto. Ho anche detto io a Mel di chiederti di darci una mano ieri pomeriggio, quando abbiamo portato dentro i quadri, così saresti apparso nei filmati delle telecamere. Sono stata attenta a fare in modo che solo tu toccassi il quadro, poi l’ho trafugato e l’ho portato qui, ti ho chiamato oggi pomeriggio, mi sono inventata che la mostra avesse dubito un improvviso ritardo e mi sono inventata questa storia della festa a sorpresa prima della mostra qui, ho preso il cellulare di Mel così che non poteste parlare. E adesso ho appena inviato un messaggio alla polizia, dicendo che ho trovato il ladro ed è proprio qui con me.»
«E hai un alibi di ferro, scommetto.»
Lei sollevò le sopracciglia in un’espressione pietosa.
«Il mio povero papà soffre di ipertensione, abita proprio nella casa qui accanto, da dove ti ho visto mentre portavi dentro il quadro. Lui può testimoniare che sono stata a casa fino a pochi minuti fa, il che è vero. È un ex-giudice, daranno ascolto alla sua testimonianza.»
Benedict rimase in silenzio, tentando di riportare i battiti del cuore ad un livello normale.
«Perché hai fatto tutto questo? Continuo a non capire.»
«Non mi stupisce, non hai mai capito molto» sospirò, meditabonda. Si lasciò cadere di traverso su una poltrona, le gambe oltre il bracciolo e la testa reclinata all'indietro sull'altro bracciolo. I lunghi ricci scuri catturarono gli occhi di Benedict, mentre lei parlava – non riusciva a guardarla in viso. 
«Andiamo con ordine. Prima di tutto, non ho parte nel furto dei quadri alla prima mostra, ma non ti dirò il nome del ladro, non voglio rischiare. Comunque sappi che l’ho beccato mentre cospirava prima della mostra con un mio vecchio… conoscente, che era suo complice. Ho promesso di non dire nulla. In realtà mi hanno minacciata, non è che avessi molta scelta. Ma poi ti ho incontrato, da Mel, e tu non ti ricordavi di me. Non ti ricordavi affatto. Ma io sì, non ti avevo dimenticato. Sapevo che conoscessi Mel, me l’aveva detto, ma rivederti mi ha fatto uno strano effetto. E poi, quel giorno ad Hammersmith, non ha fatto che peggiorare le cose. Tu eri con lei e la trattavi come una dama e non ti ricordavi di me.
Ho chiamato il mio amico e gli ho venduto il mio silenzio in cambio del suo aiuto. L'idea di portare il quadro qui e tutto il resto, così come Belgravia, è mia.»
«Ma perché? Siete amiche.»
«Lo so. Ma chi è che soffrirà, alla fine? Lei riavrà il suo quadro, anche se purtroppo non posso fare nulla per gli altri tre, saprà che tu sei coinvolto, ti odierà per sempre; tu la perderai, innocente. Potresti anche guadagnarci un bello scandalo, se non trovassi avvocati abbastanza bravi. Chi soffre?»
«Io» mormorò Ben. Ruth sorrise, felina.
«Tu» miagolò compiaciuta.
«Ma anche Mel.»
«Lei si dimenticherà di te, promesso: me ne assicurerò personalmente. Farai la fine di Bruce. Benedict, Bruce, quante B. Curioso. In fondo, voglio solo proteggerla.»
«Mi dispiace per quello che è successo, ma tutto questo è sbagliato…» mormorò Benedict, iniziando ad essere spaventato.
«Oh, e chi l’ha deciso, Mr Cumberbatch? È così sottile il confine fra giusto e sbagliato, e la vendetta sta proprio in mezzo.»
Sorrise e gli strizzò l'occhio. Ben rabbrividì.
 
°°°
 
Martin si guardò intorno nella sala d’ingresso affollata, allungando il collo per cercare Mel, o Ben, senza risultato. Si strinse nelle spalle e si avviò verso la mostra, rammaricandosi che Amanda non fosse venuta con lui, le sarebbe piaciuta. Chissà perché c’era tutta quella gente, stando al messaggio di Benedict la mostra era appena iniziata, erano le sette e mezza…
Si era soffermato davanti ad un dipinto con una coppia di giovani abbracciati, quando gli capitò di sentire il nome di Benedict. Si voltò per trovare una coppia, una bionda e un rosso – i ragazzi nel dipinto, a guardarli bene, gli amici di Mel di cui gli sfuggiva il nome – che parlavano concitati poco dietro di lui.
«Io non posso crederci, non può essere stato lui! Voglio dire, è Benedict Cumberbatch
«Ssh, abbassa la voce» sibilò la ragazza, guardandosi intorno. Martin si affrettò a voltarsi di nuovo, confidando nella barba e negli occhiali alla Elton John per non farsi riconoscere.
«Lo so, non riesco a capire nemmeno io. Spero sia un equivoco… Non posso credere che abbia davvero rubato i quadri, è assurdo…»
Martin si voltò di scatto, ma li aveva persi fra la folla e non riuscì più a ritrovarli.
 
°°°
 
All’improvviso, la stasi irreale che si era creata venne infranta dall’ululato delle sirene della polizia e da luci abbaglianti che si riversarono nella stanza dalle finestre.
«The game is over» mormorò Ruth, alzandosi con calma. Si avvicinò a lui e gli posò un bacio su uno zigomo, delicato come una carezza. Poi uscì, si fermò appena un attimo dietro la porta per chiudere gli occhi e tornare a controllare il battito del cuore, quindi corse fuori mostrandosi spaventata, piangendo, gesticolando e parlando concitata. Le misero una coperta sulle spalle e le porsero un tè.
McConaghan entrò nella stanza, la pistola in mano.
«Temo di doverla arrestare, signor Cumberbatch. È in un bel guaio.»
Benedict sollevò lo sguardo su di lui, inerme. Si lasciò ammanettare, perquisire e scortare fuori. Si sentiva esausto, privo di forze. Grazie al cielo non c’erano fotografi, solo qualche vicino curioso.
Chiese all’Ispettore se fosse possibile non sollevare troppa polvere. Lui si strinse nelle spalle.
«Faremo il possibile, ma lo verranno a sapere prima o poi» disse, prima di spingerlo dentro l’auto.
«Mel non c’è?» chiese Ben, una volta che l’Ispettore ed un altro agente furono saliti.
«È rimasta alla mostra, per salvare il salvabile. Nessuno sapeva del furto di stasera. Suppongo verrà in centrale più tardi» rispose lui, mettendo in moto. Ben osservò Ruth rimpicciolire davanti alla casa, la sua macchina scorrergli davanti mentre degli agenti la ispezionavano.
Silenzio, dentro di sé. 









 
  
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