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Autore: Ray    09/08/2003    0 recensioni
Un crossover tra Evangelion e Warhammer 40.000 (ma scritto in modo da essere comprensibile anche per chi non conosce quest'ultima ambientazione). Su di un pianeta ai confini della Galassia cade un artefatto di un'epoca remota. Ma qual è la sua natura? E chi sono i misteriosi individui che se ne vogliono impossessare? Mentre infuria la guerra, emergono echi di un remoto passato e la condanna della vecchia umanità potrebbe diventare la speranza della nuova. O forse è solo un diabolico scherzo degli Dei del Caos....
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Neon Genesis Evangelion è di proprietà dello Studio Gainax.

Warhammer 40,000 è di proprietà della Games Workshop Ltd.

Le due ambientazioni vengono usate per puro sollazzo personale, senza fini di lucro.

Questa fanfiction è di mia proprietà; chiunque voglia pubblicarla mi contatti prima (ilray@hotmail.com).

Avvertenza: questa fanfiction contiene spoiler; se non avete visto The End of Evangelion, leggerla potrebbe togliervi parte della sorpresa.

 

Ray's

Psyker

Chapter ??: Psycho Impact

 

??.01

 

‘Essere immondo

Tale è il marchio del mutante

Essere impuro

Tale è il marchio del mutante

Essere aborrito

Tale è il marchio del mutante

Essere ingiuriato

Tale è il marchio del mutante

Essere cacciato

Tale è il marchio del mutante

Essere epurato

Tale è il marchio del mutante

Essere sterminato

Perché tale è il fato di tutti i mutanti’

Estratto del Cantico d’Addestramento, dal Primo Libro degli Addottrinamenti

 

Episodio 27: L’alba del mondo

 

ANNO 2016

Shinji non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando si era risvegliato. Ricordava molto poco, come se tutto quello che aveva vissuto da allora fosse stato un sogno. Ricordava di essersi ritrovato improvvisamente su di una spiaggia, probabilmente nei pressi di Neo Tokyo 3. Ricordava di avere visto Ayanami, ma non ne era sicuro: cominciava a convincersi di avere avuto un’allucinazione. Ricordava di essersi accorto che Asuka, con indosso il plug suit ma con le braccia e la testa pesantemente bendate, era distesa vicino a lui. Ricordava un vago senso di frustrazione per quello che era successo: aveva avuto la soluzione a tutti i suoi problemi a portata di mano e aveva deciso di buttarla via. Al momento, gli era sembrata una buona idea, ma adesso cominciava a dubitarne. Ricordava che la presenza di Asuka, l’ultimo incontro con la quale era stato decisamente burrascoso, non lo aveva affatto tranquillizzato, anzi. Lei si era rifiutata di aiutarlo, lo aveva umiliato, nonostante lui avesse cercato di esserle amico. Era quasi infuriato con se stesso per essere stato tanto preoccupato della sua salute da andarla a trovare in ospedale. E provava una profonda vergogna per quello che aveva fatto in quella stanza asettica e silenziosa. E provava quella totale sensazione di impotenza che lo aveva assalito quando, uscito con lo 01, aveva visto lo 02 smembrato dagli Eva bianchi, una sensazione aggravata dalla consapevolezza che il combattimento si sarebbe potuto svolgere diversamente, se lui avesse avuto la decisione di intervenire prima, anziché tentennare come aveva fatto. Asuka! Di tutte le persone del mondo, lei era proprio l’ultima con la quale si sarebbe voluto trovare in quel momento, l’unica che potesse indurlo a odiarsi più di quanto già non facesse lui. Ricordava di essere stato soverchiato da questo senso di totale disagio al punto che aveva cercato di strangolarla. Aveva avuto a portata di mano la felicità. La fusione nel mare di LCL che gli aveva proposto Ayanami, o quel mostro bianco, o chi diavolo era, avrebbe potuto eliminare alla radice qualsiasi problema di relazionarsi con gli altri. Non sarebbe più stato solo, ma, al tempo stesso, non sarebbe stato necessario che lui facesse qualcosa per essere accettato. E invece, proprio lui, aveva deciso che tutto dovesse tornare come prima. Perché? In quel momento, quella domanda lo aveva colpito con forza tale da togliergli qualsiasi capacità di connettere.

 

Shinji: "No. È questo il mondo che ho sognato? No"

Rei: "Se vuoi che le persone ritornino, sarete separati da un muro nei vostri animi. Ti spaventeranno nuovamente"

Shinji: "Va bene. Grazie"

 

Kaworu: "Ti sta bene che l’AT-field torni a ferire gli altri?"

Shinji: "Mi sta bene. Ma come è possibile che voi due esistiate nella mia mente?"

Rei: "Noi siamo la speranza. La speranza che le persone possano capirsi l’una con l’altra…"

Kaworu: "…con le parole ‘ci vogliamo bene’"

Shinji: "È un’idea egoistica, come una preghiera. Non durerà in eterno… prima o poi, le persone mi inganneranno… si dimenticheranno di me… ma volevo rivederle. Ciò che provavo allora era reale"

 

Yui: "Se si ha la volontà di vivere, il paradiso può essere ovunque, perché siamo vivi. La possibilità di essere felici è ovunque. Finché esistono il sole, la luna e la Terra, andrà tutto bene. Adesso va tutto bene"

Shinji: "Non so ancora dove sia la felicità. Resterò qui e continuerò a pensare al mio passato, sin dalla nascita. Ma so che quello che sto facendo non è privo di significato. Nell’interesse di quello che sono, io sono io. Però, madre… madre, cose devo fare?"

 

Fuyutsuki: "Le persone hanno creato l’Eva per rimpiazzare Dio. È la vera ragione per cui l’Eva è stato creato, no?"

Yui: "Sì, gli esseri umani sono solo mortali… ma l’Eva può vivere per sempre con l’anima che ha dentro. Per ipotesi, anche tra cinque miliardi di anni, quando la Terra, la luna e il sole saranno scomparsi, l’Eva potrà sopravvivere. Vivere senza nessuno può essere causa di grande solitudine, ma se riuscirà a sopravvivere…"

Fuyutsuki: "Il ricordo dell’esistenza dell’umanità sarà registrato per sempre"

Shinji: "Addio, madre".

 

Quelle immagini, confusi ricordi di esperienze che non era nemmeno riuscito a capire interamente, gli si erano affollate in testa, mentre aveva avvolto le proprie dita attorno al collo di Asuka e aveva cominciato a stringere. Ripensando a quel momento, Shinji riusciva a rammentare solo la rabbia che lo aveva dominato completamente, la furia che lo aveva indotto a desiderare di uccidere qualcuno per la prima volta in vita sua. Poi, ricordava il ritorno alla realtà. La mano di Asuka che lo accarezzava dolcemente. E lui che smetteva di stringere. Perché si rendeva conto che quello che gli avevano detto Ayanami e Kaworu era vero. La sua scelta non era stata inutile. C’era sempre la possibilità che le persone si capissero, pur continuando a ferirsi e ingannarsi a vicenda. Ricordava di essersi chinato a piangere addosso ad Asuka per un po’; poi, lei aveva detto qualcosa del tipo "Mi sento male….", al che, lui era tornato a stendersi sulla sabbia, con le braccia aperte e il respiro ancora rotto dal pianto. Sopra di lui, il cielo stellato; nel cielo, la luna, ancora circondata dal macabro anello che era il sangue di… Ayanami? Il mostro gigante? Ma non erano la stessa cosa? Adesso, però, aveva smesso di piangere. Non riusciva a fare a meno di pensare a tutto quello che era successo, ma capiva che c’erano problemi più urgenti. Si concesse un debole sorriso: questo non era da lui. Deprimersi e lasciarsi abbattere dalle difficoltà era da lui, o almeno questo era quanto pensava di se stesso. Sospirò, mettendosi a sedere. ‘Sono cambiato?’ pensò. ‘Sono la stessa persona che ero prima? In ogni caso, sono sempre io’. Si girò verso Asuka. Vide il che il suo occhio sano era aperto, fisso sul cielo. E lei era totalmente silenziosa. "Come stai?" le chiese. "Una meraviglia", replicò lei sarcastica, senza nemmeno spostare lo sguardo su di lui. "Un Angelo si è infiltrato nella mia mente, il mio tasso di sincronia con lo 02 si è azzerato, mi sono ridotta sull’orlo del coma, mi sono svegliata e ho riacquistato la sincronia con l’Eva solo per trovarmi nel bel mezzo dell’attacco di un esercito e sono stata massacrata da un branco di Evangelion che mi passavano l’AT-field come se fosse stato una porta girevole. Non vedo come ci si possa sentire meglio". Shinji pensò che, tutto sommato, Asuka non dovesse stare poi così male. "Riesci a rialzarti?" le domandò mettendosi in piedi e porgendole una mano. La ragazza sbuffò spazientita: "Hai notato in che stato sono le mie braccia? Come credi che possa prenderti la mano?". "Scusa", disse lui chinandosi verso di lei e cercando di aiutarla cingendole le spalle con un braccio. In un modo o nell’altro, riuscirono a mettersi in piedi. Shinji si era sistemato attorno al collo il braccio destro di Asuka, quello ridotto meno peggio; aveva cinto la vita di lei con il suo sinistro e la stava aiutando a reggersi in piedi. Tentarono di muovere qualche passo, ma lei fu sul punto di cadere subito. "Asuka!" esclamò Shinji "Cosa ti succede?". "Le gambe" rispose la ragazza "Me le sento come intorpidite… Come se fossero state messe sotto un peso per ore e non ci scorresse più il sangue". Shinji non faceva fatica a crederci: le gambe di Asuka stavano tremando violentemente. "Devono essere i postumi del combattimento" disse lei "Lo 02 era stato completamente smembrato e io ero ancora connessa…". Shinji deglutì. Che avrebbe fatto ora?

In un modo o nell’altro, riuscirono a lasciare la spiaggia. Dovevano trovarsi nelle immediate vicinanze di Neo Tokyo 3: si vedevano ancora i palazzi in lontananza, cupe sagome contro il cielo stellato. Non c’erano luci a illuminarli e Shinji non ne fu sorpreso più di tanto: dopo che tutti gli esseri umani del mondo si erano sciolti nel mare di LCL, non doveva esserci molta gente in giro. O meglio, qualcuno doveva esserci per forza di cose, visto che lui aveva desiderato di invertire il processo. Mentre stava parlando con Ayanami, ricordava di avere visto numerose sagome umane riprendere forma attorno a lui. Ma chissà dove erano finite quelle persone… Chissà se era stata la realtà, o solo la sua immaginazione…

Era quasi l’alba quando raggiunsero la città. O almeno a quello che ne rimaneva. Ben pochi palazzi erano rimasti in piedi: prima l’esplosione dello 00, poi la bomba N^2 sganciata sul Geo Front; quella che era stata Neo Tokyo 3 era ormai un cumulo di rovine. E anche ciò che restava sembrava essere stato spazzato da un uragano. Qualcosa aveva abbattuto i lampioni e rovesciato le automobili, aveva infranto i vetri e scardinato le porte. Doveva essere stato il mare di LCL. Già, non c’era altra spiegazione: l’azione del mostro bianco con cui era fusa Ayanami aveva coinvolto tutto il mondo. Tutti gli esseri viventi erano tornati allo stato originario quasi contemporaneamente, investendo gli edifici con milioni di litri di LCL, travolgendo ogni cosa e invadendo tutto il pianeta.

Shinji lanciò un’occhiata ad Asuka: non aveva quasi parlato per tutto il viaggio, ma si vedeva che era sfinita. Avevano fatto qualche sosta per permetterle di riposarsi e avevano anche dormito un po’, ma camminare in quelle condizioni doveva essere uno sforzo enorme per lei. "Senti, Asuka…" cominciò lui, aspettando che la ragazza dicesse qualcosa che lo esortasse a continuare. Qual qualcosa fu semplicemente un’occhiata interrogativa. Shinji giudicò che fosse sufficiente e riprese: "Stavo pensando… è un problema se ti lascio qui per un po’?". "Per fare cosa?" domandò lei indicandogli il terreno con il braccio sinistro. Shinji si abbassò lentamente e la poggiò delicatamente a terra: "Volevo dare un’occhiata in giro. Se riuscissi a trovare un appartamento aperto, potrei adagiarti su di un letto e magari ci sarebbe anche qualcosa da mangiare, visto che mi sta venendo fame". Asuka sospirò: "Non penso ci sia molta possibilità di scelta. Non ho intenzione di morire di fame"

"Va bene… Allora provo a dare un’occhiata in giro. Torno subito"

"Al diavolo!". Le parole di Asuka erano quasi un sibilo.

"Cosa?"

"Non dicevo a te. Sono solo irritata perché…."

"Perché?"
"Perché sono solo di peso, maledizione! Guarda come sono ridotta! Adesso devo anche lasciare che tu ti prenda cura di me!"

Se fosse stato lo Shinji di qualche tempo prima, avrebbe mentito. Le avrebbe detto che non era di peso e che non si doveva preoccupare, che lui non l’avrebbe mai lasciata sola in quelle condizioni. Invece, capì che questo non avrebbe fatto altro che irritarla ulteriormente e si limitò a un: "Come va con le gambe? Ti senti meglio?"

"Un po’. Ma faccio ancora fatica a muoverle. Adesso smettila di perdere tempo e vai a cercare qualcosa da mangiare, che sto morendo di fame"

"Va bene. Torno subito". Si girò e fece per incamminarsi verso l’edificio più vicino, un grattacielo che un tempo doveva essere stato uno splendente monumento al progresso, una torre i cemento, vetro e acciaio. Ora era solo uno scheletro sul punto di crollare, un pilastro infranto dalla follia umana.

"Ehi, Shinji!"

"Sì?"

"Prima di andare… aprimi il plug suit. Senza togliermelo, aprilo e basta. Io da sola non ci riesco"

Lui la guardò perplesso: "Perché?"

Asuka sospirò: "Motivi personali"

"Come sarebbe a dire?"

"Sono ore che la tengo e vorrei farla mentre non ci sono pervertiti nei dintorni! Mentre tu non ci sei, in altre parole! Afferrato?"

 

Episode 27: Crawling Chaos

 

ANNO 992M41

La stanza era buia. Dire quanto fosse grande esattamente era praticamente impossibile: sembrava un’infinita prigione di oscurità, un ricettacolo per i pensieri che non vengono espressi, un punto di ritrovo per ciò che esiste ma non può essere visto. Eppure, anche parlare di quel posto in termini simili non sarebbe stato appropriato. Perché quella sala non si limitava a racchiudere ciò che non si poteva vedere, ma piuttosto ciò che non doveva esistere. I frequentatori di quella stanza, per l’universo, non esistevano. E l’universo era immenso: più di trentacinque millenni dopo l’inizio della corsa allo spazio, gli esseri umani avevano instaurato un vasto dominio galattico, l’Imperium dell’Umanità. Un milione di mondi, miliardi di vite, tutte sull’orlo dell’estinzione.

Una voce ruppe il silenzio, dando vita all’oscurità: "Possibile che sia proprio quello che pensiamo?". Era una voce alterata e distorta elettronicamente; non sarebbe stato possibile riconoscere la persona dietro di essa. E un’altra voce, alterata a propria volta al punto di non essere praticamente distinguibile dalla prima, rispose: "Abbiamo motivi per supporre di sì. Ovviamente, non sarà possibile dare una risposta definitiva prima del recupero". Un’altra voce cominciò a parlare. Ma, in realtà, forse era semplicemente la prima che riprendeva nuovamente la parola: "Le operazioni dovranno essere condotte nella massima discrezione. Se abbiamo davvero ritrovato ciò che pensiamo, non possiamo permetterci di perderlo, né tantomeno possiamo lasciare che qualcuno venga a conoscenza della sua vera natura". Una quarta voce si aggiunse alla conversazione. O forse era una di quelle che avevano già parlato: "Se davvero tornerà in nostro possesso, potremmo avere risolto buona parte dei nostri problemi. Nonostante le informazioni sul suo conto siano frammentarie e imprecise, se dovessero rivelarsi almeno parzialmente esatte, il nostro obiettivo potrebbe essere più vicino di quanto pensiamo". "Nostri agenti sono già sul posto" replicò una nuova (o vecchia) voce. Poi, nella sala calò un silenzio sepolcrale; le voci che avevano parlato, ammesso che fossero appartenute a persone differenti, tacquero completamente. Era stata una conversazione o un monologo? Nessuno avrebbe saputo dirlo. L’unica cosa certa era il bizzarro simbolo olografico che, quasi a salutare il termine di quella riunione (o riflessione personale), comparve nel centro della sala (ammesso che fosse possibile distinguervi un centro): un triangolo isoscele, con il vertice formato dai due lati più lunghi rivolto verso l’alto; al suo centro, un occhio.

 

La maggior parte delle persone lo chiamava Warp, o Spazio Distorto. Qualcuno preferiva usare nomi come "Empireo" o "Immaterium", ma il concetto non cambiava: il Warp restava il Warp. Non si sapeva esattamente quando fosse stata scoperta la sua esistenza: con tutta probabilità, fu proprio questo a dare il via alla corsa alle stelle. Il Warp era una sorta di versione alternativa dello spazio reale, un universo parallelo, governato da maree di pura energia e da inspiegabili fenomeni che accorciavano il tempo. Le astronavi dotate di appositi dispositivi potevano entrare nel Warp e raggiungere nel giro di pochi mesi pianeti lontani centinaia di migliaia di anni luce. Compiere il cosiddetto Warp jump, però, non era un’operazione priva di rischi: le non spiegate e non spiegabili correnti che vessavano l’Immaterium erano insidiose e traditrici: nel corso dei diecimila anni di esistenza dell’Imperium, intere flotte erano andate disperse in un universo di follia e illogicità. Senza contare che alcuni sussurravano dell’esistenza di creature completamente non umane che abitavano lo Spazio Distorto, esseri composti di pura energia che anelavano risucchiare l’anima dei mortali. Eppure, con tutti i suoi rischi, il Warp restava comunque un sistema per viaggiare ampiamente utilizzato per coprire le enormi distanze per le quali l’Imperium si estendeva.

Ed era proprio per questo che la flotta dei Novamarine stava attraversando l’Empireo: era l’unico modo per raggiungere la zona di guerra nella quale si stava dirigendo. I Novamarine erano Space Marine, un tipo di essere umano che qualcuno stentava a definire tale. Alti mediamente tra i 210 e i 240 centimetri, gli Space Marine erano la forza d’assalto d’elite dell’Imperium. Divisi in diverse formazioni indipendenti, chiamate Capitoli, ciascuna delle quali contava circa un migliaio di effettivi (ma esistevano diverse eccezioni), gli Space Marine venivano arruolati da bambini (le nuove reclute non potevano avere più di dieci anni) e, nel corso dello sviluppo, erano sottoposti a una serie di operazioni chirurgiche volte a impiantare loro organi supplementari e a un condizionamento mentale che li portava a porre la propria missione e la fedeltà al Capitolo al di sopra di qualsiasi altra cosa. A tutto questo si aggiungevano trattamenti per lo sviluppo innaturale delle ossa e dei muscoli e connessioni cerebrali o vertebrali che permettevano al soldato di collegarsi con la maggior parte del proprio equipaggiamento e controllarlo come se fosse stato parte del proprio corpo. Armati ed equipaggiati agli standard più elevati, i Capitoli degli Space Marine, o Adeptus Astartes, come erano collettivamente noti, erano ordini monastico-militari composti di guerrieri fanatici e sovrumani.

I Novamarine erano uno dei Capitoli più antichi: la loro storia risaliva quasi alla fondazione dell’Imperium e il loro gene seed, il modello genetico che definiva i tratti di ciascuna singola formazione di Marine, era tra i più stabili. Il Capitolo era stato schierato quasi al completo su di un pianeta lontano da quello su cui aveva la propria base, per aiutare le forze locali a respingere un’invasione dei bestiali alieni divoratori noti come Tiranidi; di ritorno da una campagna durata decenni, aveva ricevuto una richiesta d’aiuto da parte di un mondo chiamato Novet, dove il reggimento locale della Guardia Imperiale, l’armata regolare dell’Imperium, che costituiva il grosso delle sue truppe, era in seria difficoltà contro dei nemici che solo dei Marine avrebbero potuto affrontare.

Bansegoth, il Maestro del Capitolo, sedeva silenzioso nella sala comandi dell’astronave ammiraglia della flotta. Indossava la Power armour, l’armatura d’ordinanza degli Space Marine, una corazza completamente sigillata, dalle grosse spalliere bombate e con il simbolo imperiale, un’aquila a due teste stilizzata, in rilievo sul petto. Il trono del Maestro era stato pensato in modo che vi si potesse sedere con l’armatura addosso, senza essere intralciato dal grosso zaino della corazza, praticamente un sistema di supporto per la Power armour stessa, una struttura compatta ma con un’appendice sferica che spuntava su ciascun lato. Il casco di Bansegoth era stato modellato affinché avesse la forma di u teschio ringhiante, il che non era strano: il motivo del teschio era ricorrente nell’araldica dei Novamarine. Lo stesso simbolo del Capitolo era un teschio, un teschio bianco circondato da una corona dentata. E il peculiare schema di colore applicato alle armature e ai mezzi rendeva i Novamarine immediatamente identificabili sul campo di battaglia. La parte sinistra delle loro armature era viola cupo, mentre la destra era di un bianco osseo; più in basso della cintura e sullo zaino, i colori erano invertiti. Bansegoth si alzò dal trono, picchiando a terra la lama azzurrina della sua enorme spada. Davanti a lui, le decine di persone che sciamavano per la sala comandi, nessuna delle quali era un Marine, si bloccarono e si girarono verso il loro signore. "Quanto manca all’arrivo?" domandò il Maestro del capitolo, la sua voce che sembrava venire dalle profondità di un sepolcro. Uno degli uomini, un individuo calvo, sui cui abiti neri spiccava il simbolo del Capitolo, si fece avanti. Chinò rispettosamente il capo, sul quale si intrecciavano fili e cavi connessi con la carne e con le ossa, e rispose: "Ormai è questione di giorni, signore. Stiamo per terminare il Warp jump e saremo sul posto al massimo entro la prossima settimana". Bansegoth annuì e si rimise a sedere. Come se nulla fosse successo, il viavai per il ponte di comando riprese, febbrile quanto prima. Un settimana… A Bansegoth questo tempo sembrava un’eternità. Aveva raggiunto il comando sul Capitolo solo da poco tempo, una cinquantina d’anni. Un’inezia, confrontati con la speranza di vita media di un Marine, che era di trecento anni circa. Forse proprio per questo, era fin troppo desideroso di combattere. Soprattutto quando l’avversario era così interessante. Perché i Novamarine stavano viaggiando per scontrarsi contro altri Marine.

 

"Non guardare il mutante, non ascoltare il mutante, non parlare al mutante!" gridò l’uomo dall’alto del pulpito, mentre, sotto di lui, le persone che affollavano la cattedrale ascoltavano in ginocchio, stringendo tra le mani rosari e libri di salmi. Il sacerdote, che si stava producendo in uno dei più tipici sermoni del Culto Imperiale, non faceva che ripetere passi di qualcuno dei Libri dell’Addottrinamento: certe cose avevano sempre presa sulle masse adoranti, soprattutto quando il momento era difficile. Dopo una breve pausa, il religioso ricominciò: "L’orrore che si è abbattuto su questo pianeta non è che una diretta conseguenza dei peccati di cui ci siamo macchiati! Per questo, io vi dico: guardatevi dal vostro fratello! Non potete fidarvi di chi vi sta vicino, perché potrebbe nascondere in sé il cancro della mutazione e dell’eresia! Non fidatevi nemmeno di voi stessi, perché siete solo miseri esseri umani destinati a peccare, la cui esistenza sarebbe completamente inutile senza quella del Benevolo Imperatore. L’eresia striscia tra di noi e dobbiamo sradicarla con forza, o altre disgrazie ci colpiranno!". Una serie di considerazioni che ben riassumevano il credo imperiale. Da ormai diecimila anni, in seguito a un non meglio identificato incidente, l’Imperatore, l’uomo che aveva fondato l’Imperium, giaceva sepolto nel Trono d’Oro, un sofisticato macchinario di supporto vitale che manteneva ancora nel mondo dei vivi la sua carcassa, un’ostinata carogna che rifiutava di morire con tutta la possanza psichica che la sua mente consentiva. Da vivo, l’Imperatore era stato il salvatore dell’umanità: l’aveva trascinata fuori dalle guerre e dai disordini su scala galattica che erano seguiti alla fine dell’Era Oscura della Tecnologia e aveva intrapreso la Grande Crociata, che aveva riportato sotto il dominio dell’Uomo molti pianeti colonizzati in epoche precedenti. Questo anche grazie al fatto che l’Imperatore era stato un psyker, un essere umano dotato di poteri psichici. Il più potente psyker mai esistito e c’era chi era pronto a giurare che fosse solo per questo che era ancora vivo. Già da quando camminava tra gli uomini, c’era stato chi l’aveva definito un dio sotto spoglie mortali; in seguito alla sua reclusione nel Trono d’Oro, era nato il Culto Imperiale, che poneva questa teoria a dogma. Nel corso dei millenni, l’Adeptus Ministorum, l’organizzazione che gestiva il Culto, nota anche come Ecclesiarchia, era diventata sempre più potente e influente tra le istituzioni imperiali, anche grazie all’adesione delle masse adoranti che, spaesate per la perdita del loro eroe, volevano trovare un altro dio, un altro capro espiatorio su cui sfogare la rabbia per la propria malasorte. Poco importava che il nuovo dio fosse un uomo. Poco importava che l’Ecclesiarchia contraddicesse i suoi stessi dettami, promuovendo feroci cacce alle streghe volte allo sterminio degli psyker, quando l’Imperatore stesso lo era. Agli esseri umani importava solo avere un modo per potersi ritenere non colpevoli dei propri errori pur potendosi considerare meritevoli delle proprie vittorie.

A volte, il sacerdote non sapeva se mettersi a ridere o a piangere durante le sue prediche. Perché lo sorprendeva vedere come quella massa di caproni che si metteva lì ad ascoltarlo pendesse dalle sue labbra. Certe volte, si chiedeva come mai gli esseri umani avessero bisogno di una religione astratta. In fondo, c’erano divinità ben più attive dell’Imperatore e ben più generose verso i loro seguaci. Pensava che avere fede fosse un modo molto semplice per spiegarsi le cose. Secondo alcuni, avere fede era difficile; secondo il sacerdote, era una delle cose più facili che esistessero. Avere fede significava smettere di porsi domande: tutto accade perché il dio che veneri lo vuole, punto. Non ci sono altri quesiti da porsi. Mentre, terminata la funzione, si ritirava nei suoi appartamenti, le lunghe vesti grigie che gli ondeggiavano attorno alle caviglie, un accolito, avvolto nelle medesime vesti, gli si avvicinò. Si inchinò rispettosamente e tacque, come ad attendere il permesso di parlare. "Dimmi" si limitò a chiedere il sacerdote, puntando i suoi occhi di quarantenne sul giovane che gli stava davanti. "Una persona ha chiesto di vederla" rispose il ragazzo senza alzare la sua testa rasata "Dice di avere scoperto il capo di una setta di eretici che praticano un culto proibito. Vorrebbe parlare con lei per rivelarle l’identità di questo individuo. Ho fatto accomodare il nostro ospite". Il sacerdote sospirò. Il fatto che su Novet ci fosse un culto eretico non lo sorprendeva minimamente.

Entrò lentamente nello stanzino in cui il novizio aveva fatto accomodare l’ospite. Era un ambiente stretto e quasi asfissiante, una sorta di corto corridoio con una panca su ciascuno dei lati più lunghi e una finestra al termine, esattamente di fronte alla porta. Fino a qualche anno prima, era stato usato come vestibolo, prima che la sede centrale dell’Ecclesiarchia facesse saltare fuori i soldi necessari ad ampliare la cattedrale. E, su una delle panche, sedeva una ragazza. Il sacerdote giudicò che dovesse avere circa diciassette anni, anno più, anno meno. I lunghi capelli castani della giovane le ricadevano sulle spalle, incorniciando un volto grazioso, che portò l’ecclesiastico a pensare che gli sarebbe potuta servire in futuro. La ragazza alzò il capo verso l’uomo, fissandolo con i suoi occhi marroni, mentre si alzava in piedi e, nonostante l’ambiente non fosse affatto freddo, si stringeva nella sua giacca marrone, lasciando solo intravedere la sobria maglietta verde che portava sotto. Mosse timidamente qualche passo, il volto contratto in una smorfia preoccupata e quasi piangente, infilandosi le mani nelle tasche dei suoi pantaloni neri. "Figliola," esordì il sacerdote "un mio discepolo mi ha già detto che hai un’importante notizia da darmi". La ragazza si tolse le mani dalle tasche e si strinse nuovamente nella giacca, lanciando all’uomo un’occhiata terrorizzata: "Sì, è vero", confermò "Ho scoperto un abominevole culto eretico e so chi ne è a capo…". L’uomo fece a propria volta un passo avanti: "Di cosa si tratta esattamente?"

"Adorano una divinità maligna… Una divinità mostruosa che abita nel Warp e che predica l’edonismo e l’appagamento dei piaceri carnali… Un dio che chiamano Slaanesh, un dio che dona ai suoi seguaci mutazioni abominevoli…"

L’uomo si accigliò. La situazione era grave. Molto grave. "E sei sicura di sapere chi sia il capo di questa setta?"

La ragazza cominciò a singhiozzare: "Sì, lo so. Sono sicura che non lo immaginerebbe nemmeno lei"

"Capisco. E allora, chi è questa persona?"

Tutto accadde più velocemente di quanto l’occhio umano potesse registrare: la giovane si infilò un mano sotto la giacca e scattò in avanti con una rapidità che aveva qualcosa di sovrannaturale. Una frazione di secondo dopo, il corpo del sacerdote cadde pesantemente a terra, un pugnale infilato nel petto, all’altezza del cuore. "Sei tu, stronzo" sibilò la giovane sputando sul cadavere "Solo che hai finito di fare i tuoi comodi. Prima che tu te ne vada a bruciare nell’inferno che meriti, sappi che sei stato abbattuto da Megan Derleth, dell’Ordo Malleus dell’Inquisizione Imperiale". Con un gesto sprezzante, Megan tirò un calcio alle vesti del cadavere, scoprendo una coda squamosa che spuntava tra le gambe. "Un regalino del tuo dio, eh?" domandò sarcastica, più a se stessa che al corpo morto. Ma il corpo morto non voleva restare morto. "E non è l’unico!" esplose il sacerdote balzando di nuovo in piedi e afferrando la ragazza per il colletto della maglietta. Praticamente sollevandola dal suolo, la sbatté contro la parete e premette il proprio corpo contro quello di lei. "Sì," cominciò il sacerdote "la coda è un regalino di Slaanesh. Come anche il mio cuore supplementare e le ghiandole che mi permettono di fare questo…". Dalla bocca dell’uomo cominciò a sgocciolare una poltiglia biancastra e scoppiettante. L’ecclesiastico sputò per terra; il pavimento marmoreo cominciò a sfrigolare e a fondere. "Ma non preoccuparti," continuò lui "non ho intenzione di ucciderti. Una come te può essere di grande utilità alla nostra causa… Ti farò provare i piaceri più impensati, prima con questa," Megan sentì la coda del suo interlocutore che si insinuava su per le sue gambe, arrivandole alla cintura e cercando di strappargliela di dosso "poi con questa" l’uomo si passò la lingua sulle labbra, come a voler indicare la propria saliva acida. La giovane sogghignò e lanciò un’occhiata minacciosa all’adoratore di Slaanesh che la teneva imprigionata: "Tu non hai ancora capito con chi hai a che fare". Prima che potesse arrivare una qualsiasi risposta, il sacerdote si sentì sbalzato da dove si trovava, come spinto da una forza improvvisa e irresistibile. Il suo corpo si sollevò in aria e andò a sbattere contro la parete alle sue spalle, cadendo sulla panca e spezzandola sotto il proprio peso. Mentre cercava di rimettersi in piedi, l’uomo capì quello che era successo: la ragazza era uno psyker. Doveva avere usato i propri poteri psichici per liberarsi di lui. E ora, stava coprendo i pochi passi che li separavano con una baldanza che non sarebbe potuta essere più fuori luogo. "Le menti dei cittadini imperiali sono deboli" sentenziò Megan puntando una mano verso il suo nemico "Non possono sapere che esistono cose come le Divinità Oscure, o potrebbero decidere di adorarle come hai fatto tu. Quindi, è meglio eliminare ogni traccia". Una sfera di turbinante energia verdastra cominciò a formarsi sulla mano della giovane, vorticando inarrestabile. Il sacerdote fece per saltare addosso alla ragazza, in un disperato tentativo di fermarla; così facendo, però, non fece che esporsi ancora di più all’attacco. Il colpo lo centrò in pieno petto e un incendio di gelide fiamme verdi cominciò a diffondersi sul suo corpo, consumandolo, divorandolo, dilaniandolo. Il cadavere del seguace di Slaanesh non cadde mai a terra: di lui restarono solo ceneri. Megan sbuffò: aveva già fatto abbastanza casino ed era strano che non fosse arrivato nessuno; ora doveva occuparsi di un’ultima formalità. Aprì lentamente la porta dello stanzino e, come si era aspettata, vide il novizio che l’aveva accolta correre verso di lei, probabilmente attirato dal baccano. "Cosa è successo? "domandò il ragazzo parandosi davanti a lei. Senza rispondere, Megan si guardò attorno. Nel corridoio non c’era nessun altro. La giovane si infilò una mano sotto la giacca; con un unico movimento, la estrasse dall’abito e vibrò un fendente con il coltello che ne aveva preso. Il novizio, con un’espressione di inebetito stupore sul volto, si afferrò la gola, nella quale si era aperta una seconda bocca che sputava sangue rosso sulle sue vesti e sul pavimento. Un attimo dopo, cadde a terra, un lago scarlatto che si espandeva dal suo corpo. Megan tornò nello stanzino, aprì la finestra e ne uscì, saltando nel vicolo sottostante: ora non c’era più nessuno che l’avesse vista. Questa parte della missione era riuscita.

L’Inquisizione era una delle organizzazioni imperiali più temute. Il suo compito consisteva nell’indagare e annientare le potenziali minacce alla stabilità dell’umanità. Alieni, mutanti, adoratori del Caos e altri elementi di disordine andavano schiacciati a qualsiasi prezzo. Dato il loro lavoro, gli Inquisitori erano obbligati a tenere segrete le proprie identità, per evitare che i loro nemici potessero contrattaccare. Solitamente, si muovevano in piccoli gruppi, chiamati "cellule", che agivano con discrezione ed eliminavano i problemi alla radice, agevolati in questo dal fatto di non essere soggetti alle leggi imperiali: un Inquisitore non doveva rispondere delle sue azioni, perché agiva per il bene dell’umanità. Identificare esattamente in cosa consistesse questo bene, era tutto un altro paio di maniche, ma la situazione non cambiava. L’Inquisizione era suddivisa in varie sezioni: per esempio, l’Ordo Xenos si occupava di sventare le minacce aliene, mentre l’Ordo Malleus pensava a combattere i demoni e gli adoratori dello Divinità Oscure del Warp; questo non cambiava il fatto che gli Inquisitori agissero seguendo una massima secondo cui "È meglio uccidere un milione di innocenti che lasciar sopravvivere un solo colpevole". Tutti sapevano dell’esistenza dell’Inquisizione, ma nessuno conosceva le identità dei suoi componenti, che spesso conducevano vite qualsiasi, per entrare in azione solo quando le circostanze lo richiedevano. In un certo senso, questo contribuiva parecchio a creare il timore ossessivo e delirante delle proprie azione che affliggeva molti abitanti dell’Imperium: avevano paura di compiere qualsiasi atto che si fosse potuto giudicare eretico, perché il loro vicino di casa sarebbe potuto essere un Inquisitore in incognito; per evitare di impazzire dalla paranoia, si rifugiavano in una religione che la accentuava ancora di più, facendo loro pensare che qualsiasi cosa facessero fosse un peccato. Ma ben pochi comprendevano le responsabilità di un Inquisitore: gli Inquisitori sapevano. Sapevano che le dicerie erano vere, che il Warp era abitato. Che ci vivevano degli dei, delle Oscure Potenze che tramavano per annientare l’umanità. Che queste Potenze erano affascinanti e seducenti, che promettevano il potere che poteva avvicinare loro le persone che decidevano di adorarle. Che queste potenze erano l’umanità stessa.

Era stato teorizzato già da prima dell’arrivo dell’Imperatore che il Warp fosse un riflesso dello spazio reale: successivi studi dimostrarono che l’Immaterium reagiva alle emozioni dei viventi. Gli dei che lo abitavano e le creature demoniache che li servivano, e che si manifestavano di tanto in tanto nella realtà, non erano altro che la conseguenza delle aspirazioni, delle paure e dei sentimenti dei mortali. Laddove le emozioni dei viventi influenzavano il Warp, le creature che vi abitavano si erano adattate, secondo leggi evolutive che sembravano più consone all’universo reale, a nutrirsi di quelle più abbondanti. E, tra tutte le entità dell’Empireo, Slaanesh era una delle quattro che avevano ottenuto il maggiore successo ed erano diventate divinità a pieno titolo. Slaanesh era il Principe del Piacere, il dio della lussuria, dell’edonismo, della depravazione morale più sfrenata. Era stato il desiderio delle creature mortali a crearlo e a dare forza a lui e ai suoi tre fratelli, le altre Divinità Oscure. E, benché venissero considerati come l’apice della malvagità perché insidiavano la razza umana, gli Dei del Caos non potevano essere veramente ritenuti malvagi: seguivano la propria natura così come i mortali l’avevano determinata. Eppure, nonostante il sapere degli Inquisitori, c’erano delle persone che erano particolarmente vicine al Warp, anche se spesso inconsapevolmente. Erano gli psyker.

 

Prossimamente: su Novet le cose cominciano a definirsi. C’è qualcosa che molti vogliono, ma a cui non tutti sono interessati, qualcosa che potrebbe essere una speranza per l’umanità o un giocattolo per un folle. L’Inquisizione comincia a muoversi….

Episodio 28: Polli e mostri bianchi/Fallen from the Sky

  
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