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Autore: _johanna_    12/09/2014    0 recensioni
Spoiler "Il canto della Rivolta"!
"È casa mia." aveva detto a Katniss quando la ragazza dagli occhi grigi le aveva proposto di stare nel 12. Beh, non avrebbe avuto tutti i torti nello scappare dal luogo che le ricordava così tanto la sua famiglia, ma Johanna stava realmente bene solo nel 7.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza si portò alla bocca un pezzo di carne di coniglio preso dalla trappola di quello del 4.
Non sapeva come si chiamasse, ma sapeva che dopo averla incontrato il suo nome non aveva più avuto importanza.Un colpo di cannone aveva semplicemente preso il suo posto.
Lasciò il resto del cibo nella borsa, controllando poi cosa avesse ancora.
8 pezzi di carne, una decina di bacche rosse che si ricordava di aver visto tra le commestibili in un libro, una borraccia vuot..
Un colpo di cannone spezzò il silenzio dell'Arena.
"Bene, uno in meno." pensò la ragazza. Senza scomporsi richiuse la borsa e si avvicinò ad un albero vicino, prendendo a scalarlo. L'ascia sistemata nella cintura.
Non ricordava quanti ne erano rimasti nell'Arena perché non aveva perso tempo a contare i colpi di cannone. Sapeva solo che il primo giorno, nel Bagno di Sangue, ne erano morti 10, e il 3 giorni dopo lei ne aveva ucciso altri 3. Erano poi passati alcuni giorni, e lei aveva ucciso di nuovo, questa volta quello della carne.
Saltò di albero in albero, come fosse uno dei tanti scoiattoli che vedeva sempre nel suo Distretto e che si divertiva a rincorrere, imparando a camminare su rami con altezze maggiori rispetto a quelli che stavano nell'Arena.
Sentì un rumore e si fermò all'istante, appiattendosi sul ramo in cui stava e guardando in basso, verso la fonte dei rumori.
Il tributo che stava camminando non era di certo uno del suo distretto. Faceva troppo rumore con i piedi sulle foglie.
Dalle sue parti, nel 7, nessuno faceva rumore quando stavano nei boschi perché quel suono, sentito per ore e ore durante il lavoro, faceva solo venire il mal di testa.
Da dietro un cespuglio sentì un sussurro, seguito da un altro.
E allora la ragazza del 7 capì: i Preferiti erano nella sua zona.
Si mosse lentamente,  facendo dei passi piccoli lungo il ramo sul quale stava, e si sistemò in modo da poterli tenere sotto controllo.
Uscirono dal cespuglio uno alla volta: c'era Silk, del distretto 1, armato con una spada, e dietro di lui quella del 2, di cui Johanna aveva dimenticato il nome. Dopo di loro arrivarono il ragazzo del tre, che portava sulle spalle la sua compagna di distretto, in fin di vita.
- Lasciala qui e andiamocene, Grent. Ci rallenta e basta.- suggerì l'ultima arrivata, l'unica sopravvissuta del 4.
- È una del mio distretto.- ringhiò il ragazzo del 3.
- Ma ci rallenta.- sottolineò la bionda senza nome.
Johanna stava osservando tutto dall'alto, e aspettava che accadesse qualcosa che le facesse venire voglia di scendere e tagliare la gola a tutti quanti. Con la mano destra prese a giocare con l'ascia, estratta in automatico nel momento in cui aveva sentito i rumori.
- Uccidila, Sheila.- ordinò Silk a quella del 2, che si voltò subito verso quello del 3 con un sorriso maligno.
- No, è la mia compagna.- si oppose il ragazzo, ma il sorriso di Sheila si ampliò e in un attimo pugnalò il ragazzo e poi si occupò di squarciare la gola alla ragazza.
I due corpi caddero a terra, seguiti da un colpo di cannone, visto che il ragazzo si tamponava la ferita insultando la bionda con le poche forze rimaste.
- Cos' hai fatto?!-urlò quella del 4, impugnando il proprio coltello.
- Ho ucciso 2 nemici.- rispose divertita, poi si voltò verso di lei.- E ora farò in modo restiamo in 3 nell'Arena.- la bionda si lanciò sulla ragazza del 4, iniziando una lotta in cui gli unici spettatori erano Silk e Johanna, che ancora giocava con la sua arma.
Un altro cannone suonò, e nell'Arena restarono effettivamente in 3.
Silk, Sheila e Johanna.
- Ce ne manca una.- disse Sheila, ripulendo la propria arma con le dita e portandosele poi alle labbra, quasi gustandosi il gusto del sangue.
- ..se non è morta nella giornata. Non credo la stupida ragazzina del 7 sia arrivata fino a questo punto, sinceramente.- una risata nacque dalle gole dei due, e la stupida ragazzina del 7 capì che era il momento di attaccare.
Si sentiva un puma: i muscoli tesi, la preda sotto di lei, l'unico suo artiglio, affilato e tagliente grazie alla lavorazione dei metalli di Capitol City, fremente di potersi sporcare di quel sangue che la bionda si era portata alle labbra.
Saltò giù dall'albero e, quando la bionda si voltò per vedere cosa fosse stato quel rumore, le tagliò la testa con un colpo secco d'ascia, facendo partire un altro colpo di cannone.
Tre secondi dopo, prima ancora che se ne rendesse conto, anche Silk aveva perso la testa e l'ultimo colpo di cannone suonò.
Johanna aspettò qualche secondo.
Aspettò la voce che avrebbe dovuto dichiararla vincitrice.
Ma dentro di lei sapeva che non sarebbe mai arrivata.
Dalle sue spalle, da dietro gli alberi, i cadaveri e tutto il resto, sentì provenire un rumore che si avvicinava sempre di più.
Era il rumore che fa un'onda quando arriva, ma amplificata migliaia di volte.
Johanna non fece in tempo ad arrampicarsi su un albero, sempre sarebbe servito a qualcosa, perché l'acqua l'aveva circondata, sovrastata, e lei era stata presa da un attacco di panico.
 
Un urlo squarciò il silenzio del distretto.
 
Johanna si mise seduta di scatto, ancora con la bocca aperta per l'urlo lanciato, e strinse convulsamente le mani intorno all'unico lembo di lenzuolo non caduto a terra.
Il respiro affannato, gli occhi spalancati per il terrore che l'incubo le aveva lasciato sulla pelle.
Rimase immobile qualche secondo, con lo sguardo fisso davanti a sè, perso nel buio.
Si mise in piedi, spaventata da quel letto che le aveva fatto fare quel sogno.
Passò davanti al bagno, ma appena vide le gocce d'acqua posate sul lavandino, superò la porta, scappando di nuovo in camera per vestirsi.
 
Il Distretto 7.
Johanna viveva lì da quando era nata e, dopo la guerra, vi era tornata.
"È casa mia." aveva detto a Katniss quando la ragazza dagli occhi grigi le aveva proposto di stare nel 12. Beh, non avrebbe avuto tutti i torti nello scappare dal luogo che le ricordava così tanto la sua famiglia, ma Johanna stava realmente bene solo nel 7.
Il freddo della mattina non toccava il corpo di Johanna, coperto solo da un pantalone elastico e una maglietta dello stesso materiale.
Il silenzio del Distretto, tornato dopo l'interruzione dell'urlo, veniva spezzato solo dagli scarponi della ragazza che camminava sull'asfalto che però, lei lo sentiva sotto i piedi, stava diventando sempre più morbido, anticipando la terra che poco dopo l'avrebbe sostituito.
Arrivò alla staccionata che indicava il limitare degli alberi e la saltò senza grossi problemi.
Entrò nel bosco respirando l'odore della terra umida e della legna tagliata il giorno prima.
Si avvicinò a una montagna di legna accatastata, trovando subito ciò che le serviva.
Sollevò l'ascia, facendola girare tra le mani con naturalezza. Quelle che c'erano al distretto non erano come quelle che aveva trovato nell'Arena; erano pesanti, molto più rovinate, ma non perdevano la loro aria mortale.
Johanna ricordava ogni cosa degli Hunger Games, di entrambe le edizioni a cui aveva partecipato, e solo poche cose le facevano comparire un mezzo sorriso per qualche secondo sul viso. Tra queste c'era lo stupore di Katniss Everdeen quando l'aveva vista con un'ascia in mano, nell'ultima edizione. Beh, di certo la ragazza dagli occhi grigi non avrebbe mai potuto immaginare che sapesse usare un'arma simile, viste le braccia dall'aspetto debole, ma probabilmente si era ricreduta quando aveva piantato la lama nell'oro della Cornucopia.
Johanna aveva nascosto un sorriso di soddisfazione, quella volta.
Il sole non era ancora abbastanza alto da riscaldare coi propri raggi, quando la scure della ragazza dai capelli scuri colpì l'albero che aveva davanti, anticipando il lavoro degli uomini che avrebbe iniziato qualche ora dopo, non stupendosi di trovare la Vincitrice nel bosco. Ormai accadeva così spesso che quasi si stupivano quando non la trovavano.
Lei se ne andava dopo poco tempo, infastidita dalle troppe voci intorno a lei.
Johanna non odiava le persone. No, lei odiava le loro voci mischiate tutte insieme e le loro risate, che le ricordavano troppo i suoi torturatori a Capitol City che si divertivano a vedere la ragazza mordersi dapprima le labbra, per non urlare per le scariche elettriche che attraversavano il suo corpo esile, e che poi non riusciva più a trattenersi, arrivando a sentirsi la gola bruciare per le urla.
Johanna piantò di nuovo la scure nel legno, riempendo il silenzio assordante che la circondava.
L'incubo della notte le tornò alla mente e prese a colpire più forte il legno dell'albero caduto, gemendo di rabbia e frustazione per non essere stata in grado, durante la guerra, di partecipare in modo attivo e vendicarsi del tutto.
Vendicarsi di sè stessa, di quello che le avevano fatto, degli Hunger Games, della sua famiglia, del suo migliore amico di cui non riusciva nemmeno più a pensare il nome.
E tutto questo perché non era riuscita a controllare il suo attacco di panico dovuto all'acqua.
Colpì ripetutamente il legno,  finché qualcosa le toccò la spalla e lei immediatamente si voltò portando l'ascia sul suo bersaglio, qualunque cosa fosse.
Una mano afferrò con forza il suo polso e le bloccò il braccio, in modo da non farsi colpire dalla lama della scure.
Johanna incontrò i suoi occhi scuri, perdendosi un attimo in essi, ma il ragazzo non fece neanche in tempo a rendersi conto della confusione della ragazza che fino a un attimo prima aveva creduto lui fosse un nemico.
- Cosa ci fai qui?- lei parlò con voce dura, liberandosi il polso con uno strattone. Lui non fece una piega a quella mossa, poi però un lieve sorriso gli increspò le labbra.
- Non è facile riaddormentarsi dopo essere stato svegliato da un urlo sovraumano.- il tono sarcastico infastidì Johanna che infatti lo fulminò con lo sguardo.
- Perdonami, la prossima volta cercherò di urlare meno forte.- rispose acida poi lo superò e iniziò ad attraversare di nuovo il bosco.
Ma lei lo sapeva: lei sapeva che lui l'avrebbe seguita, che avrebbe cercato di aiutarla. Ed era l'ultima cosa che Johanna voleva. Per questo, accelerò il passo, cercando di mettere tra lei e lui più distanza possibile.
- Cos' hai sognato?- lui invece sapeva semplicemente che DOVEVA aiutarla, come lei aveva aiutato suo fratello.
 
Era stato estratto per gli Hunger Games di qualche anno prima, a 14 anni.
Non aveva possibilità di vincere: era molto basso e aveva poca forza nelle braccia. Quando lo vide l'ultima volta non aveva avuto la forza di parlare: sapevano entrambi che quello ero un addio.
Ma quando era uscito dalla stanza dove stava il fratello, poggiata al muro del corridoio, c'era colei che avrebbe fatto da mentore al fratello: Johanna Mason.
Aveva vinto 3 anni prima, e aveva perso tutto nello stesso anno. Lui non le aveva mai parlato, ma molte persone l'avevano fatto: per congratularsi.
Lei non rispondeva mai ai complimenti, guardandoli con sguardo duro ma sorridendo.
 Nessuno sapeva cosa pensasse la ragazza che aveva perso la sua famiglia durante il tour della vittoria, nè sapevano il motivo per cui Capitol City l'avesse fatto. 
E nessuno ne aveva mai parlato con lei, forse per paura di sapere la verità, forse perché difficile chiedere a una ragazza di 16 anni cosa avesse fatto per provocare la morte della sua famiglia. O forse perchè lo sguardo della ragazza, duro contro chiunque, non incoraggiava nessuno a parlarle.
Però lui si avvicinò comunque, anche se non aveva mai avuto il desiderio di parlarle prima di quel momento e se lo impauriva lo sguardo freddo e distaccato con cui guardava un punto indefinito davanti a sè.
Prima che aprisse la bocca, la vincitrice sospirò. Sapeva già cosa le avrebbe detto, ma non era lì per farsi supplicare dalla gente. Non sarebbe nemmeno dovuta essere lì,a suo parere. Era solo un modo in più con cui Capitol City continuava ad usare i Vincitori, impedendo che la gente si dimenticasse di loro e che loro stessi si dimenticassero chi fossero e cos'avessero fatto.
- Non posso fare niente.- disse, senza spostare lo sguardo dal muro di fronte a sè.
- Non mi pare i mentori non possano fare qualcosa per aiutare i tributi del proprio distretto.- le fece notare con tono acido.
La mora sorrise sarcastica. Nessuno l'aveva aiutata, aveva dovuto fare tutto da sola, quindi come pretendevano aiutasse qualcuno?
- Quanti anni hai?- chiese al ragazzo.
Lui la guardò insicuro, non capendo.
- Ti ho fatto una domanda. Quanti anni hai? Non credo sia così difficile.- di certo la vincitrice non era tra le persone più gentili del distretto.
- 17.- rispose, colpito dal tono della ragazza.
Lei sorrise, di nuovo, ma stavolta amaramente. - Sai chi avrebbe davvero potuto aiutare tuo fratello?- e si voltò verso di lui, bloccandolo col suo sguardo di ghiaccio.
Lui non riuscì a parlare, forse sapendo già la risposta, e fu la ragazza quindi a rispondere, dopo qualche secondo. - Tu. Sei ancora in età di tributo, e siete dello stesso sesso. E non mi pare tu non abbia il fisico o le possibilità per resistere in una qualsiasi arena.- si bloccò un attimo- O almeno di certo non quante ne abbia tuo fratello.- spostò di nuovo lo sguardo, e la verità delle parole della mora colpirono il ragazzo, che non potè fare altro che stare zitto.
- Io so la verità. So che quando hai sentito il nome del tributo, prima di renderti conto che fosse tuo fratello, hai tirato un sospiro di sollievo. E so anche che adesso ti sto facendo morire per il senso di colpa, ma devi capire che non ho la responsabilità sulla vita di tuo fratello, se non la stessa che hai tu.- terminò, con il tono di voce freddo, ma allo stesso tempo arrabbiato.
Si staccò dal muro, smuovendo la testa che schioccò, e al ragazzo venne in mente una scena dei suoi Hunger Games, in cui aveva fatto lo stesso movimento subito dopo aver sentito il colpo di cannone del ragazzo che aveva appena ucciso, colpendolo in piedo petto con la scure. Un brivido lo attraversò, pensando effettivamente di avere accanto una ragazza che era accanto a lui perché era la sopravvissuta di 24 ragazzi.
- Aiuterò tuo fratello, per quanto potrò. Cercherò di essere una mentore degna di questo appellativo, ma è lui per primo che non deve arrendersi. Chi si arrende è perduto.- e il ragazzo vide lo sguardo della mora cambiare, per qualche secondo, come se quella frase avesse delle radici molto più profonde, ma fu un solo attimo, e gli occhi scuri della ragazza tornarono ad essere freddi, mentre si allontanava con passo deciso verso l'uscita, per recarsi al treno.
 
Il ragazzo in realtà sopravvisse per qualche giorno, perché Johanna gli aveva trovato degni alleati, ma morì per colpa di ibridi, che di certo la mentore non avrebbe potuto far evitare al suo tributo.
Quando tornò, nessuno le disse niente e lei non parlò. Tornò semplicemente in casa sua, nella casa da vincitrice, trovando fuori dalla porta un cesto con cibo.
Johanna non andò mai a ringraziare per quel gesto, anche sapendo chi lo avesse fatto, ma nemmeno qualcuno si avvicinò a lei per parlare di quello.
Il ragazzo si avvicinò di nuovo a lei anni dopo invece, dopo la guerra.
Lui lavorava nel bosco, come tutti gli altri, quindi anche con Johanna, che malgrado non dovesse e le avessero più volte vietato di farlo, continuava imperterrita a colpire con la sua scure il legno, mettendoci sempre più forza di quanta necessaria.
Il ragazzo le parlò quando lei tornò a lavoro dopo una settimana di assenza, in cui nessuno sapeva dove lei fosse stata.
 
- La gente iniziava a parlare.- era un momento in pausa, e lei si era seduta da una parte, per terra, lontana da tutti, quindi non era stato difficile per il ragazzo parlarle senza farsi sentire dagli altri.
Lei stava guardando la bottiglia d'acqua tra le sue mani, che stava tenendo per il tappo, osservandone il liquido interno. Non degnò di una risposta il ragazzo, che però si sedette accanto a lei.
- Alcuni sono arrivati a pensare tu ti fossi suicidata in casa, ma dopo che la signora Thyjen ha detto di averti vista prendere il treno, le idee sono diventate più varie. Niente è meglio del pettegolezzo sulla vincitrice, in momenti di noia.- parlò comunque, malgrado la mora non sembrasse troppo euforica di partecipare alla conversazione, ma molto di più ad osservare una bottiglia d'acqua.
Gli uccellini e il loro canto presero il posto delle parole, accompagnati dal rumore delle foglie rotte sotto il peso di qualche animale. Le risate dei loro colleghi di lavoro, che scherzavano tra di loro di non si sa cosa e si riposavano prima di riniziare, qualche minuto più tardi, andarono in secondo piano per le orecchie del ragazzo.
- Sei mai stato nel distretto 4?- la voce della vincitrice quasi spaventò il ragazzo. Era chiara, ma atona. Fredda come sempre.
- No. Sono stato nell'11 e nel 2, ma nel 4 mai.- rispose dopo qualche secondo, guardandola. Lei ancora non aveva spostato gli occhi dalla bottiglietta.
- È lì che sono stata i giorni scorsi.- Johanna aveva aspettato un po' prima di parlare, tanto da far pensare al ragazzo che la conversazione fosse finita. Aveva aspettato, come per decidere se dirlo o meno.
- Perchè ci sei andata?- la domanda era lecita, ma il ragazzo si rese subito conto di aver sbagliato a porla nel momento in cui lei sollevò di più lo sguardo, andando oltre la bottiglia, a guardare il vuoto.
La ragazza lasciò a terra l'oggetto che aveva magnetizzato tutta la sua attenzione durante la pausa e afferrò l'ascia piantata a terra accanto a sè, mettendosi poi in piedi. Il ragazzo restò solo, con accanto la bottiglietta ancora sigillata.
Da quel giorno erano passati pochi mesi, in cui le poche volte che avevano parlato erano quelle in cui lui l'aveva sentita urlare al mattino, come quel giorno.
Lui soffriva di insonnia, e per non svegliare sua madre, aveva l'abitudine di uscire e girare per il distretto. All'inizio lo faceva senza meta, poi un giorno sentì urlare, nel villaggio dei Vincitori, e incuriosito aveva corso fino a lì. L'unica cosa che aveva trovato, dopo 10 minuti passati a guardarsi intorno, era stata la Mason, che veloce camminava verso il bosco, con i pugni stretti.
L'aveva seguita, ma non aveva parlato nè si era mosso, restando semplicemente a guardarla lavorare, incapace di fare altro e non avendo idee su cos'altro fare.
Aveva scoperto degli incubi dopo varie volte che episodi simili si erano ripetuti, perché  lei,  ogni tanto, mentre colpiva con forza lo sventurato tronco del giorno si lasciava sfuggire delle imprecazioni contro gli incubi. La prima volta che il ragazzo palesò la sua presenza, fu anche la prima volta che vide Johanna Mason davvero arrabbiata, perché un attimo dopo si ritrovò a terra con lei sopra di lui che gli premeva la lama della scure sulla gola, minacciandolo se avesse detto a qualcuno ciò che sapeva di lei.
Non sapeva quando si fosse preso l'abitudine di stare nel Villaggio dei Vincitori, le notti insonni, ma restava il fatto che fossero mesi che lui sentiva la Mason urlare di notte, esattamente come quella mattina.
- La vuoi smettere di scappare?- Johanna aveva allungato ancora di più il passo, lasciandoselo alle spalle, ma il ragazzo aveva gambe più lunghe delle sue quindi la distanza tra di loro era sempre troppo poca, secondo la vincitrice.
- Non ho intenzione di parlare con te.- lo disse tra i denti, tenendo i pugni stretti lungo i fianchi.
Lui si era già sentito dire quelle cose, sapeva benissimo che lei non gli avrebbe detto niente sui suoi incubi, o sulla sua storia, ma comunque la seguì, convinto che continuando a starle vicino avrebbe ripagato il debito di aver fatto sopravvivere suo fratello, anche se solo per qualche giorno.
Erano ormai nel Villaggio dei Vincitori, e lui si rese conto di star perdendo, come sempre, la possibilità di parlarle.
Allungò il passo, e in poche falcate fu vicino a lei.
- Johanna, ferm- fece soltanto in tempo ad afferrarle il braccio sinistro, che un pugno dato con l'altra mano lo aveva colpito in viso,  stupendolo e facendolo cadere a terra. Di certo non era una novità la forza di Johanna Mason, ma una prova non era mai stata richiesta dal ragazzo.
La vincitrice si allontanò, senza aggiungere altro, ed entrò in casa seguita dallo sguardo sofferente del taglialegna, consapevole di aver perso di nuovo la possibilità di aiutarla.
 
Non sapeva come fosse arrivata lì, o da quanto tempo ci fosse, ma la ragazza si ritrovò seduta per terra, con la schiena poggiata alla porta della sua camera, chiusa. Fissava il letto davanti a sè, cercando di non pensare a niente, ma allo stesso tempo incapace di non rivivere i ricordi delle sue torture, a Capitol City.
Sentì la porta d'ingresso chiudersi, e a1lora scattò in piedi, afferrando il coltello che teneva sul cassettone, vicino alla porta, per chissà quale motivo.
Ma in realtà, non aveva un'arma solo in quella stanza, ma in tutte. La faceva sentire più sicura, vivendo sola in quell'enorme casa.
Ma dopotutto, nessuno poteva farle del male.
O meglio, non aveva niente da perdere e nessuno avrebbe pianto la sua morte.
Lei non aveva più nessuno.
Tutti quelli che amava erano morti.
Aveva detto quella frase durante l'Edizione della Memoria, alla Ghiandaia Imitatrice, prima di entrare nella parte dell'arena con le Ghiandaie Chiacchierone. Sì, l'aveva detta in quell'occasione, ma si era accorta tempo dopo di aver sbagliato a dirla.
O meglio, era stata affrettata a dirlo.
Si accorse di non avere nessuno mesi dopo, nel distretto 13.
 
Plutarch era andato da lei, che era scappata dalla sua stanza d'ospedale qualche ora prima, per rifugiarsi in una stanza vera.
Johanna sapeva cosa doveva dirle, quindi lo anticipò. - Abbiamo vinto.-
Lo stratega le sorrise, confermando ciò, ma la ragazza subito capì che non era tutto ciò che doveva dirle. - Chi è morto?- chiese.
Plutarch tentennò, vedendo lo sguardo della ragazza infiammarsi. La conosceva, sapeva la sua storia.
- Chi è morto, Plutarch?!- urlò, mettendosi in piedi, e l'uomo indietreggiò davanti a quella donna minuta, quasi calva, malnutrita, ma con lo sguardo più minaccioso mai visto.
Non dovette parlare, lo stratega. La vincitrice l'aveva già capito, e indietreggiò lasciandosi andare contro il muro.
- Com'è morto?- lo sussurrò soltanto.
- Degli ibridi. Non è riuscito ad uscire dalla fognatura.- le spiegò, e vide lo sguardo della ragazza perdersi davanti a sè.
- Annie lo sa?- un altro sussurro.
- Glielo diremo a breve, non sarà facile farlo.- l'uomo vide il suo sguardo riaccendersi, di rabbia cieca però.
- Sai cosa non sarà facile? Crescere un figlio senza un padre! E sai cosa sarà ancora meno facile? Cercare di tener in piedi una donna, già instabile sulle sue gambe prima di perdere il marito, per farle crescere suo figlio!- si era rimessa in piedi, e si era riavvicinato allo stratega che rapido si era avvicinato alla porta, dalla quale erano entranti dei medici con delle siringhe, probabilmente narcotici.- E ancora più difficile sarà tenerla in piedi quando non si ha più nessuno Plutarch, ma si ha fatto una promessa!- urlò ancora prima che i due medici la afferrassero e le iniettassero i narcotici.
Da quel giorno, non ebbe davvero più nessuno.
E se ne rese conto perché il suo cuore si congelò del tutto, ricoperto di dolore e sarcasmo pungente.
Se ne rese conto nel momento in cui ebbe un incubo e non ebbe nessuno da chiamare.
Se ne rese conto nel momento in cui non potè più sentirsi meglio andando nel Quattro e scroccando una cena a casa del suo unico amico.
Se ne rese conto nel momento in cui non ebbe davvero nessuno. Nel momento in cui fu sola.
E si rese conto del fatto che Capitol City le aveva davvero tolto tutto.
Madre. Padre. Sorella. Fratello.
Amico, perché anche solo pensarne il nome la faceva morire.
L'avevano ferita, togliendole davvero tutto, anche sè stessa, perché di certo non poteva dire di essere la stessa che si era spogliata nell'ascensore davanti a Katniss Everdeen, Peeta Mellark e Haymitch Abernathy.
Di nuovo non seppe come ci fosse arrivata, ma si ritrovò in soggiorno, col coltello preso dalla sua camera in mano, a fissare il fuoco acceso nel suo camino.
Sul tavolino basso, posto davanti a quella fonte di calore, una pentola da cui proveniva un buon odore di stufato.
La mora si avvicinò alla pentola, trovandoci vicino un biglietto.
"Se vuoi il dolce, vieni a casa nostra..vorrei solo aiutarti."
Solo una persona avrebbe fatto una cosa del genere, perché una sola persona aveva avuto il coraggio, già parecchie volte, di entrare nella casa di Johanna Mason.
E lei non era mai andata a casa sua, mai.
Aveva sempre mangiato ciò che ricevuto, lanciando il biglietto nel fuoco.
Ma non quella volta.
Johanna Mason guardò la frase, poi la pentola, e sentì una piccola speranza nascerle nel cuore.
Mangiò lo stufato, poi uscì di casa.
Seguì la strada per la parte del Distretto non dedicato ai Vincitori, e raggiunse una casa piccola, dal cui comignolo usciva un rassicurante fumo bianco, in quella giornata di cielo cupo che non prometteva altro che pioggia, dalla quale Johanna non voleva che scappare.
Bussò alla porta, e dopo qualche secondo le andò ad aprire un ragazzo dai capelli scuri, gli occhi neri e le spalle larghe di chi, fin da bambino, era stato abituato a maneggiare un'ascia.
Lei gli mostrò il biglietto, e lui la guardò stupito, sia per la sua presenza lì, sia per la frase che lei disse dopo.
- Non mangio un dolce da anni. Posso entrare?- una frase sussurrata praticamente, detta con sguardo sfuggente ma che, nell'unico momento in cui aveva incontrato quello del ragazzo, aveva fatto trasparire la vera domanda che avrebbe voluto fare.
Il ragazzo le sorrise e si fece da parte per lasciarla passare.
La vincitrice entrò, forzando un piccolo sorriso, e quando si voltò per guardare un attimo fuori, vide le prime gocce di pioggia cadere. Non fece in tempo a farsi prendere dal panico, perché il ragazzo aveva già chiuso la porta e, poggiandole una mano sulla spalla, la stava guidando verso la cucina.
È vero, tutti quelli che amava erano morti. Capitol City le aveva tolto tutto. Snow, le aveva tolto tutto.
Ma Capitol City era caduta. Snow era morto.
Lei era viva, quelli che formavano il suo passato erano morti, ma nulla le poteva portare via il futuro, non più.
Chi si arrende è perduto. È per questo che quando il ragazzo le porse un piatto dicendo "Crostata?", lei lo guardò negli occhi e ringraziò, accettando il dolce e il suo aiuto.
Accettando che per una volta non dovesse essere lei a dover tener in piedi qualcuno, ma che fosse qualcuno a tenerla in piedi, sulle sue gambe, per non arrendersi. Solo così non si sarebbe perduta.
E quando il ragazzo le sorrise, mordendo la sua fetta di crostata, lei sentì i suoi muscoli facciali tendersi nello sforzo di fare qualcosa che probabilmente somigliò a un sorriso.
Forse, la vita le stava dando un'altra possibilità, e lei sperò non fosse l'ennesima presa per il culo, perché di quelle era davvero stanca.
E morse la sua fetta di crostata, mentre fuori pioveva, senza minimamente turbare l'animo della Ragazza dal Distretto 7, chiusa in una casa che le prometteva un futuro diverso, finalmente.

Angolo dell'autrice:
Non so come mi sia venuta in mente questa fan fiction, so solo che ho sentito il bisogno di scriverla.
Johanna Mason è uno dei personaggi che preferisco, ma non capisco perchè la Collins non ci abbia praticamente detto niente di lei, quindi ho provato ad immaginare la sua vita dopo la guerra, dopo essere stata distrutta dalle torture e dalla perdita dei suoi cari.
Spero vi sia piaciuta e vi chiedo di darmi un vostro parere :)
Baci e abbracci

_johanna_
  
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