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Autore: RandomWriter    12/09/2014    6 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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RIASSUNTO DELLA PUNTATA PRECEDENTE:
Erin è invitata a cena a casa Daniels, anche se prima di entrare, Nathaniel le confessa di non essere entusiasta per quella serata, innescando nella ragazza una serie di dubbi e preoccupazioni. Una volta conosciuta la famiglia, Erin rimane sconvolta nel constatare quanto i genitori del ragazzo siano freddi e meschini, specie verso Ambra che la madre umilia davanti all’ospite, deridendola per la sua infatuazione per Armin. Offesa dalle parole della madre, la bionda abbandona il tavolo della cena e viene raggiunta poco dopo da Erin. Dopo un’iniziale resistenza, Ambra racconta alla ragazza la verità dietro il suo carattere odioso: ferire è un modo per non essere feriti. In passato ha affrontato un momento difficile dalla quale è uscita grazie ad una ragazza conosciuta tramite un videogioco: Ravenclaw11. Tra le due nasce una bella amicizia ed Erin, sconvolta per le parole di Ambra, le racconta che quella è sua sorella Sophia. Quando Ambra le chiede di rintracciarla, la mora le confessa che la ragazza è scappata di casa.
 





 
CAPITOLO 28:
REQUIEM FOR A DREAM


“scappata di casa?” ripetè Ambra incredula.
Erin annuì in silenzio. Intorno a loro era piombato il silenzio più totale. Deglutì a fatica, preparandosi a raccontare una storia che nessuno a Morristown aveva ancora sentito.
quattro mesi fa, io e Sophia eravamo uscite insieme. Era un venerdì sera e avevamo un po’ bevuto. Nonostante questo, ci siamo messe in macchina, Sophia era alla guida. Ti sarà facile prevedere l’epilogo: non ha rispettato una precedenza ed io mi sono vista arrivare una macchina dal mio lato. È successo tutto in un attimo. Ricordo vagamente il sangue, Sophia al telefono, mia madre che arriva poco dopo, le luci dell’ambulanza…poi persi i sensi. Quando mi risvegliai, mi trovai di fronte il viso di due estranei che si presentarono come i miei genitori. Di fronte al mio disorientamento, sono stata subito sottoposta a un esame e mi diagnosticarono un’amnesia retrograda post traumatica.
I medici rassicurarono i miei, dicendo di non preoccuparsi e che, stimolandomi con delicatezza a ricordare, avrei recuperato la memoria. Così è stato, e a distanza di nove giorni dall’incidente, ho riesumato il ricordo dei miei genitori, dei miei amici e di mia sorella… la quale, in nove giorni di ospedale, non avevo mai visto. Quando chiesi che fine avesse fatto Sophia, mia madre mi spiegò che era uscita quasi illesa dall’incidente e che li aveva convinti a lasciarla sola: aveva bisogno di stare lontana da tutti… di stare lontana da me. Il senso di colpa per quello che era successo la stava divorando” spiegò Erin sentendo le lacrime offuscarle la vista “non ho più rivisto mia sorella dal giorno dell’incidente… ho cercato in tutti i modi di mettermi in contatto con lei ma non c’è stato verso. Con il passare dei giorni ero io quella che si sentiva in colpa: ero stata io a insistere perché guidasse lei, anche se era la più ubriaca delle due… e tutto perché quella sera avevo messo i tacchi… e poi eravamo a pochi chilometri da casa” ricordò avvilita “Sophia chiamava i miei quando io non c’ero, e se provavo a parlarle, riattaccava…  se mi lasciasse parlarle, le spiegherei che non deve sentirsi in colpa, che ho solo bisogno di lei… di averla accanto. Ma non c’è modo per me di avvicinarla. I miei genitori non sanno dove sia ma visto che lei li chiama con regolarità, per ora accettano la sua decisione… del resto con Sophia è così, non è una a cui si può imporre qualcosa. Visto che con me non vuole parlare, ho detto a mia madre di spiegarle che non ce l’ho con lei, ma non è servito a nulla. Semplicemente mia sorella, ora come ora, vuole starmi lontana… e io non riesco ancora ad accettarlo.
Cominciai a chiudermi in me stessa, trascurando le amicizie. Una mattina, indossai per errore una maglietta di Sophia e, guardandomi allo specchio, per un attimo pensai di averla davanti. Del resto siamo gemelle sai? Da quella volta ho realizzato che, anche se non potevo averla accanto, lei poteva in qualche modo rivivere in me, bastava solo fare finta di essere lei”
Ambra non aveva fiatato. Lasciò che Erin, la ragazza che un tempo aveva deriso per il look da maschiaccio, le vomitasse addosso tutta quella verità.
“per il mio bene, circa un paio di mesi fa, i miei riuscirono a convincermi a trasferirmi da mia zia Pam, cambiare aria mi avrebbe fatto bene… e devo ammettere che avevano ragione. Qui ho conosciuto tante persone che sono diventate importanti per me ma, a parte Castiel, nessuno sa dell’esistenza di Sophia. Qualche settimana fa stavo per raccontare tutto ad Iris, ma poi mi sono trattenuta e da lì non ho più tentato di aprirmi con nessuno. Mi fa ancora troppo male. Io non ho nessun diritto di essere felice mentre mia sorella è lontana, dilaniata dai sensi di colpa. Non riesco quasi neanche più a cantare perché ogni canzone, ogni testo mi ricorda lei” gemette, ormai incapace di aggiunge altro. Del resto non c’era niente dipiù da dire.
Le sue spalle s’incurvarono in avanti e le lacrime abbondanti, sembravano gravare ancora di più su quel viso così bello. Erin non riusciva a riprendersi dalla tristezza che le aveva invaso il corpo.
Quel pianto era irrefrenabile.
Improvvisamente, sentì un tocco delicato cingerle le spalle.
Ambra avvicinò il capo, posandolo dolcemente contro quello di Erin e rimase ad ascoltare quei singhiozzi che cercava disperatamente di trattenere.
   

Le due ragazze non seppero quantificare il tempo trascorso avvolte in quell’abbraccio. L’ultima ragazza a cui Erin avrebbe mai pensato di raccontare la sua storia, era lì accanto a lei e, con grande rispetto e tatto, la stava consolando. In quel momento entrambe pensavano alla stessa persona e a quanto fosse importante per loro.
“vedrai che tornerà” sussurrò finalmente Ambra con dolcezza.
Erin inspirò rumorosamente e si asciugò le lacrime.
“grazie” mormorò, sorridendo a fatica.
Dopo un attimo di esitazione la bionda si staccò e commentò secca:
“questa cosa rimane tra me e te Travis”
La mora, dapprima un po’ perplessa per quel cambio di atmosfera, ridacchiò leggermente, mormorando:
“non sia mai che gli altri sappiano che sei una bella persona”
Ambra sorrise e alzò lo sguardo verso la notte buia.
Era il momento della giornata che più adorava: il manto nero del cielo in cui si stagliavano piccoli punti luce chiamati stelle. La razionalità della scienza li definiva enormi masse di gas che bruciano nello spazio, ma per lei erano semplicemente degli incantevoli nei luminosi.
Abbassò poi il capo e scrutò le luci della sala da pranzo dove i suoi familiari stavano ultimando la cena:
“mio fratello è un bravo ragazzo. Mi dispiace solo che non abbia le palle per opporsi a mio padre”
Erin nel frattempo era riuscita a darsi un contegno e recuperare un po’ di serenità:
“perché dici così?”
“Nath sin da piccolo è sempre stato caricato di grandi responsabilità, in previsione del fatto che avrebbe ereditato la società di famiglia, ma questo ha soffocato ogni sua ambizione”
“compresa la musica?”
“te ne ha parlato?”
“in realtà no. È molto suscettibile sull’argomento” specificò Erin, dispiacendosi del fatto che più volte avesse tentato, inutilmente, di capire cosa fosse realmente successo al ragazzo prima che si conoscessero.
“ci credo. È stato alla base della separazione dal suo migliore amico” raccontò Ambra “lui e Castiel erano come fratelli… sapessi quanto li ho invidiati” ammise “non capivo come facessero ad andare così d’accordo, ma del resto credo che nessuno lo sapesse tranne loro due”
“Castiel è convinto che Nath si sia fatto la sua ragazza” puntualizzò Erin, desiderosa di chiarire la questione una volta per tutte.
“e secondo te? Qual è la verità?”
“Nathaniel non può averlo fatto” asserì la ragazza con decisione.
“risposta corretta. Ho conosciuto Debrah solo in un paio di occasioni ma non ci vuole molto per inquadrare un simile personaggio. Era una ragazza subdola, calcolatrice…quel tipo di persona che non puoi mai sapere cosa pensi. Quando mio fratello è stato avvicinato da quel discografico, ricordo che lei si era precipitata a casa mia ed è riuscita a convincerlo a tenere Castiel all’oscuro di tutto. Nath insisteva per dirglielo a lui e al resto della band, ma lei riuscì a manipolarlo convincendolo a starsene zitto e intanto perorare la sua causa”
“e tu non hai fatto nulla?” la accusò Erin con tono fermo. Fosse stato per lei, si sarebbe intromessa senza tanti scrupoli. Non sarebbe rimasta a guardare mentre una simile arpia rovinava i rapporti d’amicizia del fratello.
“non dovevo neanche essere a conoscenza di questa conversazione… quella volta ho origliato. Inoltre con mio fratello non c’è mai stato quel rapporto di complicità e aiuto reciproco. Nath quindi non avrebbe tollerato una mia intromissione che tra l’altro, dopo anni di reciproca indifferenza, sarebbe risultata fuori luogo. Comunque…” continuò Ambra “com’era inevitabile, Castiel scoprì la verità e montò su tutte le furie. La difesa di Nathaniel fu alquanto debole ma prima o poi si sarebbero riappacificati, era chiaro… e questo lo sapeva anche Debrah.
Credo che si fosse montata la testa per mio fratello: ora che aveva un contratto, aveva un fascino tutto suo, il fascino del successo ma lei stava con Castiel e il modo più rapido per lasciarlo e sperare che mio fratello si mettesse con lei, era isolarlo dai suoi amici, far passare Nathaniel dalla parte del torto. Così raccontò a Castiel che lei e Nath avevano fatto sesso e, capirai, una cosa del genere non si può perdonare, specie se ti chiami Castiel Black e hai scritto in fronte orgoglio al 100%. Mio fratello si trovò così da solo, persino Alexy e Rosalya all’inizio si allontanarono da lui perché entrambi avevano insistito affinché raccontasse anche agli altri la storia del cd. Lui non li ascoltò e Castiel se la prese anche con loro per non aver parlato, quando in realtà sono d’accordo con quei due, toccava a mio fratello affrontare l’argomento.
Il cosiddetto club dei disadattati, che tutta la scuola ammirava e invidiava per l’amicizia dei suoi membri, si disintegrò all’istante.
Nathaniel si trovò così isolato: aveva solo Debrah al suo fianco e la prospettiva di sfondare nel mondo della musica. Prospettiva però che non si concretizzò in realtà”
Erin aggrottò le sopracciglia. Quello era un pezzo mancante della storia di cui nemmeno Castiel era a conoscenza. Dopo aver tagliato i ponti con il suo migliore amico, non aveva voluto sapere che fine avesse fatto la sua carriera da solista.
“il disco venne distribuito sul mercato, ma nonostante la dispendiosa campagna pubblicitaria, non ebbe un quinto del successo sperato. Le radio si rifiutarono di trasmetterlo come pure i negozi di dischi di acquistarlo. Già dopo due mesi, la casa discografica annunciò a mio fratello che poteva fare i bagagli ed andarsene. Non aveva futuro come artista musicale”
Erin era rimasta sconvolta.
Quell’epilogo così miserabile le spiegava molte cose, come l’amarezza che era scaturita dagli occhi del ragazzo la prima volta che aveva parlato della musica.
“e non hai sentito la parte migliore” aggiunse Ambra, sorridendo sarcastica, smorfia che poi divenne puro disprezzo “una volta che comunicò a mio padre il fallimento della sua iniziativa, lui non si scompose. Non ci aveva mai creduto e anzi era l’epilogo che si aspettava.
Due settimane dopo esser stato liquidato, Nathaniel, a mente fredda, realizzò che quell’accanimento nei suoi confronti non aveva nessun senso così cominciò a fare delle ricerche e ciò che scoprì lo segnò profondamente”
“cosa ha scoperto?”
Nonostante avesse formulato lei stessa quella domanda, Erin temeva di scoprirne la risposta.
“che mio padre, dall’alto del suo potere economico, aveva corrotto ogni negozio della zona, ogni stazione radio affinché non acquistassero o trasmettessero l’album di suo figlio”
Erin aveva sgranato gli occhi e spalancato la bocca, incapace di commentare mentre la bionda continuava:
“prova anche solo a immaginare come ci si possa sentire sapendo che tuo padre ha pagato per non farti realizzare i tuoi sogni”
Non era necessario che Ambra aggiungesse quella riflessione: la sua interlocutrice aveva colto perfettamente cosa avesse significato per il biondo.
Erin ripensò ad una conversazione avuta settimane prima, quando lei e il ragazzo avevano soccorso un gatto abbandonato:
 
“i gatti sono così indipendenti” commentò Erin.
“e liberi da condizionamenti” aggiunse Nathaniel. La nota malinconica non sfuggì ad Erin che spostò lo sguardo verso il ragazzo. Il biondo osservava ora l’animale con aria pensierosa e triste.
“c’è qualcosa di personale in questa osservazione?” gli chiese d’un tratto. Il biondo esaminò la mora con la coda dell’occhio e sospirò debolmente, quasi rassegnato da una verità che non poteva essere negata.
Si rimise in piedi mentre Erin continuava a fissarlo dal basso verso l’alto, rimanendo accucciata all’altezza del micio.
“non è facile essere il primogenito di una famiglia come la mia”
“è molto ricca?”
Erin si pentì istantaneamente di quella domanda. La risposta era talmente ovvia da farla passare per una stupida. Ambra che veniva a scuola in Rolls Royce vestita con abiti che probabilmente costavano quanto un mese di affitto dell’appartamento della zia, aveva extension di capelli naturali… come indizi circa lo status economico dei Daniels non erano poi così oscuri.
“più che altro la vera questione è come tenere in piedi l’intero capitale. Un giorno toccherà a me gestirlo e per poterlo fare al meglio mio padre si aspetti che io faccia delle cose… e che non ne faccia delle altre”
“per esempio?”
La ragazza si sentiva intraprendente e coraggiosa. Piano piano avrebbe cominciato a scavare nella personalità del ragazzo, conoscerne la storia. Non doveva avere fretta e fargli pressioni. Voleva che il ragazzo cominciasse ad aprirsi a lei, a raccontarle qualcosa di sé.
Sulle labbra di Nathaniel si disegnò un sorriso triste:
“musica”
“ti piacerebbe suonare?” indagò Erin. La sua mente cominciò a macchinare freneticamente. Pensava ai venerdì sera a scuola dove Castiel e Lysandre si ritrovavano per le prove. In qualche modo la musica poteva essere la chiave per ricucire un’amicizia che si era strappata.
“ormai ci ho rinunciato” commentò Nathaniel frugandosi nelle tasche.

 
(tratto dal capitolo 13 – Due contro due, N.d.A)
 
Ora ogni cosa aveva un suo perché. Capiva perché Nathaniel fosse tanto amareggiato quando si parlava del suo passato come musicista, perché si fosse infuriato con lei quando l’aveva accusato di aver davvero tradito Castiel.
“e Debrah?” mormorò Erin avvilita.
“quando, nonostante tuti i suoi sforzi, realizzò che Nathaniel non l’avrebbe mai amata, Debrah sparì, insieme alla speranza di mio fratello di diventare una star della musica”
Così Nathaniel si era davvero ritrovato solo. Chissà quanto doveva essere stato duro per lui quel periodo.
Castiel gli aveva vomitato addosso tutto il suo disprezzo, ma ignorava quanto il suo avesse sofferto a sua volta. Erin sentì una grande pena per Nathaniel e non potè fare a meno di chiedersi come facesse a tenersi tutto dentro.
Poi considerò il proprio atteggiamento verso Sophia e capì che, analogamente a lei che non parlava della sorella per non soffrire, Nathaniel non voleva condividere con altri quella storia, così da non riesumare un episodio che l’aveva ferito in modo irreparabile il suo cuore.
Per la prima volta, Erin si rese conto di quanto lei e il suo ragazzo fossero simili. Reagivano allo stesso modo alle batoste della vita, chiudendosi in sé stessi, con la differenza che lei aveva scoperto in Castiel una persona con cui aprirsi.
“cominciavo a darti per dispersa” la destò una voce dolce che apparteneva alla persona a cui stava pensando in quel momento. Alzò lo sguardo e vide Nathaniel venirle incontro sorridendo. Quell’espressione la fece sentire più sollevata, chiedendosi cosa fosse accaduto mentre lei parlava con Ambra.
Quest’ultima, non appena il fratello aveva rivelato la sua presenza, si era alzata dalla fontana. Avanzò di qualche passo ma poi si fermò e si voltò un attimo verso Erin:
“comunque Travis, grazie per gli appunti”
La compagna di classe rimase senza parole e cercò gli occhi di Nathaniel. Anche lui però sembrava condividere la sua perplessità. Non aveva rivelato alla sorella la fonte del materiale scolastico che le recapitava puntualmente a casa.
“come hai capito che ero io? Dalla pessima scrittura?” ridacchiò la mora, grattandosi la guancia e ancora scioccata dal fatto che Ambra l’avesse ringraziata.
“no” sorrise Ambra “dal fatto che gli esercizi più impossibili della Joplin erano tutti completati prima della correzione in classe”
Dopo aver pronunciato quelle parole, la ragazza era tornata a darle le spalle e si era allontanata, dirigendosi verso la villa.
Nathaniel si sedette accanto alla sua ragazza, accarezzandole delicatamente le nocche della mano:
“mi dispiace per questa serata Erin, non poteva andare peggio” sospirò amareggiato.
“non è colpa tua”
Il biondo sorrise debolmente e lei intuì che dietro quella smorfia, in parte c’era del sollievo. Sollievo per una serata finalmente conclusa:
“senti, che ne dici se ce ne andiamo da qualche parte? Non mi va di restare qui” le propose infatti il ragazzo. Erin annuì e, stringendogli la mano, lo seguì verso l’interno della casa.
 
Ambra salì le scale del salone ed entrò nella sua stanza. Accese il PC e nel frattempo guardò fuori dalla finestra: vide Nathaniel ed Erin scendere nel vialetto, seguiti da Molly. Quest’ultima disse qualcosa alla ragazza che rispose sorridendo. La coppia poi si congedò e salì in macchina, ancora visibile nella notte grazie alle luci posteriori.
Ambra tornò a dedicare la sua attenzione al computer: sfogliò una serie di cartelle fino ad aprire un documento di testo nominato Ravenclaw11 chat.
Da quando aveva conosciuto Sophia, aveva preso l’abitudine di fare copia incolla delle loro conversazioni, che a forza di rileggerle, ormai conosceva a memoria. Tuttavia, l’effetto che quelle frasi sortivano in lei era sempre il medesimo: un sorriso nostalgico.
Dopo aver riletto l’intero documento, Ambra si loggò a The Owl, in cui non entrava va parecchie settimane e cercò tra le amicizie, nel gioco chiamate alleati, il nome Ravenclaw11.
Entrò nel suo account, scegliendo poi la casella di posta interna al gioco e lasciò l’ultimo messaggio di una serie che non aveva più ricevuto risposta. Ma mentre nei precedenti, chiedeva spiegazioni alla ragazza circa il suo allontanamento, in quest’ultimo si limitò a digitare:
“quando tornerai, sarò qui ad aspettarti, Sophia”
 
Quando Erin e il suo ragazzo erano rientrati nel salone, avevano trovato solo Ingrid a riceverli. Nonostante fosse domenica sera, Gustave era impegnato in una telefonata nel suo ufficio così toccava alla moglie concludere quella disastrosa serata. L’ospite non sapeva cosa dirle ma fu Nathaniel a tagliare corto, comunicando alla madre che sarebbero usciti.
Ingrid non si scompose, finì di sorseggiare la sua tisana alla menta peperita e salutò freddamente Erin.
Appena quest’ultima aveva sentito chiudersi il portone d’ingresso alle sue spalle, un’incredibile sensazione di sollievo l’aveva pervasa.
 
“avevo bisogno di stare un po’ da solo con te” aveva ammesso Nathaniel mentre guidava. Anche su di lui si poteva notare che tutta la tensione provata fino a poco prima se n’era andata.
In Erin però, il disagio aveva lasciato ora il posto ad un senso di inquietudine per ciò che aveva scoperto. Essendo la sua ragazza, avrebbe voluto che lui si aprisse con lei, che le confidasse quello che sentiva dentro, ma il biondo sembrava aver chiuso a chiave quel cassetto del suo passato. Non poteva forzarne l’apertura perché temeva che avrebbero finito per litigare, di nuovo, come in passato.
Inoltre, i suoi pensieri caddero inevitabilmente sul suo silenzio circa Sophia, di cui ancora si ostinava a non parlarne con nessuno. Con Ambra le era venuto spontaneo: indirettamente la bionda conosceva la sorella e, una volta rivelata la sua parentela con Ravenclaw11, per Erin era stato inevitabile raccontarle della scomparsa di Sophia.
Mentre era assorta nei suoi pensieri, vide sul ciglio della strada un grosso cane nero che la distrasse: si ricordò di Demon e da lì il collegamento mentale al suo padrone fu immediato: con Castiel, i suoi modi erano così spontanei, con lui sapeva quale era la cosa giusta da fare e non temeva le conseguenze, perché sapeva di agire nell’interesse dell’amico.  Quando si era intromessa nella sua vita, insistendo per conoscere il passato del rosso, dopo le prime resistenze, lui le aveva aperto il suo cuore, avevano discusso animatamente ma si erano anche incontrati a metà strada.
Lei a quel punto aveva realizzato che lui fosse ancora innamorato di Debrah e, per rispetto a quei sentimenti, non aveva più sfiorato la questione.
“andiamo al parco Queen’s Victoria?” propose Nathaniel, destandola dalle sue riflessioni.
 
Dopo un quarto d’ora di guida, i due si trovarono seduti su una panchina del parco.
Videro passare solo un uomo che faceva jogging e che fornì ad Erin lo spunto per iniziare la conversazione.
“correre sarà anche bello, ma alle dieci di domenica sera la gente farebbe bene a darsi una calmata”
“vedo che hai recuperato la lingua” commentò Nathaniel compiaciuto.
“forse dovresti accertartene” replicò Erin che, rincuorata dal buonumore del biondo, si sentì improvvisamente audace.
Si avvicinò a lui che le cinse una mano dietro la nuca e avvicinò il loro contatto.
Continuarono a baciarsi per un po’, dimenticarono i pensieri che avevano affollato le loro menti: Nathaniel si lasciò alle spalle la penosa cena mentre la sua ragazza, le avvilenti rivelazioni di Ambra.
Quella notte, su quella panchina, in quel parco, esistevano solo loro.
“Erin” la sussurrò il ragazzo, staccandosi da lei “c’è quel discorso che abbiamo lasciato in sospeso”
Nonostante l’approssimazione di quelle parole, la ragazza capì perfettamente cosa intendesse Nathaniel. Stavano insieme da più di un mese eppure non avevano ancora fatto il salto di qualità come coppia e quella carenza non dipendeva certo dal ragazzo. Lei avrebbe presto compiuto diciotto anni, a gennaio mentre lui saliva per i diciannove, non erano due ragazzini.
“lo so” ammise con voce roca, tradendo un certo nervosismo “ma io non…”
“ho capito” tagliò corto il biondo, mordendosi le labbra e staccandosi da lei.
Imbarazzata e preoccupata, temette di averlo fatto arrabbiare, così patteggiò:
“ne riparliamo dopo le vacanze?”
“sarà cambiato qualcosa?” replicò lui con tono neutro, guardando il cielo.
La ragazza cominciò a sentirsi sempre più a disagio. Lei lo amava eppure non riusciva ad abbandonarsi completamente. Qualcosa dentro di lei la frenava e la invitava a prendere tempo.
“quando lo faremo, voglio esserci al 100%” disse infine, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia. Il ragazzo sorrise e le accarezzò la schiena.
“aspetterò”
 
Rosalya si girò nel letto guardando Leigh.
Quando dormiva sembrava un angelo. Gli accarezzò la guancia con il dorso della mano e rimase lì ad ammirarlo. Avevano fatto l’amore poco prima e lei sentiva il suo corpo pervaso da quel senso di stanchezza e appagamento che sono conseguenti all’atto.
Troppe volte si era trovata ad immaginare che quei capelli scuri si schiarissero sotto i suoi occhi, fino a diventare d’oro e gli occhi neri diventassero del color dell’ambra. Leigh era l’antitesi di Nathaniel e proprio per questo, quando il primo le si era dichiarato, aveva accettato il suo amore. Come sperava Rosalya, da quando si erano fidanzati, il suo interesse per il biondo era scemato ma il fatto che a distanza di due anni ancora ci pensasse, la confondeva.
Era arrivata al punto di spingere una delle sue più care amiche tra le braccia del ragazzo, sperando che anche questo la aiutasse a dimenticarlo una volta per tutte.
La vergognosa verità era quindi che, per salvare se stessa, aveva coinvolto persone innocenti come Erin e Castiel. Era solo questione di tempo prima che quest’ultimo ammettesse di essere innamorato della ragazza ma ora che lei stava con Nathaniel, Rosalya aveva fatto bruciare ogni speranza nel rosso. Conosceva l’insicurezza di Castiel, il suo eterno senso di inferiorità rispetto al biondo e spingendo Erin a sceglierlo, aveva condannato il rosso all’inossidabile convinzione che mai la ragazza avrebbe ricambiato i suoi sentimenti.
Aveva sbagliato tutto: non aveva ancora dimenticato Nathaniel, aveva negato a Castiel la possibilità di essere felice e aveva sfruttato Erin; non ne era sicura, ma probabilmente nemmeno la mora era la ragazza giusta per Nathaniel, anche se all’inizio non la pensava così.
“e saresti tu quella giusta?” malignò una voce nella sua testa.
Rosalya staccò gli occhi da Leigh e cominciò a guardare il soffitto.
E che dire del ragazzo che dormiva beatamente accanto a lei? Anche lui aveva tradito. Non che non ne fosse innamorata ma evidentemente non lo era quanto di Nathaniel, altrimenti il ragazzo non avrebbe continuato ad affollare la sua mente. Leigh non si meritava quell’ipocrisia, doveva avere accanto una persona che lo amasse quanto lui meritava.
Eppure, nonostante il senso di colpa, Rosalya non riusciva ad essere sincera con nessuno, tranne che con Alexy.
“cosa aspetti a dichiararti?” le aveva chiesto più volte il gemello in passato, quando ancora lei era single.
“aspetto che sia Nathaniel a farlo” rispondeva placida lei, consapevole che quel giorno non sarebbe mai arrivato. Lei era solo un’amica, Nathaniel non poteva vederla diversamente. Ne aveva avuto la prova quando aveva conosciuto Rachel, la prima ragazza del biondo: così a modo, matura, riflessiva.
Rachel era una donna, lei una ragazzina vivace e impulsiva.
 
La stanza era bombardata da spartiti sparsi ovunque: sul pavimento, sulla scrivania, sulla trapunta, sulla sedia, così che Demon fu costretto ad accucciarsi in silenzio nell’unico spiazzo della camera rimasto libero, ai piedi del letto. Il suo padrone intanto passava in rassegna ogni foglio, studiandolo febbrilmente per pochi secondi. Canticchiava qualche motivetto per poi apportare delle modifiche di cui si pentiva all’istante.
Mancava così poco a quel concerto ed era dannatamente teso e insicuro dei propri pezzi. Alla fine i suoi amici l’avevano convinto a eseguirne alcuni e, dopo tante insistenze, Castiel si era arreso alla loro volontà.
Si ritrovò tra le mani la canzone Under the stars. L’aveva composta un anno prima ed era una di quelle di cui era più orgoglioso. Eppure, durante l’ultima prove con la band, l’esecuzione di Lysandre non lo aveva convinto. I suoi amici, le ragazze in particolare, sostenevano che invece il vocalist fosse perfetto, ma non c’era stato verso di convincere il compositore.
Del resto solo lui sapeva a chi pensava quando l’aveva composta: non era una canzone concepita per una voce maschile.
Dal pavimento raccolse un altro foglio e dopo averlo studiato, si allungò a recuperare la chitarra:  
“che dici Demon, questa ti piace?” gli chiese, mostrandogli lo spartito.
Il cane alzò il capo, destato dall’interesse che gli veniva rivolto, facendo così ridacchiare il padrone:
“hai ragione. Te la faccio sentire” e così Castiel cominciò a strimpellare qualche nota.
Dopo un minuto circa si interruppe e posò poi lo sguardo sull’animale, ripetendo la domanda:
“allora amico?”
La coda del cane si strusciava concitata contro il pavimento e il musicista rispose soddisfatto:
“lo prendo per un sì”
Mancavano cinque giorni al concerto, quasi quattro ormai visto che la domenica stava lasciando il posto al lunedì. Ormai aveva ricontrollato ogni canzone, ogni battuta, alla ricerca di errori. La band si era ritrovata svariate volte dopo la scuola, alcune delle quali senza le ragazze che, per quanto utili, erano pur sempre una fonte di distrazione.
Soprattutto Erin.
Nell’ultimo periodo, non riusciva a non guardarla, a non perdersi una sua smorfia o gesto.
Una melodia cominciò a materializzarsi improvvisamente nella sua mente così recuperò la chitarra e cercò di riprodurla. Sorpresosi lui stesso per quell’idea, impugnò allora un foglio e trascrisse in note quella musica, per non dimenticarla.
Da quando aveva conosciuto Erin, la sua musica era stata la prima a trarne beneficio.
Non che lui fosse rimasto impermeabile a quell’ondata di aria fresca: anche se non l’aveva mai ringraziata per questo, era stato solo grazie a lei se pian piano il gruppo si era ricostruito… e probabilmente non mancava molto che anche lui e Nathaniel deponessero l’ascia di guerra.  Tuttavia, l’idea di dover sopportare la vista del biondo e dell’amica insieme lo nauseava. Con questa consapevolezza, preferì pensare ad altro, senza interrogarsi ulteriormente sul perché di quella sensazione; la risposta sarebbe giunta istantanea e non aveva nessuna intenzione di ascoltarla.
Guardò la chitarra, la sua Sophia, e sorrise:
 
Castiel si alzò di mala voglia e abbandonò il letto. Svegliarsi con il suono martellante e acuto del campanello di casa non rappresentava certo un buon risveglio. Il suo ospite inatteso si era puntato contro il pulsante  da almeno due minuti e non dava segno di staccarsene.
Castiel aveva compiuto sedici anni il giorno prima e, secondo quanto sancito dal giudice, era diventato ufficialmente una persona legalmente emancipata. Nell’appartamento che suo padre gli aveva regalato, lui e Demon godevano della massima libertà e indipendenza.
“chi è quel coglione che rompe le palle a quest’ora?” biascicò cercando di mettere a fuoco  l’ora. Sbadigliò sonoramente, realizzando che erano le undici del mattino ma questa consapevolezza non lo aiutò a sentirsi meno assonnato. Incurante del proprio abbigliamento, rappresentato unicamente da un paio di bermuda del pigiama a causa del caldo estivo, il padrone di casa andò ad aprire.
Spalancando la porta si trovò di fronte Nathaniel con Demon,  all’epoca più piccolo, che gli trotterellava accanto.
“era ora!” lo accolse il biondo, tra il derisorio e lo scocciato.
“potrei dire lo stesso. Grazie per il regalo” rise sarcastico Castiel, rinfacciando scherzosamente all’amico il mancato pensierino per il suo compleanno. Il giorno prima infatti, il biondo si era limitato ad un messaggio di auguri, pur sapendo che all’amico serviva un pretesto per sottrarsi da una pesante giornata con compagnia con i genitori che, almeno per quel giorno, volevano passarlo tutti insieme,
“sono qui proprio per questo” lo informò Nathaniel “sono venuto a presentarti Sophia”
Castiel strabuzzò gli occhi e guardò con panico la sua mise. La stampa dei procioni sulla stoffa dei pantaloncini del pigiama non era esattamente l’ideale per far colpo su una ragazza. Avvampando esclamò:
“m-ma che cazzo di regalo hai pensato?!”
“ma che hai capito idiota, sempre a pensar male” lo canzonò il biondo, allungandosi a prendere un oggetto posato contro la porta e che Castiel non poteva vedere dalla sua prospettiva:
“questa, è Sophia” spiegò Nathaniel, tamburellando la mano contro una custodia dalla forma inconfondibile. Una chitarra elettrica.
Il moro era rimasto senza parole, tenendo la bocca aperta e gli occhi sgranati.
Quella chitarra se sognava anche di notte. I dettagli cromati, le corde tese e che vibravano al minimo tocco: fino a quel momento, Castiel Black non aveva mai desiderato tanto qualcosa in vita sua quanto quello strumento.
Nathaniel ridacchiò e si accomodò in casa mentre l’amico lo fissava incredulo:
“non ne potevo più di sentirti lamentare del fatto che la chitarra della scuola fa schifo, che le corde si allentano con niente e bla bla bla” commentava il biondo facendo il verso al suo migliore amico, mentre si spaparanzava sul divano.
“l’hai comprata per me?” mormorò Castiel incapace di riprendersi.
“no, l’ho rubata per Demon, sai… fa di quegli assoli canini da paura, gli ci vuole una chitarra…. Ovvio che è tua, scemo!” scherzò Nathaniel, porgendogliela.
“ti sarà costata un botto”
“non per tirarmela, ma uno dei pochi vantaggi di avere una famiglia come la mia è che puoi comprare una chitarra elettrica e nessuno se ne accorge… insomma, ti decidi ad aprirla o devo riportarla in negozio?”
A quel punto, Castiel non se lo fece ripetere due volte e sganciò velocemente la custodia.
Si trovò di fronte una magnifica Fender nero lucido, con inserti metallizzati in argento.
“è-è pazzesca” mormorò Castiel, sentendo le lacrime salirgli agli occhi.
Ammutolì nella speranza che l’amico non se ne accorgesse. Quel regalo era troppo. L’aveva desiderata così tanto ma era troppo orgoglioso e arrabbiato con i suoi genitori per chiederglielo.
“a black guitar for Castiel Black” commentò Nathaniel per stuzzicare l’amico e risparmiagli l’imbarazzante situazione di piangere davanti a lui dalla gioia.
“battuta di merda” replicò per l’appunto Castiel sentendo sciogliersi il groppo alla gola.
Quella chitarra era semplicemente magnifica.
“com’è che l’hai chiamata? Sophia?” chiese d’un tratto.
“già, mi piace come nome”
“sembra quello di una principessa” protestò il ragazzo.
“a me piace” insistette Nathaniel “è molto di classe” si difese, accarezzando Demon che accorreva a fargli festa. L’amico sorrise e dichiarò:
“e Sophia sia, del resto sei tu il finanziatore”
Nathaniel sorrise a sua volta e lasciò che l’amico si godesse il suo regalo. Castiel accarezzava le corde come fossero i capelli di una ragazza e le faceva vibrare delicatamente, diffondendo nella stanza suoni irregolari.
Dopo un po’ il festeggiato  chiamò il suo benefattore:
“Nate…”
Il biondo sollevò il capo, distogliendosi dalle attenzioni che aveva riservato a Demon.
“grazie” disse con il cuore “ti sarò debitore a vita”.
 
Come ogni sera, Alexy preparò i vestiti per l’indomani. Detestava trovarsi a scegliere cosa indossare la mattina stessa. Optò per un paio di pantaloni in tessuto rosso e una maglia color blu. Talvolta il fratello lo prendeva in giro, sostenendo che fosse daltonico ma la condivisione dello stesso patrimonio genetico era la prova più che lampante del fatto che non potesse essere vero.
Armin fece capolino sulla soglia della stanza e commentò:
“non mi ricordo più se alla fine suoniamo i Nickelback”
“mah, è tutto da vedere” sospirò Alexy, ponendosi davanti allo specchio con la maglia in mano “la scaletta serve solo a noi per avere un’idea delle possibili canzoni, mica le suoneremo tutte. Secondo me già dopo otto nove pezzi la gente si romperà”
“si, lo penso anche io” ammise il gemello, sedendosi sul letto dell’altro.
Alexy ne indagò l’espressione e commentò:
“cominci a sentire la tensione?”
“non sono mai salito in vita mia su un palco, sai com’è... giusto un pelo di agitazione ci sta” ammise Armin mentre osservava Alexy ripiegare l’indumento.
“se ti consola, ogni volta che ci penso, me la faccio sotto” gli confessò quest’ultimo.
“non sei di incoraggiamento fratellinoreplicò sarcastico il gemello.
Alexy ripose i vestiti sulla sedia, piegando anche i pantaloni con cura. Il fratello aveva trovato una pallina e si divertiva a lanciarla contro la parete, prendendola al rimbalzo:
“venerdì tornerà Ambra” commentò d’un tratto Alexy senza guardare il suo interlocutore.
Armin non replicò subito. Continuò a giocare distrattamente con la pallina tanto che il fratello cominciò a sospettare che non l’avesse sentito.
Prima che il gemello potesse ripetere il suo commento, Armin rispose semplicemente:
“lo so”
 
 
NOTE DELL’AUTRICE
Volutamente nello scorso capitolo non ho inserito le note finali. Il fatto è che in quel capitolo per la prima volta, sono riuscita ad arrivare a uno di quei generi di finali per cui prenderei a calci chi li scrive: quelle conclusioni che ti lasciano senza parole, a bocca asciutta, quando tu invece saresti avida di sapere (fortunatamente dalle vostre recensioni ho capito di aver raggiunto questo sadico obiettivo :3).
Quindi, ciò che non vi dissi lì, ve lo riporto qua: il titolo “TI PRESENTO I MIEI” si rifà ad una commedia con Ben Stiller di qualche anno fa e l’ho volutamente scelto per ricollegarmi a “INDOVINA CHI VIENE A CENA”, titolo di un meraviglioso film e del capitolo in cui è Nathaniel a conoscere i genitori di Erin. Tralasciando il mio amore per questo vecchio film degli anni Sessanta, capolavoro del cinema americano, anche per il 28, ho scelto il titolo di un film:: in questo caso il requiem è per il sogno di Nathaniel che, dopo le rivelazioni di Ambra, capiamo aver appeso il microfono al chiodo. Ho immaginato quanto sia difficile per un figlio non trovare l’appoggio dei genitori per quanto riguarda i propri interessi, quindi se addirittura questi ti mettono i bastoni in mezzo alle ruote, è ancora più avvilente. Nathaniel poi è un personaggio che ha molti punti in comune con la sua Erin e spero che in questo capitolo ciò si sia visto: mentre Castiel (o Sophia) spaccherebbero il mondo, loro due hanno la tendenza a tenersi tutto dentro. Qui allora c’è da chiedersi: sono una sostenitrice della teoria “gli opposti si attraggono” oppure “il simile scioglie il suo simile”? Ok, quest’ultima frase non ha senso ma spero abbiate capito cosa intendo.
La parte in cui Castiel si commuove per il regalo di Nathaniel è un po’ autobiografica ^^) quando ero in seconda liceo ho sbavato per mesi su una tavoletta grafica che però i miei, in quel periodo, non potevano permettersi. Quando finalmente me l’hanno regalata, ricordo di essermi commossa e di aver capito solo allora quanto ci tenessi. Quella è stata la mia prima tavoletta grafica tanto che ora non è più compatibile con gli ultimi sistemi operativi e attualmente ne uso una più professionale, ma nonostante questo, non riesco ancora a gettarla (e sì che io non sono una che si lega particolarmente ai beni materiali).
 
Devo prendermi un po’ di tempo per il prossimo capitolo perché è quello su cui ho creato un po’ troppe aspettative sulle fan di Castiel,
Manu_Green8 e  _nuvola rossa 95_ in particolare (l’ho notato ora che avete entrambe un colore nel vostro nickname XD, buffo :3… tra l’altro sono i miei due colori preferiti…aspettate un attimo che coloro i nomi)… quindi portate pazienza qualche giorno… voglio rileggerlo e correggerlo più volte.
Grazie a tutte ma soprattutto alle recensioniste dello scorso capitolo che oltre alle due già citate e colorate, si aggiunge
caionesabrina, LiaLoveCat, SuperfanShiho, cioccolatina15, JulietLove <3.
 
In questi giorni sto rileggendo i vecchi capitoli visto che finalmente nella storia sono saltati fuori i retroscena del passato della protagonista e voglio essere sicura di non aver lasciato niente in sospeso (o per lo meno di non aver dimenticato nulla)… e devo ammettere che è divertente tornare indietro di così tanti mesi, quando ancora tra i vari personaggi non c’era la confidenza che c’è ora (per esempio mi ero dimenticata che la prima volta che Erin incontra Rosalya, quest’ultima le sbatte la porta in faccia -.-‘’)… questo per dire che, anche per questo, da oggi in poi rallenterò un po’ il ritmo frenetico con cui ho pubblicato gli ultimi capitoli… ma comunque , finché non riprenderò l’università, non intendo farvi aspettare più di quattro/cinque giorni.
Alla prossima!
  
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