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Autore: Chiara Porcelluzzi    12/09/2014    0 recensioni
C'era nei suoi sorrisi quella voglia strana di libertà, che io stessa per tanto tempo avevo trovato, avevo custodito gelosamente tra le mie mani, come se fossero uno scrigno inaccessibile. Poi un giorno avevo perso il mio riflesso e le mie catene avevano incominciato ad avvolgermi stretta in un abbraccio freddo e senza amore. Poi, un altro giorno avevo perso la mia ombra e il mio cielo sconfinato si era chiuso a guscio, sulla mia testa solo una calotta gelida. Sul viso di Chiara, la mia libertà. Sul viso di Carlo c'era disegnato il mare, anche se il vento dei suoi timori l'aveva lavato via. Erano passati i suoi desideri sul suo viso, i suoi sogni, le sue speranze, le sue paure. Era passato il suo cuore e il mare l'aveva fatto naufragare via. Quel suo cuore che aveva lasciato andare per combattere. Sul suo viso forse il mare era stato lavato via dal mare stesso, da quelle onde mosse dal vento dei suoi timori. Lo osservai e rideva. La sua voce superò quella delle onde, quella delle sue paure. Sul suo viso c'era ancora il mare. Solo che lui non se ne accorgeva più.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

C’ero una volta io, che avevo paura che il mio essere me stessa potesse provocare danni irreparabili alle persone intorno a me. Io, Allegra, che di allegro avevo il sorriso e allo stesso tempo il timore di mostrarlo. Così diceva Chiara, la mia amica di sempre. Lo sottolineava spesso e mentre me lo diceva mi sorrideva a sua volta. Mi abbracciava e mi diceva di non smettere mai di ridere con le labbra e con gli occhi, perché non avrei fatto del male a nessuno. Mi diceva di non chiudere mai quei miei occhi e di cercare sempre quello di cui avevo bisogno. Il mio bisogno era sorridere senza paura. Bene, con convinzione, ad occhi aperti. Il mio bisogno era di non lasciarmi andare mai, nonostante tutto. Il mio bisogno era di mostrare il mio cuore nascosto infondo agli occhi. Aperti.

C’era una volta lui, che aveva sempre avuto un cuore, ma non lo sapeva. Non riuscivo a capire dove si trovasse, non era al suo posto, incastrato nel petto, ma nemmeno nei suoi occhi, spesso chiusi. Diceva a me e a Chiara che ciò che comunemente chiamiamo “cuore” in realtà è solamente “mente”. E secondo la sua mente non esiste nulla di più meccanico del cuore. Pulsa sempre. Pulsa solamente. Diceva che il suo bisogno era quello di trovare una ragione per sorridere, perché ad essere sempre triste ti escono le rughe. E mentre lo diceva rideva. Aveva il terrore di invecchiare e di perdere la felicità che tanto cercava ancor prima di trovarla.

Il nostro bisogno era cercare sempre posti nuovi dove frugare, rubare, senza perderci mai. Tra le onde, nei palazzi abbandonati, nelle nostre stesse tasche, nel mio cuore, nella sua mente.

Io e lui ci siamo regalati un sogno, ci siamo salvati la vita. Senza saperlo. Non abbiamo mai saputo di essere arrivati al punto più bello. Quel momento in cui ti mimetizzi ma vieni sempre trovato. Quel momento in cui inizi a sbocciare, ma il tuo periodo di fioritura è breve e tu sei delicato e fragile. Come un anemone. Allora ti aggrappi a quel tuo cuore o a quella tua mente e te lo dici, lo urli, lo gridi davvero: ce la puoi fare.

  
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