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Autore: blaithin    12/09/2014    8 recensioni
Si dice che l’amore nasca per mezzo della capacità dei propri occhi di guardare all’interno di una persona, accettandone i difetti e innamorandosi dell’anima, integra o distrutta, pura o sporca, bella o brutta che sia. O forse, semplicemente, l’amore è come l’alba: illumina. E ci innamoriamo, pian piano, come quando si inizia a leggere un libro. Ci innamoriamo dei personaggi, del profumo della carta sfogliata, dei paesaggi descritti, della storia. Ci innamoriamo nel tempo, apprezzando anche le cose più piccole di una persona. Ci innamoriamo del sapore delle labbra, del profumo dei capelli arruffati dopo aver fatto l’amore, degli occhi luminosi incastrati nei propri. Ci innamoriamo di un bacio sulla tempia, di una carezza sul viso dopo aver pianto lacrime amare per una discussione. Ci innamoriamo dell’amore, dell’idea che ci creiamo di esso, per poi distruggere tutto come un castello di carta spazzato via dal vento. Si cancella l’idea di amore data dal mondo per crearne una tutta nuova e personale, condivisa solo con la persona amata.
(One Shot partecipante al contest 'happy birthday, niall!')
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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One shot partecipante al contest: happy birthday, niall!
 
Baci di cioccolata calda e vodka.
 
Per la lettura di questa one shot, consiglio la seguente playlist:
http://8tracks.com/ljttlethjngs/niall-s-eyes
 
 
NB: il nome della protagonista si legge tale e quale come è scritto, Lilah, e non con la pronuncia inglese e quindi Laila. Anche se la storia è ambientata nel Regno Unito e in particolare in Irlanda, ho voluto dare un nome particolare al mio personaggio.
Scusate il disturbo, e buona lettura.
 
 
Portumna, Ireland Eire.
Pioveva, quella sera. Diluviava. Grosse gocce d’acqua cadevano dal cielo, scivolando sui rami degli alberi e sui tetti delle case, creando una melodia che si espandeva nell’aria, tagliando il silenzio assieme ai forti tuoni spaccaossa. Lampi improvvisi illuminavano la strada, mentre i lampioni con la loro luce fioca, cercavano invano di combattere contro il buio pesto di quella sera bagnata.
I vestiti fradici erano attaccati ai corpi di due ragazze appena scese da un taxi, con le loro valigie sotto mano e i muscoli dei loro visi ormai tirati, presi in ostaggio dalla stanchezza di un lungo viaggio. Si chiamavano Lilah e Julie. La prima vestita con neri jeans e un paio di scarpe da ginnastica, mentre un maglione troppo largo per il suo corpo le scivolava su una spalla e la faceva rabbrividire dal freddo. Aveva grandi occhi color verde Irlanda, pelle talmente diafana da far invidia alle fate narrate nelle leggende e capelli castani, che sotto i raggi della luce solare prendevano il colore del rame. Labbra che invidiavano le ciliegie più mature contornavano il viso magro, mentre il naso sottile perfezionava il tutto. Gli occhiali erano riposti nell’apposito contenitore all’interno della borsa in pelle, la quale era posta a tracolla, ma la ragazza sapeva presto che avrebbe dovuto prenderli fuori se non voleva girovagare a vuoto per quella cittadina sconosciuta, conoscendo perfettamente l’inesistente senso dell’orientamento della sua amica. Julie, invece, portava freddi occhi ghiacciati, invidiati da tutti, mentre capelli color pece contornavano il suo viso bambinesco, facendone risaltare le labbra sottili color pesco in fiore. Il naso leggermente all’insù le dava un’aria quasi angelica, e la pelle leggermente dorata le donava un aspetto dolce. Indossava un paio di scarpe da ginnastica, le quali erano poste sotto a una comoda tuta e un giubbotto che la riparava leggermente dalle gelide folate di vento.
Era il primo febbraio, e il freddo correva nelle ossa della gente che camminava nelle strade, facendo innalzare il tasso delle influenze e dei raffreddori, il quale aveva deciso di coinvolgere anche la piccola Lilah. Lilah odiava il raffreddore. Le si tappava il naso, non permettendole di respirare, e di conseguenza facendole seccare labbra e gola, portandola a notti insonni accompagnate da sbuffi scocciati e fazzoletti accumulati sul comodino.
Starnutì, sotto la pioggia, e masticò un paio di insulti verso quel tassista che le aveva abbandonate in quella strada buia e umida. Julie invece, si guardava attorno in cerca di un riparo per entrambe, non calcolando minimamente l’amica che borbottava sottovoce parole poco carine verso quel pover’uomo, che voleva soltanto tornare alla sua calda dimora dalla sua famiglia. Gli occhi color ghiaccio si illuminarono non appena notarono un’insegna di un locale in fondo alla strada, dirigendosi in quella direzione e chiamando a gran voce l’amica, evitando di lasciarla sotto al diluvio mentre imprecava. Lilah camminò dietro Julie trascinando i piedi a terra dalla stanchezza e dal troppo peso che stava trasportando, sia per le valigie che per i vestiti completamente fradici ed attaccati al corpo. Tremava leggermente, ma non voleva mostrarlo troppo per non dare soddisfazione a Julie, la quale l’aveva avvertita che avrebbe fatto freddo e che una semplice maglietta e un maglione non sarebbero bastati. Ma Lilah era incredibilmente testarda, e non ascoltava mai nessuno, nemmeno i suoi genitori.
Entrarono nel locale velocemente, rabbrividendo per l’incredibile sbalzo di temperatura dall’esterno. Era carino, il posto: i tavolini erano addossati al muro, mentre il centro della sala era stato liberato per lasciare posto a una pista da ballo improvvisata, con la musica che veniva espulsa dalle casse, poste sopra un piccolo palco dove alloggiava la postazione del dj. Le persone ballavano a ritmo della melodia riprodotta in quel momento. Si dimenavano, liberando la mente da tutti quei cattivi pensieri che intaccavano la mente e che si insediavano in essa, come una malattia dell’anima. Bevevano e ridevano, rendendosi giovani per una notte, dimenticandosi del mondo che continuava a vivere. Lilah li fissava gelosa, sentendo l’invidia corroderla. Voleva dimenticare, voleva bere fino a stare male, per poter dire finalmente  di aver avuto la sua prima sbronza. A diciannove anni, non sapeva ancora cosa significasse ridere per l’alcol in circolazione nelle vene. Non poteva bere, Lilah. Era sotto farmaci, da tutta una vita, per tenere sotto controllo quel mostro che la mangiava dall’interno, logorandola e facendola soffrire nel corpo e nell’animo, anch’esso ferito dall’oppressione di quel dolore incancellabile. Lilah voleva, anche solo per una sera, offuscare i pensieri e vivere da diciannovenne. Ma non poteva permetterselo.
«Credo ci sia una festa, vado al bancone a chiedere se conoscono un albergo nelle vicinanze o dei bed and breakfast!» disse Julie ad alta voce, lasciando le proprie valigie accanto all’amica che si era seduta su una sedia accanto alla porta d’entrata, tenendo sotto controllo i bagagli. La castana annuì per poi aprire la borsa tirando fuori il pacchetto di Lucky Strike  e cercando l’accendino, non trovandolo e sbuffando per l’esasperazione.
«Ehi, bimba! Ti serve da accendere?» una voce maschile le fece alzare il viso e socchiudere gli occhi, cercando di intravedere il suo interlocutore in mezzo alle luci psichedeliche. Vedeva un sorriso corretto da un apparecchio, e capelli biondi arruffati per il troppo ballare. Un naso fine accompagnava il viso delicato, mentre le guance arrossate dal troppo caldo facevano notare la pelle chiara del ragazzo. Indossava solo una maglietta e un paio di jeans, entrambi scuri, mentre ai piedi delle Vans usate per chissà quanto tempo, davano il tocco finale a tutto. Lilah balbettò un assenso, arrossendo lievemente e abbassando lo sguardo, vedendo poi una mano con un accendino occuparle la vista. Lo afferrò, sfiorando il palmo del ragazzo e rabbrividendo per la differenza di temperatura tra i due corpi; era così caldo in confronto a lei. Vide il biondo sedersi accanto, accendendosi una sigaretta anche lui ed espirare lentamente il fumo dalle labbra rosse, mentre la ragazza lo osservava con la coda dell’occhio, trovandolo bellissimo. Si girò poi verso di lei, presentandosi come Niall e donandole un altro sorriso. Lilah si presentò a sua volta, stringendo la mano del biondino, osservandolo sorridere ancora più ampliamente.
«Hai un bel nome, bimba. Posso sapere quanti anni hai? Non credo nemmeno che tu ne abbia più di diciassette, il tuo visino è troppo delicato e puro.» le disse Niall, ammiccando leggermente nella sua direzione, facendola irritare per quel tono lievemente divertito che aveva usato nei suoi confronti.
«Ne ho diciannove, tinta fallita.» rispose Lilah, spegnendo la sigaretta nel posacenere e incrociando le braccia al petto, sentendo dei brividi correrle per la schiena. Probabilmente le stava venendo la febbre, i vestiti fradici le si erano attaccati addosso come una seconda pelle, facendole sentire il freddo che arrivava dalla finestra al di sopra della sua testa. Niall si alzò senza dire nulla e sparì in una stanza, lasciando Lilah da sola, facendola rimanere male per quel comportamento maleducato. Lo vide poi tornare indietro con un giaccone tra le mani, e non appena arrivò accanto alla ragazza glielo posò sulle spalle, sorridendole. La castana arrossì, ringraziandolo timidamente e chiedendogli scusa per le parole antipatiche che gli aveva rivolto pochi minuti prima. Il ragazzo sorrise, di nuovo, e «Non fa nulla, bimba, sono stato decisamente poco cortese. L’alcol mi rende un po’ allegro e rude, quello a chiedere scusa devo essere io. Comunque, ho ventitré anni e mi chiamo Niall!» le parole uscirono leggere dalle labbra del biondo, che non appena si accorse di aver ripetuto il suo nome, cominciò a ridere, permettendo ai cocktail bevuti poco prima di entrare in circolo. Lilah ridacchiò coinvolta dalla risata del ragazzo accanto a sé, trovandola semplicemente bella e… piena di vita.
«Lilah siamo nella merda. Non ci sono hotel qui, fino alla prossima cittadina e… oh. Piacere, Julie!» la mora sorrise e porse la mano a Niall, il quale la strinse e si presentò a sua volta, sorridendo di nuovo. Lilah lo invidiava, un po’; negli ultimi dieci minuti non lo aveva mai visto abbassare le labbra per lasciar spazio alla serietà, era rimasto con il sorriso ampio. E lei ne era maledettamente gelosa, perché non sapeva più come si sorridesse, aveva dimenticato come la felicità di un sorriso potesse migliorare l’anima, come una carezza data a un bambino addormentato da una madre amorevole. Aveva semplicemente dimenticato come essere felice.
Dopo quella presentazione, Julie cominciò a parlare a raffica, approfittando del lento riprodotto dal dj, per spiegare all’amica come fossero senza un tetto per la notte e per la settimana a venire. Lilah la guardò preoccupata, cominciando a farsi prendere dal panico, trasmettendo la sensazione all’amica. Dove sarebbero andate? Come avrebbero fatto a contattare i loro genitori, se i cellulari erano morti da ormai un paio d’ore?
«Ragazze, ehi! So che ci conosciamo da neanche un’ora, ma se volete posso ospitarvi io! Nel mio appartamento c’è una camera in più vuota, ci abitiamo io e un mio amico! Potete venire da me, non c’è nessun problema.» Niall le interruppe, frenando il loro panico crescente. Le ragazze lo guardarono insicure, non sapendo se fidarsi o meno di quel ragazzo conosciuto quella stessa sera.
«Giuro su mia madre che non sono uno stupratore né tantomeno un assassino. Potete fidarvi di me, davvero.» sorrise sinceramente, passando il piacere di fare un favore agli occhi, i quali Lilah scoprì del colore del più profondo degli oceani. Julie annuì, fidandosi delle parole del ragazzo conosciuto poco prima, per poi spostare lo sguardo sull’amica parlandole con lo sguardo, facendole capire che la stanchezza del viaggio stava cominciando a pesarle. Lilah sospirò, chiudendo gli occhi e borbottando una risposta che fece ampliare il sorriso di Niall, facendolo diventare ancora più bello di quello che era già.
«Bene, allora. Vado a recuperare il festeggiato e poi possiamo andare a casa!» disse il ragazzo per poi girarsi e ficcarsi nella mischia di gente alla ricerca dell’amico, mentre Julie si sedette accanto all’amica, tirandole una gomitata e «E’ carino, Lilah. I miei più vivi complimenti.» ridacchiò, mentre la castana arrossì e abbassò lo sguardo, stringendosi in quel giubbotto morbido e caldo. Sorrise lievemente cercando di non farsi notare dall’amica, mentre ringraziava qualcuno lassù per aver trovato loro un posto per la notte.
 
 
 
 
Si dice che l’amore nasca per mezzo della capacità dei propri occhi di guardare all’interno di una persona, accettandone i difetti e innamorandosi dell’anima, integra o distrutta, pura o sporca, bella o brutta che sia. O forse, semplicemente, l’amore è come l’alba: illumina. E ci innamoriamo, pian piano, come quando si inizia a leggere un libro. Ci innamoriamo dei personaggi, del profumo della carta sfogliata, dei paesaggi descritti, della storia. Ci innamoriamo nel tempo, apprezzando anche le cose più piccole di una persona. Ci innamoriamo del sapore delle labbra, del profumo dei capelli arruffati dopo aver fatto l’amore,  degli occhi luminosi incastrati nei propri. Ci innamoriamo di un bacio sulla tempia, di una carezza sul viso dopo aver pianto lacrime amare per una discussione. Ci innamoriamo dell’amore, dell’idea che ci creiamo di esso, per poi distruggere tutto come un castello di carta spazzato via dal vento. Si cancella l’idea di amore data dal mondo per crearne una tutta nuova e personale, condivisa solo con la persona amata.
Lilah era seduta al cornicione della finestra, vestita di una felpa troppo larga per un corpo così piccolo, che la copriva fino a metà coscia, mentre le gambe erano fasciate da jeans chiari macchiati di inchiostro. Li usava per scrivere e per disegnare, glieli aveva regalati la nonna ormai defunta; li considerava un po’ il suo porta fortuna, ogni volta che li aveva indossati era successa qualche cosa talmente bella da illuminarle un po’ quella vita così buia ed oppressa che possedeva.  Teneva in mano una tazza di the verde, riscaldandosi le mani nonostante fosse ormai giugno inoltrato. Era a casa di Niall, si era dovuti rinchiudere in quel piccolo appartamento per ripararsi dal diluvio che infervorava all’esterno. Le lacrime di cielo battevano sui vetri, mentre il vento soffiava, divertendosi a innalzare le foglie strappate dai loro rami madre.
La castana si girò e afferrò la borsa, prendendo il solito contenitore di pillole e buttandole giù, bevendo poi un piccolo sorso di the per idratare la gola secca. Ritornò a guardare la finestra, poggiando la testa al muro e fissando le goccioline che lentamente  scorrevano sul vetro, tirate verso il basso dalla forza di gravità, dando inizio a quel gioco a cui tutti i bambini partecipano. E in effetti si sentiva una bambina, Lilah; ogni volta che era in compagnia di Niall la vita tornava a essere più luminosa, tornava a ridere come quando appunto era bambina, dimenticandosi della malattia, viveva. Ed era merito di quel ragazzo dalla tinta fatta male se lei sapeva di nuovo come sorridere. Il suo sorriso le migliorava la giornata, la voce graffiata che alla mattina la salutava al telefono per darle il buongiorno, voce di qualcuno appena sveglio. Si prendeva cura di lei come nessuno aveva mai fatto. E non aveva chiesto nulla, durante quei mesi in cui si erano conosciuti, era rimasto in silenzio a vederla inghiottire quelle pillole colorate, imparando che Lilah aveva bisogno di tempo. Ma in fondo, che cosa è il tempo se non il trascorrere dei minuti, delle ore, dei giorni? Trascorreva troppo velocemente, sembrava quasi che qualcuno avesse premuto il tasto immaginario del videoregistratore per accelerare la visualizzazione della vita. E Lilah se ne era accorta, di questo fatto. Si era accorta come i giorni corressero uno dietro l’altro, lasciandole a malapena il respiro in quei polmoni ormai malandati.
Soffriva di attacchi d’asma. Non la prendevano spesso, ma quando lo facevano erano semplicemente orribili per lei. Aveva otto anni quando il primo l’aveva punta. Se lo ricordava bene: era a scuola di ballo, mentre saltava da una parte all’altra della sala, sorridendo davvero felice per ciò che faceva. Amava ballare sulle note della musica classica, in particolare su quelle di Tchaikovsky e su quei balletti che quel grande autore dei tempi passati aveva creato con tanta cura e perfezione. Aveva smesso di respirare per una decina di secondi, aggrappandosi alla sbarra di fronte agli specchi, guardandosi negli occhi impauriti riflessi. La maestra era accorsa quando era caduta a terra, cercando di farla calmare senza riuscirci. E poi la chiamata, il panico tra le altre bambine, le sirene, l’ambulanza, l’ospedale. Il dottore che vietava qualsiasi sforzo fisico per prevenire questi attacchi d’asma, lei che si chiudeva in sé stessa, i genitori che cercavano di farla uscire di casa.
Niall era poggiato allo stipite della porta a braccia incrociate al petto, fasciato da una maglietta bianca a maniche corte. Osservava Lilah alla finestra, in tutti i suoi particolari: i capelli mossi che le cadevano umidi sulle spalle, la sua felpa che la proteggeva da quel freddo inusuale per essere giugno, gli occhi chiari persi nelle nuvole nere, le delicate mani sulla tazza di the che proprio in quel momento era sulla sua bocca rossa. Niall le aveva sognate quelle labbra, tante e tante volte. Le aveva sognate sulle sue, sulla sua guancia, sul petto, sulle braccia. Aveva sognato baci ardenti e parole sussurrate alle lenzuola, bramava carezze al viso e alla schiena bianca della ragazza. Si svegliava sudato ed accaldato per quei desideri riposti nel sonno, passando notti insonni a pensare a quelle belle labbra che schioccavano baci.
«Hai ancora freddo, Lilah?» la castana alzò lo sguardo e si incantò, davanti a quei pozzi di acqua blu impiantati nei suoi. Scosse il capo, cercando di distrarsi bevendo un sorso di the, rilassando leggermente i muscoli tesi del collo, muovendo leggermente la testa. Stavano tornando dal lavoro quando aveva iniziato a diluviare, e Niall le aveva offerto riparo per quel pomeriggio, anche per la notte se fosse stato necessario. Era stato un buon amico in quei cinque mesi di conoscenza: le aveva trovato un lavoro nello stesso negozio di dischi dove lavorava lui, e intanto si era trasferito in un altro appartamento, lasciando quello vecchio per Harry e Julie, i quali stavano assieme da un mese e mezzo. Da quel famoso primo febbraio, era cambiato tutto per Lilah. Aveva trovato un appartamento in cui inizialmente abitava con l’amica, mentre il lavoro andava alla grande assieme a Niall. La faceva ridere nei momenti di noia, la portava al lago con cui confinava Portumna, anche se faceva troppo freddo, e beveva cioccolata calda corretta con la vodka, mentre lei lo guardava leggermente brillo che parlava e parlava, raccontando le vecchie leggende sui folletti e sulle fate, facendola incantare sulla sua voce melodiosa e vellutata.
Due mani furono poggiate sulle sue spalle, cominciando a massaggiare quei muscoli tesi. Poggiò la tazza ormai vuota al tavolino lì accanto e fece spazio al ragazzo che si sedette dietro di lei, continuando a sfiorarle le spalle cercando di farla rilassare dopo tutto lo stress della giornata. Ma la verità era che Lilah non riusciva a calmarsi; le mani calde di Niall facevano contrasto sulla sua pelle fredda, mentre cercava di controllare il respiro e i battiti del cuore accelerati. Non era mai stata toccata in quel modo, per il semplice fatto che allontanava sempre tutti, non permettendo a nessuno di fare amicizia con lei. Ma da quando era a Portumna insieme all’unica amica che avesse mai avuto, era cambiata radicalmente. Con Niall al suo fianco si sentiva protetta, al sicuro da tutte quelle lingue di serpe che circolavano nel mondo. Aveva fatto amicizia con Harry, il migliore amico del biondo, e anche con Louis, il ragazzo che lavorava al bancone del famoso locale. C’era Zayn, poi, che lavorava all’unico asilo di Portumna, e che era completamente cotto di Rebecca, una sua collega dolce e simpatica. E Liam, il bibliotecario, fidanzato dai tempi delle superiori con Ilary, ragazza sempre sorridente che non smetteva mai di scherzare. Aveva fatto amicizia con tutti loro, stupendo i genitori e anche la cara Julie, la quale non aveva mai assistito a nulla del genere.
Non si era accorta di aver chiuso gli occhi fino a quando le mani di Niall non avevano smesso di massaggiarle il collo, facendola girare verso di sé e guardandola negli occhi, parlandole senza aprire bocca. Le guance di Lilah si colorarono di un chiaro rosa che fece sorridere il ragazzo, il quale le sfiorò il viso delicato con la mano, avvicinandosi poi lentamente. Stava dando la possibilità di scegliere alla castana, se scappare oppure rimanere lì da lui. Le stava dando spazio, le stava dando tempo. E lei ne fu felice, perché per la seconda volta in vita sua nessuno stava decidendo al posto suo, aveva libero arbitrio. E il fiato corto, il cuore che cercava di uscire dalla cassa toracica, le mani poggiate sul petto di lui, caldo e confortante. E poi le labbra, timide, si sfiorarono, facendo partire una scossa elettrica per quei due corpi, entrambi bisognosi d’amore, di essere amati e di amare fino a stare male. Un bacio delicato, fragile, interrotto da un sospiro di piacere del ragazzo che spostò le mani sui fianchi sottili, spostandola sopra le sue gambe. Le piccola dita di lei nei capelli di lui, mentre pian piano la delicatezza si trasformava in passione, lingue che si cercavano, labbra umide che bramavano e bramavano ancora. Uno schiocco e bocche gonfie di baci si separarono, le fronti si unirono e sussurri incominciarono.
«Grazie, per esserti fatta baciare.» parole di Niall. Sorrideva leggermente, aprendo poi gli occhi e inondando l’anima di Lilah. Perse un battito a tale bellezza, rimase senza fiato. Le fronti ancora attaccate, le mani sui fianchi, le dita nei capelli. Corpi stretti tra loro, per sempre uniti da quel filo invisibile chiamato destino.
«Grazie a te, per averlo fatto.» un mormorio della castana, e occhi incatenati per secondi infiniti. E poi di nuovo le labbra a cercarsi tra loro, bisognose le une delle altre, umide e ardenti. Un piccolo morso al labbro di Niall e una risatina da parte del diretto interessato. E una scia di baci bollenti sulla mascella, sul collo. Mani sotto la felpa ad accarezzare i fianchi, le altre ancora infilate tra i capelli a stringerli, per il piacere. Lilah venne presa in braccio, aggrappandosi alle spalle del biondo che la teneva stretta a sé dalle cosce, mentre ancora altri baci venivano schioccati nel silenzio della pioggia. La appoggiò al muro accanto alla finestra, accarezzando le gambe della ragazza con dolcezza e amore, alzandole di tanto in tanto la felpa e facendole correre i brividi di piacere lungo la colonna vertebrale. In quel momento, in quella situazione con Niall, baciandolo mentre fuori il diluvio continuava a scrosciare, Lilah si sentiva amata, per la prima volta sua. Sentiva le mani del ragazzo tremare leggermente, quasi avesse paura di farle del male al solo tocco, e i baci delicati che sapevano di cioccolata mescolata al the di lei, mentre si spostavano verso la camera da letto, continuando a sfiorarsi e a cercarsi con gli sguardi pieni d’amore e di desiderio. Fu poggiata delicatamente sulle coperte e Niall le si mise sopra, proteggendola dal mondo e facendole dimenticare tutto ciò che li circondava in quel momento. Le baciava piano il collo scendendo verso la scollatura della felpa, per poi sfilargliela e fissarla ammaliato, rendendosi finalmente conto della bellissima creatura che era stesa sotto di lui, e che in pochi instanti sarebbe stata sua. Lilah arrossì sotto quelle iridi blu che la fissavano come il più bel fiore del campo.
Era imbarazzata, tanto. Non era mai andata oltre il bacio con i ragazzi, nonostante i suoi quasi vent’anni, e aveva paura. Del dolore, di essere presa da un attacco di asma. Paura di soffrire. E Niall la vedeva questa paura, aleggiava nei suoi occhi come un uccello del malaugurio. La baciò, lentamente, sfiorandole dolcemente un fianco e «Non avere paura, bimba. Ci sono qui io a proteggerti.» un sussurro all’orecchio di lei, rassicurante come una carezza di una madre. E un piccolo morso sul collo, dolce e paffuto, mentre Lilah decise finalmente di prendere un  respiro profondo e portare le mani sotto alla sua maglietta, accarezzando la pelle calda del ragazzo fino ai pettorali, sfilandogliela poi del tutto. Percorreva il petto di lui con mani delicate, esplorandolo come una bambina in un negozio di giocattoli. E Niall non le metteva fretta, le dava tempo, aspettandola con calma. Sospirava pesantemente, abbracciando con il proprio corpo la fragile bellezza di lei, che aveva cominciato a baciare quei piccoli nei sul collo, uno ad uno, con lentezza estenuante. Fremeva di sentirla attorno a lui, i gemiti, il suo nome sussurrato mescolato al piacere, le braccia attorno al suo collo. Bramava ancora di più quella pelle candida sotto la sua bocca, toccarla come nessuno mai aveva fatto, facendola sentire speciale e viva, come voleva sentirsi anche lui. Voleva tornare a vivere, a respirare, e lei era la sua scappatoia dall’inferno che era la sua vita. Lilah era quella boccata di aria fresca, la sua piccola fata porta fortuna. Perché se sorrideva lei, sorrideva anche lui. Erano incatenati uno all’altro, dipendevano degli occhi dell’altro e della risata dell’altro. Si facevano sentire vivi a vicenda, dopo tanto tempo.
«Posso?» sussurrò Niall con la mano sopra ai jeans, giocherellando con il bordo e guardandola negli occhi, in cerca di qualche risposta. Lilah annuì, irrigidendosi leggermente e arrossendo, sentendo improvvisamente tanto caldo. Balbettò qualcosa sul fatto che fosse la sua prima volta, e il biondo tornò con gli occhi nei suoi, rassicurandola con un dolce sorriso e baciandole teneramente il naso. E, piano piano, i jeans vennero sfilati dalle bianche gambe magre, lasciando Lilah con addosso soltanto un intimo nero e le guance infiammate dall’imbarazzo. Un altro scontro tra due paia di labbra, una color ciliegia e l’altro color pesco in fiore, baci di cioccolata calda e vodka. La ragazza ne era totalmente ubriaca, ora che li aveva assaggiati non poteva più farne a meno, ne voleva ancora e ancora, all’infinito. E Niall la soddisfava, la baciava con amore, scontrando le loro lingue, le quali si cercavano e si cercavano ancora, accorciando i loro respiri e aumentando il desiderio dei propri corpi di appartenersi e di unirsi per tutta la vita. Si abbassò poi, e cominciò a lasciare una scia di baci leggeri e bollenti sui seni, sul tessuto che li copriva, sullo stomaco, sui fianchi e saltò alle cosce, sospirando leggermente sopra al leggero cotone di quella parte così intima e pura della ragazza, facendole venire i brividi. Baci delicati, ben studiati. E poi un richiamo della castana, e lui corse all’instante per baciarla ancora una volta e tenendola al sicuro, accarezzandole la vita con le grandi mani e sussurrandole parole d’amore all’orecchio per tranquillizzare quella meravigliosa creatura che aveva tra le braccia.
«Andrà tutto bene, te lo prometto.» promesse, promesse e promesse. Lilah le sentiva ogni giorno e ormai nemmeno le ascoltava più, sapendo perfettamente che le persone non le avrebbero mai mantenute. Erano solo parole dette per dare aria alla bocca, che la infastidivano soltanto, facendole girare il viso dall’altra parte, disgustata. Ma in quel momento, ci credette davvero. Credette alle parole di Niall, facendosi prendere da quelle belle labbra che aveva ritrovato in un ‘sogno d’una notte di mezza estate’. E allora si decise a sfilargli quei pantaloni della tuta blu, facendoli scivolare lungo le gambe toniche, mentre lui la aiutava. Rimasero a guardarsi negli occhi, a contemplarsi a vicenda, per poi baciarsi di nuovo, abbassando le palpebre e assaporando le labbra dell’altro. La mano di Niall le sfiorò la spalla, invitandola dolcemente ad alzare la schiena per sganciare il reggiseno. Lilah seguì quegli ordini muti, e inarcando la colonna vertebrale permise al ragazzo di arrivare ai piccoli gancetti. Lo sentì imprecare per i vani tentativi di apertura e ridacchiò, baciandogli poi la spalla destra e sentendolo sospirare al suo orecchio, facendole contorcere i muscoli del basso ventre. Riuscito in quell’impresa, spostò delicatamente l’indumento e lo buttò assieme all’ammasso di vestiti, abbassandosi e lasciando piccoli baci di fuoco sui freddi seni della ragazza. Piccoli gemiti fuoriuscivano dalla bocca di Lilah, aumentando l’eccitazione di Niall, che ormai sentiva troppo stretti i boxer.
«Lilah Green, vuoi fare l’amore con me?» sussurrò Niall, baciandole poi la tempia e aspettando una risposta, che non tardò ad arrivare.
«Sì Niall Horan, voglio fare l’amore con te.» mormorò all’orecchio del ragazzo, lasciando un bacio sulla mascella e unendo poi le loro labbra, amalgamandosi e fondendo le loro anime in una sola. Una mano scivolava verso il basso, scontando l’intimo di lei, e Niall si mise a contemplarla ancora una volta, non credendo che una creatura così bella stesse per diventare sua. Lilah arrossì, portandosi le mani sul viso cercando di nascondersi, e il biondo ridacchiò, scostandole le dita e baciandole il naso, poi gli zigomi, la fronte ed infine le labbra. Le schioccò un bacio, puro e semplice, casto. Stava andando piano, stava andando contro il tempo per darle tempo, sapendo che la paura rimaneva lì, in agguato, pronta a carpirla in qualsiasi momento. E lui non lo avrebbe permesso, l’avrebbe protetta. Fu poi il turno della ragazza, che con mani tremanti fece scivolare l’ultimo pezzo di tessuto che il ragazzo indossava, baciandogli il petto e accarezzandogli le braccia, cercando di calmarsi e non farsi prendere dal panico.
E quel giorno, quell’esatto momento, Niall se lo ricorda bene. Si ricorda di essere entrato in lei lentamente, dopo essersi protetto, e di averla accolta tra le sue braccia, asciugando quelle piccole lacrime che scendevano da quei bellissimi smeraldi di cui si era innamorato. Avevano fatto l’amore, mentre fuori il tempo continuava a scorrere e la pioggia a battere sui vetri, con il cielo che scuriva. Ma loro rimanevano lì, su quel letto, ad accarezzarsi in posti proibiti, baciando ogni parte di pelle visibile e amandosi, come solo due amanti sanno fare. Amore puro, di quelli che, se si ha fortuna, si vedono una solo volta nella vita. Si amavano e lo sapevano, anche se non se lo erano detto ad alta voce. Amavano per ricostruirsi, per sentirsi vivi e non crollare nell’oblio oscuro che era la loro vita.
 
 
 
 
Dopo quel pomeriggio, Lilah gli raccontò tutto. Del tumore al seno al quarto stadio che aveva coinvolto anche i polmoni. Glielo avevano trovato a quindici anni, quando aveva avvertito dei dolori anormali al petto, in particolare al seno sinistro. Una semplice visita di controllo le aveva cambiato la vita, trasformandola in giornate di pillole colorate, che rallentavano la crescita del tumore. Ma Lilah non capiva: perché prendere quelle pastiglie, se tanto poi sarebbe morta? Perché prolungare l’agonia, se nel giro di un paio d’anni non ci sarebbe stata più? Non comprendeva perché i dottori volessero allungare anche solo di un paio di mesi tutto quel dolore. Non poteva sopportare di vedere tutta quella sofferenza negli occhi dei suoi genitori, non ce la faceva a far finta di niente. Per questo se ne era andata di casa, contro il loro consenso. Voleva scappare e dimenticare. Voleva morire sapendo di aver vissuto come una persona normale. Ma il quel momento, su quel letto coperto di lenzuola profumate di dopobarba maschile, vide per la prima volta il dolore, comprese. Niall si mise a piangere, non vergognandosi delle lacrime che scorrevano sulle sue guance arrossate. E Lilah non disse nulla, rimase in silenzio, abbracciando quel ragazzo che dopo cinque mesi non aveva mai visto crollare. Lo teneva stretto tra le sue braccia, accarezzandogli i capelli, mentre lui sfogava il suo dolore sul petto della giovane, stringendola forte a sé, lasciando la tristezza scorrere nelle vene.
 
 
 
 
Tredici settembre.
Dopo la rivelazione di giugno, Niall aveva deciso di non lasciarsi andare. Voleva passare il tempo che ancora le rimaneva nel migliore dei modi, senza pensare alla malattia, ma vivendo. L’aveva portata sempre al lago nei mesi precedenti, facendola sorridere in tutti i modi possibili, mettendo in gioco anche sé stesso. Battute squallide, il finto maldestro, mimare qualcuno dei suoi amici. Ma aveva sempre il sorriso stampato in faccia, e Lilah non capiva come ci riuscisse, ad essere sempre felice. Glielo aveva chiesto un giorno mentre erano seduti al piccolo molo in legno, con i piedi immersi nell’acqua, il sole che sfiorava le loro pelli chiare e un vento che scompigliava leggermente i capelli.
«Io sorrido perché ci sei tu, bimba. Sorrido perché sei la mia felicità.» le aveva detto, mentre guardava le nuvole rincorrersi nel cielo azzurro. E a Lilah erano salite le lacrime agli occhi, perché, in quel momento, tutto ciò che voleva era rimanere con Niall per sempre. Non voleva lasciarlo, non voleva vederlo perdere il bellissimo sorriso che aveva, ma soprattutto non voleva lasciarlo da solo nell’oblio. Si era poggiata alla sua spalla, cominciando a piangere, e lui non le aveva detto niente, l’aveva stretta tra le sue braccia e baciato il capo, facendola sfogare. Erano rimasti lì per un paio d’ore, e poi erano tornati all’appartamento di lui a fare l’amore, sfiorandosi e toccandosi come se fosse la prima volta per entrambi.
Niall aveva fatto ventiquattro anni quel giorno, ma non ne era contento. Lo spaventata crescere, ma soprattutto lo spaventava la vecchiaia, le responsabilità sulle proprie spalle, il non potersi più divertire come una volta. Aveva il terrore di sbagliare e di non poter più rimediare. Ma la castana era lì con lui, la sua piccola fata lo proteggeva dalle ombre e dall’oblio. Era il suo salvagente, Lilah. Lo teneva a galla in quel mare di dolore e delusioni che era la sua vita. E non poteva essere più felice di aver trovato la sua anima gemella. Perché sì, quella piccola ragazzina dagli occhi smeraldo era la sua soulmate, la parte mancante del suo cuore, e non poteva più farne a meno di quelle labbra color ciliegia, tenute in trappola dai denti bianchi. Non aveva voluto fare nessuna festa, aveva preferito rimanere a casa con la sua ragazza, dandole tempo contro il tempo. Non poteva sprecare un solo minuto con lei, perché presto il tempo l’avrebbe portata via da lui.
Erano come l’Yin e Yang, o per lo meno Niall si sentiva così. Si sentiva il male, il nero viscoso e sofferente, mentre Lilah era il suo bene, il bianco puro, la luce. Purtroppo nel bene c’è sempre radicato un po’ di male, e il tumore era il nero che intaccava l’anima della sua piccola fata, sporcandola e facendole, appunto, del male. Ma Lilah era il suo bene nel male, quello spiraglio di speranza verso la luce, verso il ‘non tutto è perduto’. Lo aveva sorpreso però, quando la ragazza aveva tirato fuori un piccolo pacchetto regalo, dorato, con un fiocco nero. Lo aveva posato sulle sue gambe e poi si era alzata, chinandosi e lasciandogli un bacio sulla fronte, sussurrandogli che andava a preparare della cioccolata calda per entrambi. Aveva annuito, e mentre lei si dirigeva in cucina, lui scartava quel pacchetto con delicatezza. Gli si mozzò il fiato non appena aprì la scatolina, trovandoci Yin. Il bianco non spettava a lui, lo sapeva bene. Trovò un piccolo bigliettino all’interno e, mentre teneva il ciondolo in una mano, con l’altra lo aprì, leggendo quelle parole che ben presto conobbe a memoria: “Nel bene c’è sempre un po’ di male, così come nel male c’è sempre un po’ di bene. Ricordati che sei il mio bene. Buon compleanno, tinta fallita. –L. xx”. Dopo aver letto quelle parole, finalmente comprese: lei era il suo bene, così come lui era il suo. Vivevano in simbiosi all’altro, come due calamite. Senza, sarebbero tornati nell’oblio. Agganciata la collanina e poggiato il pacchetto sul tavolo del soggiorno, era andato in cucina e l’aveva abbracciata da dietro, baciandole il collo e sussurrandole un «Grazie, amore mio.». E poi ancora e ancora baci delicati, mani nei capelli e un abbraccio stretto e pieno d’amore. Avevano passato la sera sul divano, bevendo per la prima volta la cioccolata calda corretta. E dopo aver visto ‘Sette anni in Tibet’, essendo il film preferito di Lilah, finirono col fare per l’ennesima volta l’amore sul divano, amandosi come mai avevano fatto, assaporando baci di cioccolata calda e vodka.
 
 
 
 
Era metà febbraio quando accadde. Un anno dopo aver incontrato l’amore della loro vita. Lilah era uscita per andare a fare un po’ di spesa, voleva preparare qualcosa di diverso quella sera. Non lo faceva spesso, ma quando capitava Niall ne era felice, vedeva gli occhi della sua ragazza illuminarsi entusiasti per essere riuscita in qualcosa. Camminava per i marciapiedi di Portumna, stringendosi nel giubbotto e stando alle lastre di ghiaccio sparse qua e là sull’asfalto. Scivolò e stava per finire in mezzo alla strada, se non fosse stato per un signore che la tirò per il braccio, facendole accelerare il battito cardiaco. Lo ringraziò con un sorriso, e continuò a camminare verso il supermarket che si trovava dietro l’angolo. Attraversò le strisce pedonali, e poi, il buio.
Niall era al lavoro, sistemando dei nuovi dischi sullo scaffale del jazz e sbuffando; non vedeva l’ora di tornare a casa e stare con Lilah, abbracciarla e baciare le sue belle labbra. Gli squillò il cellulare, e per poco non scivolò dallo sgabello su cui aveva un equilibrio precario. Scese, riprendendo fiato e battito cardiaco, per poi rispondere ad Harry, acido. Si sentì mancare alle parole dell’amico, tanto che si dovette appoggiare agli scaffali per non cadere a terra. Gli si mozzò il respiro, mentre il telefono cadde sul pavimento in legno. Non ci credeva, non voleva crederci, era una cosa troppo surreale per essere vera. Sentì poi la voce del riccio urlare preoccupato il suo nome, credendo gli fosse successo qualcosa. Raccolse allora il cellulare da terra e «Sto arrivando.» mormorò tremolante, correndo immediatamente fuori, fregandosene della giacca e del capo che gli gridava di tornare indietro. Lilah era più importante, Lilah era la sua meta, Lilah gli invase la mente.
 
 
 
 
L’aria di settembre soffiava tra gli alberi leggero, mentre il sole accarezzava delicato il viso di Niall, seduto ad una panchina al parco. Aveva gli occhi chiusi e il volto verso il cielo. Ascoltava il silenzio, e la tempesta che da mesi lo occupava nell’anima. Quel giorno compiva venticinque anni, ma addosso se ne sentiva cinquanta di più. Era così stanco, privo di vita, voleva cancellare i suoi ricordi, azzerare la memoria e non provare più niente. Ma non poteva, il tempo scorreva lento e incolore nella tela della sua anima distrutta. Quel tempo che era arrivato troppo in fretta per l’amore della sua vita, quel tempo inesorabile che lo stava logorando lentamente, e che non gli permetteva di lasciar andare via l’incidente. L’incidente. Al solo pensiero sentì una stretta al cuore, forte, come artigli infilzati all’interno. La sua piccola fata non c’era più, doveva accettarlo. E i ricordi tornarono per l’ennesima volta nella sua testa, torturandolo ancora. L’ospedale, Harry che gli spiegava l’incidente e di come il camion fosse scivolato sulla lastra di ghiaccio, Julie che piangeva, i suoi amici seduti su quei seggiolini in plastica nera, il dottore che usciva dalla sala operatoria e scuoteva la testa. Eccola, la morsa micidiale. Sentì le lacrime spingere sulle palpebre, e non si degnò di asciugarle quando cominciarono a scorrere sulle guance. Lilah era morta perché il tempo era arrivato prima del tempo.
Sentì una mano sulla spalla ed aprì gli occhi gonfi, notando una ragazza dai capelli color pece osservarlo con un piccolo sorriso sulle labbra. Si sedette accanto a lui, respirando l’aria frizzantina che le scompigliava i capelli, e chiudendo gli occhi, beandosi di quella pace che cercava da giorni. Niall rimase zitto mentre osservava Julie, per poi sospirare e guardare di fronte a sé, in un punto vuoto e perdendosi nei pensieri. Notò poi una piccola mano aprire la sua e posarci una busta bianca. Alzo lo sguardo e la guardò curioso, chiedendo spiegazioni mute.
«Me l’ha data Lilah, un anno fa, voleva che te la dessi il giorno del tuo compleanno se lei non ci fosse stata più. E’ una lettera, credo. Non mi sono permessa di aprirla, ciò che c’era tra te e lei rimarrà sempre tra voi. Sono venuta qui sapendo che ti avrei trovato, ma ora torno a casa, Harry starà impazzendo per l’arrivo di sua madre. Leggila, Niall. Ti farà bene.» disse la mora, donandogli un sorriso ampio e alzandosi dalla panchina, incamminandosi verso casa. Il biondo non disse nulla, rimase lì a rigirarsi quella busta bianca. Si sfiorò il ciondolo sotto la maglietta, cercando di non piangere e sospirò. Doveva smetterla, lo sapeva, ma non riusciva ad andare avanti. Doveva lasciarla andare, ma non ce la faceva senza di lei. In un piccolo moto di coraggio, aprì la busta e tirò fuori quel foglio pieno di scritte che, sapeva, lo avrebbero ucciso. Quel tredici settembre, Niall iniziò a leggera la sua prima ed ultima lettera dell’amore della sua vita.
“Ehi, Niall!
Ok, questa cosa è decisamente strana. Stai dormendo proprio accanto a me, con la bocca mezza aperta e stai anche russando (mi vendicherò domani per questo, sta tranquillo) –sorrise leggermente al ricordo. Gli aveva spalmato in faccia una torta alla panna per aver russato troppo forte-, ma sei bellissimo. Come sempre. Non so perché sto scrivendo questa lettera, sinceramente mi sembra un po’ stupido, ma volevo fare qualcosa di classico. Volevo semplicemente ringraziarti, per tutto quello che hai fatto e che stai facendo per me. Mi hai insegnato a sorridere di nuovo, Niall. Mi stai facendo vivere, dandomi quel tempo che necessitavo per poter tornare a respirare. Sei stato la mia luce nel buio, il mio Yin nello Yang. Ti ho regalato la parte bianca, per il tuo compleanno. –sfiorò ancora una volta il ciondolo, ricacciando indietro le lacrime- Lo sai perché? Perché tu sei il mio bene, amore mio. Lo sarai sempre, anche quando non ci sarò più. Resterai sempre con me, perché Yin non vive senza Yang, così come io resterò sempre con te. Credo che ti sto scrivendo questa lettera per paura, sai? Perché ne ho tanta, Niall. Non della morte, quella arriva per tutti, ma di lasciarti solo. Ho paura di romperti il cuore quando me ne andrò via, e io non voglio questo. Non potrei mai desiderare tutto quel dolore alla persona di cui sono innamorata. Sì, hai letto bene biondo, sono innamorata di te. Lo sono da quando mi hai baciato per la prima volta, a casa tua, te lo ricordi? Certo che sì, abbiamo anche fatto l’amore per la prima volta quel giorno. Sei stato l’unico, Niall, e lo sarai per sempre. Anche dopo la mia morte. –una morsa al cuore, mentre una lacrima scendeva lenta sulla guancia- Non avere paura di questa parola, non temerla. Arriva per tutti, prima o dopo. Non ti chiedo di non piangere, né tantomeno di non soffrire, perché non sarebbe giusto da parte mia chiederti una cosa del genere. Ti chiedo invece, di asciugarti le lacrime, e di continuare a vivere, come quando stai con me. Sorridi Niall, perché quando lo fai illumini il mondo, il mio e di tutti quelli che ti circondano. Sorridi, perché il sorriso è la cosa più bella che tu possa donare a qualcuno. Ricordati di me, di questi mesi (e spero anche anni) –un singhiozzo scappò dalle sua bocca, e si morse il labbro, non provando nemmeno a frenare le lacrime ormai copiose sulle guance- che abbiamo passato assieme. Ricordati, rivivi il nostro amore, perché io sarò sempre lì con te, Niall. Non potrò parlarti né toccarti, ma ricordati che un amore come il nostro dura più di un infinito, e non potrà mai essere distrutto, neanche dalla morte. Ricorda questo.
Grazie ancora, grazie di cuore. Sei stata la cosa più bella che mi sia mai capitata, sei il mio sorriso, la mia felicità. Grazie per essere entrato nella mia vita, Niall Horan.
Credo che debba smettere di scriverti, è quasi l’alba e vorrei dormire un paio d’ore, accanto a te. Mi tieni al caldo e scacci i miei incubi, amore mio. Sei la mia luce nell’oscurità.
Ti amo, e lo farò sempre.
 
Lilah (la tua piccola fata. Lo so che mi chiami così, ho letto il messaggio che hai mandato ieri a Harry)”
 «Ti amo anche io, bimba.» sussurrò chiudendo poi gli occhi e sentendo il viso bagnato accarezzato da una leggera folata di vento. E dopo mesi, finalmente, Niall Horan sorrise di nuovo.
 
 
 
 
 
Ok, è finita. Non ci credo.
Sono stati tre giorni di inferno, davvero. Non riuscivo a finirla, mi tremavano le mani fino a un’ora fa.
(Non) ringrazio Giulia per avermi obbligato a scrivere questa one shot. In origine doveva essere solo puro fluff, ma ho voluto trasformare le cose e quindi del “sano” sad!fluff è stato ficcato qui dentro.
Non ho mai scritto così tanto se non un anno fa per una mia vecchia one shot (per chi la conoscesse sì, parlo di Dies Nivalis), quindi mi ritengo piuttosto soddisfatta di ciò che è venuto fuori.
E niente, volevo ringraziarvi per averla letta, davvero. Grazie.

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A presto,
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