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Autore: _Heartland_    12/09/2014    7 recensioni
{ | One Shot/Long di 2315 parole | Song-Fic | KatnissCentric! | Little Moment Galeniss | }
Cosa prova Katniss mentre aspetta un padre sopravvissuto che non arriverà mai? Come si sente? Ve lo siete mai chiesti? Probabilmente sì, ed ecco la mia versione!
| Dalla storia |
❝ Mia sorella Prim si volta verso di me, con i suoi occhioni azzurri. Sono interrogativi, domandano qualcosa. Io le stringo più forte la mano, sorridendole.
„Sarà nel prossimo, è sicuro“, cerco di convincerla, ma è la stessa cosa che le ho ripetuto poco fa, e ancora prima, e ancora prima. Lei annuisce, speranzosa, osservando poi un uomo venire verso di noi. Sono contenta che sia troppo piccola per esprimere dei pensieri, per fare dei ragionamenti logici. Per capire.
Riconosco l'uomo, è un collega di mio padre.
[ ... ]
Era un collega di mio padre. ❞
Genere: Drammatico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Mr. Everdeen, Primrose Everdeen, Sindaco Undersee
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 NOTA: Dato che questa è una Song-Fic, consiglio vivamente di ascoltare prima la canzone, o, meglio, ascoltare la canzone mentre si legge. Ovviamente non andrete a tempo con il testo che ho aggiunto io, dato che lo scritto tra una strofa e l'altra non è poco, ma non è un problema, la si può sempre risentire. Vi lascio qui il link You Tube con la traduzione italiana della canzone "Down" di Jason Walker.

 


Down.


Aspetto, stringendomi nella lieve giacca che ho addosso. Fa freddo. Il vento è ghiacciato, e si infila con impetuosità fra le mie vesti. Rabbrividisco, ingoiando un groppo di acido e rimandandolo giù per la gola. Sposto il peso da un piede all’altro, impaziente.
Sento il mio stomaco contrarsi in una morsa, quando un altro carico di uomini esce dalla miniera, arrancando. Alcune donne si precipitano verso di loro, confortandoli e dicendo loro che va tutto bene.
Ne osservo una in particolare, con l’aspetto tipico del Giacimento. Ha le lacrime agli occhi. E sorride, mentre accarezza il volto di un ragazzo giovane che non deve avere più di diciannove anni. Anche se non dovrei, non posso fare a meno di ascoltare uno spezzone della loro conversazione.

„Lui... lui dov’è?“ chiede la donna, con un tono calmo.

Il ragazzo pare poter crollare da un momento all’altro. Alza lo sguardo, incastrandolo in quello della madre, pronunciando tre semplici parole che stroncano entrambi. „Non lo so“, ammette, con la voce impregnata di dolore.

La donna si morde la lingua, abbassando la testa. Suppongo che stia cercando di sopportarlo. Di scacciarlo via, forse. Ma è inutile. Il dolore esige di essere vissuto.

„Tranquillo, Dan. Tranquillo.“ Lo tranquillizza poi, facendosi forza. Nonostante tutto, ammiro le persone come lei. Che decidono di soffrire per far sentire meglio qualcun’altro.

I don’t know where I’am at,
and I’m standing at the back...
I’m tired of waiting.
Waiting here in line,
hoping that I’ll find what I’ve been chasing.

Ma non posso permettermi di soffermarmi sui pensieri lunghi, non ora. Cerco mio padre tra la folla uscita da poco, ma non lo trovo. Inspiro, aspettando un’altra salita. L’odore della cenere mi investe le narici, creandomi un leggero bruciore. Io odio la cenere. E le miniere.
Mia sorella Prim si volta verso di me, con i suoi occhioni azzurri. Sono interrogativi, domandano qualcosa. Io le stringo più forte la mano, sorridendole.

„Sarà nel prossimo, è sicuro“, cerco di convincerla, ma è la stessa cosa che le ho ripetuto poco fa, e ancora prima, e ancora prima. Lei annuisce, speranzosa, osservando poi un uomo venire verso di noi. Sono contenta che sia ancora troppo piccola per esprimere dei pensieri, per fare dei ragionamenti logici. Per capire.
Riconosco l’uomo, è un collega di mio padre.

„Signora Everdeen“, incomincia lui, facendo passare lo sguardo da una all’altra. „Katniss. Prim“ aggiunge poi, accennando un sorriso verso mia sorella. Poi però la sua espressione torna di nuovo ad essere seria, e lui guarda mia madre. „Quello... era l’ultimo carico“.

Era un collega di mio padre. Per la prima volta, sento le lacrime salate dibattersi, impazienti di uscire. Ma non posso piangere adesso. Non posso, non posso, non posso.

„Mi dispiace“, aggiunge poi frettolosamente lui, congedandosi con un cenno della testa. Mia madre produce un verso strozzato che non le appartiene, poi scoppia a piangere. Volgo lo sguardo su Prim, che è troppo piccola per capire. Alzo lo sguardo verso il cielo, che è grigio cupo. Grigio come i miei occhi. Grigio come erano gli occhi di mio padre. Sei lì, ora, papà?

 
I shut for the sky,
I’m stuck on the ground,
So why do I try?
I know I’m gonna fall down.


 
Non mi sento più la terra sotto i piedi. Eppure, sono inchiodata al terreno. Dannatamente ancorata qui, senza poter far nulla. Tanto, cosa ci sarebbe da provare? Non ne sarei in grado. Sento che sto per cadere, che sto per crollare. Mio padre era la parte stabile della famiglia, quello che la sorreggeva. Quello che mi cantava, che mi portava nei boschi, che mi insegnava a cacciare. Era il mio punto di riferimento. Per me era tutto. Quando ero con lui nei boschi mi sentivo felice. Mi sentivo spensierata, leggera. Leggera come una farfalla, come se potessi prendere il volo e scappare da questa vita, o meglio, da quello che sarebbe successo. Eppure no, non ce l’ho fatta. E ora sono qui a rimpiangere tutto, mentre sento le lacrime uccidermi dentro, bruciandomi gli occhi. Sto per annegare. Non riesco a capire. Perchè proprio questa miniera doveva cadere giù, e proprio oggi, e proprio con papà?

 
I tought I could fly,
so why did I drown?
I’ll never know why it’s coming down, down, down...


 
Ci dirigiamo lentamente a casa, strascicando i piedi. C’è un silenzio che ci avvolge tutti, che ci spezza e che non permetterà più di riunirci. Mai più come una volta. Ma tanto, ormai, qui non c’è più nessuno da aspettare.


 
-***-


 
Tendo la corda dell’arco finchè questa non mi sfiora il viso. Prendo la mira, e a quel punto lascio andare la freccia, che taglia l’aria con un sibilo. Il leprotto a cui avevo mirato si spaventa e scappa con un balzo, quando la freccia va a conficcarsi sul terreno, accanto a lui. Mira sbagliata. Ormai sono fuori strada.
E’ stato difficile, in questi giorni. La casa era silenziosa. Mia madre non diceva una parola. Ormai, si è esclusa in un mondo tutto suo. Per questo ho cominciato a cacciare, devo mantenere la famiglia, l’ho promesso a papà. Non sono ancora pronta ad abbandonare tutto. Non saprei cosa sto perdendo. Ma lo voglio sapere. Voglio sapere come sarebbero stati tutti i giorni con mio padre. E voglio che tutti i suoi sforzi per insegnarmi ogni cosa non siano stati invani. Ma non riuscirò mai a essere spensierata come una volta. Non posso tornare indietro, ora. Quando mi arrenderò, allora, a quello che ho desiderato? Avevo desiderato giorni felici, per quanti ce ne potessero essere. Con la mia famiglia. E ora questa è spezzata, e io non sono abbastanza forte per rimettere i pezzi assieme.


 
Not ready to let go,
Cause then I’de never know, what I could be missing.
But I’m missing way too much,
so when do I give up, what I've been wishing for?


 

Strascico i piedi tra le fronde, la faretra in spalla e la presa stretta sull’arco. Guardo le nocche della mano, che sono bianche dallo sforzo. Mi faccio strada attraverso le piante, finchè non arrivo all’albero dove ho preso l’attrezzatura di mio padre. Rimetto tutto dentro, e con una corsetta mi dirigo verso la recinzione. Controllo che non ci sia nessuno, e accosto l’orecchio alla rete. Nessun rumore.
Senza mio padre, però, passare di qui è tutta un’altra cosa. Lo devi fare, Katniss, penso, lo devi fare per te stessa. E per tuo padre. Inspiro, e sguscio sotto. Mi rialzo in fretta, ancora tutta intera.
Ecco, ce l’ho fatta. Mi spolvero i pantaloni, e poi, con passo svelto, mi dirigo verso la mia casa. Devo prepararmi, dato che fra poco dovrò andare al Palazzo di Giustizia per recuperare qualcosa.




Mi guardo un’ultima volta allo specchio, osservando i miei banali occhi grigi. Sono uguali a tutti quelli del Giacimento. Sì, ognuno di noi ha delle sfumature diverse, quindi in un certo senso ognuno ha il “proprio grigio”, ma, in generale, ognuno ha gli occhi grigi. Senza guardare sfumature o segni particolari, ma semplicemente il colore.
Alzo lo sguardo verso il cornicione dello specchio, dov’è appesa la giacca da caccia di mio padre. La sfioro con la punta delle dita, mentre inspiro, sentendo l’odore di mio padre, di cui essa è ancora impregnata.
Sono ancora troppo piccola per portarla, ma fra un po’ di anni sarà della mia taglia, e sono certa che la userò. Devo usarla.
Forse è ora di andare. Oggi mi daranno qualcosa per la morte di mio padre, ma a me non interessa più di tanto. Non sarà dandomi un oggetto che porteranno indietro mio padre. No, non sarà affatto così. Andrò lì per rispettare le regole imposte da Capitol City, prenderò quello che mi dovranno dare fingendomi grata e me ne tornerò a casa buttando l’oggettino da qualche parte sul ciglio della strada. Anzi, forse sarebbe meglio buttarlo nei boschi.
Potrei vederlo come qualcosa in suo onore, e i boschi sono il luogo perfetto per custodirlo. Erano il suo luogo preferito, dove si sentiva libero.
E dove mi sento libera io.
Afferro la mia giacchetta, infilandomela in fretta, ed esco sbattendo la porta senza salutare.
Con Prim che dorme e mia madre che è rinchiusa dentro sé stessa, in fondo, non c’è nessuno da salutare.




Varco la soglia del Palazzo di Giustizia controllando al massimo le mie emozioni. Sarò solo un’adolescente, ma se fosse per me chiederei a tutti i Pacificatori di venire ad allenarsi con me a tiro con l’arco. Ovviamente, loro farebbero i bersagli.
Strascico i piedi, mentre dai miei occhi traspare un velo di tristezza.
Non basta, Katniss, penso, non basta.
Mi sforzo, e stavolta il mio viso assume un’ espressione di puro dolore. Incurvo leggermente la schiena, e rallento ancora il passo.
“Katniss Everdeen?”
Alzo leggermente lo sguardo solo quando sento il mio nome. Un Pacificatore mi sta osservando oltre la sua divisa. Rendo ancora più reale la mia messa in scena, così tanto che sono sicura che lì dentro, lui cominci a sentirsi leggermente in pena per me. Anche solo leggermente. Basta quello.
“S-sì”, rispondo, in un sussurro, balbettando. “Sono i-io”, continuo, riabbassando lo sguardo.
Il Pacificatore si sposta poi alla mia destra, e io lo seguo con lo sguardo. Intravedo una figura, probabilmente maschile, ma non m’interessa più di tanto. Probabilmente i figli degli altri defunti sono già stati qui, probabilmente hanno già ricevuto il loro… premio di consolazione.
Nel frattempo, entra il sindaco del Distretto, Undersee.
Katniss”, mi chiama, riconoscendomi. Pochi giorni fa sono passata da lui, e gli ho venduto qualcosa. Ho scoperto una cosa molto utile: adora le fragole, e sua figlia Madge le compra sempre per lui. E’ un ottimo affare. E’ tutto in nero, sì, ma evidentemente il sindaco non sa proprio farne a meno.
Mi mette una mano sulla spalla in segno di lutto, e per un attimo lo ricordo quando, pochi giorni fa, sulla sua soglia di casa, mi fissava con lo stesso sguardo. Solo che quello era sincero.
L’altra sua mano si apre, mostrando qualcosa a cui faccio poco caso. Una medaglia, forse? Vorrei scuotere la testa, è una cosa banale tutta questa storia dell'oggettino, ma non posso lamentarmi. Mi devo ricordare della mia recita.
“G-grazie” sussurro, mentre lui mi ficca l’oggetto nella mano.
“Mi dispiace, davvero”, continua lui, inchiodando il suo sguardo nel mio, nel momento in cui alzo lievemente la testa. “Tuo padre era… un grand’uomo”. 
Vorrei che dicesse altro. Vorrei che dicesse che va nei boschi, non m'importa della presenza dei Pacificatori. Vorrei che dicesse che è libero, e che non pensa che sia Capitol City a regnare.
Vorrei che dicesse che lui ha insegnato a me come essere liberi.

Anzi, devo volgere i verbi al passato.
E' morto, Katniss, mi ricordo, non dimenticarlo.
Già, è morto. Sparito per sempre, oltre la coltre di nuvole che tanto spesso offuscano il sole che vorrebbe risplendere il mio Distretto.
E io vorrei raggiungerlo, ma non posso.
Non posso, non posso, non posso.

 
I shut for the sky,
I’m stuck on the ground,
so why do I try?
I know I’m gonna fall down.
I tought I could fly,
so why did I drown?
I never know why it’s coming down, down, down…

 
Sento una lacrima lottare contro il mio orgoglio, ma poi ricordo che devo fingermi debole, così, per una volta, mi permetto di mostrare parte delle emozioni che provo. E lascio rotolare la lacrima giù, che mi riga la guancia, per poi scivolare fino alle labbra, dove ne sento il gusto salato. 
Il sindaco si sposta verso l'altro, ma io non ci faccio caso, sono troppo concentrata su me stessa. E' adesso, ora che sono nel Palazzo di Giustizia, che realizzo davvero ciò che è successo.
Mio padre è morto.
Di colpo, mi sento mancare. Mi sembra di essere sull'orlo di un baratro. E di scivolare.
E di cadere giù.


 
Oh, I, I'm coming down, down, down
Can’t find another way around,

 

Mi strozzo quasi cercando di bloccare un singhiozzo che minacciava di fuoriuscire dalla mia gola. Non me lo posso permettere, quello sarebbe troppo. E inoltre, non riuscirei a sopportarlo. Di solito si piange per qualcosa che si è perso, dopo averlo trovato, ma non è così.
Io non ho avuto tempo di trovare la felicità con mio padre, nei boschi. La vera felicità.


 
I don’t wanna hear the sound,
of losing what I never found.


 

Blocco la seconda lacrima con l’indice della mano destra, tirando sù col naso e alzando lo sguardo. Irrigidisco la schiena, portandomi in una posa fiera ed eretta, e guardo dritto davanti a me. La mia espressione pare indifferente, ma se la si analizza bene è dura. Troppo dura.
Mio padre non avrebbe voluto che avessi fatto la parte della debole. Lui credeva nella libertà di ognuno.

Lui avrebbe voluto che io fossi me stessa.
 
I shut for the sky,
I’m stuck on the ground,
so why do I try?
I know I’m gonna fall down.
I tought I could fly,
so why did I drown?
I’ll never know why it’s coming down, down, down…


 
 Finalmente, trovo la forza di girarmi verso il ragazzo alla mia destra. Ha anche lui una medaglia in mano, questo significa che probabilmente anche suo padre è morto nello stesso incidente.
Lo osservo. Deve essere due anni più grande di me. Ha una corporatura magra ma robusta, ed è già abbastanza muscoloso. Ha i capelli mori tipici del Giacimento, ma nei punti dove arrivano i raggi del sole diventano poco più chiari, sembrano quasi brillare. I tratti del viso sono perfetti, mozzafiato. Quando si gira verso di me, capisco che è davvero
bellissimo.

 
I shut for the sky,
I’m stuck on the ground,
why do I try?
I know I’m gonna fall down.
I tought I could fly,
so why did I drown?
I never know why it’s coming down, down, down…


 

L’ultima cosa su cui mi soffermo sono i suoi occhi. Sono grigi, come quelli di quasi tutti del Giacimento. Di colpo, ritorno al mio pensiero sulle sfumature, e cerco di capire di che colore preciso sono i suoi occhi.
Sono grigi.

Grigi esattamente come i miei.



 
  
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