Prima
d’iniziare vi ricordo che questa è
un’alternate universe, quindi
alcuni luoghi, personaggi e vicende non appartengono al mondo del manga
o
dell’anime. Alcune caratteristiche sono state modificate per
rimanere fedeli allo
scritto. Alcune scene non potrebbero essere adatte ad un pubblico
minore, (non
eccessivamente ma è sempre bene avvertire) quindi si
consiglia di prendere nota
degli avvertimenti della fic prima di leggere. Ringrazio Urd,
per avermi
aiutato con lo scritto e per avermi consigliato su come renderlo al
meglio.
Bene, non credo ci sia da dire altro. Buona lettura dunque.
Note
di copyright
: I personaggi di Ranma ½ appartengono
a Rumiko Takahashi e
questa è solamente l’opera di un fan della serie.
A Leap Into The Void
Prologo
La
scia della saliva in gola che
lentamente si coagulava col sangue. Un distillato di pura agonia che si
rimescolava densa al martellare incessante del battito cardiaco. La
spuma del
mare che si preoccupava di lambirgli i capelli sciolti, sparsi a
ventaglio
sulla sabbia asciutta. Arida come l’udito che, lentamente,
lasciava dietro di
sé i rumori sconnessi e metallici della katana, oramai
riversa e conficcata nel
suolo sottostante.
Non
un alito di vento osava disturbare
quello che era divenuto il palcoscenico della loro battaglia, nemmeno
il
fremito d’ali di qualche rapace. Tutto era rimasto
così, intatto come la natura
l’aveva creato. Solamente il suo destino in quel momento era
cambiato, a
cominciare dalla necessità impellente del corpo di
stramazzarsi al suolo a
causa della fatica accumulata.
Gli
stessi occhi che l’avevano visto
nascere sedici anni prima, ora lo stavano osservando.
Uno
schermo di bruma in quel momento
scendeva ad adagiarsi sul suo corpo, lo si sarebbe potuto fendere con
una lama.
Suo
padre era rimasto immobile ad
osservarlo : nessun movimento, a parte quello delle iridi gli si
scorgeva in
volto, le muoveva come un falco pronto ad agguantare la preda. Se non
si fosse
rialzato, in quel preciso istante avrebbe sicuramente ricevuto la
morte.
“Alzati!”
la sua voce bassa e atona lo
stava risvegliando, rinvigorendo quella che in lui s’era
tramutata in rabbia.
Non
poteva arrendersi!
Il
riversare terso delle onde stava
raggiungendo il suo orecchio, assieme all’imperativo comando
del genitore. Si
fece forza sulle braccia, stremando anche la più piccola
stilla di forza
rimastagli dentro.
Riuscì
a sollevarsi col busto, sino a
poter sollevare lo sguardo su di lui. Lo colse improvviso un impulso:
quello di
strappargli dal volto quell’espressione di sufficienza.
Avrebbe voluto
gridargli in faccia d’essere suo figlio in fondo, di non
meritarsi un
allenamento del genere. Non lo fece. Lo stress e l’ansia
accumulati in quei
giorni, l’avevano portato al punto di non poter
più sopportare, di dover
reagire. Persino le cicatrici sul corpo parvero infiammarsi sotto quel
segnale
improvviso.
Lo
fece. Gli obbedì prontamente,
sollevandosi su entrambe le ginocchia, per poi trovarsi di nuovo in
piedi di
fronte a lui.
“Continuiamo!”
aveva accennato, prima di
gettare un’occhiata all’infamante distesa di sangue
che in quel momento
striava, in un orrido spettacolo, la laguna.
Il
padre avanzò di pochi passi, estraendo
la spada del figlio dalla sabbia.
“Sei
troppo debole, non riuscirai mai a manovrarla
come dovresti; se continuerai di questo passo sarò costretto
ad interrompere
gli allenamenti.” L’aveva proferito in una
tonalità così fredda, che la lama
che gli fece passare sotto il mento, parve addirittura ustionarlo.
Sollevò
un braccio deciso, aggrappandosi
con la mano al filo della vecchia katana, stringendolo con
quell’ultimo alito
di forza rimastogli dentro.
“Non
darmi del debole!” era stato secco,
aggressivo com’era nella sua indole. Non aveva mai portato
rispetto a colui che
diceva d’essere suo padre. Non l’aveva nemmeno
considerato mai tale, forse.
Il
tramonto, infine, annegò all’interno
dell’acqua lentamente, gettando riverberi di luce sulla lama
arrossata.
Se
vi fossero stati spettatori, avrebbero
ammirato quel quadro di figure umane così singolarmente
disegnato a quell’ora.
Erano rimasti come due statue, l’uno dinanzi
all’altro, dopo le parole del
figlio. Un sorriso nascosto pose fine al silenzio semi imposto dalla
circostanza.
“Stai
crescendo Ranma” furono le sue
ultime parole, prima di lasciar ricadere nuovamente la spada, stavolta
in mano
al suo avversario che la trattenne.
L’aggirò
con circospezione, prima di
fermarsi all’altezza della sua spalla. I fuochi scarlatti del
crepuscolo
s’infiammarono nello sguardo del giovane primogenito dei
Saotome, i quali
parvero assumere una tonalità del tutto innaturale.
“Lo
so, non c’è bisogno che tu me lo dica”
rispose prontamente. In quel momento aveva trattenuto un sospiro
interiore che
s’era adagiato celere alla base del diaframma, per non
sfuggirgli dalle labbra.
Non
avrebbe mai mostrato un minimo cenno
di soddisfazione.
Genma
Saotome continuò a sorridere senza
aggiungere altro, sollevando semplicemente il capo verso
l’alto in una sorta
d’assenso, per poi avviarsi all’ingresso della
tenuta estiva.
Rimase
solo. Finalmente. Non s’adagiò però
sulla spiaggia, come avrebbe dovuto fare; in fondo era stremato,
ferito,
umiliato. Chiuse gli occhi, lasciandosi sfiorare dalla brezza marina:
aveva un
qualcosa di calmante. Sin da bambino, quel gesto l’aveva
aiutato a
tranquillizzarsi.
Poco
dopo, lasciò cadere la spada, aprì la
mano portandola davanti al viso e ne osservò il palmo
sfregiato. Non sentiva
dolore; ormai, il corpo completamente lacerato fungeva da catarsi a
qualsiasi
altro strazio.
“Io
sono pronto, sei tu che continui a non
crederci.” aveva asserito quella frase mordendosi la lingua.
Doveva
imparare a trattenere quell’ira nei
confronti del padre. Il suo destino dipendeva da lui, da quel vecchio
pazzo che
continuava ad allenarlo con la delicatezza d’un aguzzino.
Si
spostò verso la battigia, laddove le
spume d’un bianco puro concentravano maggior consistenza.
Avanzò
sino ad immergersi all’altezza dei
calcagni. Sentì lentamente la pelle sfrigolare al contatto
col sale e mano a
mano che arrancava nell’acqua, i tagli prendevano a bruciare
e a disinfettarsi
lentamente. Resistette sino all’addome, dove la casacca
s’apriva in uno
squarcio ampio, liberando in parte la carne viva arrossata dalla sua
stessa
linfa. Fece stridere i denti, nel momento in cui l’acqua
andò a rasentare
quella porzione di pelle. Gli parve quasi corrosiva ed allo stesso
tempo
detergente.
Non
ho imparato a sopportare il dolore. Un
pensiero che lo fece alterare più di quanto già
non lo fosse prima. In
tutto quel tempo cos’aveva fatto? S’era divertito a
giocare con dei pupazzi
forse?
Si
chiedeva quanto avrebbe dovuto
attendere ancora per poter divenire Guardiano. La sua attuale
situazione
ostacolava la riuscita di quel suo intento.
Quel
vecchio in realtà cercava solamente
d’aiutarlo, solamente che lui non voleva rendersene conto. Se
fosse divenuto
custode, non l’avrebbe di certo dovuto a lui.
Doveva riuscirci da solo,
con le sue forze.
Ricadde
in ginocchio nell’acqua,
immergendo il braccio destro in profondità, sino a
raccogliere parte del
fondale al suo interno. I capelli scuri seguivano le pieghe
dell’acqua,
muovendosi sopra di essa.
S’immerse
completamente, ritrovandosi nel
nulla incontrastato.
Rumori
annullati.
Niente
più dolore a tormentarlo. Solamente
lui finalmente. Fu proprio in quel momento che si sentì di
dover lasciar libero
quel sospiro trattenuto, proprio lì sotto, nascosto da tutto
e da tutti. Le
labbra si schiusero, permettendo al fiato d’uscire sottoforma
di bolle sotto il
pelo dell’acqua. Le richiuse seduta stante, impedendo la
fuoriuscita ulteriore
dell’aria rimastagli a disposizione.
La
forza ritrovata poco prima lo stava
lentamente abbandonando, lasciando il posto alla spossatezza. Si
tirò su
nuovamente, le stille d’acqua presero a scivolargli addosso,
quasi avessero
incontrato un corpo liscio al loro passaggio.
Il
sapore salmastro gli invase la bocca,
insieme con l'ultimo sorso di sangue. Assieme ad esso
s’estinse anche il livore
che covava nell’animo sino a pochi istanti prima.
Era
riuscito a riprendere il controllo di
sé. Sin dall’infanzia, l’unico modo per
fuggire alla perdita
dell’autocontrollo, era quello d’entrare in
contatto con l’acqua. Un’ affezione
sconfinata l’aveva sempre legato a quel tipo
d’elemento, per un motivo o per
l’altro, era stato sempre presente nella sua vita.
Una
volta divenuto guardiano però, avrebbe
dovuto abbandonare per sempre quell’unico lido di contentezza.
Risalì
la sponda, gettandosi indietro,
nuovamente sulla sabbia. Chiuse gli occhi, concedendosi finalmente
riposo.
Presto
abbandonerò questo luogo e allora
dirò addio anche al tuo ricordo , sino ad allora,
manterrò la mia promessa.
Note
di Max:
Ringrazio Laila per avermi fatto notare quel
'sarebbe' vagante,
dev'essermi sfuggito nella correzione. Ho modificato, ora credo sia ok. Ringrazio
anche Kuno per aver
corretto periodi e punteggiatura che andavano sostituiti. Apprezzo
moltissimo
che mi facciate notare certi errori, ho provveduto alla correzione. Non
fatevi scrupoli, se notate qualsiasi
cosa d’impreciso segnalate.