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Autore: altan    13/09/2014    1 recensioni
La notte è il momento della pace e della tranquillità, il momento in cui le persone si abbandonano alla passione e ai desideri. Ma è anche il momento in cui arrivano gli incubi. Strisciano lenti, subdoli, attraverso gli angoli della mente e della memoria e non importa con quanta cura e fatica erano stati sigillati, niente li può fermare. Perché la notte è anche il regno del silenzio, e nel silenzio gli incubi non possono essere sconfitti.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La notte è il momento della pace e della tranquillità, il momento in cui le persone si abbandonano alla passione e ai desideri. Ma è anche il momento in cui arrivano gli incubi. Strisciano lenti, subdoli, attraverso gli angoli della mente e della memoria e non importa con quanta cura e fatica erano stati sigillati, niente li può fermare. Perché la notte è anche il regno del silenzio, e nel silenzio gli incubi non possono essere sconfitti. E il dottor John Watson lo sa bene. Per un breve periodo le sue notti non erano state silenziose, anzi tutto al contrario. Erano state fin troppo rumorose e caotiche e si sa, nel caos gli incubi non arrivano, non hanno presa. E quanto si era lamentato il dottore sentendo il violino suonare ad orari improponibili, ma anche se non lo aveva mai ammesso – una parte di lui era consapevole che questo in fondo non contava. Lui lo sapeva, non c’era davvero bisogno che glielo dicesse- quelle melodie l’avevano aiutato ad allontanare vecchi fantasmi. Anche delle corse in giro per Londra si era lamentato il dottore, perché si, ok, era un amante del pericolo e dell’azione, ma amava anche dormire ogni tanto. Ma lui non sembrava capirlo. O quantomeno non era una cosa che gli interessava. Ma da cinque lunghi orribili mesi, le notti di John Watson erano come quelle di tutte le altre persone: noiose e tranquille. E nel silenzio della sera, mentre era steso al buoi a fissare un soffitto che gli era estraneo gli incubi erano tornati a fargli visita, alle vecchie immagini di commilitoni che saltavano in aria nel deserto afghano o che morivano tra le sue mani impotenti mentre il loro sangue si mischiava alla sabbia dorata di quel luogo aspro e duro, colorandola di rosso cremisi, si era aggiunta una nuova immagine. La più terribile di tutte. Perché i primi incubi riguardavano il campo di battaglia e si sa che la guerra è terribile, che provoca morte e dolore e in fondo John riusciva a capire quegli incubi, a dargli un senso. Ma quell’ultima scena, quella che da cinque mesi lo svegliava ogni notte in un bagno di sudore, non riguardava la guerra e per quanto ci pensasse John non riusciva a dargli un senso, ad accettare quello che era accaduto semplicemente perché era impossibile che fosse successo davvero. Doveva per forza essersi sbagliato. I suoi occhi avevano visto ogni cosa, era vero, ma il suo cuore si rifiutava di accettare ciò che la sua mente – comune, banale, normale- continuava a riproporgli, nemmeno fosse un disco rotto. Quanto ci impiega un corpo a cadere da un tetto? Tre, quattro secondi? Di più? Di meno? John non lo sapeva, per lui quella scena, quella caduta che era stampata a fuoco nella sua mente, durava un’eternità. John ricordava ogni cosa, il colore del cielo di quel giorno, il profumo che c’era nell’aria, il modo in cui quei capelli neri si muovevano attorno a quel viso. Il modo in cui il cappotto – quello che indossava anche il giorno in cui si erano conosciuti, quello che era sopravvissuto a centinaia di inseguimenti e lotte- svolazzava attorno a quel corpo fin troppo magro. E poi John ricordava il modo in cui il sangue colava su quel volto pallido sporcando quella pelle pallida, per poi spargersi sull’asfalto della strada in una pozza sempre più grande. John riviveva ogni istante di quella caduta, ogni cosa, tutte le notti e a volte aveva l’impressione di cadere anche lui da quel tetto e questo lo stava lentamente facendo impazzire. Non riusciva nemmeno a pensare quel nome senza che una voragine ancora più grande gli squarciasse il petto e gli frantumasse il cuore in minuscole schegge dolorose. Erano passati solo cinque mesi e già John Watson si chiedeva come avrebbe fatto a passare il resto della sua vita con quel dolore che lo spezzava.
                                                                                                    - FINE-

Non ho molto da dire su questa cosa (non è definibile storia) l’altra sera ero stanca e un po’ depressa ed è venuta da se… Se vi va di lasciarmi un commentino, come al solito mi fareste molto felice. Alla prossima:-)
   
 
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