Buongiorno
a tutti e grazie anche solo di aver perso un po' del vostro tempo per
aprire
questa oneshot e darle un'occhiata.
Prima della lettura è doveroso fare un appunto. Questa
oneshot è la traduzione
di una mia in inglese (la trovate sia su FF.net, sia su AO3) e, come
sempre,
rimango poco soddisfatta da come risulta in italiano. Quindi, se siete
abbastanza coraggios*, vi prego di leggerla anche
in inglese perché,
davvero, rende molto meglio. Secondo punto: le parti della canzone
scritte in
blu sono quelle sentite da John, le altre no.
My memories of him I fail
To feel
To hear
To scent his smell.
Le mie memorie di lui, fallisco
Nel provare
Nell’udire
Nel
sentire il suo profumo)
John
Watson si svegliò nel bel mezzo della notte, lo stesso
incubo che lo stava
perseguitando da sei mesi a questa parte.
Sherlock
sul tetto del Bart. Sherlock che gli parlava al telefono. Sherlock che
gli
diceva ‘Addio, John’ prima di allargare le braccia
e cadere giù. Lui che
guardava, supplicava, sperava che fosse solo un brutto sogno. Un
orribile
brutto sogno. Poi il corpo di Sherlock aveva colpito il suolo e ogni
cosa
intorno a John aveva smesso di muoversi. Poteva soltanto sentire il
suono del
suo cuore battere nel petto, il suono del dolore colpire proprio
lì, il suono
del suo cuore spezzato in due.
Sei
mesi erano passati dalla morte del suo migliore amico. Sei mesi per
elaborare
il lutto e per imparare come sopravvivere al vuoto della sua vita.
Si
girò nel letto, lacrime ai lati degli occhi, provando lo
stesso dolore che
aveva provato mesi prima. Il dolore, quel dolore non lo avrebbe mai
lasciato,
non avrebbe mai cessato di esistere al suo interno.
Ogni
giorno era uguale al giorno precedente. Ogni mattina si sarebbe alzato
e
preparato per andare al lavoro. Ogni mattina avrebbe acceso la TV per
controllare che il suo desiderio fosse diventato realtà:
‘Ancora un miracolo,
Sherlock, per me. Non essere…morto.’ Aveva
aspettato, aspettato a lungo per un
segno. Aveva aspettato che lui tornasse. Tutti gli avevano detto che
doveva
accettare la realtà. Lui proprio non ci riusciva.
Anche
quel mattino si preparò la colazione, i ricordi della notte
appena trascorsa
ancora nella sua testa e il rumore della televisione dietro di lui.
Notizie che
riguardavano il tempo, notizie sull’aumento della
criminalità nella città,
notizie di matrimoni. Nessuna notizia riguardante Sherlock, ovvio.
All’improvviso la giornalista smise di parlare.
I’ll be above these city lights
No one needs to know
But you.
Nessuno deve
saperlo
Solo tu.)
Cos’era
stato? Si diresse immediatamente verso la televisione per vedere cosa
fosse
successo, ma la giornalista era ancora lì ad annunciare un
aumento del prezzo
del cibo a causa dei continui temporali che stavano flagellando il
paese. John
se l’era immaginato. Dopotutto era stanco. Aveva trascorso
una notte quasi
completamente insonne e ne aveva già passate molte altre
come quella.
Era
giunta l’ora di andare in clinica. Aveva una giornata piena
da affrontare.
Dodici ore di tortura. Era stato lui che aveva chiesto alla clinica di
assegnarli un maggior numero di ore. Aveva pensato che il lavoro lo
avrebbe
aiutato. Era stato uno sciocco. Nulla poteva aiutarlo. Spense la TV.
He
is gone now
Without him world is but despair
“Can someone please just take me there?”
Senza di lui il mondo non è che disperazione
“Qualcuno, per favore, può
portarmi là?”)
Ogni
giorno era uguale al giorno precedente. Si diresse verso la stazione
della
metropolitana vicino al 221B e aspettò che il convoglio
arrivasse. La sua testa
ancora persa nel suo incubo quotidiano. Non voleva andare direttamente
al
lavoro e perciò scese dal treno due stazioni prima della
sua. Il tempo era
buono, ma delle nuvole stavano cominciando a raccogliersi nel cielo blu
della
città. I ricordi del suo passato con Sherlock alla deriva
nella sua mente
proprio come le nuvole. La vita era insopportabile senza il suo
coinquilino,
senza il suo migliore amico, senza l’uomo che
lui…no, non osava pronunciare
quelle parole. Lo ferivano troppo. Camminò lentamente lungo
il ponte sul
Tamigi.
The
calm
Cool
face of the river
Asked me for a kiss.
Fredda faccia del fiume
Mi chiese un bacio.)
Due
volte si era trovato sopra quello stesso ponte di notte, ubriaco al
punto che
non poteva neanche riconoscere dove fosse, chi fosse. Tutto
quell’alcool solo
per dimenticare la sua miserevole vita, tutto quell’alcool
per tentare di
dimenticare il dolore. Tutto quell’alcool a fargli sentire la
ferita ancora più
profondamente. Si era fermato ad ammirare il lento, ma fiero movimento
delle
acque sottostanti. Sarebbe stato semplice. Un salto nella loro
oscurità illuminata
dalle stelle e tutto avrebbe smesso di esistere. Sarebbe stato
così semplice.
Non riusciva ancora a capire perché non aveva saltato,
perché aveva preferito
la tortura del vivere senza Sherlock all’oblio della morte. E
tuttavia aveva
deciso di andarsene e dunque vivere.
Adesso
che vi passava sopra, le memorie dei suoi giorni felici con il suo
coinquilino
che gli tornavano in mente, mescolandosi con i suoi incubi, con la viva
immagine della stele nera in quel cimitero, distante da tutte le altre.
Il suo
nome dorato inciso su di essa: Sherlock Holmes. Quella era la parte
peggiore
dei suoi incubi, perché non smetteva di esistere ogni
qualvolta si svegliasse.
La caduta dal tetto del Bart, quello era il passato, il sogno. Ma la
tomba era
un presente senza fine, la realtà.
Arrivò
in clinica più tardi di quello che avrebbe dovuto. Sapeva
che allo staff non
importava. Persino i capi lo lasciavano in pace col suo dolore. Nessuno
sapeva
davvero cosa stesse passando perché il suo stato interiore
era al di là di ogni
possibile descrizione. Non aveva neanche le parole giuste per esprimere
cosa
stesse provando. Dolore, paura, lutto, agonia, tormento, nostalgia,
mancanza.
Una massa di parole adeguate. Nessuna neanche vagamente vicina alla
verità.
Ogni
giorno era uguale al giorno precedente. Nulla di inusitato accadeva.
Nulla. Con
Sherlock era stata adrenalina ogni giorno. Adesso era paziente,
paziente,
paziente, pausa pranzo, paziente, paziente, paziente, piccola pausa
pomeridiana, altri pazienti. I primi giorni senza Sherlock aveva
controllato il
cellulare febbrilmente, sperando in un messaggio che non aveva mai
ricevuto.
I’ll
be above these city lights
No one needs to know
But you.
Nessuno deve
saperlo
Solo tu.)
Non
aveva la radio dell’ingresso appena trasmesso la stessa cosa
che aveva sentito
alla televisione quella mattina? Ma no, era solo una nuova cover di una
canzone
dei Beatles. Eppure era sicuro di aver sentito qualcosa di diverso.
Stava
impazzendo? La morte del suo migliore amico lo stava portando al limite
della
sanità mentale? Un altro paziente entrò ed
uscì dal suo ufficio. Un altro
giorno passò.
Ogni
giorno era uguale al giorno precedente. Le otto di sera arrivarono, il
suo
turno finì. Era esausto, ma sapeva che non avrebbe dormito.
Il suo incubo,
quella notte, lo avrebbe cacciato di nuovo. Uscì dalla
clinica. Il tempo era
cambiato durante il giorno ed ora il cielo era completamente coperto da
nuvole
nere, alcuni lampi e tuoni in lontananza a preannunciare un temporale
imminente. L’aria era fredda e John si sforzò di
mantenersi caldo fino alla
stazione della metropolitana.
Mind the gap between
the train and the platform, change here…
(Attenzione alla fessura tra il
treno e la piattaforma, cambiare qui…)
Disse
la familiare voce metallica attraverso gli altoparlanti. Ma la voce si
fermò.
I’ll be above these city lights
No one needs to know
But you.
I’ll be above these city lights
No one needs to know
But you.
Nessuno deve
saperlo
Solo tu.
Sarò
sopra queste
luci della città
Nessuno deve
saperlo
Solo tu.)
Si
ricordò di Sherlock su un tetto. Non il tetto del Bart, un
altro. Avevano
lavorato ad un caso per cui c’era stato bisogno di prendere
parte ad un
ricevimento sul tetto di un grattacielo nello Square Mile di Londra. Ad
un
certo punto Sherlock aveva dichiarato che si trovavano al di sopra di
tutte le
luci della città.
Adesso
il suo cuore batteva forte nel petto. Forse Sherlock lo stava
chiamando?
Sherlock era vivo? No, era impossibile, gli diceva la testa. Eppure il
suo
cuore voleva crederci. O era forse la sua testa che gli stava giocando
ancora
brutti scherzi? I primi giorni senza Sherlock erano stati duri per quel
motivo.
Aveva creduto di vederlo ovunque, di sentire la sua voce in quella di
ogni
persona. Ancora adesso, sei mesi dopo, a volte aveva la sensazione di
sentire
il detective che lo chiamava. E se poi era un qualche criminale che lo
voleva
uccidere perché era stato il miglior amico di Sherlock?
Il
suo corpo prese la decisione per lui. Cambiò treno tre volte
e, prima di
rendersene conto, stava fissando quello stesso grattacielo. Aveva
appena
iniziato a piovere ed era senza ombrello. C’era vento forte,
tuoni e fulmini,
foglie che roteavano nell’aria gelida. Si bagnò
fino alle ossa in brevissimo
tempo. I suoi capelli erano bagnati, i suoi vestiti erano bagnati, il
suo
cuore, invece, tratteneva una piccola luccicante fiammella di speranza.
Cercò
di indugiare in quella per non sentire il vento e la pioggia fredda che
gli
frustavano il viso, facendolo tremare violentemente. Il grattacielo era
vuoto,
poiché era sottoposto ad alcuni lavori di restauro. Le porte
avrebbero dovuto
essere chiuse e ci sarebbero dovuti essere allarmi e guardie. Eppure
quando
spinse la porta d’ingresso, si aprì. Nessun segno
di guardie o allarmi.
L’entrata era buia, illuminata soltanto dai lampioni
all’esterno. Si avvicinò
agli ascensori, dubitando che funzionassero. E invece andavano.
Salì fino al
tetto.
La
pioggia lo colpì ancora più violentemente di
prima, perché il vento era più
forte lassù. Si sforzò di guardarsi intorno,
tentando di tenere gli occhi
aperti mentre fiumi d’acqua scorrevano su di essi. Tutto
intorno diventava
nero, diventava bianco.
In
lontananza vide la scura figura di un uomo retroilluminata, definita
dagli
sprazzi dei lampi dietro di lui. La pallida pelle della sua faccia che
sbiancava al loro tocco. I suoi capelli neri ancora arricciati sotto la
tempesta. Lo riconobbe immediatamente. La sua silhouette
così familiare e,
tuttavia, così strana.
“Can’t
go on”
A crowd of ghosts surrounding sings
A pair of silver banshee wings.
Una folla di fantasmi che mi
circonda canta
Un paio di ali argentee di
banshee.)
Non
riuscì più a muoversi, i suoi piedi incollati al
pavimento, l’intero corpo che
tremava. E non per la pioggia. Quello era un fantasma. Non poteva
essere.
Riuscì a fare altri tre passi. Non appena un lampo
più luminoso bruciò il
cielo, incontrò gli occhi acquamarina dell’altro
uomo.
“Ciao,
John.”, l’uomo parlò “Sapevo
che avresti ricevuto il mio messaggio.”
Quella
voce. L’avrebbe riconosciuta tra milioni. Quella voce che
aveva tanto a lungo
desiderato sentire di nuovo arrivò alle sue orecchie
mischiata al suono della
pioggia battente sul pavimento.
“Sherlock.”,
John rispose, sconvolto e perso “Eri morto.”
Non
riuscì quasi a credere alle sue parole quando le
pronunciò. Eri morto.
“Non
esattamente.”, rispose sicuro.
“Com’è
possibile?”
“Non
mi è permesso dirtelo.”
Sherlock
confessò, occhi fissi sul dottore. La pioggia che cadeva
sempre più forte, ma
John non la sentiva più. Invece sentì la rabbia
ruggire dentro di lui,
bruciarlo, nonostante le gocce gelide sulla sua pelle.
“Tu!”,
urlò con rabbia “Tu mi hai lasciato in lutto per
sei mesi, Sherlock! Sei
dannatissimi mesi! Pensavo di aver perso tutto da quando ho perso te!
Pensavo che
non sarei riuscito ad andare avanti senza di te! Ti ho persino
supplicato di
fronte alla tomba! Ti ho chiesto di non essere morto!”
“C’ero,
John.”, Sherlock rispose con calma “Ti ho
sentito.”
Quello
non poteva sopportarlo. No, quello John non poteva proprio sopportarlo.
Aveva
pensato di essere in qualche modo importante agli occhi di Sherlock.
Invece
aveva finto la sua morte e lo aveva lasciato soffrire. La sua
esasperazione che
ruggiva ancora più forte.
“E
non ti sei avvicinato a me! Mi hai lasciato lì, sofferente,
col cuore spezzato!
Come hai potuto?”, le parole che gli morirono sulle labbra
appena Sherlock
parlò.
“Ho
potuto, John.”
“Perché?”,
ruggì ancora una volta.
“Per
salvarti la vita. Saresti morto se non fossi saltato giù da
quel tetto. E
saresti in pericolo di nuovo se si sapesse che sono ancora
vivo.”
Il
cuore di John si raggelò. Le parole che gli sfuggirono dalle
labbra senza che
se ne rendesse conto.
“Come?”
Sherlock
non rispose alla domanda. Al contrario un doloroso lamento
uscì dalla sua bocca.
John era un dottore. Capì immediatamente che Sherlock era
ferito da qualche
parte e che gli stava facendo tremendamente male. La soglia di
resistenza al
dolore del detective era più alta di quella degli altri.
Perciò era una ferita
profonda. Probabilmente stava anche facendo fatica a reggersi in piedi.
“Sherlock!!!”,
urlò correndo verso di lui, dimentico di tutto se non del
suo amico.
Sherlock
tossì e del sangue uscì dalla bocca.
“Che
cos’è quello, Sherlock?”, chiese John in
ansia “Qualcuno ti ha fatto del male?
Cosa è successo?”
“Nulla.
Sto bene.”, l’altro rispose, calmo.
“No,
non stai bene.”
Ovvio
che non stava bene. Gli stava ancora mentendo.
“Lasciami
vedere. Posso fare qualcosa…”
Ma
non appena gli fu vicino, Sherlock fece alcuni passi indietro.
“È
meglio che tu non veda.”, disse, quasi supplicando.
John
si fermò, non sapendo cosa dire o cosa fare. Prese il
fazzoletto dalla sua
tasca e rimosse con amore il sangue dalle labbra di Sherlock. La
bianchezza del
cotone macchiata di macchie nere, macchie rosso vivo quando i lampi
illuminavano il cielo.
“Bè,”
riuscì a dire “se non vuoi che io la veda,
perlomeno mostrala a qualcun altro.
Per favore, Sherlock. Non puoi semplicemente andare in giro con una
ferita
simile. Nei tuoi occhi vedo quanto è dolorosa, anche se non
lo ammetteresti
mai. Per favore, Sherlock, trova qualcuno che se ne prenda
cura.”
“L’ho
già fatto, John.”, disse il detective
“Sono a Londra proprio per questo motivo.
Per ricevere delle cure. Dovrei essere in un letto d’ospedale
in questo momento.
Non qui sotto la pioggia.”
“Idiota.”,
disse John, un sorriso gentile sulle sue labbra.
“Non
dovrei proprio essere qui. Ti sto mettendo in grande pericolo nel
farlo.”,
continuò.
“Non
m’importa.”, rispose il dottore.
“A
me sì.”
“Cosa?”
“A
me importa, John. Non voglio che tu muoia.”,
sospirò.
“Ma
potrei…sono già stato in pericolo prima
d’ora. Lo siamo stati!”
“Questa
volta è diverso. Se qualcuno scopre che sono vivo, potresti
essere morto entro
domattina.”
Ok.
John stava cominciando a trovare difficile il respirare.
“È
per questo che ho usato la canzone.”, spiegò il
detective “So che soltanto tu
avresti capito a cosa mi stessi riferendo. E avevo ragione.”
John
non capiva. Sherlock era in pericolo a stare su quel tetto. Lui era in
pericolo
a stare su quel tetto. Eppure erano lì. Dovette porre la
domanda.
“E
allora perché sei qui?”
Sherlock
si avvicinò, le due facce a pochi centimetri di distanza.
John poté notare una
cicatrice recente sul collo di Sherlock, ma non disse nulla.
“Perché
volevo vederti.”
Sherlock
sussurrò, ma la sua voce riecheggiò
sull’intero corpo di John più forte delle
gocce di pioggia che ticchettavano sulla sua pelle.
“Perché
avevo bisogno che sapessi che fossi vivo.”,
continuò “Perché ho bisogno di
te.”
Le
loro labbra s’incontrarono meno di un secondo dopo, le bocche
a scontrarsi
l’una nell’altra. Tutto quello che John
sentì fu il calore del bacio, la lingua
di Sherlock che si arrotolava nella sua bocca, che tastava, esplorava,
lo
divorava appassionatamente, disperatamente. Poteva percepire il
dolceamaro del
sangue nella bocca del detective. Era il paradiso, era
l’inferno. Tra tutte le
gocce di pioggia sulle labbra di Sherlock, sentì qualcosa di
salato. Aprì
leggermente gli occhi.
Poteva
con certezza affermare che non tutti i ruscelli sulla faccia di
Sherlock
fossero gocce di pioggia. Il detective stava piangendo in silenzio, ma
non
interrompeva il bacio. Il cuore di John si spezzò un
pochino, la sensazione che
l’altro uomo stesse per partire per un luogo mortalmente
pericoloso, ma non disse
nulla. Semplicemente continuò a baciarlo, baciarlo,
baciarlo, sperando che
durasse per sempre, sapendo che non sarebbe successo.
Improvvisamente
Sherlock si staccò.
“Devo
andare, John.”, disse.
“No.”,
supplicò John.
“Devo.”
E
voltò le spalle a John, camminando verso
l’ascensore.
“Potrei
non tornare.”, disse prima di oltrepassare la porta, non
guardando John, la sua
voce un roco gemito “Ma se mai sentissi quella canzone di
nuovo, sarò qui ad
aspettarti.”
“Sherlock,
io…”, ma morì sulle sue labbra, il
detective già scomparso all’interno
dell’edificio.
“So
please just hold on”
My body echoes from their shrill
This heart is slowly beating still.
Il mio corpo che echeggia per il
loro grido
Questo cuore che ancora
lentamente batte.)
John
era di nuovo solo sotto la pioggia, quelle tre parole che aveva tanto a
cuore
ancora non dette. Il suo cuore era sollevato perché Sherlock
era vivo. Il suo
cuore mezzo morto perché se n’era andato, di nuovo.
Ogni
giorno tornò ad essere uguale a quello precedente.
Tre
mesi dopo era un tardo pomeriggio di maggio. John era in metropolitana,
poiché
stava tornando a casa dalla clinica.
I’ll be above these city lights
No one needs to know
But you.
Nessuno deve
saperlo
Solo tu.)
Quella
sera si ritrovò sullo stesso tetto. La figura di Sherlock
Holmes era illuminata
dal sole che spariva dietro agli edifici, oltre l’orizzonte.
I suoi riccioli
scompigliati dal vento bruciavano come fiamme rosse.
Il
detective guardò John. Era pallido, più magro che
mai, con cerchi viola sotto i
suoi occhi. Aveva un aspetto orribile, ma era vivo.
“Ti
amo anch’io, John Watson.”
Disse,
rispondendo alle parole non dette di John.
I’ll
be above these city lights
No one needs to know
But you.
I’ll
be above these city lights
No one needs to know
But you.
I’ll
be above these city lights
No one needs to know
But you.
I’ll
be above these city lights
No one needs to know
But you.
Nota
della traduttrice/autrice:
1) Ho
deciso di tradurre anche il testo della canzone
perché ha senso nel contesto.
2) "Mind the gap between the
train and the platform, change
here..." : se qualcuno di voi non è mai stato a Londra,
è il messaggio che
sentite dagli altoparlanti di praticamente ogni stazione della metro
londinese.
3) Lo "Square Mile" che cito (il Miglio
Quadrato) è il cuore economico della città, il
centro della City. Ha moltissimi
grattacieli.
4) La canzone che ha ispirato tutto ciò è la
bellissima,
magnifica, straordinaria "Above These City Lights" degli incredibili
Agent Fresco, che non ringrazierò mai abbastanza per la loro
musica.