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Autore: FiammaBlu    13/09/2014    5 recensioni
"Storia partecipante a Il contest delle coppie di Passiflora. CLASSIFICATA AL SECONDO POSTO!"
La parte introduttiva iniziale della FF è necessaria e parte integrante del racconto stesso e non va vista come una cosa separata. Essa introduce ad un piccolo espediente, copiato da quello usato dal Manzoni nei suoi Promessi Sposi, che permette allo scrittore (me ^^) di 'aggiungere' un pezzo alla storia originale, giustificandolo.
Nella parte finale, le virgolette indicano frasi riprese dall'originale Promessi Sposi.
Il Nibbio la trascinò con poca grazia, il bravo non sapeva che farsene delle buone maniere che a quei tempi tutti gli omini avevano, attraversò a passo lento un’altra porta di ferro e legno, come quelle de’ tempi medievali, e salì una scala ripida, gli scalini consumati, trascinandosela dietro. Lucia, dal canto suo, non faceva che arrancare dietro all’omone e i suoi pensieri erano tutti per il suo Renzo.
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Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Storia partecipante a Il contest delle coppie di Passiflora"

Le tre parole in neretto indicano le aggiunte obbligatorie che dovevo inserire per il contest.

 

CLASSIFICATA AL SECONDO POSTO!!! *_*

 

 

Introduzione

 

La maggior parte di voi, io m’auguro, si sarà sicuramente imbattuta, almeno una volta, ne’ Promessi Sposi, dell’illustre Alessandro Manzoni, nipote d’un certo Cesare Beccaria che, se uno non lo sapesse, scrisse il Dei delitti e delle pene, quindi da lui non ci si poteva aspettare nientemeno che un’opera a dir poco splendida. Ma il Nostro, esperto letterato, ebbe un’intuizione, c’avrebbe sconvolto e posto le basi per i romanzi futuri, qualcosa che non era mai stato provato prima: l’idea che ci fosse un manoscritto de’ 1600, chiamato Historia, che narrava i fatti che poi lui avrebbe esteso e dipanato nella sua storia.

Ora, sebbene possa sembrare una quisquilia, quell’espediente diede, al Nostro, un’àncora d’incredibile forza, a cui lui si sarebbe aggrappato per tutto il romanzo attingendo a piene mani ai riferimenti di questo fatidico manoscritto. Non voglio star qui a menarvela con ulteriori bazzecole, ma c’è ancora qualcosa che vi devo dire, prima. Questa cosa riguarda i protagonisti della sua storia, ovvero: il periodo storico, i’ 1600 appunto, la Provvidenza, cioè la mano di Dio, e Renzo e Lucia. Al lettore potranno sembrare tre sciocchezze, ma quelle tre entità, mescolate dalla sapiente mano del Nostro, hanno dato vita ad una storia piena d’intrighi, fughe, rapimenti, amore incondizionato, una storia da’ tratti scuri e terribili, ma dominata dalla forza d’animo e salvata dalla Provvidenza. Mi manca ancora poco e poi ho finito.

Il 1600 fu un gran secolo, pieno di cose buone e cose cattive, ma la storia dei nostri due beniamini si sa un po’ tutti come inizia: il buon don Abbondio, intimato da’ bravacci di Don Rodrigo che vuole Lucia tutta per sé, quel malandrino, non celebra il matrimonio fra i due. Le vicende precipiteranno, Renzo e Lucia fuggiranno, dividendosi, e Don Rodrigo continuerà a darle la caccia, rivolgendosi all’Innominato, potentissimo e sanguinario signore, che farà rapire Lucia dal Nibbio. Ed è qui che comincia la nostra storia.

Il lettore deve necessariamente sapere che la mi’ famiglia l’è in qualche modo legata a quella del Nostro, in una maniera che ora non sto qui a descrivervi, e che questo m’ha avvicinato a dei resti, a delle note, a degli scritti. Non potete immaginare che gaudio ho provato quando la mia mano s’è posata, in specifico modo, su uno di questi brevi manoscritti e v’ho trovato un appunto a dir poco sconvolgente! Quindi m’appresto, anche se con non poco timore, a colmare una lacuna che, sono sicura, il Nostro non poté inserire nella su’ storia: quei tempi non gliel’avrebbero perdonato e lui, da gentiluomo qual era, non si sarebbe mai permesso d’alzare un sospetto così inappropriato.

Ma ora vi lascio alla lettura che, spero, v’avvincerà tanto quanto colpì me quando la lessi la prima volta.


 

La stanza

 


Come v’avevo anticipato, il ritrovamento di quella nota curiosa allettò i miei pensieri tanto da farmi portavoce, a distanza e con rispetto, del Nostro, ma necessariamente si deve riprender le fila di quella trama complessa.

Il Nibbio, quell’omone spietato dal naso aquilino, al soldo dell’Innominato e artefice di innumerevoli e sconsiderate azioni sanguinarie per il suo signore, ha rapito Lucia, aiutato, dopo persuasioni e scoramenti, dalla Gertrude, meglio conosciuta come Monaca di Monza, e dal suo antico amante, tale Egidio, un signorotto borioso e pieno di sé. Il lettore si potrà immaginare, sia pe’ tempi che per il luogo, lo stato d’animo della nostra Lucia. La giovane, strappata agli affetti e alle sicurezze dalle mani rudi e grezze de’ Nibbio, tremava e piangeva incessantemente, pregando Dio che la salvasse. Ma il malandrino, incurante degli strazi, la trascinò fino a una porticina che quasi si perdeva nel gigantesco muro di pietra che li sovrastava.

Lucia ebbe modo d’alzar lo sguardo sulla sua prigione, un maniero tetro e nero come il suo cuore in quel momento. Abbassò la testa, un movimento lento del mento, a indicare tutto il suo sconforto. Il Nibbio parve ignorare tutto di lei, perfino che fosse una donna che, tutti lo sanno, all’epoca venivan trattate coi guanti, allorché un uomo avesse in qualche modo voluto averne ad una di loro, tutti l’avrebbero condannato lesto lesto.

La porticina scricchiolò e Lucia tremò, le mani arrese lungo i fianchi, gli occhi socchiusi che le permisero di vedere appena. L’interno era freddo e buio, ma quel malandrino accanto a lei trafficò con qualche aggeggio e sentì il fuoco della torcia sfrigolare. La tenue luce illuminò l’antro ma lei non vi prestò attenzione, anzi, se possibile il suo sconforto aumentò. L’idea, che le passava pe’ la mente ormai da un po’, c’avrebbe incontrato quell’uomo, la stava facendo tribolare non poco. A ripensarci, era proprio terrorizzata.

Il Nibbio la trascinò con poca grazia, il bravo non sapeva che farsene delle buone maniere che a quei tempi tutti gli omini avevano, attraversò a passo lento un’altra porta di ferro e legno, come quelle de’ tempi medievali, e salì una scala ripida, gli scalini consumati, trascinandosela dietro. Lucia, dal canto suo, non faceva che arrancare dietro all’omone e i suoi pensieri erano tutti per il suo Renzo. Se l’era sentito, nel profondo, che allontanarsi da lui non sarebbe stata la cosa giusta da fare anche se tutti gli altri parevano pensarla diversamente. Quello che il suo cuore avvertiva per Renzo era una cosa che all’inizio l’aveva spaventata e le aveva fatto credere d’essere una di quelle donne poco dabbene di cui le comari in paese parlavano, poi aveva capito. L’amava.

Quel malandrino del suo rapitore posò la torcia e prese un lume. L’odore acre dell’olio ammorbò ogni cosa intorno, le lacrime scesero copiose e Lucia non poté sapere se per il fumo o per la paura. C’era per terra quello che poteva sembrare, ai più attenti, un tappeto di rara fattura, e lei, che aveva tessuto, lo riconobbe come uno di quelli della bottega di Mastro Amilcare.

Il Nibbio spalancò una porta con poco garbo, ma nient’altro Lucia si sarebbe aspettata da quel bravo, e la cacciò dentro, chiudendola immediatamente. La poverina, come il lettore ben potrà immaginare, crollò a terra, non essendoci più niente a sorreggerla, e si portò le mani, a dir poco tremanti, al volto, coprendolo interamente.

- Ora mi toccherà vederlo, incontrarlo, quell’Innominato! Oh, mio Dio, come farò? Sono sola, mi rimetto alle Tue amorevoli cure! - mormorò affranta lasciandosi andare all’afflizione che, è bene dirlo, molte ragazze dell’epoca usavano più per irretire, che per verità, ma non Lucia.



Nel frattempo, a diversa distanza dal castello oscuro dell’Innominato, stava Renzo che, un piede avanti l’altro e viceversa, camminava irrequieto davanti a padre Cristoforo, le mani serrate alla schiena, le labbra, di solito aperte in sorrisi, tirate e chiuse, come se non dovesse passare il più sottile fiato.

- Padre, mi rimetto a voi! Ditemi cosa devo fare? Fermare la mia mano? Affidarmi a Dio? Per la mia Lucia, la mia Lucia! Capite? - gli urlò come qualche giorno prima aveva fatto con il povero don Abbondio.

Padre Cristoforo, pieno di dubbi e tormenti, sapeva bene di cosa parlava il giovane Renzo, che lui, in gioventù, era stato avventato e il suo passato l’aveva portato esattamente in quel luogo e davanti a quel ragazzo affranto che stava perdendo la strada di Dio, come l’aveva persa lui all’epoca. Così gli rispose come si sentì meglio, un sospiro uscì dalle sue labbra e gli occhi levò verso quello sguardo adirato e pronto a una follia che avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

- Renzo, dovete mantenere la calma, questo non vi porterà a niente, ma solo all’ira di Dio! - s’alzò, con un movimento che intimorì il giovane, fra il deciso e l’arrabbiato, che cambiò, in Renzo, la percezione che aveva sempre avuto del padre.

- Padre, io non posso restare così, con le mani in mano! - gridò di nuovo anche se, va detto, con meno convinzione della precedente arringa. Poi, forse, spinto proprio da quella grazia divina a cui si stava appellando anche la sua Lucia, lo sguardo tormentato venne attirato da un oggetto apparentemente senza alcun significato ma che in quel momento rappresentava ciò che per lui era distante e inavvicinabile: il ventaglio di Lucia giaceva, chiuso come il suo cuore, sul tavolo del padre Cristoforo. Renzo s’avvicinò, ignorando l’occhiata del cappuccino che gli bruciava l’animo, e prese lentamente il ventaglio fra le dita tremanti.

Ora, occorre precisare, come il 1600 fosse un secolo aperto, ma non troppo. Il lettore ben potrà immaginarsi quanto, in quegli anni, fossero ancora difficili i rapporti fra omini e donne, come non ci fossero che sguardi, al massimo tocchi di mani durante i balli, ma nulla più, e quanto questo, alla lunga, logorasse e struggesse anche le coppie più dabbene.

Padre Cristoforo osservò il giovane portarsi, in silenzio e con gli occhi chiusi, il ventaglio al petto e come quel gesto spontaneo, sincero, accorato, venisse dal profondo dell’animo di Renzo. Rimase immobile, fisso, rivide sé stesso, le nocche sbiancate, la faccia terrea, le labbra tremanti di rabbia.

- Che Dio mi perdoni… - sussurrò il padre accasciandosi, la mani al volto contratto e angustiato, un’espressione rara sul suo viso, di solito gioviale. Renzo sollevò gli occhi, quasi timoroso, e intimorito da quella preghiera sentita, di leggere sulla faccia di padre Cristoforo quell’accenno che così tanto il suo cuore bramava.

- M’aiuterete? - mormorò a sua volta, un solo passo avanti, come a dire “sono qui padre, ad un vostro cenno io me n’andrò”.

Padre Cristoforo s’alzo, com’avesse sulla schiena il peso di cento massi, e gli prese le spalle fra le mani. Gli occhi balenavano come saette, pieni d’una vita che Renzo non v’aveva mai visto.

- Sì, Renzo, v’aiuto, ma mi dovete prometter fin d’ora che v’atterrete a quello che vi dirò di fare! - e Renzo sentì la presa farsi salda, non più timorosa, come se quella forza venisse da un altro uomo e non da quel cappuccino che conosceva come mite e remissivo.

In quel frangente Renzo, che aveva sempre una parola per tutti, rimase ammutolito, fece un passo indietro quasi, e non solo per l’ammissione del padre, ma soprattutto pe’ suoi occhi. Non erano più quelli del padre Cristoforo che conosceva, forse appartenevano all’uomo che era stato e di cui Renzo aveva sentito solo qualche voce, di sfuggita, più dalle comari che da altri lidi, e non gl’aveva mai dato tanto peso. Ma ora si doveva ravvedere.


Nell’appunto che ho trovato, il Nostro non cita né il mondo né il tempo in cui padre Cristoforo e Renzo, partiti di gran carriera, raggiungono il maniero dell’Innominato ma figura un nome, d’un malandrino conosciuto all’epoca, che io chiamerò Ansaldo da Pavia, come nome di copertura, perché non volessi mai, con la mia imbranataggine, rivelare tosto qualche altarino e mettere nei guai qualche discendente. Improvviserò, e vi dirò che padre Cristoforo, attingendo a suoi antichi ricordi, trovò quel manigoldo, per nulla raccomandabile, e lo pagò per farsi fare un certo lavoro.

Durante il viaggio a cavallo che li aveva portati nei pressi del castello, i tre uomini s’erano scambiati poche parole, tutti presi da ciò che avrebbero dovuto fare: il padre perso nei suoi dubbi e ricordi, Renzo ansioso di riveder Lucia - e controllava ogni attimo il ventaglio nella tasca del farsetto - e l’Ansaldo contento per il sacchetto di monete che penzolava dalla cintura e che gli aveva dato padre Cristoforo, ché lui sapeva bene chi fosse stato in gioventù.

L’Ansaldo si rivelò subito pratico con la serratura d’un gran portone nelle mura che fiancheggiavano, lungo lungo, un sentiero discosto dalla strada maestra, e che, una volta aperto, conduceva ad un antro silenzioso e buio. Renzo non ebbe neanche il coraggio di levare una preghiera a Dio, sicuro che ciò che stava facendo l’avrebbe solo offeso ancor più, ma lui voleva vedere Lucia! Con il cuore dibattuto fra la colpa e la felicità, s’apprestò a seguire i due uomini in nero che parevano sparire nelle ombre de’ muri di pietra, come fossero fantasmi.

Ma ecco che un rumore sospetto li fermò sul posto!

Renzo credeva, anzi era certo, che il cuore che batteva in petto sarebbe uscito subito se non avesse smesso di battere in quel modo. Si portò una mano al petto, come una copertura, come a fermare quella folle corsa, sentì il ventaglio sotto la mano e subito il pensiero della sua Lucia lo calmò.

Intorno a loro c’era solo buio, nulla si vedeva chiaro, ma il rumore, che ora erano sicuri fosse di passi, rimbombò per tutto l’antro. L’Ansaldo fece una mossa e sfilò la spada dal suo fodero. Renzo l’osservò mesto, aveva pregato fino all’ultimo che non fosse necessario usar violenza, ma era lì a causa di quel Don Rodrigo! Quel malandrino! Portare via la donna a un altro, e per scommessa poi! E non contento, farla rapire! Il giovane sfilò la spada pronto a fare tutto ciò che era necessario per raggiungere Lucia e portarla via da quel maniero freddo e vuoto.

Il padre Cristoforo nel frattempo, che aveva visto le mosse dei due, s’era spostato lesto dall’altra parte del corridoio, dietro una madia che faceva da riparo. La luce debole d’un lume arrivò dall’angolo, seguita subito dopo dal Nibbio, anche se nessuno di loro sapeva il suo nome, e due bravi!

Immediata fu la reazione dei tre manigoldi che, estratte le spade, si gettarono contro il povero Renzo e l’Ansaldo che non ebbero altra via se non quella d’affrontarli.


Le ore passavano, Lucia sentiva il rintocco del campanile, unico conforto in quella stanza fredda e buia. Aveva aperto gli scuri e la luce della luna si riversava dentro, posandosi sul letto di legno con un copertone rosso, un tappeto a fiori ben lavorato, un cassettone e una brocca bianca su un tavolino d’aspetto semplice. Immerse le mani tremanti nell’acqua della brocca e se le passò, docili, sul volto accaldato dalla paura e dalla vergogna.

Che fare? Come comportarsi con quell’uomo, quell’Innominato? Tutti sapevan chi era: un sanguinario, un assassino, un uomo senza timor di Dio, e lei che avrebbe mai potuto fare con uno così?

Un sospiro profondo lasciò il suo petto, unico suono nel silenzio opprimente della stanza. S’alzò dal letto dove s’era seduta per debolezza, e raggiunse di nuovo la finestra. C’era un breve spazio dove poté poggiare i gomiti e guardare fuori. Oltre la finestra, una grata di ferro occludeva completamente l’arco, e lei comunque non avrebbe potuto porre rimedio a quella sua visita forzata. Non era fuggendo che avrebbe risolto la questione, sapeva che la mano di Dio non l’avrebbe abbandonata.

Appoggiò con garbo il mento fra i palmi aperti spostando lo sguardo all’insù e notò, con meraviglia, un ragno, nell’angolo della finestra. L’esserino tesseva, senza sosta, una ragnatela dalla forma perfetta, instancabile, su e giù e viceversa, poi in tondo. Lo rimirò con la bocca aperta, finché un sorriso, di quelli che avevano fatto innamorare Renzo, addolcì il suo viso alla vista di quella meraviglia divina.

Un siffatto perfetto lavoro poteva essere solo opera Sua e lei ci s’aggrappò, come un assetato alla fonte, si riempì l’animo di quella visione, di quel disegno meraviglioso, come se la ragnatela fosse un messaggio, che la incoraggiava a non demordere, ad avere pazienza come l’aveva il ragno, a confidare nella Provvidenza. E così Lucia fece, s’inginocchiò, unì le mani incrociando le dita, sollevò gli occhi alla luna argentata e pregò.

Non poteva sapere che, un piano sotto, il suo Renzo combatteva per salvarsi la vita e raggiungerla.


Renzo non avrebbe saputo dire, neanche a posteriori, chi gli aveva dato quella forza e quell’audacia. Quando aveva saputo dell’ignobile atto di don Rodrigo che aveva fermato il suo matrimonio, era stato subito pronto a dargli battaglia, senza paura, ma in quel frangente era diverso, erano in due contro tre, e loro erano abili. Eppure non s’arrese e la Provvidenza, nella figura di padre Cristoforo, l’ascoltò. Il cappuccino aveva trovato, chissà dove, forse nella madia, una sorta di randello, che calò vigoroso sulla schiena d’uno dei bravi, che s’accasciò con un grugnito molto animalesco. L’Ansaldo aveva ingaggiato battaglia serrata col Nibbio, e il bravo aveva uno sguardo feroce che avrebbe fatto scappare un orso, di quelli di cui raccontava il vecchio Francesco e che si trovavano sui monti sopra Milano.

Renzo, dal canto suo, cercava in tutti i modi di sbaragliare il bravaccio che gli stava di fronte e che pareva sbavare come uno dei cani da caccia del Torello, chiamato così perché, si diceva, da ragazzo avesse catturato un giovane toro ch’era scappato dal recinto del padre.

Il bravo mirò al suo costato, ma Renzo fu più veloce, scansò il colpo e la sua lama si scontrò e vibrò contro l’altra, ma lui tenne il braccio fermo, come sapeva fare, e spinse lontano da sé l’omaccio che cadde, s’avvertì un rumore, come d’una zucca spaccata, e rimase lì, immobile, senza più fare un fiato.

Un grido soffocato costrinse Renzo a voltarsi di scatto, per vedere la punta della lama dell’Ansaldo sfiorare la gola del bravo poderoso, l’omone col naso aquilino.

- Non l’ammazzare - lo redarguì padre Cristoforo, serrando la mano sull’avambraccio del ladro che li aveva aiutati - Non l’ammazzare se hai timore di Dio! - ripeté sibilando il frate cappuccino senza mollare la presa. L’Ansaldo lo fissò in cagnesco, alzando il grugno in segno di sfida, ma non lo trapassò.

- Leghiamolo - sussurrò padre Cristoforo, lo sguardo basso, due occhiaie nere che gli circondavano gli occhi e dimostravano tutto il suo sconforto per quella situazione. Renzo lo aiutò mentre l’Ansaldo fece bene attenzione a che non facesse mosse strane. Il bravo stette zitto, non disse niente, guardò coi suoi occhi pieni di brace che Renzo evitava accuratamente.

Poco oltre la madia, c’era uno stanzino, di quelli che s’usano a rimessa, con dentro tanta roba vecchia. C’erano anche delle sedie che pareva aver messe lì la Provvidenza. Padre Cristoforo le spostò e su una ci piazzò il bravo. Racimolò della corda da fasci, quelle che s’usano anche pe’ il grano, e lo legò ben bene. Poi Renzo e l’Ansaldo portarono il bravo colpito dal frate a cui toccò la stessa sorte su un’altra sedia, e infine l’ultimo, solito modo, altra sedia ancora.

- Saliamo - proferì serio il ladro e Renzo lo guardò fisso: pareva che a casa sua, tranquillo, e non nel maniero dell’Innominato. Sentì il frate sospirare ma non si girò, restò dritto, gli occhi sulla schiena dell’Ansaldo che procedeva cauto, poi si decise a seguirlo.

Salite le scale c’era un corridoio, solo la luce della luna che filtrava da’ grandi finestroni offriva quel po’ di luce che permetteva di non inciampare passo passo. Renzo teneva la mano sulla spada, pronto a passar chiunque al suo filo, anche se fosse stato quel diavolo dell’Innominato stesso! Voleva veder Lucia, nessuno l’avrebbe fermato. Al pensiero di lei, portò subito l’altra mano al farsetto, al ventaglio che vi giaceva sotto, vicino al suo cuore, come fosse la sua calda mano.

- Dove sarà? - chiese in un sussurro Renzo guardando le porte che si susseguivano, una via l’altra.

- Cerchiamo una luce - rispose l’Ansaldo sommesso e tenendo il capo basso, come a guardar sotto le porte. Renzo, nel frattempo, sentiva battere il cuore in petto, e gli venne naturale levare una preghiera: oh Signore, se io la vedessi, anche solo un istante Signore, farei tutto quello che Tu vorrai! Ma fammela vedere! Anche solo un momento placa questo mio cuore!

- Ci siamo! - sibilò l’Ansaldo avvicinandosi ad una porta e accucciandosi a terra, come quando da bambino lui spiava sotto la porta del granaio e due vicini, che erano due fratelli, di nascosto dal loro padre, si davano di spada. Renzo seppe, appena quelle parole entrarono e uscirono dalle sue orecchie, che l’avrebbe vista. Era lì, dietro la porta, se lo sentiva dentro, come un presagio. Che la sua preghiera fosse stata ascoltata?

Si girò verso padre Cristoforo che lo guardava di sottecchi, le mani unite in grembo, le spalle dimesse, come se su di lui gravasse una pena pesante come un macigno. Quando tornò verso l’Ansaldo, s’era rialzato e stava trafficando vicino alla serratura. S’udì un suono di ferro che scatta e un sorriso di trionfo gli dipinse sulla faccia.

- Tutta vostra, messere - lo apostrofò il manigoldo. Renzo guardò prima lui poi il padre, indeciso, fece un passo, poi un altro, come se ci fosse qualcosa che lo stesse tirando. Con mano tremante afferrò la maniglia di ferro battuto e la pigiò.


Il campanile scandì tre rintocchi e Lucia seppe che al ragno era occorsa quasi un’ora per tessere la sua meraviglia. Ora era lì, fermo in centro alla ragnatela, re del suo mondo, mentre per lei non era cambiato niente. Aveva continuato a pregare, senza cedere allo sconforto, sicura che non avrebbe potuto chiudere occhio e rilassare le membra in quella stanza, in quel castello, dove c’era quell’uomo da qualche parte. S’accorse del dolore alle ginocchia e si rialzò con un gemito sommesso. E in quel momento, nel silenzio tombale che la circondava, sentì un sibilo, poi un fruscio, poi un grattare metallico alla porta. S’appiattì contro il muro della finestra, si sentì prendere dalla paura che non voleva smettere di farle tremare le gambe e le mani, come quando vide quel cavallo, da bambina, che le veniva incontro per schiacciarla.

E poi lo vide, sulla porta, il suo Renzo! Rimase così sbalordita da quella visione, che non si mosse, restò immobile, ferma, solo gli occhi tradivano la vita che ancora l’animava.

- Lucia… - sussurrò Renzo facendo un passo nella stanza. Era vestito tutto di nero, pantaloni, farsetto, stivali, e aveva una spada.

- Renzo! - mormorò Lucia, incredula, con un sussulto di sollievo. Rimasero immobili, a rimirarsi, come vedessero, entrambi, un’apparizione.

Lucia rimase immobile, appoggiata al muro della finestra come fosse un baluardo di salvezza, e Renzo fece due passi nella stanza accostando la porta, lieve, dimentico degli altri due fuori, l’unica cosa che vedeva era lei, la veste spiegazzata, i capelli scarmigliati che le ricadevano sul volto sbiancato dalla paura su cui ora si intravedeva un rossore diffuso.

Aveva guardato Lucia così tante volte da sapere a memoria ogni tratto del suo volto, ogni scintillio degli occhi, ogni piccola ruga che esaltava la sua bellezza, e ora quel malandrino d’un don Rodrigo! Ma non l’avrebbe permesso!

- Come puoi essere qui? Sei solo un sogno, mio Renzo, vero? Ho pregato così tanto che il Signore ha voluto mandarmi questo conforto e io, io son così contenta che tu mi visiti anche solo in sogno! Son felice lo stesso di poterti guardare, un altro potrebbe pensare a una burla, ma io so che il battito del mio cuore non mente, muore di felicità al solo vederti! - la giovane abbassò le spalle, il viso luminoso sembrava aver perduto tutta l’angoscia precedente.

- Lucia! Sono io, Renzo! Sono qui! - mormorò con la voce strozzata pe’ la paura e l’angoscia che potessero averle fatto qualcosa. Fece un altro passo avanti, ma si fermò d’improvviso: ciò che desiderava il suo cuore era troppo, non poteva e non voleva offenderla!

Lei si riscosse, si rimise dritta, lo guardò con gli occhi spalancati come due laghi in primavera e si portò entrambe le mani al petto in un gesto di sconforto quando capì cos’aveva fatto Renzo.

- Perché sei qui! - gli domandò con un singhiozzo - Cosa accade se l’Innominato ti trova o quell’altro bravaccio? - se avesse potuto, la poverina, sarebbe andata oltre il muro, oltre i mattoni, oltre la finestra, pur di scampargli quel nefasto destino. Eppure, si stupì quando si rese conto che era orgogliosa di lui, che era venuto per lei, e, Dio la perdonasse, l’unica cosa che avrebbe voluto in quel breve istante era averlo vicino.

- Stai bene? - Renzo si sforzò d’ignorare le sue labbra che tremavano - T’ha fatto del male? - le chiese mesto con voce appena udibile. Se l’aveva anche solo toccata, l’avrebbe ucciso, Dio gli era testimone!

Lucia scosse la testa, i capelli ondeggiarono come grano al vento, abbassò lo sguardo al pavimento, vergognandosi di ciò che provava il suo cuore, non voleva che Renzo vedesse in lei una donna poco dabbene, ma bramava le sue braccia!

Renzo fece un altro passo avanti, aveva paura, era terrorizzato anzi, di non saper più come fermarsi, come impedirsi di far del male a lei e a sé stesso, di  non poter più essere ammesso alla vista di Dio e di condannare anche lei. Eppure voleva stringerla, assicurarsi che stesse davvero bene, era lì davanti a lei, eppure distante come la montagna all’orizzonte.

Il silenzio era opprimente, ma nessuno dei due s’azzardò a infrangerlo, si guardavano negli occhi, che brillavano come gemme, godendo entrambi della vista reciproca, del sapersi l’uno davanti all’altra, come avrebbe dovuto essere al loro matrimonio.

Renzo fece un altro passo e Lucia si abbandonò al sentimento che le riempiva il cuore e che sapeva non poter esser negativo, allungò solo una mano, un gesto trattenuto, ma d’invito, che Renzo colse subito, e gli fece intendere che anche lei lo voleva vicino.

La raggiunse e l’abbracciò stretta, togliendole il respiro. Non era cosa che si facesse fra di loro, ma non gli importava, era lì, con lui, e null’altro aveva importanza.

Lucia si sentì rinascere fra le sue braccia, un iniziale sgomento per quel gesto audace lasciò il posto al calore che veniva da lui e che entrava in lei e la scaldava. Distese le braccia e lo cinse, dapprima titubante, poi con forza, come a non volersi mai staccare da lui.

- Lucia - sussurrò Renzo inspirando il profumo de’ suoi capelli. Non poteva credere che averla così vicino lo facesse sentire in quel modo: tremava ma era morbida, stava rannicchiata contro di lui come un uccellino nel nido e l’unica cosa che gli importava era proteggerla.

- Renzo, perché sei venuto, Renzo? - mormorò fra i singhiozzi, abbandonata a lui, senza ritegno, non le importava, il suo petto era caldo e sentiva il suo cuore battere, veloce, all’unisono col suo. E le sue braccia che la tenevano e sostenevano come una gabbia gentile e salda.

- Per portarti via dalle mani di questo manigoldo! - disse con veemenza, spostandosi appena per guardarla in viso. Il corpo di lei fremeva fra le sue braccia e ciò che sentiva era una cosa che non aveva mai provato nella sua vita.

Ma Renzo si stupì della reazione sul volto della donna che amava.

- No, Renzo! - s’aggrappò con entrambe le mani al farsetto nero e lo tirò verso di sé - Non voglio! Se mi porti via, se io scappo, lui ci cercherà ancora, ti farà del male, lascia che la storia faccia il suo corso, lascia che la Provvidenza m’aiuti come ha portato te qui da me, ora! -

- Lucia, ma che dici?! - Renzo non sapeva come guardarla, vedeva i suoi occhi impauriti, per lui, per ciò che avrebbe potuto fargli l’Innominato. La strinse a sé serrando gli occhi, l’angoscia che gli opprimeva il petto era lacerante.

- Non ti posso lasciar qui, amor mio, come puoi chiedermelo? - le sussurrò appena, cercando di nascondere la paura. Eppure, in fondo al cuore, lo sapeva, sapeva che lei aveva ragione, che scappare da quel castello non era la strada giusta.

- Renzo, dai retta alla tua Lucia, non lo dico per dire, lasciami qui, non mi farà del male - gli disse tremante, gli occhi che brillavano come quella solitaria stella del mattino.

E quell’istante di sospensione, in mezzo a loro, carico di quell’attesa che precede un grande evento, si riempì del battito dei loro cuori. Renzo, di solito un ragazzo posato e sicuro di sé, perse del tutto quella rigida imposizione che s’era fatto, d’aspettare, di dare tempo alle cose d’essere ufficiali, in quei tempi Lucia avrebbe potuto perdere il buon nome per cose come quella che gli passavano in testa in quel momento.

Lucia, dal canto suo, ebbe un ultimo, singolo pensiero, prima che ogni cosa si cancellasse, e fu alla Provvidenza, c’aveva portato lì il suo Renzo.

Renzo lasciò scivolare le mani lungo le braccia morbide, fin sulle spalle che tante volte d’estate aveva guardato, scoperte dai vestiti; le dita corsero febbrili sul collo elegante, una delle prime cose che aveva adorato di lei. S’abbassò, lentamente, niente gl’avrebbe impedito di fare quello che voleva da tempo, né quel timor di Dio che tanto impegnava la sua vita, né altro evento. E quando vide, negli occhi ardenti di Lucia, lo stesso desiderio, chiuse gli occhi e la baciò.

Lei intese subito le sue intenzioni, aveva paura ma non si sarebbe tirata indietro, lo voleva, voleva baciarlo più di ogni altra cosa, più di quel timore divino che governava la sua vita, più delle parole di sua madre Agnese, più dei consigli di padre Cristoforo. Era una cosa che non si faceva, era sbagliata, ma lei lo voleva.

Quando le loro labbra s’incontrarono, Renzo e Lucia s’aggrapparono l’un l’altra, lui con le braccia intorno a lei, lei con le dita serrate al suo farsetto, come per impedirgli d’andar via, d’interrompere quella meravigliosa e agognata unione, che andava contro a consuetudini e leggi morali che impedivano a ogni coppia di mostrare che oltre all’amore sentimentale ve n’è uno anche fisico, stupendo e ugualmente nobile.

Renzo, dimentico di ogni cosa, intensificò il bacio schiudendo le labbra affamate e il suo cuore palpitò quando Lucia rispose con altrettanto ardore al tocco delicato della sua lingua.

Erano il centro di ogni cosa, e quando Renzo, di malavoglia, interruppe quell’unione, Lucia emise un lieve lamento di protesta. Aveva gli occhi chiusi ed era bellissima, come non l’aveva mai vista, le guance imporporate, il respiro che usciva rapido dalle sue labbra umide del bacio. Quando li riaprì, per Renzo fu come veder un’alba, era radiosa, gli sorrise e si strinse a lui, complice e consapevole di ciò che si erano scambiati.

- Farò come tu dici, Lucia, ti lascio qui, e il mio cuore resta con te, sempre. Abbi memoria del mio bacio, perché esso è solo il primo - mormorò Renzo posando un’ultima volta le labbra su quelle della donna che amava profondamente.

- Andrà tutto bene, mio Renzo, non dubitare. La Provvidenza c’aiuterà, perché io t’amo più di me stessa e mai, mai, finché avrò vita dimenticherò questo bacio che per me è come un raggio di speranza in questo momento che sembra buio - si sollevò verso di lui e lo sorprese posando le labbra sulle sue in uno scambio muto che celava una promessa.

Renzo sciolse l’abbraccio e fece un passo indietro senza lasciare i suoi occhi brillanti, poi si voltò e uscì dalla porta.


Ho narrato la storia senza interrompere perché mi pareva quasi di rovinare il momento con le mie parole inopportune, ma il lettore di certo potrà immaginarsi bene che il Nostro non avrebbe mai potuto inserire una scena del genere all’epoca in cui scrisse i Promessi Sposi, pertanto essa è rimasta su questa nota e io l’ho portata da voi.

Renzo e Lucia s’amano profondamente, d’un amore puro e incrollabile che alla fine vincerà su ogni cosa, abbattendo signori sanguinari - perché il nostro Innominato si pentirà proprio per le parole che Lucia gli dirà la mattina seguente a questo incontro e la lascerà libera - la guerra per la successione del ducato di Mantova e addirittura la peste, portata dai Lanzichenecchi tedeschi, che calerà come l’ascia di un boia su Milano o, per dirla con le parole del Nostro “come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato”.

E questa è la fine della mia storia “la quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta.”


 

..:| Angolo dell'autrice |:..

Normalmente non scrivo l'angolo dell'autrice ma la recensione di Ifyouknowtellme mi ha fatto pensare che in questo caso fosse necessario ^_^

Quando ho letto il Contest delle coppie di Passiflora sul forum e ho visto una delle due coppie rimaste, Renzo e Lucia, non ho saputo resistere alla tentazione! Solitamente non partecipo ai contest perché purtroppo non ho molto tempo da dedicare a questo tipo di sfide, amo i Promessi sposi (lo so che a scuola è un argomento ostico, ma il mio prof d'italiano mi fece amare questo importante romanzo storico e d'amore) e così, con un'idea già in mente, mi sono iscritta.

Avevo la possibilità, per la prima volta nella storia, di scrivere un 'incontro ravvicinato' fra Renzo e Lucia che sicuramente Manzoni non avrebbe mai potuto inserire all'epoca! Così, armata di umiltà e con quell'idea in testa, ho iniziato a scrivere. Il contest prevedeva anche l'inserimento di tre parole particolari e non era necessario che venisse ricalcata perfettamente la coppia esatta, ma io volevo proprio scrivere il mio racconto come parte mancante e integrante del romanzo originale.

Così l'introduzione. Essa è parte attiva del racconto, ricalca l'idea originale di Manzoni che, nella sua introduzione (anch'essa parte necessaria e non 'saltabile' del romanzo), cita una fantomatica Historia, manoscritto del 600 da lui trovato e 'usato' per scrivere il suo libro. Chiaramente fu solo un espediente (geniale per l'epoca!!!) e così io ho fatto, con quella 'nota' e quella 'parentela' che ho inserito nell'introduzione e che mihanno permesso di far scaturire il racconto e di 'giustificarlo'.

Manzoni, durante tutti i Promessi sposi, interviene in prima persona per commentare e gestire certe situazioni (soprattutto quando lui le giustifica 'prese' dalla Historia) e io ho fatto altrettanto. La fase finale di chiusura del racconto (e anche una circa a metà), ricalca sempre questo suo modo di fare e, addirittura, ho citato fra virgolette le due parti prese direttamente dai Promessi sposi, l'ultima è quella con cui anche lui chiude il suo romanzo.

Spero che questa spiegazione possa aiutare ad apprezzare ancor più questa breve prosa e spero che Alessandro Manzoni non me ne voglia per aver tentato, con audacia ma anche umiltà, di simulare la sua perfetta composizione che ancora oggi, alla quinta lettura, non mi stanca mai!

Cecilia

   
 
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