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Autore: feffalolla123456    13/09/2014    1 recensioni
Cara non immaginava che lasciare Londra per trasferirsi in una piccola cittadina dello Cheshire sarebbe stato il primo passo verso la felicità. Non immaginava che finalmente avrebbe trovato un luogo da chiamare casa...non in mezzo ai pascoli!
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«Harry, si può sapere che ti è preso?! Tra poco iniziano le lezioni la vogliamo finire questa partita?!!» Il riccio si voltò verso un suo amico, piuttosto arrabbiato, che continuava a lanciarmi occhiatacce più che eloquenti. Libera il nostro amico, strega.
«Il dovere mi chiama», sghignazzò il put- volevo dire, Harry. «Ah, per il telefono mi farò venire in mente qualcosa. Ci si vede in giro, straniera!»
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Una Oneshot dove inserisco dei missing moments con un mio originale punto di vista, dove la protagonista è un personaggio di mia invenzione. Perché a volte quei ragazzi possono essere anche considerati come amici...
ATTENZIONE: accenni Larry
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bestfriends
 
Agosto 2008
 
«Cara! Tesoro, svegliati!»
Mi rigirai nel letto, sprofondando la faccia il più possibile nel cuscino. Non ero un tipo mattiniero, anzi, odiavo dovermi alzare prima delle undici. Non faceva bene dormire poco, tutte le modelle lo dicevano. Non volevo diventare una modella, ma ogni scusa era buona per convincere mia madre a lasciarmi perdere e quella era l’ultima trovata: almeno dieci ore di sonno o mi sarebbero venute le rughe.
Quel giorno, però, non era il sonno a impedirmi di lasciare il mio morbido e caldo letto.
Mia madre, la donna che si presumeva dovesse amarmi, aveva deciso di risposarsi. Fin lì niente di strano, se lo meritava. Ma nessuno l’aveva autorizzata a scegliere Robb!
Robb era un uomo sulla cinquantina, un po’ avanti con gli anni per mia madre che aveva appena raggiunto i quaranta, ma all’amor non si comanda. E poi Robb era un uomo davvero a modo, amava la mamma e aveva una sorta di adorazione per la sottoscritta. L’unico problema era che abitava ad Holmes Chapel.

Mia madre entrò come una furia in camera, spalancando la finestra e inondando di luce il mio antro oscuro. «Carina Hayley Simmons, se non alzi immediatamente il culo e fili a prepararti te la vedrai con la mia furia!»
Scattai in piedi come una molla. Chiunque conoscesse Jodie Smith sapeva che quando pronunciava il mio nome per intero era meglio obbedire, pena la reclusione a vita e io sinceramente non avevo bisogno anche di quello. La mia vita sociale da “appena decente” stava per diventare “inesistente”, non avrei di certo migliorato le cose costretta a rimanere in casa, in punizione.
Trascinando i piedi, afferrai i vestiti che avevo lasciato sulla sedia il giorno prima, gli unici rimasti fuori dagli scatoloni, ed entrai in bagno. Non era mai stato tanto vuoto come in quel momento.
Niente creme che riempivano ogni angolo utile, non c’era l’odore dello shampoo di mia madre che solitamente impregnava l’aria la mattina, nemmeno lo specchio aveva evitato il trasloco. Solo il mio spazzolino, poggiato sul lavandino accanto ad un tubetto mezzo vuoto di dentifricio.
Mi lavai e cambiai il più lentamente possibile, come se in quel modo avessi potuto evitare l’inevitabile. Comunque a fine giornata mi sarei ritrovata in un’altra casa a centinaia di kilometri di distanza dalla mia amata Londra.
Dovrebbe essere illegale costringere poveri adolescenti ad abbandonare la capitale per trasferirsi con il nuovo fidanzato delle proprie madri in- non so neanche come considerare quel posto! È aperta campagna!
Annodai i capelli in una coda alta e sciatta e mi avviai verso il salotto, come un condannato a morte diretto alla forca.

Robb era sulla soglia, sorridente. Avrei voluto dargli un pugno in faccia o perlomeno costringerlo a non sorridere come un ebete, ma era più forte di lui. Ogni volta che posava lo sguardo su mia madre, i suoi occhi si illuminavano e lui diventava peggio di un bambino di fronte ad una montagna di caramelle.
«Siamo pronti?», esordì mia madre andando verso Robb e lasciandogli un bacio a fior di labbra. Feci una smorfia e sperai di non dover assistere ad altre effusioni per il resto della giornata.
«Il camion è carico e pronto a partire, aspettano solo noi, tesoro», rispose prontamente Robb.
Sbuffai mugugnando qualcosa in segno di protesta, ma nessuno stava prestando attenzione alla povera adolescente frustrata. Ero solo lo sfondo del loro idillio amoroso.

Il viaggio fu tremendo. Il peggiore che avessi mai dovuto affrontare. E non solo perché vedevo Londra allontanarsi ed i verdi pascoli farsi sempre più vicini.
Mamma e Robb avevano cantato tutto il tempo, credendolo estremamente divertente e rilassante e io non ero riuscita a chiudere occhio neanche per un secondo. Tre ore d’inferno!
Controllai il telefono, mentre guardavo da lontano gli uomini della ditta di traslochi aiutare Robb a sistemare i mobili più pesanti. Avevamo dovuto comprare una casa più grande del monolocale dove abitava Robb prima di conoscere la mamma.
Come pensavo né un messaggio né una notifica. Non era una novità, nessuno mi cercava mai. Ma speravo che qualcuno avrebbe sentito la mia mancanza. A quanto pare mi sbagliavo di grosso.
«Cara! Vieni ad aiutarmi con questi scatoloni!»
Grandioso! In prigione e costretta ai lavori forzati. Che vita di merda.
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Settembre 2008
 
Le ultime due settimane di vacanza le avevo trascorse aiutando in casa con il trasloco, un lavoraccio. Ma alla fine quella catapecchia che chiamavano villa somigliava, seppur vagamente, ad un’abitazione.
Quella mattina era stato duro alzarsi dal letto e altrettanto prepararsi in tempo per uscire. Era solo Settembre, ma in quella maledetta città dimenticata da Dio faceva un freddo cane!
Mi strinsi nel maglioncino di cotone leggero, che impediva a malapena al vento di gelarmi. Borbottavo mentre camminavo verso la scuola. Avrei frequentato il secondo anno. Questo significava che i miei compagni avevano, con ogni probabilità, già legato tra di loro e io sarei stata semplicemente quella nuova e strana da evitare con accuratezza. In fondo avevano sempre fatto così, nessuno si era mai dimostrato interessato a conoscermi sul serio. Si fermavano tutti alle apparenze e io, beh, apparivo come una sfigata.

Arrivai con dieci minuti d’anticipo. Avevo tutto il tempo di commiserarmi in santa pace, ormai erano mesi che non facevo altro. Non ero una depressa, autolesionista del cavolo. Ero molto sola, questo sì, ma non per quello prossima al suicidio.
Trovai un angolino del cortile, sotto un ampio albero, niente male. Da lì avrei potuto osservare tutti i ragazzi che entravano e studiare i miei nuovi compagni di scuola, un passatempo divertente.
«Ehi!» Sobbalzai presa alla sprovvista e mi cadde il cellulare a terra. Neanche a dirlo, si disintegrò in mille pezzi. Poco male, non che mi servisse sul serio. Anche se una quattordicenne senza cellulare sarebbe rientrata in una categoria per nulla “in”.
«Dannazione», borbottai raccogliendo quello che restava del mio telefono. Sollevai lo sguardo, l’espressione più rabbiosa del mio repertorio dipinta sul volto.
«Mi dispiace», disse un ragazzo alzando le mani in segno di pace. «Volevo solo che ci rilanciassi il pallone.»
Solo in quel momento mi accorsi della palla consumata che giaceva ai miei piedi. Sospirai, ci avevo rimesso un telefono per quel motivo.
Il ragazzo si abbassò per recuperare il pallone, ma invece di correre indietro dai suoi amici -che lo stavano chiamando a gran voce, e insultando a mio modesto parere- quello rimase di fronte a me, sorridendo e squadrandomi da capo a piedi.
Mi ricordava quell’imbecille di Robb. «Che vuoi?!», chiesi al limite dell’esasperazione. Perché non girava al largo e tornava a giocare con i suoi compagni?
«Non sei di qui.» Sembrava più un’affermazione che una domanda.
Sollevai un sopracciglio. «No, infatti.»
Il suo sorriso se possibile si allargò ulteriormente, dando mostra di due deliziose fossette. Ma non gli facevano male le guance?
«Che hai da ridere?»
Lui scosse la testa e alzò le spalle. «Niente, è difficile vedere volti nuovi qui. Da dove vieni?»
Quel ragazzino era troppo curioso. E carino. Ci mancava solo la mia coscienza a farmi impazzire, non bastavano due splendidi ed espressivi occhi verdi. Erano veri? Non mi ricordavo di aver mai visto un verde tanto intenso da nessuna parte. E a completare l’opera, una zazzera di riccioli ribelli gli incorniciavano il viso. Mi ricordava un po’ gli angioletti cicciottelli dei quadri famosi, i putti.
«Sì, sembra proprio un putto.»
«Cosa?»
«Niente!», mi affrettai a rispondere. Non credevo di averlo detto ad alta voce e a giudicare dalla sua espressione divertita doveva aver capito esattamente che l’avevo paragonato ad un angelo, seppur bambino e ciccione, era sempre un angelo. Arrossii appena, borbottando frasi sconnesse.
«Harry, si può sapere che ti è preso?! Tra poco iniziano le lezioni la vogliamo finire questa partita?!!» Il riccio si voltò verso un suo amico, piuttosto arrabbiato, che continuava a lanciarmi occhiatacce più che eloquenti. Libera il nostro amico, strega.
«Il dovere mi chiama», sghignazzò il put- volevo dire, Harry. «Ah, per il telefono mi farò venire in mente qualcosa. Ci si vede in giro, straniera!»
Lo osservai mentre si allontanava, i ricci che rimbalzavano ad ogni passo. Mi chiedevo come facesse a giocare a calcio, se inciampava ogni tre passi. Sorrisi, quel ragazzo era davvero goffo e strano.

Entrai in classe e mi lasciai cadere nel primo posto libero che trovai. Non troppo vicino alla cattedra, ma neanche troppo lontano ed accanto alla finestra. Mi rilassai, non potevo trovare banco migliore per passare inosservata.
«Straniera!» Mi voltai, notando che il riccio di questa mattina era seduto accanto a me e stava svuotando il contenuto della tracolla sul banco. «A quanto pare saremo compagni di classe.»
Annuii svogliatamente, sperando che non notasse quanto in realtà quella notizia mi facesse piacere.
Harry, come avevo intuito, era un ragazzo strano. Solare e insopportabilmente loquace, non faceva altro che blaterare su ogni cosa gli passasse per la mente e a quanto pare non gli interessava ricevere risposte e non si premurava neanche di controllare se lo stessi realmente ascoltando. La sua voce leggermente roca aveva fatto da sottofondo alle prime quattro ore di lezione, senza interruzione e ormai dubitavo avrei potuto farne a meno. Anche se non lo avrei mai ammesso.
Scoprii che anche lui  si era trasferito da qualche anno assieme a sua madre e sua sorella, Gemma, che frequentava l’università. A quanto pareva gli mancava molto la sua sorellona, perché non faceva altro che ripetere quanto fosse bella, brava e premurosa con lui.
«Quando tornerà?»
Harry si voltò, la fronte increspata in un’espressione confusa. Stavamo andando a mensa, lui si era offerto di farmi da accompagnatore ufficiale per tutta la giornata. «Chi?»
«Gemma», risposi senza emozione, ma in realtà speravo davvero che quella ragazza tornasse al più presto.
«Allora stavi ascoltando!», esclamò fin troppo sorpreso.
Incrociai le braccia al petto, bloccandomi in mezzo al corridoio. «Certo che ascoltavo, per chi mi hai presa?»
«Scusa, ma…cioè non credevo…quello che voglio dire è che…nessuno presta mai attenzione quando inizio a blaterare della mia vita, è noioso, credo.»
«Potevi dirmelo prima, mi sarei risparmiata un gran mal di testa.» Bugia. Non avrei smesso di ascoltarlo, la sua voce mi rilassava.
Harry scoppiò a ridere e mi afferrò un braccio, trascinandomi in mensa e posizionandosi in fila. «Sei simpatica.»
Non potei fare a meno di spalancare la bocca. L’aveva detto sul serio? Quel ragazzo mi aveva davvero definita simpatica?
«Stai scherzando», dissi. E suonava orribilmente come un dato di fatto.
Lui scosse la testa e mi passò un braccio attorno alle spalle. «Sono sicuro diventeremo grandi amici, straniera.»
«Cara», borbottai imbarazzata. «Il mio nome è Cara.»
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Marzo 2010
 
Fremevo per l’impazienza. Harry era salito sul palco e si stava esibendo. Come al solito la sua voce era splendida e non credevo di aver amato così tanto “Isn’t she lovely?” come quando la cantava il mio migliore amico.
Da quando mi ero trasferita due anni prima ne erano cambiate di cose. Ho dovuto presto rivalutare Holmes Chapel, credevo fosse una cittadina al di fuori dalla civiltà, invece era piena di giovani e occasioni per divertirsi. E, ammettiamolo, con Harry non ci si annoiava mai.
Il riccio aveva ragione, era nata una gran bella amicizia. Ed ora non passavo neanche cinque minuti senza di lui. Eravamo inseparabili. Lui era il mio migliore amico. E che amica sarei stata se lo avessi lasciato solo nel giorno più importante della sua vita?
Gemma mi si avvicinò, cercando la mia mano e stringendola forte. «Vedrai che ce la farà, passerà il turno. È troppo adorabile per essere scartato.»
Annuii tornando a concentrarmi sui piccoli schermi che mostravano il mio Hazza all’opera. Sembrava ancora più piccolo mentre cantava con tutto se stesso al centro del palco.
«Quello che non capisco è dove ha rimediato il maglioncino»
Rivolsi un’occhiata a Gemma, per vedere che stava indicando sullo schermo il pullover che Harry indossava in quel momento. Ridacchiai, ricordando l’Harry tutto trafelato che mi aveva raggiunta qualche ora prima.

«Cara! Finalmente ti ho trovata», disse correndo verso di me e fermandosi appena in tempo, prima di venirmi addosso.
«Che succede? Stai male?» Perché non era dietro le quinte con tutti gli altri concorrenti? Che avesse rinunciato a partecipare? Non glielo avrei permesso.
Harry scosse la testa, riprendendo fiato il più in fretta possibile e continuando a sorridere come un idiota. Probabilmente non era così tanto spaventato come immaginavo.
«Ragazzo», biascicò ansimando. Mostrandomi il maglioncino grigio che stringeva tra le mani. Ora che ci pensavo, quello non era di Harry e non credevo di averlo mai visto.
«Cosa?»
Il riccio sbuffò, facendo saltare i riccioli sulla fronte. «Ho incontrato un ragazzo, un concorrente come me. E lui mi ha regalato questo!»
Alzai un sopracciglio. «Perché?»
«Non c’è un perché, Cara!», si lamentò Harry infilandosi il suo nuovo capo d’abbigliamento. «Quello che conta è il pensiero.»
«Se lo dici tu», aggiunsi scettica. Da quando le persone si scambiavano i vestiti, o meglio, da quando i ragazzi lo facevano?
«Sei una guastafeste, te l’ho mai detto?»
«In continuazione», sbuffai fingendomi offesa. «Ma non resisteresti due secondi senza di me.»
Harry sorrise e mi buttò le braccia al collo, stringendomi in un abbraccio soffocante. «Vero.»
«Ora torna di là!»
«Agli ordini capitano!», esclamò mentendosi sull’attenti in un saluto che di aveva ben poco.
«Haz!», lo bloccai mentre correva via. «Buona fortuna.»

«È un regalo», risposi alla domanda di Gemma.
«E di chi?»
Alzai le spalle. Harry aveva finito di cantare e stava aspettando il parere dei giudici. Trattenni il fiato, quello era il momento della verità. Se non lo avessero scelto ne sarebbe uscito distrutto e io non potevo permetterlo, avrebbe ricevuto quei sì, con le buone o con le cattive.
Fortunatamente non ci fu bisogno di dare prova delle mie pessime doti da lottatrice, perché Harry ricevette ben tre sì. E felice come non lo avevo mai visto, ci saltellò incontro avvolgendoci in un abbraccio infinito. 
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Luglio 2010
 
Harry era di nuovo impegnato nelle selezioni di Xfactor. Era il 23 Luglio, il giorno prima avevamo festeggiato il mio compleanno, il primo senza di Harry. Sapevo che aveva altro a cui pensare e che da quelle audizioni avrebbe dipeso il suo futuro, ma non potevo mascherare la delusione sul mio volto. Avevo iniziato a temere che, una volta famoso, si sarebbe dimenticato di me. Perché non avevo dubbi, Harry sarebbe diventato una star di fama mondiale.
Come al solito ero insieme alla famiglia Styles e pregavamo tutti che Harry non fosse eliminato, cosa più facile a dirsi che a farsi visto che il mio dolce amico avrebbe dovuto ballare. Credetemi, Hazza è bravo in qualsiasi cosa, ma ballare non gli è mai riuscito.
Tremavo e continuavo a mangiarmi le unghie, mentre lo vedevo ripetere la coreografia mentalmente, accennando appena i passi. Non ce l’avrebbe fatta, era spacciato. Nei venti secondi in cui l’avevano inquadrato, aveva sbagliato almeno tre passi e andava del tutto fuori tempo.

Quando i ragazzi si posizionarono per iniziare a ballare, mi allontanai dagli schermi e iniziai ad andare avanti e indietro senza sosta. Non potevo guardare, non potevo guardare.
Andai a nascondermi in una saletta dietro il palco, sperando di non essere beccata e cacciata fuori dallo studio. Ma a quanto pareva qualcuno aveva avuto la mia stessa idea.
Rimasi sulla porta, osservando il ragazzo che se ne stava seduto nella semi oscurità, sembrava spaventato e continuava a borbottare qualcosa di incomprensibile. Stavo per entrare e dire qualcosa, quando notai una figura avvicinarsi al ragazzo.
«Zayn!» Era Simon Cowell. Solo in quel momento mi accorsi che il ragazzo era uno dei concorrenti, come avevo fatto a non notarlo?
Zayn sollevò la testa di scatto e tremò leggermente. «Simon…»
«Si può sapere perché non sei di là assieme agli altri?», chiese il giudice, sedendosi accanto a lui.
Simon mi metteva i brividi, ma Harry parlava bene di quell’uomo, diceva che era molto più gentile di come appariva. Il suo era tutto uno stratagemma per tenere in piedi il suo personaggio, ossia, il giudice cattivo ed esigente a capo di una casa discografica.
«Io…io non so ballare», rispose il ragazzo con un filo di voce. Provai simpatia per lui, sapevo cosa voleva dire essere costretti a fare qualcosa che non si desiderava. Harry mi trascinava sempre in situazioni che avrei evitato accuratamente. Mi sorpresi quando bastò dirgli di no per convincerlo che non avrei partecipato anche io ai provini.
Simon sospirò e diede delle pacche gentili sulle spalle di Zayn. «Coraggio ragazzo, vieni e non fare storie.» Detto questo si alzò e si incamminò verso il palco, seguito da uno Zayn per nulla convinto di ciò che stava facendo.

Dopo ore di attesa, i ragazzi furono radunati sul palco per il verdetto finale. Harry non ce l’aveva fatta. E con lui, neanche Zayn, il ragazzo che non sapeva ballare, e il nuovo amichetto di Harry, un diciottenne tutto pepe con gli occhi talmente azzurri da sembrare di ghiaccio.
Il cuore mi sprofondò nello stomaco. Mi veniva da piangere, ma dovevo resistere. L’avrei fatto per Harry. Era lui che doveva essere consolato, non la sottoscritta.
Riuscii ad intrufolarmi dietro le quinte, convinta che ad Harry servisse un abbraccio prima di presentarsi davanti alla sua famiglia. Sapevo che quell’imbecille avrebbe pensato di averli delusi, quando l’unica cosa che tutti volevano era la sua felicità. Lo vidi scendere lentamente le scalette del palco, la testa poggiata sulla spalla di occhi di ghiaccio e numerose lacrime a solcargli le guance.
«Hazz», sussurrai andandogli incontro.
Lui appena mi vide, si gettò tra le mie braccia e scoppiò a piangere come un bambino. Gli accarezzai i capelli, sussurrandogli quanto fosse bravo e che i giudici non capivano un bel niente di talento se avevano eliminato qualcuno come lui.

Quando Harry aveva appena smesso di piangere e si stava tranquillizzando, uno degli addetti alle luci, un tecnico, si precipitò dietro le quinte. Richiamando tutti all’ordine.
Zayn, già con un piede fuori dalla porta e la valigia tra le mani, sbuffò e: «Vogliono fare delle riprese di noi che piangiamo, poco ma sicuro.»
Quell’uomo si posizionò davanti ai ragazzi e iniziò a sfogliare una cartellina che aveva tra le mani. «Zayn Malik», iniziò a dire facendo scorrere lo sguardo tra i presenti, finché Zayn, scettico, non si fece avanti. «Liam Payne.» Un ragazzo con la frangia e una voglia sul collo tirò su con il naso avvicinandosi al suo compagno moro. «Harry Styles» Harry, avevano chiamato il mio Harry! Ma perché?
Lui mi lanciò un’occhiata, aspettandosi che dicessi qualcosa. Alzai le spalle e lo invitai ad unirsi agli altri due.
«Niall Horan e Louis Tomlinson.» Louis, ecco come si chiamava occhi di ghiaccio.
Osservai il mio amico seguire il tecnico di nuovo sul palco, di fronte ai giudici. Mi affacciai per riuscire a vedere quello che stava succedendo, non ne avevo la minima idea. Che Zayn avesse ragione?
«Ehi ragazzina! Non puoi stare qui!» Sobbalzai, girandomi di scatto verso la voce che mi aveva rimproverata.
«Sto solo guardando», dissi risoluta. Niente e nessuno mi avrebbe impedito di rimanere lì dov’ero, neanche quell’armadio di uomo.
Harry era sul palco, un braccio sulle spalle del biondino, la mano a sfiorare quella di Louis.
«Salve ragazzi», prese la parola uno dei giudici. «Vi abbiamo voluti richiamare, perché pensiamo sarebbe stupido sprecare un talento come il vostro. So che vi siete presentati come solisti, ma non ce l’avete fatta. Così abbiamo pensato di formare due gruppi, uno composto da soli ragazzi e uno da sole ragazze.»
Il tempo si fermò. Avevo capito bene? Ce l’aveva fatta, Harry ce l’aveva fatta!
Prima che potessero impedirmelo corsi sul palco, intercettando Harry e saltandogli in braccio. «Haz!», gridai abbracciandolo e riempiendolo di baci.
Lui rideva e continuava a camminare con me tra le braccia, seguito dai suoi nuovi compagni d’avventura.
«A quanto pare la tua ragazza non è molto diversa da te», gli disse Louis dandogli una gomitata tra le costole, riferendosi a quando Harry gli era saltato addosso appena ricevuta la notizia.
«Non è la mia ragazza», ridacchiò massaggiandosi la parte lesa.
Louis lo guardò scettico, sollevando un sopracciglio. «Ah no?»
Scossi la testa, porgendogli una mano. «Sono Cara, la sua migliore amica. Tu devi essere il tizio del bagno.» Detta così suonava veramente male. Infatti Louis arrossì di botto e gli altri tre ragazzi si voltarono verso di noi, gli occhi sbarrati. «Harry custodisce gelosamente il tuo maglioncino grigio, non permette a nessuno di toccarlo, neanche a me.»
Ricevetti anche io una gomitata, e un’occhiata di fuoco dal mio angioletto preferito. Questo non fece altro che scatenare l’ilarità di tutto il gruppo e presto la tensione si sciolse in una risata generale.
Erano le 20:22 quando i One Direction si formarono, quando l’avventura del mio migliore amico ebbe inizio.
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Novembre 2014
 
Corsi giù per le scale, trascinando l’enorme borsone nero e rosa che avevo preparato la sera prima. «Mamma!», gridai entrando in cucina e afferrando una fetta di pane imburrata. «Mamma!», strillai di nuovo quasi strozzandomi. «Mamm- eccoti!»
Mia madre era nell’ingresso, pronta, con già la giacca indosso e la borsa a tracolla. «Cara, arriverà il giorno in cui non sarai in ritardo?»
Sbuffai, inghiottendo l’ultimo pezzo di pane. «Non sono in ritardo! È l’orologio che va avanti!»
Lei roteò gli occhi e aprì la porta d’ingresso lasciandomi passare. Aveva ragione, eravamo in tremendo ritardo e io rischiavo di perdere il volo per New York. Anche se ero sicura che Ellis avrebbe bloccato tutto l’aeroporto pur di permettermi di arrivare in tempo.

Arrivammo poco più di mezz’ora prima che chiudessero il gate. Per il rotto della cuffia, come si suol dire.
Scorsi la lunga chioma bionda di El in lontananza e mi sbracciai per farmi notare. Appena mi vide anche lei, si precipitò verso di me correndo come una matta.
«Amore!», gridò prima di abbracciarmi. «Da quanto tempo! Saranno settimane che non vieni qui a Londra!»
Non era passato molto dall’ultima volta che ci eravamo incontrate e la colpa non era di certo mia. «E di chi sarebbe la colpa?»
«Ehi! Sono una donna impegnata io!», disse sghignazzando la mia ex compagna di stanza. Io ed Ellis eravamo state compagne di dormitorio alla Greenwich University l’anno prima. Ma ora mi aveva abbandonata per proseguire la sua carriera da modella. Era un angelo di Victoria’s Secret.
«Sì, come no», la presi in giro scompigliandole i capelli. «Neanche il tempo per una misera chiamata, sono offesa.»
Lei ridacchiò alla mia, palesemente finta, espressione arrabbiata e mi trascinò verso il gate. «Ho così tante cose da raccontarti! Prima fra tutte, mi sono innamorata!»
Le lanciai un’occhiataccia. «Di nuovo?»
«Non fare quella faccia! Stavolta è vero amore!»
Annuii per nulla convinta. «E gli hai detto di Cara?», le chiesi mentre mostravo il mio biglietto all’assistente di volo e ci andavamo a sedere ai nostri posti.
«Ovvio!», rispose indignata Ellis catapultandosi nel posto accanto al finestrino che, come le feci notare, sarebbe dovuto essere il mio.
«E lui?»
«Ha detto che era una bambina molto carina.»
Sospirai, lasciando perdere la ramanzina. Ellis aveva una figlia, che aveva deciso di chiamare come me. Anche se lei continuava a ripetere si fosse ispirata al nome della famosissima modella Delevigne, ma io le credevo poco. «E chi sarebbe questo fantomatico ragazzo?»
Lei sobbalzò appena, girandosi lentamente verso di me e borbottando un nome.
«El, parla più forte o non capirò mai quello che stai dicendo!»
«Lucas», ripeté lei alzando di poco la voce.
Un terribile presentimento si fece largo nella mia mente. «Quel Lucas?»
La bionda arrossì fino alla punta dei capelli e mi mostrò il suo cellulare. Sullo sfondo campeggiava la foto di lei e un imbarazzatissimo Luke Hemmings che si abbracciavano. Le fan non sarebbero state contente di quella notizia, proprio per niente.
«Non ha nulla da dire?»
«Cosa dovrei dire?», chiesi sospirando e pensando già a come avrei potuto consolarla per tutti gli insulti che avrebbe ricevuto. Era per quel motivo che non avevo voluto si sapesse che ero la migliore amica di Harry. Le fan erano il motivo del loro successo, ma anche un piaga per la loro vita privata.
«Che sei felice per me, ad esempio», rispose Ellis alterata.
«Sono felicissima per te El», mi affrettai a dire. Sapevo quanto quella ragazza potesse essere permalosa. «Luke sarà un ottimo ragazzo, siete una coppia perfetta.» E lo pensavo sul serio. Bellissimi ed entrambi famosi, El avrebbe dovuto farlo con lui un figlio.
«Sapevo avresti approvato», disse sorridendo e tornando ad osservare le nuvole fuori dal finestrino. Fortunatamente si era risolta in fretta questa storia, non avrei sopportato una Ellis arrabbiata per l’intera permanenza a New York.

Atterrate al JFK di New York, ci dirigemmo verso l’uscita dove il solito uomo in divisa ci aspettava con un cartello tra le mani con su scritti i nostri nomi. Dopo avergli mostrato i nostri passaporti per verificare l’identità -e aver ascoltato per venti minuti un’indignata Ellis per non essere stata riconosciuta- la macchina si fermò di fronte un immenso albergo. I ragazzi anche stavolta non avevano badato a spese.

Entrammo e un ragazzo ci fece strada fino all’ascensore, spiegandoci di dover salire al diciannovesimo piano, stanza 1274. Emozionata, trascinai El nell’ascensore e spinsi il pulsante, iniziando a saltellare impaziente da un piede all’altro. Era dal loro ultimo concerto a Londra che non li vedevo, che non vedevo Harry. Certo, ci sentivamo quasi ogni sera, ma non era lo stesso.
Appena le porte argentate si aprirono mi precipitai nel corridoio, seguita a distanza da Ellis che arrancava dietro di me imprecando contro la mia euforia.
«Ogni volta la stessa storia! Mi vuoi aspettare, non scappano mica!» Sentivo a malapena la sua voce, troppo concentrata a leggere i numeri in rilievo su ogni porta.
1274. Eccola!
Inspirai ed espirai profondamente, pregustandomi il momento in cui avrei potuto riabbracciare il mio angioletto preferito. Appena El mi raggiunse, bussai.
Sentii un rumore sordo e poi qualcuno affrettarsi per venire ad aprire la porta. «Cara!», gridò Niall con il suo inconfondibile accento irlandese.
«Ehi biondo!», lo salutai scompigliandogli i capelli e sorridendo. «Dov’è Harry?»
Lui ridacchiò, ormai abituato alla mia totale assenza di cortesia, dopo lo avrei salutato meglio. «Ancora non è rientrato.»
Sbuffai, gettandomi su un letto, che a giudicare dal disordine doveva essere quello di Louis o quello di Liam. «Come non è rientrato? Sapeva che stavo arrivando!»
«In realtà no», mi spiegò Niall sedendosi accanto a me e prendendo al volo il pacchetto di patatine che gli aveva tirato Zayn.
«Ciao Cara! Ellis!», disse buttandosi anche lui sul letto che avevo scelto. Stavamo decisamente stretti ora.
«Ciao Zay», borbottai tirandomi su a sedere, poggiando la schiena contro la testiera del letto. «In che senso non lo sa?»
Niall lanciò un’occhiata a Zayn e poi ne rivolse una ad El.
«Cosa mi nascondete?»
«Abbiamo fatto credere a Harry che tu saresti arrivata direttamente domani per lo show», rivelò Zayn con semplicità «quindi adesso è in studio.»
«E perché avreste fatto una cosa del genere?»
«Sarebbe mai andato in studio se avesse saputo del tuo imminente arrivo?», mi chiese il biondino ovvio.
«No», borbottai «e Liam?»
Zayn e Niall si scambiarono altre occhiate. Quel gioco iniziava ad infastidirmi. «Vuoi davvero saperlo?»
Capii immediatamente le parole del moro. Liam era con quella strega della sua ragazza. Sbuffai, scuotendo la testa ed evitai di chiedere anche di Louis, sapevo già dove poteva essere e al suo ritorno probabilmente Hazza non sarebbe stato il ragazzo più felice del mondo.
«Mi accontenterò dei 2/5 dei miei fratelli», dissi infine saltando in piedi e iniziando a rovistare nel mio borsone.
Niall mi fu subito accanto, iniziando a saltellare come un bimbo e a tirarmi per il maglione -rigorosamente di Hazza- allentandone la trama, come se non mi fosse già fin troppo largo. «Cosa mi hai portato? Cosa?»
Ero stata in vacanza in Italia a trovare un’amica conosciuta su twitter. Naturalmente lei non sapeva chi conoscevo, se lo avessi detto a chiunque non avrei mai saputo di chi fidarmi. Ma presto o tardi l’avrei rivelato ad Irene, era una brava ragazza.
Tirai fuori dei biscotti per Niall e un nuovo accendino per Zayn. «Questi sono per te, biondino», gli dissi passandogli la confezione da due kili, con Niall non si era mai troppo esagerati. «Si chiamano cantucci.»
«Cantucci», cercò di ripetere senza risultato lui. Anche io che studiavo italiano da anni avevo avuto problemi con la pronuncia di quella dannata parola.
Diedi a Zayn il suo accendino, lui sorrise ringraziandomi e se lo mise in tasca. Avevo anche trovato un bellissimo paio di Vans -rigorosamente false- per Louis con disegnati su i supereroi della Marvel, ero sicura le avrebbe adorate. E una maglia a trama azteca per quell’eccentrico del mio migliore amico. Infine per Liam avevo comprato un quaderno in pelle lavorata, dove avrebbe potuto appuntare tutte le idee per le nuove canzoni. Spesso si era lamentato del fatto di non possederne uno e aveva tentato di rubare quello di Harry. Ora non avrebbe avuto più scusanti, doveva mettersi a lavoro.

Era ormai ora di cena, quando la porta della stanza si aprì e Niall e Zayn mi spinsero dentro il bagno, chiudendomi la porta in faccia. Harry, Louis e Liam erano rientrati.
«Com’è andata?», sentii la voce di Niall soffocata dalla porta.
«Una noia mortale come al solito.» Sentii gli occhi pizzicare, quella voce l’avrei riconosciuta tra mille. Era la voce che mi teneva compagnia al liceo durante le ore di lezione, solo leggermente più roca, e che mi consolava ogni volta che ero triste. «Sono così stanco che potrei mettermi a dormire senza cena.»
Sentii qualcuno trattenere il fiato, probabilmente Niall, poi tutti scoppiarono a ridere. Diedi un calcio alla porta, certa che quegli idioti si erano dimenticati di me.
«Avete sentito?», chiese Liam. Che neanche lui sapesse del mio arrivo? Probabilmente era troppo impegnato ad esplorare la bocca di quella mignot- di Sophia.
«Oddio!», Niall corse fino al bagno e girò la chiave nella toppa. Come gli era venuto in mente di chiudermi qui dentro?
Quando finalmente la porta si aprì, la prima cosa che vidi fu un biondino mortificato. Lo fulminai con lo sguardo, non sarebbe stata la sua faccia da cucciolo a salvarlo dalla mia ramanzina.
«Cara?» Sollevai lo sguardo e incontrai gli occhi stupiti di Harry. Era buffissimo con quell’espressione attonita sulla faccia. «Sei proprio tu?»
Non aspettai altri due secondi. Come avevo fatto quel giorno ad Xfactor mi precipitai verso di lui e gli saltai in braccio, facendolo appena barcollare. Non sarebbe stato il mio peso piuma ad abbattere quel gigante di un metro e novanta. «In carne ed ossa!»
Lui mi strinse a sé, come se non fossimo già abbastanza vicini e iniziò a girare come una trottola, facendomi venire il mal di mare.
«Haz, smettila o dovremo ripulire il vomito dal tappetino.» Ringraziai mentalmente Louis, che ridacchiava di fronte a quella scena patetica che avevamo messo in atto io e il mio migliore amico.
«Come è…perché tu? Cioè io pensavo…sei qui!» Harry in difficoltà è la cosa più dolce al mondo e io adoravo vederlo balbettare e imbarazzato. Più o meno il 98% delle volte che lo intervistavano, anche se dopo quattro anni era migliorato parecchio. «Voi!», disse rivolgendosi ai suoi amici «mi avete mentito! Sapevo che non avrei dovuto credervi, siete dei bugiardi!»
«E dai Harry, non te la prendere», cercò di tranquillizzarlo Zayn mettendogli un braccio attorno alle spalle. Era meravigliosa l’amicizia che era nata tra quei cinque. Spesso ero gelosa, loro avevano il mio Hazza ed io l’avevo perso.
«Cara», balbettò Liam che fino a quel momento se ne era stato in disparte.
Sospirai. «Sì, è il mio nome.» Forse ero stata un po’ brusca, ma non potevo farci niente. Avevo una cotta per Liam da più di due anni, di cui tutti sembravano al corrente tranne lui. E il cantante continuava ad ignorarmi passando da una troi- da una ragazza all’altra. Prima quella ballerina da strapazzo e ora quest’altra, che più che una ragazza mi sembrava Mortisia della Famiglia Addams.
Harry colse la punta di nervosismo nella mia voce e cercò di distogliere l’attenzione da noi due. «Coraggio, andiamo a cena prima che crolli addormentato e Niall si faccia venire una crisi isterica perché ho saltato un pasto!» Detto ciò mi prese a braccetto, trascinandomi fuori dalla stanza verso l’ascensore. «Sono contento che tu sia qui.»
«Anche io, Haz. Mi sei mancato», gli sussurrai prima di lasciargli un leggero bacio sulla guancia.

Il giorno dopo ci alzammo presto -troppo per i miei standard, Zayn era pienamente d’accordo con me- e ci preparammo in fretta per andare al Today Show. I ragazzi si sarebbero esibiti con due canzoni dal loro nuovo album. “Fireproof” che ormai aveva spopolato nel web e un’altra, di cui neanche io sapevo il titolo. Harry non aveva voluto dirmelo, dicendo che sapevo fin troppe cose per essere una loro fan.
Io ed Ellis, con tanto di pass al collo, ci posizionammo in prima fila, attendendo pazientemente il momento in cui sarebbero saliti sul palco.
Passarono due ore, tra notizie del tutto irrilevanti e video assurdamente noiosi mandati sul maxi schermo. La piazza era gremita di ragazzine, che ad ogni occasione urlavano i nomi dei cinque ragazzi che di lì a poco si sarebbero esibiti. Alcune di loro erano vestite da sposa, ormai era una moda a quanto pareva.
Quando finalmente il presentatore chiamò i ragazzi, la piazza esplose in un boato di urla e applausi, pianti e frasi sconnesse, accompagnando il loro ingresso trionfale.
Harry apriva la fila sorridente e Louis la chiudeva. «Ovviamente», borbottai notando come erano stati disposti.
«Cosa?», mi chiese Ellis attirando la mia attenzione.
«Nulla, pensavo ad alta voce.»
Niall con la chitarra stretta tra le braccia, si voltò verso la band e diede il via a Josh per iniziare. Le inconfondibili e delicate note di “Fireproof” riempirono la piazza, non potei fare a meno di chiudere gli occhi e godermi l’esibizione.

I think I’m gonna lose my mind
Something deep inside and I can’t give up

La voce di Harry arrivò chiara e decisa alle mie orecchie, facendomi sorridere. Adoravo il loro nuovo sound. Finalmente dopo anni di canzoncine per bambine si erano avvicinati alla loro vera natura. E questo non aveva fatto altro che renderli ancora più famosi, amati e talentuosi agli occhi delle fan.
Gli ultimi accordi furono eseguiti con destrezza da Niall, che ormai non perdeva occasione per dare dimostrazione della sua bravura anche come musicista e non solo come cantante.
I ragazzi erano felici e le fan in visibilio per aver sentito quella canzone per la prima volta dal vivo, e dire che Harry la canticchiava in continuazione a Londra prima del concerto. Non credevo sarebbe diventata il loro nuovo singolo.
«Grazie», prese parola Louis con il fiato corto. «È davvero emozionante essere di nuovo qui. Sembra quasi di essere tornati indietro nel tempo a quattro anni fa.» Notai una scintilla di nostalgia nei suoi occhi, ma sparì quasi subito per fare spazio all’entusiasmo. «Come sapete, domani uscirà ufficialmente il nostro nuovo album, Four, di cui avete già avuto un assaggio.» Louis non aveva perso le sue doti di intrattenitore negli anni, la gente pensava fosse cambiato, fosse troppo serio. Io preferivo ritenerlo cresciuto, aveva pur sempre quasi ventitré anni. «Non considerate il suo nome come una mancanza di fantasia o originalità da parte nostra. Quattro per noi è un numero importante. Sono passati quattro anni da quando è nato il gruppo, dalla nostra prima esibizione ad Xfactor. Alla faccia di chi diceva saremmo durati poco -risate generali da parte delle fan, che avrebbero riso in ogni caso solo perché si trattava di Louis- Questo numero racchiude tutti i nostri ricordi, emozioni e bellissimi momenti passati insieme e tutta la dedizione che voi mettete nel seguirci.» Sembrava quasi un discorso d’addio. Se non fossi stata certa della loro volontà di rimanere uniti fino alla veneranda età di ottant’anni -a detta di Harry e Niall- avrei temuto per il peggio.
Harry si avvicinò al suo compagno e prese il microfono. «Questa canzone è molto importante per me, per noi», iniziò girandosi verso i ragazzi per avere conferma di ciò che stava dicendo. «La abbiamo scritta per una persona molto importante e, se non vi dispiace, vorremmo dedicarla a lei.» Un brusio d’assenso si levò alle mie spalle, non lasciando ad Harry il tempo di continuare. Il ragazzo sorrise ed invitò le fan ad ascoltare. «È la nostra prima e più grande fan, nonché la mia migliore amica.» Trattenni il fiato, capendo solo in quel momento che si riferiva a me. Dio, i One Direction avevano scritto una canzone per me e me la stavano dedicando in diretta mondiale!
«Spero che ti piaccia, straniera. Ti voglio bene.»
Delle dolci note si levarono di nuovo, inondando la piazza e lasciando tutti senza fiato. Il maxi schermo dietro i ragazzi non inquadrava più loro, ma la sottoscritta che tratteneva a stento le lacrime.
Ellis mi diede una gomitata e mi sorrise, abbracciandomi. Rivolsi di nuovo l’attenzione ai ragazzi e cercai lo sguardo smeraldino di Harry, che mi dedicò il suo sorriso migliore, con tanto di fossette. Lo stesso che gli avevo visto la prima volta che c’eravamo incontrati sotto quell’albero nel cortile della scuola. Non dovevo essere gelosa, lui non mi avrebbe mai dimenticato. «Ti voglio bene anche io, Haz.»
 

  CI TENEVO A DIRE CHE NON HO NULLA CONTRO DANIELLE O SOPHIA.
  
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