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Autore: Koori_chan    14/09/2014    0 recensioni
[Questa fanfiction ha partecipato al contest "OC!Nazioni celtiche" di darllenwr sul forum di EFP]
Le chiamano "Nazioni Celtiche" eppure, ancora oggi, difficilmente la loro indipendenza viene riconosciuta.
Lucille, indipendente e leale, fatica a conciliare l'affetto che nutre per Francia e il desiderio di una Bretagna autonoma come una volta.
A Evelyn, sfrontata e libera come le onde, all'inizio non piace l'idea di sentirsi legata alla terra d'Irlanda da un vincolo che lei non ha chiesto.
Iona, silenziosa e e resistente come il diamante, è spezzata dentro da una scelta che, ad ogni modo, le negherà un futuro felice.
E' il sangue che scorre nelle vene, è una tradizione vecchia come il mondo, è una promessa che riempie d'orgoglio e che lega l'anima.
Tre ragazze, tre donne, tre Nazioni Celtiche.
E il cuore perennemente diviso fra la fierezza della Terra e la libertà del Mare.
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Irlanda, Nuovo personaggio, Scozia
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Cha togar m' fhearg gun dìoladh~Nessuno mi Attacca Impunito
 









- Devo ammettere che la pazienza è proprio la tua dote, Deirfiùr! – sghignazzava sempre Irlanda, un occhio nero e il braccio attorno al collo di Iona affinchè la sorregesse nella strada verso casa, di ritorno dalla locanda di turno.
- E per fortuna, Evy. Per fortuna… - ribatteva sempre lei, sforzandosi al massimo di mantenere un’espressione seria e contrita senza però ottenere quei gran risultati.
Sua sorella la faceva davvero infuriare, sì, ma non riusciva a tenerle il broncio per troppo tempo: il carattere solare di Evelyn la portava sempre a unirsi alle risate. E dopotutto era vero, la pazienza era senz’altro la sua dote migliore.
- Mi domando da chi tu l’abbia ereditata… Insoma, per quanto riguarda la bellezza direi che è ovvio, ma io non ho le tue stesse capacità di sopportazione… - continuava la rossa, lasciandosi cadere sul letto e chiudendo gli occhi.
- Per non parlare della modestia! – commentava poi Iona, sedendosi accanto a lei e alzando gli occhi al cielo, prima che entrambe scoppiassero a ridere.
A volte avrebbe voluto che quel discorso prendesse pieghe diverse, che Evy le raccontasse qualcosa di loro padre, ma era raro che la giovane perdesse tempo a rivangare il passato, a meno che non si trattasse di vecchie leggende o canzoni ormai dimenticate.
Tutto sommato, però, a Iona andava bene così.
Lei e Evy erano cresciute insieme: era Evy che le aveva insegnato a pescare, ad andare a cavallo e a riconoscere le orme degli animali nel sottobosco.
Era Evy che le fasciava le ginocchia sbucciate quando tornava in lacrime da una passeggiata nel bosco, era sempre Evy che, per aiutarla ad addormentarsi dopo un incubo, le cantava vecchie canzoni un po’ sconce imparate alla locanda e le faceva mille smorfie, solo per farla ridere.
Nelle giornate di sole andavano a passeggiare finchè le gambe stanche non le obbligavano a fermarsi; in quei casi Iona si divertiva a pettinare i lunghi capelli della sorella, rossi come le mele mature, e intrecciarvi fiori selvatici e rametti d’erica.
Evelyn invece rimaneva tranquilla, gli occhi chiusi e il viso rivolto ai raggi del sole che scaldavano le ossa. Poi iniziava a fischiare piano, finchè la sorellina non si univa con la sua voce dolce e cristallina alla canzone.
Quando Iona era diventata grande abbastanza da cavarsela da sola Evy se n’era finalmente tornata a casa, nella sua vecchia e silenziosa Inis Mór, e la giovane scozzese aveva finalmente potuto sperimentare un tipo di vita nuovo, diverso, suo.
Era in quel periodo che si erano conosciuti.
Un giorno qualsiasi, uno dei tanti di quella primavera grigia e silenziosa, si era spinta più a Sud del previsto in cerca di funghi ed erbe per la cena. Stava cantando una vecchia ballata quando l’aveva notato, la schiena ritta e lo sguardo attento fra l’erba.
Erano stati i suoi occhi a colpirla: verdi, come quelli di Evy.
- Buongiorno, straniero! – lo aveva salutato con un sorriso dolce e materno.
Il ragazzo si era guardato intorno spaesato, quasi avesse creduto che la giovane fosse rivolta a qualcun altro.
- Dici a me? – aveva domandato, un po’ titubante.
Iona aveva mosso qualche passo verso di lui, incuriosita dal suo volto.
- Mi chiamo Kaitriona, benvenuto nelle mie terre! – aveva continuato con un lieve inchino.
Lo sconosciuto aveva ricambiato goffamente l’inchino senza tuttavia distogliere lo sguardo.
- Io sono Arthur! – si era presentato.
Arthur, un nome decisamente insolito.
- Ti sei perso? – aveva chiesto ancora, vedendolo indeciso sul da farsi.
A questa domanda il ragazzino era avvampato e aveva messo su un broncetto preimpostato, a fingere grande offesa.
- Niente affato, no! So benissimo dove sono! – aveva replicato, con il solo risultato di far sorridere l’interlocutrice.
Era così che erano diventati amici, Iona e Arthur.
Da lui aveva appreso il Latino, e lei gli aveva insegnato i migliori incantesimi che conoscesse, pur non essendo del tutto certa di poter condividere il sapere dei druidi con uno straniero.
Ma Sasann era un giovane simpatico e, pur essendo entrambi riservati e molto timidi, erano subito entrati in sintonia.
Che male poteva esserci a stringere amicizia con qualcuno, dopo tutti quegli anni trascorsi in solitudine nel Gleann?
- No, Iona, levatelo dalla testa. Tu e quel ragazzo non dovrete vedervi mai più! – erano invece state le taglienti parole di Evelyn quando era venuta a sapere di quel nuovo legame.
- E perché mai? Arthur è un giovane a modo, è simpatico e…! – ma la sorella non le aveva dato modo di continuare.
- Iona, ascoltami bene. Quel Sasana non mi piace, proprio per niente. Devi fidarti di me, faresti maglio a girare alla larga da individui come lui. –
Ma la giovane non si era accontentata e, esasperata, si era passata una mano fra i lunghi capelli biondi, scuotendo la testa amareggiata.
- Tu parli in questo modo solamente perché sei gelosa, perché non hai nessuno al mondo oltre me e temi che Arthur possa rovinarti il tuo bel castello di sabbia! –
Irlanda aveva stretto i pugni lungo i fianchi, rendendo gli occhi due fessure.
- Fingerò che sia come dici tu, ma bada bene, Iona, e non dire che non eri stata avvertita: prima o poi quel ragazzino ti si rivolterà contro, e allora non potrai dare la colpa a nessuno all’infuori di te. – era stato il suo ammonimento, sibilato attraverso le ferite del cuore.
- Bene, sai che ti dico? Non me ne frega niente! Noi siamo amici, e non sarà certo la tua gelosia a separarci! – aveva gridato Iona, la pazienza e la modestia ormai ricordi lontani, prima di sbatterla fuori dalla porta.
- Ora tornatene a casa tua, Éire, e comunque stai tranquilla: nessuno mi attacca impunito! –
Un ultimo grido nella notte, e per lunghi anni le brulle colline scozzesi non udirono più il canto leggero di Evelyn.
Insieme al suo, però, si era spento anche quello di Iona.
Anni dopo, il respiro trattenuto di fronte alle ultime battute di “Romeo and Juliet”, Iona avrebbe infine capito che il suo legame con Arthur non poteva risolversi che con la morte, e si sarebbe sentita sporca e meschina per non aver dato retta alla sorella quando era il momento.
Ma all’epoca era solo una ragazzina, innamorata più di un ideale che di quel biondo straniero venuto dal Sud.
Avrebbe potuto immaginarlo, ma la spensieratezza della fanciullezza aveva messo tutto a tacere con grande maestria.
Non aveva voluto crederci, quando i primi villaggi avevano iniziato a cadere.
Non aveva voluto crederci, quando il fumo denso della guerra aveva fatto capolino all’orizzonte, al di là della collina.
Era stata costretta a cedere, quando aveva visto Arthur folle come non mai, la fiaccola ardente in una mano e la spada nell’altra, il viso imbrattato di sangue non suo.
Erano state lacrime, era stato dolore, era stato rancore, ma specialmente era stata vergogna, perché Evelyn l’aveva avvisata, e lei non aveva voluto ascoltarla.
Ora, la spada in pugno e il canto potente delle cornamuse nel vento, si appresta a combattere, a difendere il suo popolo.
Ricorda ancora bene le parole gridate a sua sorella, dense di un odio generato da un amore destinato alla rovina.
Ma Iona, dopotutto, è una ragazza paziente, e sopporterà anche un cuore spaccato, un futuro frustato dai sensi di colpa.
Alza appena il mento, negli occhi grigi l’orgoglio che sua sorella, in piedi accanto a lei a darle man forte, le ha sempre insegnato.
Sente la presa salda della mano di Evelyn sulla sua spalla, e si volta fino a incrociare i suoi occhi, verdi come quelli di Arthur.
- Hai coraggio, Deirfiùr, ti ammiro molto. –
Le ultime parole che sente, prima che l’urlo di Wallace risuoni violento nella valle e tutto diventi caos.
Cha togar m' fhearg gun dìoladh!
Proprio come aveva detto lei, e adesso comprende l’amarezza di quella promessa.
Non ci sono sconti, non c’è amore che tenga.
Nessuno mi attacca impunito”.


















 
Note:

Riporto qui la traduzione di alcune parole in Gaelico Scozzese e/o Irlandese non spiegate nel testo.
 
Deirfiùr sorella
Gleann valle
 
  
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