Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |      
Autore: Sorella_Erba    30/09/2008    9 recensioni
La neve – così candida, bianca, pura – improvvisamente si colorò di rosso vivo.
Gli occhi di Iceburg non videro nient’altro: solo quel cremisi orrendamente scuro, torbido.
[Iceburg/Franky]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Franky, Iceburg
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

whitelies 
Bianco come Neve.

La neve ricopriva ogni cosa, durante quel periodo; colorava persino la sabbia, che diveniva così giallastra da sembrare una distesa arida e consunta. Rotolarvisi sopra era tutt’altra cosa, però. Anche col solo costume da bagno addosso. Morbida e fresca, riscaldava la pelle bollente.
Era bello uscire fuori di casa e spalancare le braccia per accogliere l’aria fredda e pungente.
E anche se respirare a pieni polmoni gli provocava colpi di tosse secca, lui lo faceva lo stesso.
Era una strana sensazione di libertà, piacevole e addirittura appagante.
Il giovane apprendista Cutty Flam aveva la stessa cattiva abitudine di sempre.
Non bastavano gli ammonimenti di Kokoro, né tanto meno le manate di Bakaburg – come lo chiamava lui – a fargli passare la voglia di rimanere con le “chiappe al vento”.
Immerse il viso in quel penetrante candore, chiudendo gli occhi.
Ne assaggiò una piccola manciata e sorrise al bizzarro contrasto che aveva il sapore della neve: un misto fra il dolce ed il salato.
Sospirò e si girò a pancia in su, la camicia aperta che svolazzava leggera a carezzargli i fianchi. Gli doleva la testa, per tutti i tritoni. Tutta colpa di quel dannato.
Iceburg del cavolo. Non aveva mai niente di meglio da fare che essere fra i piedi giusto nei momenti meno opportuni.
« Ma che diavolo..? ».
Ecco. Per l’appunto…
Sentì la porta sbattere violenta contro il metallo della cornice e il suono irregolare e soffice di scarpe che affondavano nella neve gelata. Poi, il consueto urlo di esasperazione che gli faceva socchiudere stancamente le palpebre.
Si alzò da terra, barcollando leggermente.
« Franky! ».
Franky si sentì afferrare e strattonare da dietro, per la camicia. Ebbe il tempo di sbuffare sonoramente prima di trovarsi faccia a faccia con un Iceburg più infuriato che mai. Ma era così abituato a quella sua espressione che non gli incuteva più alcun timore.
Bakaburg era più grande di lui, certo; ma in quanto a forza erano pari. Temerlo era stupido.
« L’ho capito, sai? », rispose annoiato, guardando altrove.
Il ringhio di Iceburg gli suonò minaccioso quanto quello di un cucciolo di cane. Sentì il suo fiato caldo lambirgli il viso, mentre rincorreva le sue iridi nere, che tentavano di scavargli dentro con rabbia.
« Sei malato, Bakanky! Cosa vuoi dimostrare mettendo in bella mostra pettorali e culo? Hai la febbre! ».
Il suo sguardo aguzzo era ipnotico e forte. Come fare a non inseguirlo?
« Cosa t’importa », rispose. I lineamenti manifestavano chiaramente l’astio delle sue parole. « Ti è mai fregato qualcosa? ».
Vide la bocca di Iceburg arricciarsi e la sua espressione mutarsi dall’arrabbiata all’incupita.
« Tom-san ti ha espressamente vietato di lavorare al momento ».
Franky sbuffò, sprezzante. « Mi vedi lavorare, per caso? ».
Iceburg aggrottò la fronte. Gli occhi gli caddero sul set di utensili abbandonato vicino alla sagoma solcata dal ragazzino nella neve. Ritornò a guardarlo con aria truce.
« E a me di lasciartelo fare, Franky ».
« Non ti porterò a fare nulla che ti è stato vietato, diligentissimo garzone di bottega », recitò Franky, le sopracciglia arcuate in maniera assurda. « Ora mi lasci, per cortesia? Mi stai alitando in faccia ».
« Prima entra dentro ».
Chiaramente, il piglio torvo di Iceburg non ammetteva repliche; ma Franky era solito fare di testa propria. Con un gesto sdegnoso si liberò della presa e – non prima di aver fulminato con un’occhiata il compagno – andò a riprendersi gli arnesi.
« E perché dovrei dar retta a te, sentiamo », esclamò incrociando poi le braccia al petto. Una catena gli ciondolava dondolante da sotto il braccio.
Iceburg alzò un sopracciglio, mentre un sospiro stanco gli sfuggiva dalle labbra.
Perché… il perché, se lo domandava lui. Perché dovesse andar dietro ad un bambinetto lunatico e acido quanto un limone.
Fu per fortuna – o semplicemente perché era una cosa fin troppo fattibile a causa di quella febbre – che Franky finì lungo disteso sulla neve con uno starnuto che di umano pareva avere poco e niente.
« Nma… Ecco, questo è il risultato, baka », ghignò Iceburg dopo essersi avvicinato con poche falcate. « Continua a non darmi retta e finirai stecchito prima della fine dei tuoi giorni ».
Lo afferrò per il colletto della camicia e lo trascinò a mo’ di bagaglio fin dentro casa, fra imprecazioni urlate a pieni polmoni, colpi di tosse e starnuti che somigliavano in maniera impressionante a degli ululati.
Dopo aver chiuso la porta, Iceburg cercò con gli occhi la sagoma di Franky, che poco prima era rannicchiata vicino ai suoi piedi. Si era come volatilizzato, quel gatto dal pelo ritto.
« Nma, santissimi numi ».
Lo cercò in tutta la vecchia base dei Tom’s Workers, persino dietro i divani rattoppati alla meglio, finché, giunto nell’angolo notte che dividevano con Tom-san, lo trovò raggomitolato sul letto. Batteva i denti e tremava; tuttavia, lo sguardo fiero non osava dissolversi dal suo viso sottile.
« Stronzo », lo accolse Franky. Un ringhio incerto gli vibrò fra i denti. « Rompiballe, lasciami in pace adesso ».
« Che sboccato ».
Iceburg sfilò a rilento lungo la stretta distanza fra i letti, illuminato fievolmente dalla luce della lampada posata sopra il tavolo da lavoro di Tom-san; poi, si sedette sul bordo del letto.
« Tanto non avresti potuto lavorare, ridotto come sei », articolò calmo, gli occhi fissi su quel tenue barlume che rischiarava in parte i loro lineamenti. Sentiva addosso lo sguardo malevolo di Franky e si girò ad affrontarlo.
Appariva così piccolo, accoccolato a stringersi le gambe fra le braccia smilze, con quel ciuffo azzurro sempre ritto e due poveri cenci addosso.
Ad Iceburg faceva ridere, il suo abbigliamento. Sembrava che Franky andasse continuamente dietro all’estate, rincorrendola e desiderandola con prepotenza. Lo vedeva ridicolo, lui e quel suo comportamento immaturo ed infantile; eppure era triste. Malinconico. Soprattutto adesso che aveva l’aria abbattuta e un po’ accigliata.
E vederlo in quello stato, santo Dio, lo infastidiva.
D’istinto, agguantò la coperta stesa in maniera ordinata sul suo letto – di sicuro grazie alla dolce mano di Kokoro – e la tirò a Franky, che cacciò un grido sommesso di cruccio quando gli finì sulla testa, coprendogli la faccia.
« Mettitela sulle spalle », mormorò Iceburg, mentre il ragazzino si rigirava fra le mani il plaid, « stai crepando di freddo ».
« Evita tutta quest’apprensione, Bakaburg ».
Non era un vero e proprio ringraziamento, ma Iceburg lo accolse come tale. Gli sorrise debolmente per poi alzarsi dal letto e dare le spalle a Franky.
« Non voglio che mi cacci nei guai, Bakanky ».
Lo guardò di striscio, il viso celato dall’ombra. I capelli gli carezzavano dolcemente la nuca e gli sfiorarono la guancia quando si voltò di scatto per allontanarsi dalla camera.
« Rimani al tuo posto e riposa », concluse Iceburg.
I suoi passi risuonarono lenti e cadenzati nelle orecchie e nella testa di Franky. Smisero di colpo, poco dopo, inghiottiti dal rumore di metallo sbattuto, e si lasciarono a tergo un’ondata insana di frustrazione.



Rumori di metallo battuto, legname trainato e strascicato per terra e di utensili gettati all’aria riecheggiavano tutt’attorno in maniera secca e sorda.
Franky non era un tipo disciplinato e docile, no. Lui faceva di testa sua e basta.
Era malato? Aveva un febbrone da cavallo? Grane sue, con le quali avrebbe avuto a che fare più tardi, magari. L’importante adesso era portare a termine il lavoro.
Cosa diceva sempre Tom-san? Fallo con amore, finisci il lavoro e siine fiero. Sempre e comunque.
Ma Iceburg… dannato lui.
Franky si lasciò sfuggire un urlo che dovette subito reprimere, nello sfortunato caso in cui l’idiota avesse scoperto che stava fuori, allo scalo.
Caricare il legname era pesante: a volte le schegge più piccole graffiavano o si conficcavano nella carne. Il lavoro era reso ancor più gravoso dalla neve. Alzò gli occhi al cielo. I grossi nuvoloni violacei non smettevano di rigettarne a quintali. Franky si sentì attraversare dai brividi; scosse la testa e scrollò le spalle, irremovibile, tentando di arginare le fitte provocate dalla febbre.
« Che merda! », sentenziò quando colpì il piede nudo contro un pezzo di ferro.
Grugnì ancora, stringendosi fra le mani l’alluce offeso finché decise di lasciar perdere quel teatrino e dedicarsi ai suoi progetti.
Osi chiamarli progetti?, era sicuro che Iceburg se ne sarebbe uscito con una frase simile, ostentando la sua simpatica smorfia disgustata.
Un attacco improvviso di tosse gli esplose in gola. Era così rauca e secca che rimase dapprima sconcertato.
Fu il ricordo del viso sfrontato di Iceburg – con quegli occhi aguzzi quasi sempre privi di gentilezza e quel ghigno che lo spediva puntualmente a farsi benedire - ad indurlo a proseguire.
Gli avrebbe fatto vedere di cosa era capace.




Averlo lasciato da solo, mentre entrava in cucina per prendere da bere, era stato come pregarlo ad uscire di casa.
Se l’era sentito, dannazione.
Strinse spasmodicamente il bicchiere di acqua fresca. E dire che si era allontanato per lui, un solo secondo…
Aveva sperato che un lampo improvviso di buonsenso gli rischiarasse il cervello.
Scosse la testa, cercando di recuperare la pazienza.
Si parlava di Franky… e Franky era noto per non avere un minimo di raziocinio. Da un tipo che costruiva macchinari da guerra cosa poteva aspettarsi?
Infuriato, lanciò il bicchiere contro il muro e marciò a gran passi in direzione della porta secondaria che portava allo scalo, i pugni serrati per il nervosismo.
Quando spalancò il portone in ferro lucente, un’ondata di freddo pungente lo colse in pieno. Rabbrividì e penso a Franky, senza giacca, con addosso soltanto il suo solito costume da bagno e una camicia estiva. La febbre avrebbe potuto aumentare fino a raggiungere una temperatura assurda.
« Baka », ringhiò a denti serrati.
Senza pensarci ulteriormente, uscì nella neve sbattendosi alle spalle il portone. Si guardò attorno, scorgendo soltanto resti di vecchie imbarcazioni diroccate e tinte da un candore pallido. Non c’era nemmeno l’ombra di Franky.
Improvvisamente Iceburg si diede dello sciocco, battendosi una mano contro la fronte coperta dalla bandana. Iniziò a correre – alcune volte incespicando, altre affondando con gli stivali nella neve – verso il promontorio ad est.
Era così ovvio.
Saltò alcune assi di legno spezzate e si erse sopra la larga ringhiera di una vecchia prua, sicuramente portata nell’entroterra da Tom-san. La sua espressione si accigliò, contrariata più che mai.
Era lì, il ragazzino, a trascinare sulla schiena enormi pezzi di legname grezzo.
« Franky! ».
Iceburg era più che certo che Franky l’avesse sentito; eppure, il ragazzino non accennò minimamente a girarsi. Piuttosto, Iceburg notò l’adorabile gesto che gli rivolse. Anche se in lontananza, il dito medio di Franky era ben visibile. Iceburg era prossimo al perdere del tutto le staffe.
« Bastardo », abbaiò, e si accinse ad andargli addosso.
Oh, l’avrebbe fatto nero. Altro che febbre e spossatezza.
Spiccò un salto dal parapetto ed affondò fino alle ginocchia nella neve. Mentre tentava di liberarsi, scosso dai brividi, la risata di Franky esplose e riecheggiò tutt’intorno.
« Ridi, ridi! », lo minacciò con aria feroce. « Aspetta solo che esca di qua, stronzo! ».
« Ora chi sarebbe quello sboccato, Bakaburg? ».
Franky si era voltato così velocemente nella direzione di Iceburg che urtò un tronco di legno enorme con l’asse che aveva caricato sulla schiena.
Iceburg rimase immobile a guardare la scena. Quando riprese percezione di ciò che stava per verificarsi, era tardi. Il tronco traballò sul posto in maniera ondulatoria, descrivendo nell’aria cerchi sempre più larghi.
Franky rideva, rideva, ignaro e sordo ad altri suoni che non fossero la sua risata.
« Franky, spostasti da lì! ».
Nel momento stesso in cui Iceburg urlò quella frase, il legno perse il suo equilibrio e si rovesciò in avanti.
La neve – così candida, bianca, pura – improvvisamente si colorò di rosso vivo.
Gli occhi di Iceburg non videro nient’altro: solo quel cremisi orrendamente scuro, torbido.
Boccheggiò, allarmato.
L’adrenalina salì alle stelle: corse, benché il tratto che lo distanziava da Franky fosse breve, e cadde a ginocchioni alla sua destra. Il viso di Franky somigliava ad un pomodoro maturo. Sudava copiosamente e respirava a stento. Iceburg si morse le labbra.
« Sei il solito testardo! Il solito! », gli sbraitò a pochi centimetri dalla faccia, posando le mani sull’asse di legno che lentamente gli stava schiacciando il torace.
Udiva benissimo quei sospiri rochi, che con lentezza esasperante andavano a smorzarsi. Gli rimbombavano dentro. Ogni soffio fioco e rauco gli dilaniava l’anima.
Spinse, spinse con tutte le sue forze, mentre le dita graffiavano contro il legno duro ed iniziavano a gonfiarsi per via delle escoriazioni. I muscoli reclamavano tanto per il dolore, percorsi da spasmi, che si concesse un gemito di debolezza.
« Ice… ».
Riconobbe un dito di Franky sfiorargli la caviglia e calò lo sguardo annebbiato.
« Ice… burg ».
Iceburg digrignò i denti rabbiosamente. « Sta’ zitto… zitto! », riuscì ad articolare fra i gemiti.
Non fu capace di pensare in quell’istante all’orgoglio eccessivo e alla stupidità che portavano un ragazzino come Franky a compiere simili azioni, per quanto fino a qualche momento prima lo avrebbe strozzato se solo avesse mostrato un solo atteggiamento di presunzione. Adesso l’unico pensiero che si ripeteva forsennato nella sua mente era: salvalo, salvalo, salvalo e basta.
Strinse le palpebre, arginando le lacrime.
Vaffanculo ai litigi, alle incomprensioni, alle parole di astio e ai cazzotti che volavano spesso anche per stupidaggini.
Franky era una delle poche ragioni che lo aiutavano ad andare avanti, gli piacesse o meno il concetto.
Con un urlo sommesso e prolungato, riuscì a puntellarsi sulle gambe e a trascinare via con sé l’asse. Il sospiro ansimante di Franky fu un sollievo. Gli regalò uno sguardo colmo di velato appagamento. D’un tratto sentì la schiena cedere e le braccia scivolare, ormai prive di sensibilità, lungo il legno scabro. Alcune scaglie si confissero nella carne già lacera dei polpastrelli.
« Iceburg ».
Franky tentava di rimettersi in piedi, traballando sulle braccia instabili, ma la ferita al petto – ancora sanguinante, maledettamente rossa agli occhi stanchi di Iceburg – lo privava del minimo granello di forza.
Vide Iceburg ruzzolare sulle ginocchia tremanti prima che stramazzasse al suolo sotto il peso del legno. Avvertì il tonfo soffice del suo corpo sprofondante nella neve e il suono sinistro dell’asse che gli colpiva il cranio.
« Iceburg, Iceburg! », provava a gridare; i suoi furono solo deboli mormorii. Iceburg non poteva sentirlo. Mostrò i denti all’asse, per poi artigliarne i bordi con rabbia. Tentò di spostarla via, lontano dal suo viso.
« Iceburg », gemeva e spingeva al contempo, « dannato Bakaburg».
Non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe dovuto, pensava scuotendo il legno senza riuscire a muoverlo di un solo centimetro. Sprofondò il viso nella neve sporca, scaldandola con calde lacrime.
Iceburg non doveva ferirsi per causa sua, né soffrire, né piangere.
Né morire.
Non sarebbe riuscito a perdonarselo.
Invano, Franky sprecava forze e fiato e lacrime. E anche se sapeva quanto fosse inutile, continuava.
« Franky! Iceburg! ».
Fra gli spasmi di dolore e i singulti, quella voce tonante e grossa gli parve la salvezza.



« È un testardo, quel ragazzo ».
Una risata altisonante frantumò le ultime parole della frase. « Lui è fatto così! ».
« Non dico che la caparbietà sia un male… lo diventa quand’è eccessiva ».
Quelle due voci contrastanti sembravano lontane mille miglia. Eppure, le sentiva mano a mano sempre più presenti, individuandone le sfumature opposte, una biasimante ed acuta e l’altra allegra e grave.
Aveva un mal di testa orrendo. La fronte bruciava e le tempie pulsavano veloci. Sentiva pesare un vuoto nero, privo di immagini alcune, che squarciava la sua memoria in due parti: ricordava i suoi deboli sforzi nel sorreggere un’asse di legno parecchio pesante, l’urlo furioso di Iceburg e la botta che aveva preso in testa.
Aprì di poco le palpebre e trovò il soffitto familiare a salutarlo; si volse a sinistra e lo accolse un sorriso sghembo che gli aprì il cuore e lo riempì di tanta di quella felicità che lo sentiva pompare a velocità assurda.
Tu-tum.
Gli martellava persino nelle orecchie e nella testa, spedito ed insistente.
Notò un paio di occhi stanchi che lo sorvegliavano. Finalmente ridenti.
« Ben svegliato, baka ».
Franky tentò di mormorare qualcosa in risposta, ma aveva la bocca arida e la lingua impastata di saliva. Le parole si persero in un bisbiglio che sfumò, flebile, fino a svanire. Perduto per sempre. Non sarebbero state ingiurie o imprecazioni, stavolta; alla sorte piaceva ostacolarlo, a quanto pareva.
Iceburg allargò il suo sorriso, dopo aver osservato quel buffo tentativo; e quelle labbra scure, a Franky, sembrarono ancor più belle. Sentì due dita indurite di Iceburg sfiorargli la fronte in lente e continue carezze. La voglia di chiudere di nuovo gli occhi ed addormentarsi – lì, sotto le moine di quelle mani inasprite dal lavoro ma ancora tanto morbide ed affettuose – lo abbrancò suadente e dolce come miele caldo.
« Che fai, ti riaddormenti? ».
Solo che non poteva farlo. Non voleva, non ora che Iceburg…
« No », riuscì a mormorargli, sbattendo le palpebre piano. Fissò insistente il volto del ragazzo, aguzzando la vista e provando a metterlo bene a fuoco.
« Come ti senti? ».
« Ho un mal di testa orrendo, miseria ».
« È il minimo ».
Iceburg ghignò, divertito, e si sostenne il capo con la mano libera.
Quanto l’aveva fatto penare, quel baka, quanto… Era un sollievo vederlo riprendersi pian piano, sotto il suo sguardo vigile.
« Mi hai fatto uscire di testa ».
Franky distolse lo sguardo e sbuffò. « E tu non starmi dietro. Nessuno ti chiede di rischiare la pelle per me ».
« Se non fosse arrivato Tom-san, sarei rimasto schiacciato pur di proteggerti, immagino ».
Le parole di replica morirono nella bocca di Franky, inghiottite dallo stupore.
Pur di proteggerti?
Si rese conto solo adesso quanto la sua battuta fosse stata indelicata, sbagliata, stupida.
Una risposta degna del Bakanky quale era.
Spostò di nuovo gli occhi verso quelli di Iceburg, alla ricerca di qualche buona frase per scusarsi. Solo allora fece caso alle fasciature che gli attorniavano il braccio sinistro e la fronte e i tre cerotti sparsi sul volto affilato: uno su una guancia, l’altro sulla fronte e un ultimo sul naso.
« Non c’è bisogno di dire nulla, Bakanky », lo anticipò Iceburg. « Non ti pesto solo perché sei steso malconcio su di un letto. Le tue stupide costruzioni hanno fatto già troppo ».
« Non dir… », cominciò Franky, sentendosi punto nel vivo dell’orgoglio. Un dito di Iceburg saettò rapido a frenare la valanga di quelli che non sarebbero stati dei ringraziamenti accorati.
« Uno può salvarti la vita, ragazzino, ma tu rimarrai sempre tale e quale! », asserì Iceburg con una smorfia, mentre il capo accennava uno stanco diniego.
Franky rimase zitto, ammutolito. Gli occhi adesso spalancati scrutavano l’espressione serena del compagno, nella speranza di trovarvi una spiegazione. Una possibile spiegazione per quella giornata, iniziata col piede storto e conclusasi nella confusione più totale.
Non capiva nulla: né perché il cuore gli battesse tanto forte da portarlo a credere che volesse uscirgli dal petto, né le maniere gentili e affettuose di Iceburg; ma principalmente il comportamento di Iceburg.
Pur di proteggerti, gli aveva detto, in un tono naturale, privo della pesantezza di un sentimento forte. E no, non aveva omesso quel particolare solo per puro spirito di alterigia. Questo se lo sentiva, Franky. Lo sentiva dentro, in una parte di lui che ancora conosceva poco e che stava imparando a temere.
Certe emozioni, bisogna tenerle nascoste il più a lungo possibile. Potevano esplodere e causare danni gravi e, soprattutto, permanenti. Franky non desiderava di certo che la catastrofe distruggesse tutto… che distruggesse quel momento.
« Iceburg, io… ».
Furono gli occhi di Iceburg a dargli la forza necessaria per continuare.
Vispi, accorti, curiosi.
Franky gli fece un cenno con la mano, gonfia e appena sgusciata fuori dal groviglio di coperte distese su di lui – e stavolta per mano di Kokoro o di Bakaburg?
Gli uscì solo uno stupido sussurro strozzato.
« Non ti capisco, Franky », fece Iceburg accigliato.
« Se magari ti avvicini, baka… ».
Iceburg schioccò la lingua prima di calarsi su di lui, porgendogli un orecchio. La sensazione dei suoi capelli sul viso era piacevole; erano lisci e profumavano di mare, e facevano il solletico.
« Grazie, Bakaburg ».
Franky lo sentì ridere in tono sommesso e, istintivamente, sorrise al suo seguito, con gli occhi bassi, fermi sulle coperte.
« Nma, che Bakanky», mormorò Iceburg.
Franky per prima cosa sentì il solletico sul collo e sulle guance aumentare, poi il profumo di mare farsi più forte e la bocca di Iceburg muoversi lenta sulla sua.
Infine, il suo cuore.
Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum.
Veloce, impaziente, instancabile.
Pensò che non ci fosse sottofondo più bello al mondo.
Pensò che il suo sentimento era come le Battle Franky, mortalmente pericoloso.
Per fortuna c’era Iceburg che riusciva a tener loro testa.
L’aveva salvato, dopotutto.
Avrebbe scommesso la testa che ci sarebbe riuscito ancora, ancora e ancora.
E ancora.





Visto che sono egocentrica, la dedico a me stessa. Ne ho bisogno X’D
Resisti, Crì, resisti. È solo cominciato un nuovo anno del cavolo, resisti.

! Il titolo della fanfiction è preso dall'omonimo pezzo di Paolo Nutini, White Lies (che ovviamente consiglio. Bona musica, gente).

   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Sorella_Erba