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Autore: _diana87    15/09/2014    5 recensioni
"E va bene, vi dirò tutto, ma voi dovete lasciarmi parlare senza interrompermi, okay? Fate finta che vi stia raccontando una storia... agente, lei sa come funziona un romanzo, mi auguro... c’è un prologo, che potremmo identificarlo in questo momento, in cui il bravo ragazzo viene scambiato per un traditore e cerca di convincere la polizia che lui non c’entra niente... poi c’è il corpo, che è la parte centrale in cui vi racconto come si sono svolti i fatti... infine, c’è l’epilogo, in cui c’è la resa dei conti e la morale della storia... perché ogni racconto ha sempre la sua morale..."
Genere: Guerra, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle, Sorpresa | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Ha passato una settimana intera a chiedersi dove si trovasse.
Prigioniero di una cella piccola, tanto quanto quella di un carcerato comune, sporca, con una specie di letto su cui dormire, e un vasetto per la notte messo in un angolo. Non ha potuto neanche chiedere informazioni a chi veniva a portargli da mangiare, perché tutte le volte che ha tentato una mezza parola in inglese, è stato ammonito, o comunque la suddetta persona faceva finta di non averlo sentito.
Ha indosso ciò che rimane del suo smoking, e l’odore di chiuso mescolato al sudore e alla sporcizia sul suo corpo, iniziano a farsi sentire.
Si rannicchia a terra, tenendosi le gambe con le braccia e si mette contro il muro, nell’unico angolo illuminato della cella.
Rumori di passi congiunti e chiacchiere in arabo gli fanno alzare la testa verso la porta della sua cella.
C’è un uomo lì davanti, con indosso dei tipici indumenti arabi, che maneggia confusamente un mazzo di chiavi. Con l’occhio cerca la chiave giusta per aprire, e con l’altro guarda verso la sua sinistra, incitando nella sua lingua un gruppo di persone.
Rick è confuso. Si alza leggermente da terra per raggiungere, zoppicante, la cella. Si rende conto solo in quel momento di aver passato troppo tempo seduto e che i muscoli delle gambe gli fanno un gran male. L’uomo riesce ad aprire la porta e, con un gesto della mano, invita lo scrittore ad uscire. Rick non perde tempo, e zoppicante si tira fuori, solo per trovarsi in mezzo a quel corridoio lugubre con poca luce, se non filtrata dal soffitto. Probabilmente è una prigione sotterranea, di chissà quale città.
Da quando è stato rinchiuso, ha perso la cognizione del tempo e dello spazio. Anche il suo fisico ne ha risentito, perdendo peso e sentendosi più magro del solito.
L’uomo che lo ha liberato, lo spinge avanti con foga, puntandogli il mitra contro la schiena, e Rick alza le mani in segno di resa, non capendo cosa stia succedendo intorno a lui. Ben presto capisce di essere l’unico prigioniero in quella prigione sotterranea e che degli altri carcerati altro non è rimasto che un mucchio di ossa.
Uscendo fuori, deve coprirsi gli occhi per via del sole accecante. È rimasto al buio per troppo tempo che ora la vista gli fa male e non è più abituato. L’uomo che lo teneva sotto tiro, intanto, sta gridando all’altro gruppetto avanti qualcosa come un “Yalla, yalla!” e agita le mani in direzione di una torretta. Rick d’istinto si butta a terra, sentendo i colpi dei mitra che dall’alto arrivano verso il basso. Si copre le orecchie senza mai alzare lo sguardo; ha troppa paura e per la prima ammette con sé stesso di potersela fare addosso.
Gli uomini che l’avevano liberato lo circondano per un istante, ma poi uno di loro lo fa alzare da terra con forza, afferrandolo per il braccio. Lo scrittore cerca di coprirsi la testa con l’altro braccio perché i colpi di arma da fuoco sono ancora tutti intorno. Il cervello non riesce a connettere e tra la confusione di una guerrigliera, Rick viene sbattuto nel sedile posteriore di uno di quei camion militari, mentre gli altri uomini salgono insieme a lui, senza mai smettere di sparare contro un altro gruppo di soldati, probabilmente quelli che erano a guardia dello scrittore.
Disteso, Rick percepisce i dolori allo stomaco, ma non per i colpi subiti dall’essere sbalzato da una parte all’altra, bensì per colpa della fame.
Da quanto tempo non mangia un pasto caldo? Ricorda a malapena i cibi preparati da sua madre e il caffè mattutino con la sua fidanzata.
Kate.
Chissà cosa sta facendo in quel momento, e se sta pensando a lui come già morto.
Se la immagina sofferente a piangere rilegata nel suo loft, ma che indossa una corazza al distretto, nascondendo, come sa fare lei, la sua fragilità.
Già, la sua Kate.
Pensa tra sé che deve trovare il modo di farle capire che lui è vivo, perché non sopporterebbe vederla in quelle condizioni: lei è una guerriera, e non si abbatte mai. Inizia a vaneggiare, sparando parole a caso, mentre sente i suoi sensi venir meno, finché non vede più niente.
 
Un uomo sta urlando nella sua direzione.
Lo sente, sebbene in un’altra lingua, e muove lentamente gli occhi per aprirli e scoprire che la persona che lo sta svegliando è sopra di lui e gli sta sventolando qualcosa davanti la faccia. Una secchiata d’acqua e Rick si sveglia di soprassalto, urlando per il freddo improvviso.
Delle sonore risate giungono alle sue orecchie. Quasi sente gli zigomi alzarsi e le labbra inclinarsi per un mezzo sorriso.
Il primo dopo una settimana di agonia.
Guarda l’ambiente circostante. È un luogo maestoso, regale, coperto di tessuti pregiati e variopinti.
“Benvenuto amico mio.”
Rick guarda quel giovane che gli allunga la mano. Avrà una trentina d’anni, anche se la barba, non troppo lunga, giusto a coprirgli da sotto le orecchie al mento, gli dà qualche anno in più. I capelli folti, neri come barba e occhi, e la pelle abbronzata. Indossa una camicia bordeaux, anch’essa pregiata e costosa, e sopra una mantella azzurra.
Lo scrittore è un attimo spaesato, ma ricambia la stretta di mano per non sembrare scortese. Con il dito indica prima lui, poi se stesso, come cercando di mettere in moto le parole.
“Come sai la mia lingua?”
Il giovane ride guardando tre dei suoi uomini dietro di lui. Sono proprio quelli incappucciati che l’avevano liberato dalla prigionia.
Said, ho studiato dalle vostre parti, e letto i tuoi libri... possiamo darci del tu, signor Castle?” parla in un impeccabile inglese, sebbene la cadenza araba si sente lo stesso, ma finora non ha sbagliato neanche una parola.
A Rick non resta che fare dei cenni entusiasti con la testa. Con quegli uomini muniti di mitra, lo scrittore capisce che la cosa migliore da fare è stare al gioco di questo giovane dall’aria potente, ma umile di persona. Se gli ha salvato la vita, incaricando i suoi uomini, significa che lo vuole vivo, altrimenti lo avrebbe già ucciso appena liberato dalla cella.
“Dove mi trovo?”
“Al momento ci troviamo a Tora Bora, in Afghanistan, ma domani siamo diretti a Saqlawiyah.” Lui lo guarda con sguardo indagatore, arricciando la bocca, poi mette le mani sulle spalle dello scrittore. “Rilassati, Richard, ti sento teso. Credo che un buon pasto e poi un riposo siano l’ideale per te.”
Ancora confuso, Rick lo guarda con sguardo interrogativo, ponendo una domanda che non sia minacciosa, ma piuttosto preoccupata.
“Cosa volete da me?”
“Abbiamo tutto domani per parlare, said.
Il giovane stringe le mani sulla spalla dello scrittore, come a voler stabilire un contatto. Poi gli sorrise.
Quel sorriso appare così genuino, ma Rick ha imparato, dopo anni a contatto con le forze dell’ordine, e altrettanto tempo a scrivere romanzi gialli, che le apparenze ingannano. Lo aveva intuito lui stesso prima: se l’hanno voluto vivo, è perché vogliono qualcosa da lui. Tutto sta capire il cosa.
Quando viene lasciato da solo nella sua stanza, molto più grande di quella cella stretta e buia, Castle si prende del tempo per ispirare l’aroma di bazar che viene al di fuori della casa che lo ospita; sotto c’è un suq, un grande mercato arabo, in pieno fermento. La camera in cui alloggia profuma di incenso, ed è contornata da tendine di seta con delle praline che scendono come gocce. C’è una camicia viola sul suo letto e un paio di jeans. Li prende e nota che sono della sua taglia; tutto coincide, sembra che quel luogo aspettasse solo lui. Fa capolino per notare una porticina vicino alla finestra, e lì c’è un bagno, pulito e profumato anch’esso. Sorride pensando che almeno potrà farsi una doccia.
Al bagno segue un banchetto, al quale Rick trova spazio per rifocillarsi, in compagnia del giovane padrone della casa, che osserva lo scrittore dall’altro lato del lungo tavolo di venti metri. Castle afferra cosci di pollo con spezie, kebab e qualche verdura, non volendo fare troppi complimenti per l’ospitalità ricevuta. Ma il suo stomaco continua a brontolare, e lui deve ubbidirgli se non vuole rischiare di svenire proprio ora. E poi, a pancia piena potrà pensare meglio a come far sapere a Kate la sua posizione. Ci sarà un Internet Point da qualche parte, non vorranno tenerlo segregato in casa?
Il giovane musulmano schiocca le dita e subito quattro servi ritirano i piatti e i bicchieri, sparecchiando il tavolo in men che non si dica. Poi guarda Castle allungando le braccia lungo la tavola, ormai vuota.
“Sei pronto per la nostra chiacchierata? Vieni con me.”
Rick decide di fidarsi, e segue il giovane lungo un corridoio, in apparenza infinito, che passa da un arredamento lussuoso, ad uno povero, privo di ogni ornamento. Lo scrittore si volta di tanto in tanto, senza dare nell’occhio e non vede nessuno dietro. Sono solo lui e il giovane. I due percorrono il corridoio per un tragitto che sembra infinito, finché giungono in una stanza piena di computer, con alcuni addetti davanti lo schermo.
Le scritte in arabo gli impediscono di capire di cosa si tratti. Il giovane percepisce il suo disagio, ma lo invita a seguirlo attraversando la sala, giungendo in una stanza vetrata, forse la sede operativa di tutto. È solo quando vede quel simbolo, quella bandiera nera con le scritte bianche, che capisce.
I cassettini della memoria si aprono, e vanno a toccare quelle immagini relative all’11 settembre 2001. Lui stava in casa con Meredith, era mattina, e preparava la colazione. Sorridente e raggiante, vedeva interrompere i programmi per trasmettere le torri buttate giù da due aeroplani. Il telegiornale iniziava parlando di attacco terroristico e poi di Al-Qaida.
Le parole del giovane musulmano lo riportano alla realtà, e ridacchia orgogliosamente quando lo sorprende a fissare la bandiera.
“Sulla bandiera c’è scritta la professione di fede, si chiama shahada. Quando qualcuno decide di diventare musulmano, questa è la prima preghiera che deve fare. La conversione non è immediata e deve essere fatta con tutta la volontà possibile, altrimenti non è valida.”
Rick deglutisce, annuendo.
Forse ha capito dove vuole andare a parare il giovane, e inizia ad avere paura.
“Non mi hai ancora detto il tuo nome.” Cambia discorso, ricordandosi di sembrare il più rilassato possibile, senza innescare il dubbio che non sia grato che lui gli abbia salvato la vita. Perché Rick lo è, lui è un brav’uomo, ed è riconoscente alle persone, ma adesso non sa se preferirebbe essere morto.
Il giovane inizia a passeggiare davanti a lui, tenendosi le mani dietro la schiena. Poi si ferma guardandolo fisso.
“Il mio nome è Nasir Sayf Al-Islam e questa è la mia sede operativa.” Non vedendo nessuna reazione, Nasir spalanca le braccia, mostrando il suo impero. “Benvenuto ad Al-Qaida, Richard Castle.”
Lo scrittore sta cercando di far mente locale, ma non riesce proprio a ricordare dove ha visto il giovane. Forse, conclude, è uno dei giovani terroristi che non si vedono mai in televisione, per questo non lo ricorda. Eppure il suo nome gli è familiare.
“Il mio arabo è scarso, ma Sayf Al-Islam vuol dire... la spada dell’Islam? Nome originale.” Dice, facendo una smorfia per stuzzicarlo.
Nasir ha capito tutto e fa una risatina nervosa, portandosi le mani a mo’ di preghiera davanti la bocca.
“E’ per questo che ho scelto te, Rick. Il tuo senso dell’umorismo è prezioso e geniale.”
Un brivido percorre Rick, mentre Nasir parla come il dottor Frankenstein che guarda la sua creatura.
“Non hai risposto alla mia domanda. Cosa volete da me?” adesso Rick sente di cambiar tono della voce, quindi diventa serio e si muove al suo ritmo, per averlo faccia a faccia.
Il giovane capo è intelligente e nota che lo scrittore è agitato e sta guadagnando tempo facendogli delle domande. Sembra conoscere bene chi ha davanti, e del resto glielo aveva detto: aveva letto i suoi libri.
“Hai paura, e lo capisco. Ma la mia richiesta è semplice.”
La gocciolina di sudore attraversa metà faccia dello scrittore. In quel lasso di silenzio, gli addetti ai computer non hanno smesso un attimo di battere i tasti.
“Ti ascolto.”
“Convertiti all’Islam, e non ti sarà fatto niente, e lascerò la tua famiglia in pace.”
La risposta arriva chiara e decisa, senza giri di parole. Nasir sa quello che vuole, ma non sarebbe a capo di una delle più grandi organizzazioni terroristiche se non avesse un carattere forte e non sapesse trattare con gli ostaggi o i suoi alleati.
Ecco dunque che ricorda dove ha sentito il suo nome.
Qualche mese fa, prima che il senatore Bracken venisse arrestato, Rick e Kate stavano seguendo anche una pista terroristica per l’omicidio di sua madre, poiché la detective era convinta che l’omicida di sua madre potesse essersi ingraziato una di queste potenti cellule per la sua corsa alla Casa Bianca. Tra i file di ricerche che erano spuntate fuori, c’era anche il nome di Nasi Sayf Al-Islam, ma era di sfuggita. Un nome lasciato lì al caso.
Si morde la lingua, pensando che quel giorno avrebbe fatto meglio a leggere di più su di lui, ma per quella volta aveva dato retta al suo istinto e aveva accantonato l’ipotesi terroristica.
“Perché dovrei farlo?”
Il giovane sorride, sicuro di sé. “Te l’ho detto, è semplice. Voglio dimostrare che la nostra organizzazione è in grado di piegare gli Stati Uniti alla nostra religione. Nel tuo paese ti amano, hai molti sostenitori, quindi sarà, come dite voi, un gioco da ragazzi convertire gli americani.”
Certo, è una cosa facile, perché non ci ha pensato prima. Rick Castle, genio dell’inventare teorie strampalate e complottistiche, non ha pensato alla più semplice delle ipotesi: una conversione per diventare una macchina da guerra e sacrificarsi per il bene della sua famiglia. Gli sembra una bella cosa per cui morire. Fa una risatina, scacciando il pensiero, ma subito torna serio.
Nasir non sta scherzando, e anche Rick capisce di non avere altra scelta, e sa che sarà inutile porgli la domanda seguente.
“E se io mi rifiutassi?”
L’altro fa la stessa risatina di Rick, ma senza coglierlo di sorpresa. Passeggia con le mani congiunte in preghiera. Aveva previsto tutto, anche questa domanda. Si ferma davanti allo scrittore, pochi centimetri dalla sua faccia.
Gli occhi scuri lo scrutano come a leggergli l’anima.
“In caso contrario ucciderò la tua famiglia e farò esplodere il Dodicesimo. Fidanzata detective compresa.” Conclude con un sorriso d’intesa che però mette paura a Castle.
Nasir aveva previsto anche questo.
 
È tornata al lavoro solo per distrarsi, e i suoi colleghi lo sanno, perché è dalla mattina che non parla e preferisce starsene per conto suo a leggere e scrivere. Ha raccolto i capelli in una cipolla, poi gli ha sciolti, dopo li ha di nuovo tenuti assieme aiutandosi con una penna. È in continuo movimento, bisognosa di trovare una pace interiore.
Javier e Kevin, seduti vicino alla postazione di Kate Beckett, si lanciano un’occhiata, per nulla entusiasti dalla situazione.
L’irlandese si intrattiene davanti al computer. Il GPS di Castle è stato disattivato e neanche la più esperta informatica del Dodicesimo è riuscita a localizzare lo scrittore con una delle sue moderne tecnologie. Kevin sbuffa, portandosi le mani dietro la testa. Questo non è un buon segno. Senza cellulare, i detective non hanno alcun modo per rintracciarlo.
Poi il monitor s’illumina, e compare una lucetta rossa in basso a destra, è quella degli avvisi della mail. Kevin chiama Javier con un gesto della mano, e senza staccare gli occhi dallo schermo, va ad aprire il messaggio.
La fonte è araba.
Il contenuto della busta è un filmato. Tre uomini in piedi impugnano dei kalashnikov, tutti col volto coperto, posizionati davanti un muro bianco con una scritta, in arabo anche questa. Vicino a loro, inginocchiato, c’è un uomo incappucciato, di corporatura robusta, con una camicia viola. Pur non essendo esperti linguistici, i due detective capiscono il senso del messaggio.
Javier chiama Kate con un fischio, che si alza dalla sedia come un razzo.
L’audio è impossibile da decifrare, al contrario dello sguardo terrificato di Beckett. La detective si porta una mano sulla bocca cercando di non urlare.
Il cappuccio viene sollevato, rivelando il viso dell’uomo.
Quell’uomo inginocchiato, al quale stanno puntando i mitra, è Rick.
La temperatura si alza, le immagini intorno a lei iniziano a girare e le voci si accavallano in maniera confusa.
“H-ho bisogno di aria.” Riesce a dire, prima di camminare traballante verso il bagno.
Kevin e Javier si guardano ed entrambi sanno di non aver bisogno di parlare.
 
Il detective Ryan, seguito da Esposito, posiziona il suo portatile sulla scrivania ordinata del capitano Gates.
La donna, conosciuta per essere una lady di ferro, sente crollare le sue certezze di fronte quel video. Con gli occhiali indica la persona inginocchiata, e sena dire nulla, alza lo sguardo verso i due detective.
“Sì, è Richard Castle, capitano.”
“Questo è appena diventato un caso di portata internazionale.” Con la mano sposta il computer per raggiungere il telefono. Pensierosa, poggia i gomiti sul tavolo, reggendosi la testa tra le mani.
“Cosa dobbiamo fare?” chiede Javier.
“Dobbiamo chiamare la CIA e l’Interpol, che mandino un interprete e i loro migliori agenti di terrorismo internazionale. Da solo, il Dodicesimo non può far nulla.”
Compone qualche numero, restando a fissare l’immagine dello schermo. Uno degli uomini incappucciati, ha tolto il velo su Castle, rivelando un volto dimagrito, pieno di lividi, e provato dello scrittore. La Gates deglutisce e inizia ad agitarsi appena il telefono comincia a squillare.
 
Chiusa nel bagno, Kate è come Rick se la stava immaginando: accasciata a terra, piangente, un volto coperto dalle lacrime.
Si rende conto che non piange da una settimana, proprio dal giorno in cui lui è stato portato via, e vederlo in quello stato, in pericolo e da solo, ha scatenato in lei una fragilità nascosta e un senso di impotenza.
Tiene le mani contro la porta del bagno, la testa abbassata, e lentamente si lascia andare, scivolando sempre più giù, fino a quando abbraccia il suo corpo.
Lo sguardo fisso in avanti, chiedendosi quando quest’incubo finirà.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Capitolo incentrato su Rick in cui veniamo a sapere dove è stato portato, da chi, e perché è lì...
Il nostro cattivone ha dei piani ben precisi, e mi sa al nostro Castle tocca accettare la sua parte, se non vuole che i suoi cari se la passino male :(
Kate, invece, è disperata, piange... proprio come lui l'aveva immaginata.
Per lei l'incubo è appena iniziato :(
I nomi sono di fantasia, il banner fa schifo... non sono abituata al programma e mi ci vuole un po' XD
Grazie mille a chi mi segue, non posso dirvi altro per ora :p
Alla prossima!
D.
   
 
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