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Autore: Kary91    15/09/2014    12 recensioni
{Johanna!centric| I fratelli Mason [Sloane/Johanna/Sawyer]|Partecipa al Drabble!meme indetto dal gruppo "The Capitol"}
“Chiudi gli occhi” mormorò poi ancora una volta, appoggiando la schiena a quella di Johanna. La ragazzina lo fece, strizzando le palpebre più forte che poteva.
“Adesso ascolta” continuò Sloane, chiudendo a sua volta gli occhi. “Sembra tutto come sempre, no?”
Johanna si mise a gambe incrociate e appoggiò la mano libera a terra. Trovò una pigna e la prese, stringendola forte. Ascoltò il fruscio del vento e inspirò con forza il buon odore di pino, che in breve tempo riuscì a scacciare il pensiero della puzza che riempiva casa sua. Lentamente annuì: il bosco era quello di sempre. Lì, sua madre non era morta e non c’erano letti vuoti, né materassi sporchi di sangue.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Mason, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io non ho paura;'
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Premessa. La prima parte della storia è ambientata durante l’infanzia di Johanna: ha più o meno cinque anni mentre Sloane, sua sorella maggiore, ne ha otto. La seconda parte della storia è ambientata circa dodici anni dopo: l’anno in cui Johanna partecipa agli Hunger Games. Sloane e Sawyer sono i due fratelli di Johanna, che hanno già fatto comparsa in “Io non ho paura”.

 

Questa storia è stata scritta per il drabble-meme indetto dal gruppo facebook The Capitol con il prompt “Johanna/Sloane But if you close your eyes, does it almost feel like nothing changed at all?” proposto da Alaska__. La storia partecipa anche al contest "The show must go on... or something" indetto da M4RT1.

 

 

Close Your Eyes

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“But if you close your eyes, does it almost feel like nothing changed at all?”

Pompeii. Bastille/The Glee Cast

 

Johanna si strinse nel golfino smesso di Sloane e sedette a gambe incrociate sul pavimento. Appoggiò la schiena contro il muro in un maldestro tentativo di ripararsi dal freddo. Aveva lo sguardo rivolto verso il letto in cui, fino a due giorni prima, aveva dormito sua madre; c’era qualcosa che la costringeva a fissare ininterrottamente quel materasso macchiato di sangue ormai secco e le lenzuola malamente ammucchiate sul fondo, sporche e sudate. Non riusciva a distogliere lo sguardo, perché faticava ancora ad accettare che quella scena disgustosa forse ormai l’unica cosa rimasta di Arava Mason: quello – il letto in cui era morta – e il neonato che piangeva nella culla di legno vicino al tavolo.

La mamma l’aveva chiamato Sawyer, prima di urlare e strizzare gli occhi con la voce straziata dal pianto. Non aveva più detto molto dopo il suo nome, perciò Johanna aveva deciso che quel cosino brutto e tutto sporco di sangue dovesse avere avuto una certa importanza per la donna. Era arrabbiata, per questo. A lei e Sloane un bambino piccolo non serviva; avrebbero preferito avere ancora la mamma. Perché da quando Arava era morta, nessuno rientrava più in casa la sera con pane secco, un po’ di verdura e qualche spicciolo: quel poco a malapena sufficiente per sfamare una famiglia di quattro persone. Quando la mamma si era ammalata e la sua pancia aveva incominciato a gonfiarsi erano state lei e Sloane a occuparsi della donna. Il papà aveva la gamba malandata e non poteva più uscire di casa per andare a tagliar legna, ma era bravo a lavorare quella che le figlie gli portavano; la intagliava, trasformandola in oggetti semplici che Sloane andava a rivendere al mercato.

Da quando la mamma era morta, però, Grimshaw Mason non faceva nemmeno più quello; singhiozzava e basta, la guancia schiacciata contro il legno del tavolo e la bottiglia vuota in mano. Di tanto in tanto si addormentava, ma non lasciava mai la sedia. Johanna aveva incominciato ad arricciare il naso ogni volta che gli passava accanto: puzzava un sacco, suo papà. E puzzava anche suo fratello, che piangeva e piangeva senza che nessuno sapesse come calmarlo. L’unica che ogni tanto riusciva a farlo smettere era Sloane. Lo prendeva dalla culla e cercava di fargli bere un po’ di latte o lo cambiava quando era sporco. Forse non lo faceva abbastanza spesso, però, perché Sawyer continuava a puzzare. Sloane faceva comunque del suo meglio per badare a lui, così come badava a Johanna; nella stessa maniera brusca che la faceva sembrare già adulta, nonostante avesse appena otto anni. A Johanna non importava, perché con Sloane era sempre stato così: prima della morte della mamma litigavano spesso, finendo quasi sempre per azzuffarsi e tirarsi a vicenda i capelli; tuttavia, erano anche in grado di trascorrere interi pomeriggi in silenzio, schiena contro schiena e tenendosi per mano, attendendo che Arava tornasse dal lavoro o che il papà si svegliasse da uno dei suoi interminabili sonnellini. Non si parlavano mai molto, eppure facevano tutto assieme. Erano ancora piccole, ma sapevano già che crescendo avrebbero sempre dovuto aggrapparsi l’una alla mano dell’altra, ignorando quelle dei genitori.

Quel pomeriggio, quando Sloane tornò a casa con del latte e un po’ di verdure che era riuscita a comprare al mercato, la prima cosa che fece fu raggiungere a passo spedito la sorella minore. Ignorò il padre, profondamente addormentato sul tavolo, e perfino il fratello che agitava i pugni e frignava, con le guance rosse per via del freddo e di tutto quel piangere rimasto inascoltato.

“Alzati” mormorò a quel punto, stringendo il polso della ragazzina per spingerla a sollevarsi da terra. Sloane aveva lo sguardo di una mamma arrabbiata; Johanna ne era certa, anche se il ricordo di sua madre stava già incominciando a sfumare, nonostante fossero passati solo pochi giorni dalla sera in cui l’aveva vista per l’ultima volta. Non sapeva perché sua sorella si arrabbiasse tanto quando la trovava tutta rannicchiata nel suo angolo, incantata a fissare quel lenzuolo sporco di sangue. Forse non voleva che diventasse come il papà, che beveva e dormiva soltanto, interrompendosi solo qualche volta per piangere un po’. O forse aveva capito che era spaventata, anche se Johanna non gliel’aveva detto. Sloane era più grande di lei e forse si era resa conto che quel letto vuoto e tutto sporco le mettesse così tanta paura da non permetterle nemmeno di distogliere lo sguardo. Forse era lo stesso anche per lei, per quello non stava mai in casa.

“Alzati” ripeté ancora la bambina, strattonando la mano della sorellina. Johanna lo fece, ma continuò a fissare il materasso chiazzato di rosso.

“È tutto sporco di sangue” mormorò infine con un filo di voce, aggrappandosi alla mano di Sloane. “C’è puzza e il letto è tutto sporco di…”

“Chiudi gli occhi” le ordinò improvvisamente la sorella maggiore, mettendosi di fronte a lei per bloccarle la vista del materasso. Johanna non lo fece, così Sloane le coprì gli occhi con le proprie dita.

“Tienili chiusi” la ammonì ancora la ragazzina, prima di toglierle la mano dal volto. La sorellina strizzò le palpebre, limitandosi ad ascoltare il russare pesante del padre e il pianto di Sawyer. Sentì un frusciare morbido, il rumore di un oggetto che veniva trascinato e i passi di Sloane diretti verso la porta: sembrava stesse facendo qualcosa di complicato, perché ogni tanto si fermava per prendere dei respiri profondi. Quando finalmente la sorella maggiore permise a Johanna di aprire gli occhi, il materasso sporco di sangue non c’era più e nemmeno le lenzuola. Il letto della mamma era vuoto e anche Sawyer stava incominciando a calmarsi, ora che Sloane l’aveva preso in braccio. La casa puzzava ancora e faceva molto freddo, ma Johanna si sentì comunque un po’ meglio.

“Se chiudi gli occhi e non ci pensi, poi per un po’ torna tutto come prima” disse a quel punto Sloane, rimettendo il fratellino nella culla. “Io lo faccio, qualche volta.”

Johanna annuì; scoccò un’ultima occhiata al letto vuoto di Arava e raggiunse la sorella. Nel farlo passò vicino al padre, che ebbe un sussulto e si svegliò di colpo. Grimshaw indirizzò un’occhiata spaesata alle due bambine, incapace di comprendere se fosse sveglio o se stesse ancora dormendo, intrappolato in un incubo senza fine.

Sloane lo guardò con una freddezza fuori luogo per una bambina così piccola, prima di spostare lo sguardo in direzione di Johanna.

“Noi andiamo nel bosco” dichiarò infine rivolta al padre, stringendo la mano della sorella minore. “Non devi dormire, mentre stiamo là. Se piange, gli devi dare il latte” aggiunse, indicando il neonato con un cenno del capo. Il padre le rivolse un’occhiata intontita, prima di annuire appena.

Johanna sbirciò dentro la culla per controllare il fratellino; Sawyer aveva smesso di piangere e la stava fissando con aria attenta, facendo una strana smorfia con la bocca. Non era molto carino: aveva un mucchio di capelli, per essere così piccolo, ma la testa era troppo grossa e non somigliava né a lei, né a Sloane. Non faceva niente, a parte piangere e farsela addosso ed era una gran seccatura, però Johanna gli voleva bene. Non era colpa sua se la mamma era morta: era colpa della mamma e basta.

Sloane guidò la sorella minore fuori, camminando in direzione della pineta. Quando raggiunsero una piccola radura si fermarono e la maggiore delle due bambine fece segno alla più piccola di sedersi per terra di fianco a lei.

“Chiudi gli occhi” mormorò poi ancora una volta, appoggiando la schiena a quella di Johanna. La ragazzina lo fece, strizzando le palpebre più forte che poteva.

“Adesso ascolta” continuò Sloane, chiudendo a sua volta gli occhi. “Sembra tutto come sempre, no?”

Johanna si mise a gambe incrociate e appoggiò la mano libera a terra. Trovò una pigna e la prese, stringendola forte. Ascoltò il fruscio del vento e inspirò con forza il buon odore di pino, che in breve tempo riuscì a scacciare il pensiero della puzza che riempiva casa sua. Lentamente annuì: il bosco era quello di sempre. Lì sua madre non era morta e non c’erano letti vuoti, né materassi sporchi di sangue.

“Quando chiudi gli occhi e non guardi, per un po’ torna sempre tutto come prima” ripeté ancora una volta Sloane, muovendo la mano sul tappeto di aghi di pino per cercare quella della sorellina. Johanna la sentì e allungò le dita per afferrarla. Era contenta di avere Sloane con sé; il suo trucco non era perfetto, ma per un po’ funzionava se si concentrava bene.

Un giorno, si disse, l’avrebbe saputo usare bene come sua sorella.

Un giorno, si disse, l’avrebbe insegnato anche a Sawyer.

***

La stanza era sporca e disordinata, come sempre.

Seduto al tavolo, un uomo dormiva con la bocca aperta, con le guance umide di lacrime e la mano serrata attorno al collo di una bottiglia mezza vuota.

L’ambiente sarebbe stato completamente silenzioso se non fosse stato per il ronzio di un vecchio televisore posizionato fra due letti: l’audio delle immagini trasmesse era stato tolto. Per terra, di fronte allo schermo, una ragazza bionda piangeva in silenzio, stringendo la mano del fratellino.

Sawyer aveva le ginocchia strette al petto e tremava, il fianco appoggiato a quello di Sloane. Fissava il televisore con gli occhi sbarrati, senza mai sbattere le palpebre. Incorniciati dai bordini neri dello schermo, due tributi – un maschio e una femmina - erano impegnati in uno scontro e il ragazzo era in netto svantaggio rispetto alla coetanea.

“Io non ho paura” farfugliò fra sé all’improvviso Sawyer, stringendosi più forte le ginocchia al petto. “Io non ho paura.”

Sloane gli lasciò andare la mano per circondargli le spalle con il braccio. Il tributo maschio cadde a terra; l’ascia della sua avversaria gli aveva provocato uno squarcio all’altezza del petto, ma era ancora vivo. Johanna, il tributo femmina, lo sovrastava dall’alto, i capelli sporchi di sangue e l’espressione sfigurata da una maschera di rabbia mista ad adrenalina.

“Io non ho paura” mormorò Sawyer un po’ più forte, incapace di distogliere lo sguardo.

“Quello è l’ultimo tributo” gli sussurrò in un orecchio Sloane, stringendolo a sé un po’ più forte. “Ha quasi vinto.”

Sapeva che le sue parole non sarebbero riuscite a calmarlo: non era la paura di perdere Johanna a far tremare suo fratello. Era il sangue; il sangue sul volto di sua sorella, sui suoi vestiti, ovunque. Il sangue rappreso che sfigurava il volto del ragazzo e quello fresco che sgorgava dalla sua ferita al petto. Il sangue che colava giù dal ferro dell’ascia di sua sorella, tesa per colpire un’ultima volta.

L’inquadratura dei due tributi cambiò, ingrandendosi per mostrare meglio i protagonisti dello scontro. Sloane si accorse che il ragazzo a terra stava dicendo qualcosa; forse stava implorando, chiedendo a Johanna di finirlo in fretta; forse stava piangendo e basta. Anche Johanna stava parlando, ma le sue parole non sembravano rivolte al tributo a terra. Guardava in alto e, se da un lato quel suo rivolgersi al cielo la facesse sembrare uscita di senno, Sloane ipotizzò che stesse parlando con le telecamere. Alzò il volume, tornando a stringere con la mano libera le dita tremanti di suo fratello.

I lamenti del ragazzo ferito riempirono subito la stanza, facendo sussultare il più giovane dei fratelli Mason.

“Chiudi quei cazzo di occhi, Sawyer!” gridò in quel momento Johanna, rafforzando la presa sul manico dell’ascia. Il ragazzino prese a tremare più forte, rivolgendo a Sloane un’occhiata sorpresa.

“Fai come dice” mormorò la ragazza, ricambiando con fermezza il suo sguardo. Sawyer eseguì; strizzò gli occhi e inspirò con forza, cercando di recuperare il controllo su se stesso.

Si udì un colpo di accetta; i lamenti del tributo a terra cessarono di colpo.

Pochi secondi più tardi un cannone sparò, annunciando la morte dell’ultimo tributo di quell’edizione: i Settantunesimi Hunger Games si erano conclusi.

Sloane chiusegli occhi per un istante, lasciandosi andare a un sospiro sollevato.

“Ha vinto” mormorò Sawyer, stringendole più forte la mano; aveva ancora gli occhi chiusi. “Torna a casa”.

“Torna a casa” confermò Sloane, riprendendo a fissare lo schermo; il volto di Johanna era scavato dalla stanchezza e dalla fame e la sua espressione era sfigurata dall’ira. Il sangue che da bambina l’aveva fatta tremare per giorni le imbrattava i capelli così come la maglietta, rendendo quell’immagine ancora più difficile da sostenere per la sorella maggiore. Sloane incominciò a tremare e Sawyer, che le stava ancora tenendo la mano, se ne accorse.

“Chiudi gli occhi” sussurrò a quel punto, voltandosi verso di lei. “Se li tieni chiusi e ti concentri, la paura ti lascia stare per un po’.”

Raccolse il telecomando e, nel giro di pochi secondi, il televisore tornò muto.

“Fra pochi giorni Jo sarà di nuovo a casa” mormorò ancora il ragazzino, sfregandosi con il polso una guancia umida di pianto.“Tornerà tutto come prima.”

E per un attimo, con gli occhi chiusi e la mano di Sawyer ben stretta alla sua, Sloane riuscì quasi a crederci; proprio come quando era bambina.

 

 

Note finali.

Più scrivo per il drabble-meme e più le storie si allungano: male. Prima o poi trasformerò una drabble in una long, me lo sento! Ringrazio Nihal per il bel prompt che mi ha dato che mi ha permesso di scrivere su questi tre fratelli, a cui sono veramente tanto affezionata. Scrivere di Johanna bambina è stato particolarmente difficile, forse perché lei e Sloane fanno parte di quella categoria di quei ragazzini “già grandi” che hanno dovuto imparare a badare a sé stessi sin da piccolissimi. Johanna da piccola è sicuramente un po' diversa dalla badass adulta che abbiamo imparato a conoscere, ma nella prima parte ha cinque anni e ha appena visto morire la mamma, quindi mi sarebbe sembrato poco verosimile rendere una bambina così piccola tosta e sicura di sè in una situazione del genere. I Mason, nel mio head-canon personale, non hanno mai avuto vita facile: il babbo, Grimshaw, ha incominciato a smettere di curarsi della famiglia da quando ha avuto l’incidente alla gamba che non gli permette più di lavorare nei boschi, e la morte della moglie gli ha dato il colpo di grazia. A mantenere la famiglia era Arava, la mamma di Johanna, che si prostituiva; è morta di parto, dando alla luce Sawyer, il piccolo di casa. E da allora Sloane si è data da fare per prendersi cura dei suoi fratelli, anche se Johanna, che ho sempre immaginato come un tipetto molto indipendente, ha imparato a gestirsi da sola molto presto. Quell’ “io non ho paura” che ripete più volte Sawyer nella seconda parte, è un riferimento alla one-shot omonima, dove viene descritta la scena dei saluti post-mietitura di Johanna. Lì si scopre anche che fine abbiano fatto i due fratelli Mason.

Grazie infinite per chiunque sia passato a leggere!

Un abbraccio e a presto!

Laura

   
 
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