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Autore: BlueButterfly93    15/09/2014    1 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 8

Confessioni






Era ormai ora di cena quando zia Kate mi chiamò per sederci a tavola. Da quando era rientrata dal suo breve viaggio avevo notato uno strano comportamento in lei. Sembrava premurosa nei miei confronti e nello stesso tempo preoccupata per qualcosa, non lo era mai stata o perlomeno non aveva mai mostrato di esserlo. Quella forse era una caratteristica, anche mia, ereditata da lei; non mostrare mai i propri sentimenti, le proprie debolezze, ridere fuori anche se dentro si muore. Quel giorno però zia Kate non riuscì a farlo. Doveva essere qualcosa di estremamente importante per farla apparire accentuatamente preoccupata.

«Zia, tutto ok?» le chiesi in apprensione mentre assaggiai la mia insalata.

Non erano da lei quel volto teso e quell'espressione contratta. 

«Sì... ehm... n-no, cioè...» 

Inarcai le sopracciglia per la sorpresa. Non l'avevo mai sentita balbettare. Grazie al suo lavoro, da sempre la contraddistingueva una sicurezza nel parlare, tale da far invidia.

«Sono l'amante di un uomo sposato» quasi mi strozzai davanti alla sua rivelazione improvvisa. Il tono con il quale l'aveva detto era tranquillo e sicuro in totale contrapposizione con quello utilizzato qualche istante prima.

Bevvi un sorso d'acqua per mandare giù il pezzo di mais che mi si era bloccato in gola e poi cercai di parlare
«Da quanto tempo?» riuscii a dire, alla fine.

«Due anni!»

"Pensavo di contare di più nella tua vita" volevo risponderle, ma lasciai stare. A quanto parve, tra le due, ero l'unica a confessare quasi tutto. Le parlavo dei miei pensieri, sentimenti, delle mie giornate. Credevo lo facesse anche lei con me. Mi sbagliavo. Era giusto si trovasse qualcuno con cui stare, aveva trentotto anni, ma avrebbe dovuto farlo con qualcuno di più disponibile, qualcuno che non le avrebbe fatto del male. Non mi sarei mai fidata degli uomini sposati che non ci pensavano due volte prima di tradire la propria moglie. Senza contare il fatto, poi, che zia Kate avesse contribuito a rovinare una famiglia. 

"Chi è lui? Ha figli? E' davvero seria questa storia?" tante domande iniziarono a vorticare nella mia mente e c'era un solo modo per avere delle risposte: quello di non aggredirla, mostrarle comprensione senza giudicarla. Misi da parte il risentimento e provai a risponderle civilmente.

«Oh beh... si risolverà sper...» m'interruppe.

«È il padre di Castiel»

"Come? Cosa? Perché? Cosa mi sono persa? Come fa a conoscerlo? Perché proprio lui?" Istintivamente posai le mani sulla bocca in segno di stupore. Ero incredula. Il destino non era dalla mia parte a quanto pareva. Ogni fatto della mia vita negli ultimi mesi sembrava essere collegato a lui. Guardai zia Kate come se avesse tre teste. Lei sarebbe stata la rovina della famiglia di Castiel. Assurdo.

«Miki non guardarmi così... Noi ci amiamo!» sgranai del tutto gli occhi. 

Ma quanto poteva essere egoista?

Al diavolo i discorsi civili!

«Noi ci amiamo? Voi vi amate? Ma come ti permetti a parlare di amore, eh zia? Non potevi pensarci due volte prima di farlo entrare nelle tue mutande? Stai rovinando un'intera famiglia solo per i tuo capricci amorosi. È il padre di Castiel, cazzo!» mi alzai di scatto dal tavolo e la sedia costosa sulla quale ero seduta cadde rumorosamente sul pavimento. 

«Non rivolgerti a me con questi toni» si alzò anche lei dalla sedia quasi urlando e sbatté le mani sul tavolo. Non mi spaventò; che peccato!

Non mi avrebbe fatto da genitore a sedici anni suonati. Avevo vissuto sola per tanto tempo con solamente qualche sua visita sporadica, di certo sapevo come comportarmi nella vita, e a quanto pareva sapevo farlo meglio di lei che non aveva pensato due volte prima d'intraprendere una relazione con un uomo sposato. Certo, l'avrei ringraziata fino allo sfinimento perché era l'unica famiglia, l'unica persona su cui potessi contare, ma aveva sbagliato e non riuscivo a stare in silenzio. Era più forte di me, dovevo sbraitarle contro per riprendermi.

«La madre di Castiel già lo sa. Lei ed Isaac devono firmare le ultime carte e poi procederanno con il divorzio» si ricompose informandomi di fatti che forse era meglio non sapere. 

Isaac. Era quello il nome del maiale in questione. 

Il padre del ragazzo che aveva rubato il mio primo bacio. 

Com'era strana la vita, strano il destino e piccolo il mondo. 

«M-ma... Non sanno come dirlo al figlio» zia Kate sembrava quasi stesse facendo un monologo. Avevo smesso di risponderle per quanto ero nervosa nei suoi confronti. Ma fu con quell'ultima frase che scoppiai nuovamente.

«Ah sì? Eppure non dovrebbe essere difficile da spiegare l'atto sessuale con il quale ha tradito la moglie. Posso farti un disegnino, se vuoi, così magari farai venire un'illuminazione al maiale» non ero mai stata così esplicita nel parlare prima di quel giorno, ma ero troppo nervosa per impormi filtri. 

Agitai le mani e le portai sulla testa. Quella situazione era davvero assurda. Non ero a conoscenza del rapporto del rosso con i suoi genitori e in particolare di quello con il padre. Sapevo solo che lo avesse aiutato ad uscire dall'accusa di stupro. Castiel non mi aveva mai parlato della sua famiglia, ma in ogni caso non doveva esser bello vedere i propri genitori separarsi così all'improvviso. Non doveva essere piacevole essere tenuto all'oscuro da tutto. 

«Tu non sei genitore, certe cose non puoi capirle» continuò zia Kate. 

«Di certo se e quando sarò genitore avrò le palle per dire qualsiasi verità a mio figlio» risposi ovvia incrociando le braccia. 

Eravamo l'una di fronte all'altra con solo il tavolo a dividerci, continuando a lanciarci sguardi di rimprovero. 

«Vedremo! Fatto sta' che ho detto ad Isaac della tua amicizia con Castiel e...» si bloccò pensierosa senza completare la frase.

«E...?» corrugai la fronte. Non riuscivo a capire il motivo per il quale il discorso si era spostato su di me.

«E... lui ha pensato che potresti essere tu a raccontargli la verità» finì la frase stampandosi un sorriso di circostanza sul viso. Sapeva già che avrei rifiutato, ma aveva pensato ugualmente di mettermi al corrente della pretesa stupida del maiale. 

Dettava ordini ed era senza coraggio, due caratteristiche detestate dalla sottoscritta. Due caratteristiche possedute da Isaac. Non avevo mai odiato un uomo senza conoscerlo. Quella volta fu la prima.

«Sì, certo. Come no...» risposi solo prima di dirigermi verso le scale che mi avrebbero portata nella mia stanza per chiudere quelle pretese stupide alle spalle una volta per tutte. 

Quella giornata sembrava non voler finire più. Cosa doveva succedere ancora? Ovviamente zia Kate non demorse e mi seguì fino alla porta della mia camera. 

«Ci penserai?» 

"Ma che faccia tosta!"

«No. Dì ad Isaac di usare le palle per qualcosa di buono, invece di continuare a rompere le mie» le chiusi la porta in faccia dopo quella bella metafora. 

Non avrebbero neanche dovuto pensarla una cosa del genere. Come potevano pretendere che io acconsentissi a rivelare una cosa tanto importante a Castiel? Una cosa del genere doveva essere palesata dai diretti interessati, i suoi genitori, io non ero legittimata a farlo. Eravamo amici, quasi, eppure non avevamo tanta confidenza o meglio entrambi ci eravamo risparmiati di raccontarci le storielle strappalacrime delle nostre rispettive infanzie. Anche lui doveva avere parecchi problemi la rivelazione di zia Kate mi diede la conferma ai dubbi già insinuati a causa del carattere che il rosso si ritrovava. 

Ero tesissima, dovevo sfogarmi e calmarmi in qualche modo. Uscii sul balcone piccolo della mia stanza per prendere un po' d'aria e gettai fuori il respiro. Quelle giornate si stavano dimostrando più difficili del previsto e non osai immaginare l'indomani cosa mi sarebbe potuto aspettare. Sarebbe uscito il giornalino con la mia storia reale. Sfregai le mani sul volto come per volermi risvegliare da quell'incubo; non avrei mai potuto immaginare che la mia vita potesse peggiorare una volta atterrata a Parigi. In Italia, nonostante il passato, avevo le mie abitudini, non avevo alcun tipo d'intoppo, ogni giornata era uguale e monotona ma alla fin dei conti tranquilla mentre nella nuova città non avevo nient'altro che grattacapi da trenta giorni. 

Ad un tratto gli occhi si puntarono sulla mia salvezza temporanea, la piscina. Con un bel bagno avrei sbollentato e calmato i nervi. Con quella nuova idea in testa entrai nella mia stanza ed indossai velocemente un costume da bagno per poi dirigermi subito fuori in giardino. 

La piscina si trovava dalla parte opposta della strada, quindi all'entrata secondaria di quella mega casa. Era abbastanza grande e a forma di nuvola, quindi tondeggiante, da un lato della vasca vi era persino un piccolo cerchio chiuso con l'idromassaggio. Ovviamente il tutto era con l'impianto di riscaldamento, in modo da poter essere utilizzata anche nei mesi invernali. Non si era risparmiata niente la mia cara zia. Ma una volta che c'era perché non sfruttare la comodità? Mi tuffai e senza perdere tempo andai dritta nella parte di vasca con l'idromassaggio. Non sentii neanche lo sbalzo di temperatura dall'aria fredda all'acqua calda. Chiusi gli occhi e mi adagiai a bordo vasca lasciandomi tranquillizzare dalle vibrazioni percepite da tutto il mio corpo grazie alle bollicine dell'idromassaggio. 
In procinto di addormentarmi sentii delle mani fredde posarsi sui miei occhi; urlai d'istinto e mi alzai poggiando i piedi sul fondo della vasca. 

«Ti ho già detto di lasciarmi in pace, per oggi» ero quasi esasperata mentre mi voltai verso la fonte di disturbo pensando di trovare zia Kate.

Ma non era lei. Con mia sorpresa voltandomi scovai gli occhi confusi ma dolci di Nathaniel.

«C-cosa ci fai qui?» balbettai leggermente. Non potevo di certo aspettarmi di trovarlo nel mio giardino senza alcun apparente motivo. Avrei dovuto parlargli, vero, ma lui non poteva saperlo o forse...

«Sc-scusa non avrei dovuto. Il fatto è che... tu oggi a scuola avevi detto di dovermi parlare, poi sei scappata per via di Melody e... Ora passavo di qui, ti ho vista e trovando il cancello semi aperto ho pensato di entrare in modo da poter parlare. M-ma forse avrei dovuto lasciar perdere. Anzi, scusa.. vado via subito.. scusa ancora».

«No, no fermati» lo bloccai dal braccio uscendo dalla piscina. Si era già avviato per uscire dal cancello secondario. 

Ignorai i brividi di freddo su tutto il corpo a causa del consistente sbalzo di temperatura, dall'acqua calda all'aria fresca, e continuai a parlare quando lui si voltò verso di me. 

«Oggi quando ero venuta a cercarti volevo chiederti scusa. Non volevo intromettermi in tutta quella storia e non volevo mettere te in mezzo, ma tu continuavi ad accusarlo, a definirlo un mostro e nello stesso tempo non volevi dirmi cosa fosse successo... così smossa dalla voglia di sapere sono andata a chiedere all'unica persona che mi avrebbe detto tutto...» sospirai sentendomi maggiormente in colpa e abbassai il volto. Non avevo bisogno d'inserire i nomi dei diretti interessati o di spiegare nei minimi particolari. Lui aveva già capito ogni cosa.

«Ehi, ehi va tutto bene» dolcemente ponendo pollice e indice sotto il mento mi sollevò la testa in modo da potermi guardare negli occhi.

«Ti va di fare una passeggiata così parliamo tranquilli?» Aggiunse mostrando con la testa qualcosa o meglio qualcuno. Zia Kate ci stava spiando incuriosita da una finestra. Sbuffai.

«Dammi due minuti. Metto qualcosa addosso e arrivo».

Presi un asciugamano poggiata precedentemente su una sedia affianco alla piscina, l'avvolsi intorno al corpo e corsi in camera per cambiarmi. Ovviamente zia Kate non perse tempo per importunarmi. Era diventata il mio segugio.

«Vuoi essere denunciata per stalking, per caso?» sdrammatizzai.

«Micaela Rossi, ti proibisco di scherzare su questo genere di cose. Sono reati gravi, migliaia di persone muoiono o sono arrestate per questo tipo di reato e...»

«E bla bla bla. Hai finito? Smettila di seguirmi e vedrai che io non sarò costretta a parlare di queste cose!»

Ma come se non avessi aperto bocca, ignorò le mie parole ed iniziò a dialogare da sola nuovamente sull'aromento Isaac e Castiel, sui motivi per i quali avrei dovuto dire io la verità al rosso. Non l'ascoltai, asciugai i capelli bagnati, mi tolsi il costume sotto i suoi occhi indossando dei jeans aderenti, una felpa e un paio di Converse fucsia. Le tenevo per le uscite dell'ultimo minuto. Quando finii di sistemarmi, un quarto d'ora dopo, la salutai con un cenno di mano, un sorriso falso ed uscii dalla porta di casa. Sapevo di comportarmi male con lei, ma non riuscivo ad agire diversamente in quel momento.

«Ti ho fatto aspettare troppo, scusa» dissi appena Nathaniel apparve nella mia visuale. 

«Tranquilla» mi fece segno di uscire e lo seguii chiudendomi alle spalle il cancello di casa. Ci trovavamo nella via principale, non eravamo usciti dal cancello secondario. 

«Allora...» si grattò la nuca in segno di nervosismo mentre c'incamminammo senza alcuna meta. «Perdona Melody. Lei non è una cattiva ragazza, non pensava realmente ciò che ha detto. Era nervosa e delusa e... »

«Non me la sono presa per quello che ha detto.» Era la verità. Ero abituata a ricevere insulti peggiori dei suoi. 

Mi guardò per un istante quasi sbigottito, poi mi sorrise e continuò «tu invece? Cosa dovevi dirmi?»

«Te l'ho detto, non era mia intenzione riaprire le ferite di nessuno...» lasciai il discorso a metà, mancava qualcosa del mio discorso e lui lo capì. 

«Cos'altro?»

Sospirai. «Perché non hai voluto raccontarmi la verità?» Sapeva bene a cosa mi stessi riferendo.

«Non erano cose che mi riguardavano, da come hai visto.. e ho ritenuto opportuno lasciar raccontare ai diretti interessati i propri reati»

«Allora non avresti dovuto avvertirmi. Non ha avuto senso dirmi di stargli lontana senza raccontarmi il motivo».

«Cosa cambiava?  Tanto non gli saresti stata lontana ugualmente. Siete tutte così!»

«Cosa intendi?» Chi altro era come me? Chi doveva stare lontano dal rosso, ma non ci riusciva?

«Castiel non è la persona che sembra. È molto peggio». Non rispose alla mia domanda ma lasciai cadere il discorso. Non ero pronta ad avere altre confessioni, quel giorno. 

«Lui... Non ha fatto alcuna violenza su Violet. Smettila di accusarlo!» Inevitabilmente iniziai ad alzare la voce e innervosirmi.

«Ed io sono Babbo Natale... Ma per favore, Miki, non essere così cocciuta, ci sono le prove.»

«È stata Peggy a capire male. Violet è stata stuprata, ma non da Castiel. Anzi lui la stava persino aiutando quando sono state scattate quelle foto»

«E per quale motivo Violet non avrebbe testimoniato per scolparlo? Sentiamo!» aveva assunto un tono di voce quasi di sfida. Non mi piaceva.

«Non voleva denunciare il suo vero stuprato...»

M'interruppe. Non riuscivo a capire dove volesse andare a parare. I fatti erano quelli, Castiel non era colpevole. Violet mi aveva raccontato la sua verità personalmente. 

«E per quale motivo non avrebbe dovuto denunciar...»

«Senti, basta. È inutile parlare con te, mi hai stancata. Ero uscita con l'intento di chiarire una volta per tutte ogni incomprensione, ma tu continui a fare lo stronzo. Me ne torno a casa» girai i tacchi e m'incamminai per la via di ritorno.

Mi parve di essere nelle vicinanze di casa Black. Preferivo cento volte la schiettezza del rosso piuttosto che le convinzioni false di Nathaniel. Fui quasi tentata di bussare alla sua porta per non dover vedere più il biondo che invece continuava a seguirmi nonostante gli avessi detto più volte di lasciarmi sola. 
 




Castiel

Ero nel giardino di casa come ogni sera, solo, a fumare la mia sigaretta. Fissando il fumo uscire dalla bocca per poi disperdersi nell'aria ripensai alla mia vita. Per quello che avevo potuto apprendere dal suo diario e dalla sua stessa bocca durante la confessione a Peggy, la mia storia e quella di Micaela Rossi erano parecchio simili. Entrambi eravamo stati abbandonati da piccoli, entrambi eravamo stati costretti a crescere troppo in fretta senza aver nemmeno il tempo di accorgercene. Certo, la sua infanzia era stata più tragica rispetto alla mia, non c'erano dubbi. Io ero stato solamente abbandonato al mio destino perché i miei genitori si amavano troppo ed erano troppo impegnati a vivere la loro storia d'amore per accorgersi di me e dei miei bisogni. Lavoravano in una compagnia aerea; mio padre pilota e mia madre hostess, giravano il mondo, per mesi interi non rientravano a casa ed io ero spedito come un pacco postale per tutta la Francia o se mi andava male addirittura in altre città d'Europa. Non mi ero mai lamentato di quella vita perché eccessivamente ammaliato dall'amore dei miei genitori. Quando ancora ero troppo piccolo per conoscere le due facce della medaglia anch'io sognavo un amore come il loro. Litigavano spesso, praticamente per ogni cosa, ma poi facevano pace in un modo tutto loro. Erano smisuratamente innamorati l'una dell'altro per accorgersi di me. Ed io inevitabilmente ero il peso della situazione. Così a quattordici anni, acquisita un po' di autonomia, li convinsi a lasciarmi vivere la mia vita nella nostra vera casa a Parigi. Nella mia attuale casa. Sotto loro insistenza dovetti sorbirmi cameriere varie fino all'età di quindici anni, quando finalmente riuscii a sbarazzarmi anche di quelle. I miei rientravano una volta ogni due, tre mesi -quando andava bene- poi con il passare degli anni non tornavano proprio o lo facevano separatamente. 

«Miki ferma!» fui distratto dai pensieri. 

Quel nome pronunciato da quella voce mi fece sussultare e avvicinare d'istinto alla siepe per vedere con i miei occhi se fossi diventato matto o meno. Quella ragazzina stava diventando un'ossessione ed un pericolo realmente grave per la mia testa rossa. Immaginavo il suo corpo sotto al mio, sentivo qualsiasi persona chiamarla, percepivo la sua presenza da lontano. Era solo perché non avevo avuto modo di completare quello che avevamo iniziato quel giorno nello stanzino dei bidelli, ne ero sicuro. 

Ma quella sera non era stata la mia immaginazione a giocare brutti scherzi, Nathaniel e Miki erano realmente poco lontani dal mio cancello. Lei pareva essere nervosa, lui il solito leccapiedi. Per un attimo considerai come vero l'articolo di Peggy. E se Miki e Nathaniel stessero realmente insieme? Per quale motivo lei non me ne aveva mai parlato?

«T-tu non capisci...» continuò il delegato fermando la fuga di Miki. 

"Che voce odiosa".

«Cosa dovrei capire? Abbiamo una visione delle cose totalmente contrapposta. Io ci ho provato ad esserti amica, credimi, ma è davvero impossibile. I primi giorni di scuola eri gentile, poi mi sono avvicinata a Castiel e da quel giorno mi hai evitato come la peste sebbene io sia venuta a chiederti spiegazioni cercando di riavvicinarmi a te. Dopo tre settimane sei venuto a chiedermi scusa, ma abbiamo litigato nuovamente. Oggi avevamo deciso di chiarire per davvero una volta per tutte ma di nuovo abbia...» 

"Io ci ho provato ad esserti amica" aveva dettoErano amici. Solo amici. Tirai un sospiro di sollievo senza volerlo. Ma la scena seguente vista dai miei occhi mi costrinse a compiere il gesto contrapposto; trattenere il respiro. Il monologo di Miki venne interrotto dall'abbraccio improvviso di Nathaniel. Dalla rabbia accartocciai il pacchetto delle sigarette che tenevo in mano e gettai un calcio all'albero lì vicino. Dentro al pacchetto c'erano persino due sigarette, che diamine! Lanciai il pacco ormai trasformato in una palla -dalla mia rabbia- verso l'albero e mi voltai per rientrare dentro casa. Non avevo alcuna intenzione di assistere a quel teatrino sdolcinato. E poi... non m'interessava la sua vita. Era solo una ragazzina.

Non c'era motivo di perdere la pazienza in quel modo per lei. Cosa mi stava accadendo?
 




Miki

«Da quando sei arrivata non faccio altro che pensarti. Sono sparite tutte le altre e vorrei fosse così anche per te. Per questo m'infastidisco quando Castiel ti ronza intorno. Temo che lui ti possa interessare più di me» aggiunse leggermente in imbarazzo sciogliendo l'abbraccio e cercando di guardarmi negli occhi. 

Mi aveva praticamente appena ammesso di piacergli? 

«Ohh!! B-Beh...» percepii il volto andare in fiamme, non sapevo cosa rispondere. 

Non ero abituata a quel genere di ammissioni ed io non avevo mai valutato una possibilità come quella. Pensavo fosse un bel ragazzo, era innegabile, ma nello stesso tempo i suoi tratti caratteriali fuoriusciti in quel mese non mi facevano impazzire. Non ero alla ricerca di una relazione. E poi a prescindere... non avrei mai voluto una relazione. Non faceva per me una scemenza del genere. Non avrebbe mai fatto per me. Mai e poi mai. 

«Si è fatto tardi... D-devo rientrare» dissi solamente mostrando un punto qualsiasi dietro di me. Ero totalmente in imbarazzo e apparii un imbecille. 

«Oh sì certo» abbassò il volto e infilando entrambe le mani nei pantaloni di tuta grigi, s'incamminò senza degnarmi di uno sguardo. Sapevo di dover dire qualcosa riguardo le sue parole di poco prima, ma non riuscivo.

Non avevo captato il suo interesse nei miei confronti fino a quel momento. C'erano stati persino momenti in cui avevo pensato di stargli antipatica. Il primo sospetto lo avevo avuto quel giorno, dopo le parole urlate da Melody, ma avevo lasciato cadere il discorso credendo fosse un fattore di poco conto. Mentre ci dirigevamo verso casa, lo squadrai da dietro. Nathaniel apparentemente appariva come il ragazzo perfetto sia esteticamente che nei principi da ragazzo per bene, ma un paio di volte avevo avuto modo di pensare che quella fosse solo apparenza. Quando si trattava di Castiel, ad esempio faceva fuoriuscire tratti di lui leggermente cattivi. 

«Bene, eccoci arrivati» finse un sorriso voltandosi nella mia direzione. Era rimasto deluso dalla mia reazione, chiunque lo sarebbe stato. Mi aveva colto di sorpresa tanto da non riuscire a capire neanche se la sua ammissione mi avesse fatto piacere o meno.

Non sapevo come comportarmi e l'imbarazzo cresceva ogni minuto di più, così pensai bene di abbassare lo sguardo verso le mie Converse fucsia e di torturarmi le mani senza spiccicare parola. La determinazione e il carattere forte dimostrato in alcune situazioni si erano persi per strada. 

Ad un tratto nella mia visuale accanto alle Converse apparirono un paio di Nike Air Max -le sue scarpe- rialzai di scatto la testa e lo scrutai sgranando gli occhi quando notai l'estrema vicinanza dei nostri visi. Non l'avevo sentito arrivare e nello stesso tempo non riuscivo a percepire il suo respiro sulla mia pelle cosa che invece era accaduta solo il giorno prima con Castiel. Il suo fiato bruciava sulla mia pelle e mi sentivo fuoco; mentre con Nathaniel sembravo essere l'esatto opposto, il ghiaccio. 

«Buonanotte» sussurrò schioccando un bacio dolce e leggero sulla mia fronte. Socchiusi gli occhi per la tenerezza di quel gesto e subito dopo arrossii. Era il primo contatto maggiormente intimo tra me e Nathaniel. In quel mese di conoscenza ci eravamo limitati ad un abbraccio, tra l'altro avuto solamente mezz'ora prima per la primissima volta. 

Sparì nel buio della notte senza attendere una mia risposta. Con il cuore in sussulto e mille dubbi sul ragazzo biondo entrai dentro casa, precipitandomi nella mia camera per sfuggire alle ulteriori richieste petulanti di zia Kate. 

Indossai di fretta il pigiama desiderosa di chiudere una volta per tutte con quella giornata assurda, ma giustamente non poteva filare tutto liscio. Il computer portatile -che avevo il vizio di lasciare sempre aperto- segnò l'arrivo di una nuova mail accompagnata dal suono tipico prodotto dal Mac. Mi avvicinai e leggendo il nome del mittente strabuzzai gli occhi incredula. 

"Non potrò mai dimenticare i tuoi sorrisi, i tuoi sguardi. Resterai per sempre nel mio cuore. Ma è meglio per entrambi che la nostra amicizia finisca qui. Questa volta è finita per sempre. Ora sto con una ragazza, lei sa farmi d'amica e da fidanzata, cose che tu non sei mai stata capace di fare. Buona fortuna per la vita.

Ciak"

Lessi per altre dieci volte quella frase incredula: "lei sa farmi d'amica e da fidanzata, cose che  tu non sei mai stata capace di fare". 

«NO-NO-NO-NO-NO dev'esserci stato un errore. Sarà stato il correttore automatico, sì, avrà sbagliato a scrivermi» iniziai a parlare con me stessa ad alta voce, mentre percorrevo avanti e indietro tutta la stanza con le mani tra i capelli e tirandoli per la disperazione. 

Chiusi gli occhi, inspirai ed espirai, in attesa di riacquistare la lucidità di mente; ma non avvenne. L'unico modo per avere reali risposte era quello di chiamarlo. Gli avevo già lasciato abbastanza spazio, sentire la mia voce non gli avrebbe più provocato istinti omicidi, sperai.

Così lo chiamai senza preoccuparmi di disturbare. L'orologio segnava le undici di sera ormai, ma non m'importò. 

Esattamente al dodicesimo squillo rispose la voce squillante di una ragazza che non conoscevo «Sì, pronto».

«Ehm... Ciao, sono Miki. C'è Ciak? Dovrei parlargli» 

«Ah, tu sei quella... Aspetta un attimo» cosa significava? Aveva sentito parlare di me altre volte? E poi come si permetteva? Chi le aveva dato tutta quella confidenza?

«Non sono stato abbastanza chiaro nella mail?!?» disse sarcasticamente con il tono di voce grave. La voce del mio migliore amico mi fece tremare il cuore. Non lo sentivo da troppo tempo. Ero abituata ad averlo in giro per casa tutti i giorni a tutte le ore. Mi mancava ogni aspetto di lui.

«Cosa vuol dire che io non sono mai stata capace di fare da amica e da fidanzata? Amica, ci sta. Ma fidanzata? Sembra tutto un brutto scherzo...» sebbene sembrassi disperata, mi feci forza e chiesi la verità; quella che avrebbe cambiato la nostra amicizia per sempre.

«Ma davvero non c'eri arrivata, eh Miki?» Ma allora... era tutto vero. Non era possibile. Non per noi. No.

«N-no» la voce mi tentennò. 

Ogni sentimento era stato un inganno. Mentre io gli volevo bene come un fratello, lui provava qualcosa di più per me. Ero stata stupida a non accorgermene, ma come potevo? Neanche una volta ne avevo avuto il sospetto. 

«Beh allora lascia che ti dica una cosa, mia cara Micaela: tu non solo mi piaci, bensì sono innamorato di te da ben cinque fottuti anni. Insomma... non ti sei mai chiesta perché rifiutavo tutte le ragazze? Perché con nessuna volessi condividere più di una notte? Per me esistevi solo tu, ma ovviamente sei dovuta andare via proprio quando mi ero convinto di dirti la verità. Mi hai abbandonato, sei stata una stronza!»

Non potevo crederci. Non volevo. Dovevo risvegliarmi da quell'incubo per forza. 

«M-Ma...»

«Ma niente. Lascia che ti dica una seconda e ultima cosa: l'amicizia tra uomo e donna non esiste. Mettiti l'anima in pace, prima o poi uno dei due s'innamora dell'altro. Ad alcuni capita che entrambi scoprono di provare qualcosa per l'amico, ad altri no. Quando non capita l'amicizia finisce e bisogna farsene una ragione. Io mi sto abituando alla tua assenza, lo farai anche tu con me» mi tappai la bocca quasi come se fossi stata io a farmi sfuggire quelle parole. La sua voce era fredda, senza sentimenti, come se stesse facendo la lista della spesa. Non si rendeva conto delle parole appena uscite dalla sua bocca, o forse sì. Forse voleva solo provocarmi dolore e ci stava riuscendo. Una lama si era come conficcata nella mia anima dopo le sue ultime parole.

«Tutto chiaro?»

«Tutto chiaro. Come sempre capisco in ritardo. Buona fortuna con lei Ciak» dissi con l'amaro in bocca, ma non perché volessi il suo amore, ma perché rivolevo indietro il mio amico. Cercai di trattenere le lacrime, non volevo apparire fragile davanti alla sua versione nuova.

 «Lei non è te, mi accontenterò...» si fece sfuggire a bassa voce. Persi un battito.

«Nonostante tutto l'invito per Natale è ancora valido. In memoria della nostra amicizia vorrei raccontarti la vera storia della mia vita, se me lo permetterai» volevo vederlo un'ultima volta, era giusto che anche lui sapesse. Dovevo ringraziarlo in qualche modo.

«È troppo tardi per farlo. Tra l'altro ho  impegni per le feste. Notte, Miki!» notai solo un po' di nostalgia nel suo tono di voce. Dopo quelle parole chiuse la chiamata. 

Un silenzio tetro invase la mia stanza. L'amicizia tra la sottoscritta e Ciak era ufficialmente giunta al capolinea. La coppia di amici più invidiata non esisteva più. Lui si era innamorato di me. Tutti quei piccoli particolari, quelle piccole frasi continuavano a primeggiare nella mia testa. Più le ripetevo e più tutta quella storia appariva assurda. Mi lasciai cadere sconfitta sul pavimento della mia camera, era freddo ma non lo sentivo. Un pezzo del mio cuore era appena stato calpestato e ormai risultavo immune alle sensazioni, non mi accorsi neanche di star piangendo quando vidi le prime lacrime bagnare le mattonelle che mi stavano vedendo sprofondare. Ero stata forte per tutta la giornata davanti alle tante confessioni ricevute, ma l'ultima mi distrusse più di tutte. Ciak, il mio migliore amico, mio fratello, la mia ancora di salvezza, l'unica persona capace di farmi ridere, in realtà era innamorato di me. Man mano che venivo a contatto maggiormente con la realtà, il pianto aumentava. Ero distrutta. Un'altra volta. Ma quella volta non ci sarebbe stato nessuno a sorrergermi. Solo Ciak lo faceva. Sebbene gli raccontassi mille menzogne, c'era. 

Ma da quel giorno in poi? Chi avrebbe aiutato quest'orfana col cuore distrutto a rialzarsi?

E quasi come un segno del destino, il cellulare che tenevo stretto tra le mani tremò a causa della vibrazione, segnando l'arrivo di un messaggio. Con la vista appannata e senza premura di asciugarmi gli occhi mi affrettai a leggere il mittente e il testo. 

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