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Autore: _juliet    15/09/2014    1 recensioni
Ren aveva iniziato a uccidere per denaro a quindici anni e, dopo dieci anni di attività, era convinto che la sua vicinanza risvegliasse nelle persone una sorta di primordiale istinto di sopravvivenza che le spingeva a non interagire con lui.
{Semi-distopia}
Alken è una città martoriata da una guerra tra organizzazioni criminali. Ren è un assassino di professione, estraneo alla faida, un lupo solitario che ama lavorare per conto proprio. Ma quanto può sopravvivere un lupo solitario se i cani sono in branco?
Genere: Angst, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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 – I –





Quando Ren aprì la porta a vetri e fece il suo ingresso nel No way out, le voci si affievolirono e i sorrisi si spensero. Molti evitarono di guardarlo, concentrandosi invece sui muri e fingendo interesse per i quadri che vi erano appesi; pochi, più coraggiosi grazie all'aiuto dell'alcool, lo fissarono con occhi rapaci, soffermandosi in particolar modo sulla custodia nera che portava in spalla.
Ren aveva iniziato a uccidere per denaro a quindici anni e, dopo dieci anni di attività, era convinto che la sua vicinanza risvegliasse nelle persone una sorta di primordiale istinto di sopravvivenza che le spingeva a non interagire con lui. Era abituato a questo e ad altri tipi di reazioni nei suoi confronti e, in tutta onestà, gli andava bene così: socializzare con troppi individui non era mai stata una sua priorità.
Scelse di ignorare l'atmosfera pesante che si era creata e sedette al bancone, concedendosi uno sbadiglio e stiracchiando i muscoli indolenziti dalla lunga attesa di quel pomeriggio.
Il bersaglio si era deciso a uscire dal bordello più di due ore dopo l'orario che il suo cliente gli aveva comunicato e Ren aveva aspettato, nascosto all'ultimo piano di un albergo abbandonato. L'edificio era in rovina e una corrente gelida imperversava nei corridoi deserti, rendendolo un ambiente decisamente inospitale per un'attesa così lunga. Ma poco importava, si disse Ren: il bersaglio era morto con una pallottola nella schiena e il cliente gli aveva pagato il prezzo pattuito più un bonus. La vita era bella.
«Che cosa ti sei fatto?» la voce del barista lo riscosse dai suoi pensieri. Aveva già iniziato a versargli la solita pinta e osservava con orrore le nocche della sua mano destra, malamente bendate e sanguinanti.
Ren sorrise. Quando aveva lasciato l'albergo, una delle guardie del corpo del bersaglio l'aveva inseguito ed era stato costretto ad aprirsi la strada a pugni, ma non era qualcosa di cui poteva parlare liberamente, in un luogo pubblico.
«Buona sera, Stan. Mi dispiace che i tuoi clienti mal sopportino la mia presenza» disse, eludendo la domanda.
«Tu sei mio cliente da molto prima di tutti loro.»
Stan gli allungò la birra e imprecò. Il suo gatto aveva appena deciso che la spillatrice era un ottimo posto in cui acciambellarsi per fare un sonnellino.
Dopo qualche minuto di minacce opportunamente ignorate dal felino, il gestore del No way out rivolse la sua attenzione a Ren, scuotendo la testa. Il movimento faceva ondeggiare i suoi capelli che, in quel periodo, erano azzurri.
«Prima o poi lo ammazzo!» esclamò.
Ren sorseggiò con calma la sua birra, prima di rispondere. «Dici sempre così, ma non ti ho mai visto alzare un dito su quel dannato animale.»
«Certo che no» rispose Stan, afferrando il gatto e stringendoselo al petto, per poi lasciarlo zampettare liberamente sul bancone. L'animale saltò in grembo a Ren e si acciambellò sulle sue gambe, iniziando a fare le fusa.
«Champagne è il mio tesoro, sì che lo è» continuò il barista, con un tono esageratamente sdolcinato che lo faceva sembrare cretino.
Un altro cliente richiese la sua presenza e, mentre Stan lo raggiungeva, Ren approfittò per osservarlo da dietro la sua pinta.
Dargli un'età sembrava impossibile, forse per via del colore dei capelli e degli innumerevoli orecchini che pendevano dai suoi lobi. Le sue braccia, fin dove le maniche della camicia permettevano di sbirciare, erano ricoperte da tatuaggi sbiaditi dal tempo e dal sole. Era più vecchio di lui, ma Ren non avrebbe saputo dire se avesse trent'anni o cinquanta.
Stan non gli aveva detto quasi nulla di sé, ma il giovane non gliene faceva una colpa: era lui il primo a parlare poco di se stesso. In città come quella più ti facevi gli affari tuoi, più potevi sperare di essere lasciato in pace. Ren sapeva solo che Stan era il gestore del No way out – nonché di una solida rete di informatori – e che era bravo nel suo lavoro. Questo era sufficiente.
«Cambiando argomento, sei sicuro di non volere un altro buco?» chiese il barista, di ritorno dietro il bancone. «Potrei fartelo io» continuò, facendo tintinnare i suoi numerosi orecchini. «Ti donerebbe.»
Ren portò istintivamente la mano all'anellino d'argento che portava al lobo destro. «Non è il caso» commentò, trangugiando l'ultimo sorso di birra.
Stan sorrise, guardandosi intorno con aria rilassata. Allungò il braccio e accarezzò Champagne, che era nuovamente salito sul bancone e si strusciava contro la sua mano. Il suo atteggiamento tranquillo avrebbe ingannato gli altri clienti, ma Ren aveva imparato a conoscerlo piuttosto bene e riusciva a vedere oltre la facciata.
Dopo qualche secondo, il barista abbassò lo sguardo sui bicchieri e iniziò a pulirli. «Ho bisogno di parlarti» esordì.
Ren controllò l'orologio e finse di regolare l'ora. «Ho degli affari da sbrigare» disse.
«Sarò breve.»
«È qualcosa che mi interessa?»
Stan esitò, valutando la pulizia di un bicchiere. «Non saprei» ammise.
«Allora parleremo la prossima volta.»
Appena uscito dal No way out, Ren rimpianse la sua decisione. Il vento continuava a soffiare, impietoso, e ora che il sole stava tramontando l'aria sarebbe diventata sempre più fredda. Stringendosi nel cappotto, il giovane si diresse spedito verso casa.
Una folata gelida lo avvolse e lo costrinse a ficcarsi le mani in tasca, strappandogli un gemito di dolore per le nocche martoriate. Il suo respiro accelerato si condensava in piccole nuvole che si disperdevano nell'aria umida.
La luce emanata dai lampioni era brutta e sporca; si accendeva a intermittenza, ronzando, e non era utile neanche per evitare di calpestare la merda sui marciapiedi.
In quella zona della città le strade illuminate erano poche, perché raramente qualcuno si interessava alle condizioni dei fin troppo noti quartieri di confine.
“Come se l'oscurità potesse impedire alle bande di fare quello che vogliono”, pensò Ren, concedendosi un sorriso.
L'Oscurità è ordine: quello era il motto di Frozen Moon, l'organizzazione criminale più influente di Alken. Esisteva da tempo – secondo alcuni, fin da quando la città era stata fondata come colonia penale, nei primi anni del diciassettesimo secolo – ed era tanto organizzata e radicata che la giustizia non era mai riuscita a estirparla del tutto dal territorio. Di fronte a una sconfitta su tutta la linea, le forze di polizia si erano divise in due fazioni: la maggioranza sosteneva che fosse loro compito attenersi esclusivamente alla legge, anche a costo di fallire; ma una cospicua minoranza aveva sostenuto la necessità di combattere ad armi pari.
Così erano state formate numerose squadre di volontari, che si erano autoproclamati “vigilanti” e avevano dato inizio a una vera e propria guerra, costituita di omicidi sanguinosi, terrore per le strade, stragi. Non ci era voluto molto perché la giustizia smettesse di tollerarli e li dichiarasse fuorilegge. Con il tempo i Vigilanti erano diventati a loro volta un'organizzazione criminale molto potente, rivale di Frozen Moon in tutti gli ambiti della società. Ironicamente, il loro motto continuava a essere Giustizia e disciplina.
Da allora Alken era ufficiosamente suddivisa in tre diverse parti: la zona più a Nord era territorio di Frozen Moon, mentre i Vigilanti controllavano il Sud della città. Una terza area fra le due era considerata zona sicura: solo lì le due bande avevano stipulato un patto di non belligeranza.
La giustizia aveva dovuto subire la soluzione in silenzio. In cambio, i Vigilanti e Frozen Moon avevano stabilito di collaborare nell'estirpazione di organizzazioni criminali minori.
Anche se, rifletté Ren, non si poteva dire che si fossero mai impegnati a mantenere la promessa.
Delle urla alle sue spalle lo distrassero da quei pensieri e il giovane affrettò il passo, sperando di non ritrovarsi nel mezzo di un regolamento di conti fra uomini delle bande. Sapeva che, se erano occupati in qualche stupida vendetta, difficilmente gli avrebbero prestato attenzione, ma la prudenza non era mai troppa. Senza pensarci due volte, Ren abbandonò la strada e si infilò in un vicolo.
Attese alcuni minuti nell'ombra, prima che gli uomini apparissero. Erano cinque e cantavano a squarciagola una canzone volgare; le loro voci erano stonate e sembravano essere ubriachi o sotto l'effetto di qualche droga, perché si trascinavano scompostamente, inciampando di continuo. Ogni caduta era accompagnata da scoppi di risa sguaiate. Due di loro indossavano giubbotti di pelle su cui erano impressi, a caratteri gotici, le parole Giustizia e Disciplina.
Ren li osservò con occhio critico. “Pesci piccoli”, pensò, “oppure idioti.”
Li avrebbe lasciati passare e poi sarebbe corso a casa, dove il termosifone, sicuramente, era già caldo.
Improvvisamente, percepì il tocco inconfondibile della canna di una pistola nel centro della schiena.
«Buona sera, Ren» mormorò una voce conosciuta. «È una bella serata per morire, non trovi?»




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NdA: Salve. È la prima volta che scrivo qualcosa che concerne assassini e quartieri malfamati. Spero di non fare troppi casini.

 

  
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