Capitolo III – Chi è veramente Son Goku?
Gli
arti dolevano e il viso era in fiamme; in particolare, a bruciargli era il
profondo taglio che quel novellino gli aveva procurato in faccia.
Inutile
negarlo: il suo orgoglio era completamente in frantumi. Come aveva potuto farsi
sconfiggere da un perfetto sconosciuto, al primo incontro poi?
Bulma,
oltretutto, pareva completamente indifferente alla cosa. Anche se si stava
occupando di lui già da un paio d’ore, cercando di medicarlo come meglio poteva
coi pochi strumenti che aveva trovato in infermeria, Yamcha
aveva capito che tutto sommato alla sua donna non importava un granché della
profonda umiliazione da lui subita.
«Girati
dall’altra parte, Yamcha, vorrei dare un’occhiata
anche ai polpacci.»
«Diamine,
Bulma! Sembra quasi che tu non ti renda conto di ciò
che è successo!»
Bulma
posò il piccolo contenitore col disinfettante e si tolse i guanti, lasciando in
parte basito il ragazzo. Quasi la scienziata non riusciva a capacitarsi di
quanto Yamcha fosse immaturo. Quando lo aveva
conosciuto, le aveva fatto un’impressione decisamente migliore.
«Certo
che lo so!» gli rispose sbuffando. «Hai perso! E ora smettila di fare il
moccioso e di lamentarti. Girati dall’altra parte, per favore!»
A
Yamcha tutta quell’indifferenza non andava proprio
giù.
A
dargli fastidio non era tanto il fatto che la sua donna non si curasse del suo
stato emotivo, quanto piuttosto che non si rendesse conto di cosa fosse
successo davvero su quel dannato ring.
Il
ragazzo, seppur contrariato, assunse la posizione intimatagli dalla compagna e
si buttò di pancia sulla barella dell’infermeria.
Iniziò
a guardarsi intorno e, tutto sommato, si rese conto di non essere quello messo
peggio.
Crilin,
il suo amico e compagno di allenamenti, aveva almeno tre fratture scomposte.
Quel pazzo di Son Goku, in finale, lo aveva conciato davvero per le feste! E
nemmeno Tensinhan sembrava stare meglio.
Certo,
negare l’evidenza era impossibile: sia il suo amico che l’allievo di Condor
erano riusciti a tenere testa al novellino molto meglio di lui. La verità era
piuttosto difficile da digerire: quello spilungone spettinato non si era
degnato di combattere al cento per cento contro di lui perché non lo riteneva
un degno avversario.
Ovvio,
chiarissimo. Poteva anche starci, dopotutto.
Ma
da quando, però, Crilin aveva superato il suo livello
di combattimento? E perché lui non se ne era mai accorto?
La
delusione e la rabbia bruciavano in lui come dei roghi indomati. Yamcha non aveva perso soltanto la possibilità di diventare
il protettore della principessa di Furipan – cosa che
gli avrebbe garantito fama e gloria imperitura – ma anche tutta la sua
autostima.
Valeva
davvero così poco?
In
troppi, in quel maledetto torneo, si erano dimostrati più bravi di lui.
E
poi, c’era proprio quel Son Goku. Da dove accidenti saltava fuori? Una forza
del genere non era normale.
«Quel
tizio nasconde qualcosa, me lo sento.»
«Chi?»
ribatté Bulma, più per dar fiato alla voce che per
curiosità.
«Quel
Son Goku. C’è qualcosa che non mi convince in lui.»
«Accidenti,
Yamcha, ma ti rode proprio così tanto? Credevo tu
fossi decisamente più maturo e sportivo.»
«Qui
non c’entra un bel niente la sportività! Cavolo, Bulma,
se invece di sparire chissà dove avessi assistito agli scontri, ti saresti resa
conto che la sua forza ha qualcosa di sovrumano.»
La
donna sbuffò per l’ennesima volta e gli lanciò un’occhiataccia.
Il
suo ragazzo aveva alzato un po’ troppo la voce destando le ire degli infermieri
e degli altri pazienti.
E
anche le sue.
Non
era una sciocca, né una menefreghista come credeva supponesse il suo ragazzo,
ma, davvero, non aveva idea del perché Yamcha se la
fosse presa in quel modo. Se veramente era stato così sciocco da non mettere in
conto la possibilità di perdere era un problema suo. D’accordo, il suo maestro
era tra i migliori del mondo, ma questo non avrebbe di certo potuto garantirgli
la sicurezza della vittoria.
E
poi, perché tutta questa smania di diventare il protettore di quella ragazzina?
Nel
ripensare a lei, Bulma strinse con impeto i polpacci
di Yamcha, strappandogli un urlo di dolore.
«Ben
ti sta, così la prossima volta ci pensi bene prima di rivolgerti così a me!»
«Ah,
certo» ribatté contrariato il guerriero «spiegami cosa accidenti ho detto di
sbagliato, stavolta.»
«La
tua illazione sul fatto che, mentre tu eri sul ring, io stessi perdendo tempo.»
«Vuoi
forse negarlo?»
Bulma
tolse le mani dai polpacci doloranti di Yamcha e se
le portò ai fianchi.
Questo
era troppo. Già di per sé la bella scienziata non aveva un carattere smielato;
quando poi il suo ragazzo le si rivolgeva in quel modo antipatico e
provocatorio, Bulma perdeva completamente ogni
briciolo di pazienza.
Come,
poi, se quello sciocco avesse potuto capire davvero il perché della sua
sparizione.
Yamcha
sapeva a cosa Bulma stesse lavorando e sul perché gli
strani segnali captati nello spazio la impensierissero tanto; eppure non aveva
mai dimostrato il benché minimo interesse per quegli studi. Per lui erano un
perdita di tempo, un po’ come per lei lo era tutta la faccenda della profezia e
del protettore, e tutto sommato non si era stupita troppo di come il torneo si
fosse concluso.
La
megera aveva mentito, o quantomeno, aveva taciuto qualcosa, e di questo ne era
sicura.
Qualcosa
stava arrivando, ma non si trattava affatto di entità.
Extraterrestri,
magari? A quel pensiero, Bulma si innervosì ancora di
più. Se ci avesse visto giusto era altamente probabile che nessun essere umano
sarebbe stato in grado di competere con gli invasori. Non sapeva niente di
loro, questo era vero, ma già l’aver constatato di quale tecnologia si
avvalessero, le era stato sufficiente per capire che un qualunque, misero,
umano protettore avrebbe avuto vita
breve.
«Quante
storie, Yamcha. Suvvia, in fondo dovresti essere
felice per la tua principessina! Ha
trovato un guerriero molto più preparato di te che saprà proteggerla a dovere.
Ah, ovviamente, che non ti venga in mente di andare via da Furipan
proprio adesso! Voglio vedere i malvagi,
questo sia chiaro.»
A
Yamcha non era sfuggito il tono sprezzante con cui Bulma aveva pronunciato quel tua. Per quanto l’idea potesse sembrargli sciocca, il ragazzo ebbe
quasi l’impressione che la sua donna fosse gelosa.
Si
mise in ginocchio sulla barella, poi, faticosamente, si sedette, trovandosi
faccia a faccia con la scienziata.
«Che
ti passa per la testa, eh?»
«Che
vuoi dire?» rispose seccata la donna, ormai più vicina alla porta
dell’infermeria che non alla barella dove giaceva il suo compagno.
«Pensavo
non credessi alla faccenda dei malvagi.»
«Non
come ci credi tu, questo è sicuro.»
«Allora
temo di essermi perso qualcosa.»
Bulma
esplose.
Si
era perso qualcosa? Quella stupida
affermazione uscita dalla bocca del compagno le sbatté in faccia una triste
realtà: lui non l’aveva mai ascoltata. Non aveva capito un bel niente di cosa
stesse cercando e del perché, nonostante le palesi scemenze proferite dalla
megera, avesse comunque deciso di seguirlo a Furipan.
D’accordo,
di sicuro non si era mai aspettata da lui che credesse alla faccenda degli
extraterrestri – in fondo, anche lei derideva le convinzioni del suo uomo –
però, quanto meno, sperava che avesse capito che per lei i malvagi non potessero essere demoni o entità simili.
La
ragazza impuntò i piedi per terra e rivolse al compagno uno sguardo furente,
ricco di collera a tal punto da spaventare anche gli altri pazienti.
«Be’,
io non ho intenzione di ripeterti, per l’ennesima
volta, come diavolo la penso su tutta questa storia. Non mi importa un bel
niente di questo stupido torneo e del fatto che tu abbia perso. Anzi, se
proprio vuoi saperlo, credo che questo sia stato un bene per te! Non sei in
grado di fronteggiare proprio nessuno, caro il mio bel protettore mancato, e non hai avuto nemmeno il buonsenso e
l’educazione di ascoltarmi quando ti parlavo delle mie recenti scoperte.
Ringrazia il cielo che la principessa abbia trovato un guerriero con le palle!
Non so come se la caverà questo Son Goku, ma di sicuro resisterà più di quanto
avresti fatto tu.»
Il
tonfo della porta che Bulma si sbatté alle spalle,
insieme alle dure parole proferite dalla ragazza, lasciarono tutti ammutoliti.
Se
fino a qualche minuto prima né Crilin, né Muten, né nessun altro avevano prestato attenzione alla
conversazione tra i due fidanzati, quella breve ma intensa lavata di capo non
sfuggì a nessuno.
Tansinhan
si alzò dalla barella, nonostante l’infermiera non avesse ancora terminato di
bendarlo.
Per
quel poco che aveva conosciuto Yamcha, non gli era
sembrato un granché come combattente. Aveva molta fiducia in sé stesso – almeno
fino a qualche ora prima – ma per il resto era poco di più di un fuoco di
paglia.
Eppure,
era convinto che su quel dannato Son Goku non avesse poi tutti i torti.
Quel
misterioso combattente non gli era piaciuto per niente. Ricordava fin troppo
bene lo sguardo che aveva: beffardo, fottutamente sicuro di sé, a tratti crudele.
L’allievo
di Condor rabbrividì ripensando al momento in cui quel guerriero,
precipitandosi a tutta velocità dall’alto verso il suo corpo ormai stramazzato
al suolo, gli spezzò con una forza inaudita un braccio. Riuscì a scorgere la
perfidia del suo sorriso compiaciuto solo per pochissimi istanti, ma ciò gli fu
sufficiente.
E
pensare che lui credeva di essere il cattivo!
Se
aveva deciso di partecipare a quell’insulso torneo era stato solo per poter
mettere le mani sulle sfere del drago.
Ma
quel Son Goku era decisamente peggio di lui.
Cosa
avrebbe dato per poter portare le proprie mani al collo di quel ragazzo e
spezzarglielo! Peccato che fosse troppo forte per lui, e peccato anche che, a
conti fatti, ora quel maledetto aveva molte più possibilità di lui di
appropriarsi delle sfere.
Una
sensazione di forte disagio lo pervase quando iniziò a fissare uno ad uno gli
altri guerrieri, ancora malconci e provati. Tutti ricambiarono il suo sguardo;
nessuno fiatò. C’era ben poco da dire, in fondo. La sconfitta bruciava ancora sulla
pelle di tutti e tanti non si erano nemmeno ripresi completamente.
Quando
Tensinhan fece per andarsene, incurante degli
ammonimenti dell’infermiera, Jaozi lo seguì
all’istante. Tra tutti, lui era quello messo meglio: Crilin,
sebbene fosse molto più forte di lui, lo aveva trattato con rispetto,
evitandogli inutili ferite.
«Aspetta,
Ten, vengo con te!»
Jaozi
sembrava un giocattolo, o un bambolotto. Non aveva un aspetto propriamente normale e sia Crilin
che Muten sospettavano che avesse degli strani poteri
psichici.
Quel
guerriero stravagante e minuto aveva capito tutto.
Era
praticamente impossibile per Tensinhan nascondergli
cosa gli passasse per la testa.
Era
chiaro: Jaozi voleva dargli una mano e Ten accettò la
sua muta proposta di buon grado. In fondo, quel piccoletto era sempre stato
molto più bravo di lui nello svelare gli arcani.
***
Il
cuore di Chichi non aveva smesso di tamburellare un
attimo e quel giorno riusciva persino a captare distintamente ogni singolo
battito.
Quel
Son Goku le aveva fatto uno strano effetto.
Non
le era mai capitato di provare una sensazione simile di fronte a una persona,
soprattutto se conosciuta da poco più di un paio d’ore.
Ciò
che le stava capitando non le piaceva affatto. Le voci dei commensali, la
musica dal vivo, persino le trombe che di tanto in tanto squillavano sembravano
non avere dei suoni distinti.
Aveva
capito ben poco di tutto quello che Son Goku e suo padre si erano detti durante
quel lunghissimo pranzo. Nonostante i suoi sforzi, tenere la mente concentrata
su qualcosa di diverso che non fosse il sorriso sghembo del suo novello
protettore era stato praticamente impossibile.
Chichi
non si era mai innamorata in vita sua, né tanto meno avrebbe permesso a sé
stessa di concedersi quel lusso proprio adesso.
Sarebbe
stato, oltretutto, un insulto alla sua risaputa imperturbabilità.
Tutte
le fanciulle di Furipan la invidiavano per la sua
capacità di tenere a freno gli uomini. Di corteggiatori ne aveva parecchi, e
alcuni erano anche dotati di un certo fascino, ma lei era sempre riuscita a non
farsi abbindolare da nessuno sguardo, nemmeno quello più ammaliatore.
Fino
a poche ore prima aveva creduto che, se mai il suo cuore avesse vacillato, lo
avrebbe fatto per Yamcha. Chichi
avrebbe desiderato innamorarsi di lui, ma questo, nonostante i suoi sforzi, non
era mai successo.
Meglio così,
si disse, tanto una ragazza ce l’ha già.
Nel
momento in cui si accorse che Mamanu aveva notato il
suo sguardo fisso sul guerriero, Chichi lo abbassò di
colpo, per poi lanciare un’occhiataccia alla nuova moglie di suo padre.
Lo
capì all’istante: la stava deridendo.
Tra
lei e Mamanu le cose non erano mai andate bene. A Chichi piaceva davvero poco la svolta che aveva preso la
vita di suo padre dopo che quella straniera aveva fatto il suo ingresso a
palazzo. Per la verità – e questo doveva pur ammetterlo – Mamanu
non si era mai comportata male con lei; non apparentemente, per lo meno. Ma
sembrava che ogni cosa che facesse col finto intento di farle piacere fosse in
realtà studiata appositamente per indispettirla. Odiava il suo perenne sorriso
da donna felice e compiaciuta, il suo potere di ammaliare il proprio – ormai
unico – genitore, la sua capacità di farsi voler bene anche dal più viscido dei
suoi sudditi.
I
suoi, appunto. Chichi
sentiva che, a poco a poco, Mamanu le avrebbe tolto
l’affetto del suo popolo. Era lei quella destinata a governare, ma i sorrisi
che gli abitanti di Furipan le riservavano non erano
compiaciuti e ricchi di ammirazione come quelli che elargivano alla sua matrigna.
Il
risentimento verso Mamanu ebbe l’effetto di distrarre
per qualche minuto la principessa dal suo protettore. La donna, intanto, aveva
preso a stuzzicare qualche oliva ritraendosi dal continuare a posare gli occhi
su Chichi.
La
giovane principessa non poté fare a meno di pensare a cosa si fosse messa in
testa quella che per lei era solo un’arpia. Che avesse notato il modo
trasognato in cui aveva per ore fissato Son Goku non c’era alcun dubbio, ma
come avesse interpretato quello sguardo non poteva di certo saperlo.
Lei
stessa era confusa.
Quel
ragazzo la metteva oltremodo in soggezione e la cosa non le piaceva per niente.
Suo
padre, per fortuna, preso dalla conversazione, non aveva notato nulla, neppure
l’occhiataccia che la giovane aveva rivolto a Mamanu.
Per
un attimo, Chichi avrebbe voluto chiedergli cosa
accidenti si fossero detti durante il pranzo, ma sapeva che avrebbe fatto una
figuraccia. In fondo, tecnicamente lei avrebbe dovuto ascoltare.
Quando
suo padre si alzò dal tavolo, Chichi poté tornare
finalmente alla realtà.
Il
brusco cambio di situazione l’aveva mandata in tilt. Che fosse già terminato il
pranzo?
«Be’,
miei cari, è decisamente giunta l’ora che io vada a schiacciare un pisolino.»
Anche
Mamanu si alzò dal tavolo e si avvicinò al marito,
desiderosa, evidentemente, di seguirlo.
«Chichi, io credo che sarebbe gentile e opportuno da parte
tua far visitare il castello a Goku e poi mostrargli la stanza che abbiamo
preparato per lui.»
La
ragazza si voltò di scatto verso suo padre, avendo colto solo in un secondo
momento il senso di quelle parole.
«Tesoro
mio, oggi mi sembri parecchio distratta. Non è da te. Va tutto bene?»
«Certo,
papà» biascicò la principessa con ben poca convinzione «sono solo un po’
stanca, tutto qui.»
«Vuoi
che sia io ad accompagnare Goku al castello?» si intromise Mamanu,
destando le ire di Chichi e beccandosi da parte sua
uno sguardo degno della più feroce belva assassina.
«Ho
detto di essere stanca, non completamente imbambolata dal sonno.»
La
ragazza si alzò di scatto e si voltò di nuovo verso il guerriero, regalandogli
involontariamente un assaggio di come si trasformava il suo viso in preda
all’ira.
Il
giovane sorrise compiaciuto alla smorfia di rabbia della principessa.
Era
un ghigno divertito il suo, in parte beffardo. Chichi
ebbe l’impressione che in quello sguardo ilare vi fosse quasi un’esternazione
di compassione verso la sua infantilità, e se ne vergognò non poco.
Era
la seconda volta nell’arco di quella giornata che i suoi occhi si specchiavano
in quelli neri, taciturni e profondi e di Son Goku e, per la seconda volta,
ebbe l’impressione di essere impotente.
***
Mai
come in quel pomeriggio il corridoio che portava verso le stanze del palazzo
reale le era sembrato così lungo. Quel ragazzo si muoveva all’interno della
dimora come se fosse casa sua, perfettamente a suo agio, e Chichi
faceva addirittura fatica a stargli dietro.
Gli
aveva mostrato la sala da pranzo, quella dei congressi, quella degli oracoli,
ma Son Goku sembrava non essere impressionato da nulla, neppure dalla
magnificenza degli arredamenti o dall’ampiezza di quelle stanze. Quasi, la
ragazza aveva l’impressione che fosse lei a seguire lui.
Goku
avanzava sicuro, posando il suo sguardo incuriosito e vagamente altezzoso su
qualunque angolo della dimora. Per quanto Chichi
cercasse di tanto in tanto di dar fiato alla voce proferendo qualche dettaglio
circa l’antichità della struttura, il ragazzo sembrava non essere minimamente
interessato alle sue parole.
La
principessa sentiva che un simile comportamento avrebbe dovuto farla irritare,
ma l’inquietante soggezione che le incuteva il suo protettore non permetteva al
cervello di elaborare la rabbia.
Quando
i due giovani si diressero verso la camera che avrebbe ospitato il guerriero,
Goku era ormai passato avanti a Chichi. Sebbene
dovesse essere lei a fare da guida al suo ospite e non il contrario, sembrava
proprio che la principessa non riuscisse a riprendere il controllo della
situazione, né a chiarire a sé stessa e al ragazzo, una volta per tutte, quali
fossero i rispettivi ruoli.
Osservarlo
da dietro, se non altro, le permetteva di non abbassare lo sguardo.
Troppe
volte, durante quella breve visita guidata all’interno del castello, Chichi si era fatta beccare dal ragazzo mentre lo fissava.
Non
aveva mai avuto paura di guardare in faccia nessuno lei, che prima di ogni
altra donna del pianeta aveva saggiato il potere conferitole da un regno e,
contemporaneamente, la forza fisica e spirituale derivante dalle arti marziali.
In
questo, e forse in nient’altro, aveva di gran lunga superato sua madre.
Rimaneva
il fatto, però, che quando Goku si era voltato improvvisamente verso di lei e
le aveva elargito quel sorriso compiaciuto e dannatamente beffardo, Chichi non avesse retto, arrossendo vistosamente.
Che
diavolo si era messo in testa, poi, il suo cuore? Sembrava non volesse far
altro che uscire fuori dal petto della ragazza.
Tecnicamente,
lei era riuscita anche a far finta di niente, sostenendo per qualche attimo
quello sguardo penetrante e pericolosamente ambiguo; eppure aveva la sensazione
che quel Son Goku percepisse senza troppe difficoltà i battiti del suo cuore.
Arrivati
alla fine del corridoio, il ragazzo si fermò e Chichi
per poco non andò a sbattergli addosso.
Erano
giunti a destinazione: l’ultima porta dell’ultimo corridoio dell’ultimo piano
nascondeva dietro di sé la stanza allestita per il protettore.
La
principessa passò avanti al guerriero e aprì la porta, per poi porgere al
ragazzo le chiavi.
La
vista di quella camera e del lusso che si portava dietro aveva lasciato di
stucco più lei che il suo ospite.
Doveva
ammetterlo: ad allestire in maniera così elegante quello che fino a un paio di
giorni prima era solo una sorta di enorme sgabuzzino era stata Mamanu. Il destino, dunque, le diede un motivo in più per
detestarla.
«Ecco,
Son Goku, questa è la tua stanza. Alloggerai qui per…
be’, stando alla profezia, giusto un paio di giorni;
ma credo che se dovessi sconfiggere i malvagi mio padre ti terrà come ospite
fisso.»
«Ah,
tuo padre. Perché parli sempre di lui?»
Il
ragazzo pronunciò quelle parole con evidente distacco.
Non
era realmente preso dalla conversazione con Chichi –
o, perlomeno, lei aveva quell’impressione – e il suo girovagare sicuro
all’interno di quella camera le diedero conferma di ciò.
Goku
si portò le mani dietro la nuca e prese a guardare con morbosa attenzione ogni
singolo oggetto che si era trovato davanti. Un letto da mille e una notte, un
enorme tappeto rosso, un armadio in legno di mogano grande quanto un’intera
parete, una scrivania, un comò, una porta che, probabilmente, lo avrebbe
condotto a un bagno privato.
Di
lì a poco, Chichi lo vide buttarsi a peso morto sul
letto.
Avrebbe
in qualche modo voluto avvicinarsi, o quanto meno rispondere all’illazione poco
prima rivoltale, ma si bloccò nel contemplare quel corpo statuario rilassarsi
su quel letto ancora intatto.
Il
guerriero aveva chiuso gli occhi; probabilmente era stanco morto e la
principessa pensò di non disturbarlo ulteriormente.
Arretrò
di qualche passo e si avvicinò alla porta, ma, quando fece per aprire la
maniglia, Son Goku parlò nuovamente.
«Aspetta.
Hai davvero tutta questa fretta di andartene? Se non sbaglio, prima ti ho fatto
una domanda.»
Chichi
rimase impietrita di fronte alla porta, le spalle rivolte al ragazzo.
Sapeva
che rispondere senza nemmeno guardarlo in faccia sarebbe stato un comportamento
immaturo e maleducato, perciò tentò di allontanare da sé la strana ansia che
aveva in corpo e si voltò verso il guerriero.
«Non
capisco cosa tu voglia sapere esattamente. Cosa c’è di strano nel parlare del
proprio padre?»
«Se
tu fossi una bambina, niente. Ma ormai sei una ragazza. Non fraintendermi, non
voglio dire che sia sbagliato alla tua età avere un rapporto speciale col proprio
padre, però…»
«Però?»
incalzò Chichi, profondamente infastidita
dall’ambiguità di quel discorso.
Il
ragazzo sorrise, si alzò dal letto e si avvicinò a Chichi,
afferrandole la mano che ancora teneva ben salda la maniglia della porta
semiaperta e chiudendo poi quest’ultima alle spalle della ragazza.
«Però
ho come l’impressione che tu non abbia mai avuto a che fare con altri uomini.
Dico bene?»
Il
silenzio che precipitò in quell’enorme stanza principesca fu talmente
assordante da costringere Chichi a contare i battiti
del proprio cuore pur di non impazzire sotto lo sguardo malizioso e penetrante
del suo protettore.
La
sensazione di essere stata in qualche modo smascherata
l’aveva mandata completamente in tilt, rendendole impossibile non soltanto una
risposta immediata ma anche il solo ragionare lucidamente.
Nessuno
aveva mai osato fare certe illazioni su di lei, nemmeno le poche ragazze con le
quali seguiva di tanto in tanto le lezioni di storia e di poesia. Nessuno aveva
mai osato tanto, semplicemente perché essere così espliciti con la principessa
di Furipan – soprattutto a riguardo di certi
argomenti – era assolutamente proibito.
Il
risultato di un tale silenzio fu che Chichi si era
ormai auto convinta di poter nascondere tutto, comprese le sue insicurezze.
Perché,
poi, quel dannato guerriero si fosse permesso di indagare così a fondo nella
sua vita, questo davvero non riusciva a capirlo.
Ci
mise poco a riprendere il controllo di sé stessa e a tornare la Chichi di sempre. Senza quasi rendersene conto, tentò di
schiaffeggiare con forza il ragazzo davanti a sé, per poi maledirsi notando che
quest’ultimo era riuscito a parare il colpo senza la benché minima difficoltà.
«Mi
dispiace, principessa» sussurrò provocatoriamente, quasi a non voler rivelare
neppure ai muri ciò che stava per dirle «non pensavo di farti arrabbiare a tal
punto. E, se devo essere sincero, non ho nemmeno capito perché tu te la sia
presa tanto.»
«Non
devi permetterti mai più di impicciarti degli affari miei, è chiaro? Oppure devo
ricordarti qual è il mio ruolo e qual è il tuo?»
Il
ragazzo lasciò la mano della principessa, che solo a fatica la ritrasse
indietro.
Goku
l’aveva colpita nel profondo, permettendosi di scavare all’interno della sua
vita e dei suoi pensieri più reconditi. Chichi non
poteva in alcun modo negarlo: quella piccola violazione le aveva fatto male,
molto più male di quanto avrebbe mai potuto immaginare; non soltanto perché a
farla era stata un perfetto sconosciuto che, oltretutto, non riusciva a esserle
indifferente, ma anche perché il ragazzo in questione aveva messo a nudo una
delle più grandi debolezze della ragazza.
A
quasi vent’anni ancora non aveva mai provato l’ebbrezza di un bacio rubato, o
di una carezza un po’ troppo audace, e se ciò poteva anche essere tutto sommato
lecito considerando la giovane età della principessa, non lo era più se si
andavano a indagare le motivazioni. Chichi aveva
sempre voluto mostrare il lato peggiore di sé, quello sfrontato, audace,
antipatico che, comunque, finiva col far impazzire – nel bene e nel male – un
sacco di uomini; ma non aveva mai osato andare oltre, approfondire una
conoscenza, innamorarsi, per paura di perdere sé stessa, il proprio carisma, la
propria forza.
Aveva
paura di indebolirsi, insomma, di dover mostrare le proprie incapacità, di non
essere, magari, all’altezza della situazione. E questa era un’onta da evitare a
qualunque costo.
In
quel momento, e solo perché un guerriero dal fascino goliardico e sbarazzino
glielo aveva fatto notare, Chichi scoprì di aver
paura di amare qualcun altro che non fosse suo padre.
Il
ragazzo si lasciò sfuggire una risata compiaciuta e divertita, beffandosi
altamente di chi aveva di fronte.
«Non
è necessario che lo faccia tu, Chichi. Conosco
perfettamente i nostri ruoli. Ora, se permetti, avrei proprio bisogno di
riposare.»
La
principessa indietreggiò e, senza proferire parola, uscì dalla stanza sbattendo
la porta.
Decisamente,
quel Son Goku l’aveva resa impotente, come se ella fosse una ragazzina
qualunque.
***
Quel
castello non era poi così male.
Quando
il suo defunto maestro gliene parlò per la prima volta, Kakaroth
pensò che si trattasse di una sorta di riproduzione del palazzo reale del
pianeta Vegeta.
Erano
passati più di dieci anni da quando aveva ucciso Son Gohan,
forse addirittura quindici, ma ancora ricordava perfettamente tutto ciò che
quel vecchio gli aveva narrato e raccontato.
Se
non fosse stato assolutamente certo dell’incondizionata sincerità dell’uomo,
l’allora piccolo saiyan avrebbe sterminato tutte le
creature del pianeta come gli era stato ordinato. Ma la faccenda delle sfere del drago lo aveva oltremodo
incuriosito. Se la leggenda fosse stata vera, per i saiyan
si sarebbero finalmente e definitivamente aperte le porte della conquista
dell’universo. In fondo, a quei barbari guerrieri mancava soltanto il potere
divino; per il resto, avevano tutto: forza, coraggio, astuzia, crudeltà,
tecnologia. Di quest’ultima non ce n’era mai abbastanza, questo era vero; ma in
fondo una tale, piccolissima mancanza veniva ampiamente controbilanciata dalla
loro potenza fuori dal comune.
Il
principe Vegeta non si era mostrato molto entusiasta dell’idea del suo
sottoposto: il fatto di dover temporeggiare la conquista di un pianeta florido
e vitale come la Terra solo per dar credito a una sciocca leggenda lo aveva
fatto non poco imbestialire. Anche lui era poco più di un bambino quando Kakaroth lo informò dell’esistenza delle sfere del drago e, nonostante la voglia
matta di mandare a quel paese il figlio di Bardack e
di intimargli di darsi una mossa con la conquista del pianeta, finì, per
qualche strano motivo, col fidarsi di lui e dell’assurda storia raccontatagli
dal tizio che lo aveva scioccamente cresciuto.
Alla
fine, comunque, Kakaroth ebbe il tempo di raccogliere
informazioni e di scoprire che era tutto vero. Fu un inaspettato colpo di
fortuna a condurlo a Furipan e dalla principessa
custode delle sfere: tra le tante cose che Son Gohan
gli aveva raccontato prima che quel vecchio sospettasse qualcosa circa la sua
reale identità c’era anche la storia del Maestro Muten,
colui che aveva addestrato lo stesso Gohan alle arti
marziali. Fu quando il saiyan si avviò verso la sua
dimora che, ancora nascosto dietro a una nuvola, si accorse di due guerrieri
che volavano a tutta velocità verso una meta sconosciuta. Seguirli senza che
questi ultimi si accorgessero della sua presenza fu fin troppo facile, e Kakaroth arrivò in poche ore a Furipan.
Da lì al carpire qualche informazione in più il passo fu breve.
Il
guerriero si tolse quella stupidissima tuta arancione che aveva trafugato
chissà dove e si buttò sul letto quasi completamente nudo. Non era stanco
affatto, ovviamente – quegli sciocchi terrestri non erano nemmeno riusciti a
fargli un graffietto! – però aveva bisogno di riflettere, e anche parecchio,
sul da farsi. Per qualche strano motivo, i terrestri sapevano che, entro un
paio di giorni, alcuni malvagi sarebbero
giunti sulla Terra, e non c’era dubbio sul fatto che si trattasse dei saiyan.
Chi
diavolo era la strega che li messi al corrente della cosa?
Kakaroth
ebbe l’impressione che tutto ciò che stava succedendo non dipendesse in alcun
modo dalla sua crudeltà o dalla sua volontà di agire, ma soltanto dal destino.
La
profezia risaliva a quando la principessa era ancora una bambina e Kakaroth aveva più o meno la sua età; dunque, i terrestri
sapevano che i malvagi sarebbero
giunti su quell’insulso pianeta ancor prima che lui stesso venisse a conoscenza
dell’esistenza delle sfere del drago.
Quel
pensiero lo distrasse a tal punto che solo dopo diversi squilli si accorse che
il suo rilevatore, nascosto da qualche parte dentro la tuta che si era appena
tolto, stava suonando.
Lo
afferrò di scatto e rispose, più per mettere fine a quel fastidioso trillo che
non per parlare con il suo principe.
«Allora,
Kakaroth, sei riuscito a mettere le mani sulle
sfere?»
«Certo.
Avevi dei dubbi, forse? Domani mattina lo stregone imporrà alla figlia di
condurmi nel luogo dove sono custodite e io ne prenderò possesso. A quanto pare
sono tutti al corrente del vostro arrivo, quindi vogliono che il protettore usi qualunque mezzo pur di
salvare la principessa, sfere del drago comprese.»
«Ah,
un giorno mi spiegherai questa assurdità del protettore. Poveri, sciocchi terrestri! Si sono lasciati abbindolare
con troppa facilità.»
Kakaroth
per un attimo rimase a fissare il vuoto davanti a sé, pensando a quella stupida
ragazzina che egli stesso avrebbe dovuto proteggere.
Non gli sembrava vero di essere riuscito a imbambolarla solo con qualche
sorrisetto sghembo e un paio di battute sagaci.
Gli
avevano raccontato che fosse una tipa tosta, che nessuno, nemmeno suo padre,
fosse mai riuscito a metterle in piedi in testa; ma evidentemente la
spiegazione di tutto ciò stava semplicemente nel fatto che quella povera
imbecille non aveva mai messo piede fuori da Furipan.
Le era bastato incrociare lo sguardo di uno sconosciuto per non capire più
niente.
A
quel punto, Kakaroth aveva persino il dubbio che non
fosse nemmeno forte come si raccontava in giro. Non che si aspettasse da lei
chissà che, dato che comunque si trattava di una terrestre, ma aveva sperato
che la custode di oggetti tanto preziosi valesse quantomeno qualcosa in più.
Una
delusione, insomma; se le sue intenzioni, fino a poche ore prima erano quelle
di sfidarla in una sorta di combattimento – pur senza mostrarle davvero la sua
forza – ora aveva perso completamente interesse nello scontro. Sperava soltanto
che quei due fottuti giorni trascorressero in fretta e che finalmente il
principe e il suo esercito mettessero piede sul pianeta, così che lui avrebbe
potuto cominciare a eliminare ad uno ad uno prima gli abitanti di Furipan – principessa compresa – e poi il resto della
popolazione di quel pianeta, risparmiando soltanto quegli individui forti
abbastanza da poter lavorare sodo per loro.
«Kakaroth, che diavolo ti prende? Mica ti sarai
addormentato, vero?»
«Scusami,
Vegeta, stavo semplicemente già pregustando il momento in cui questo fottuto
pianeta sarà in mano nostra.»
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ebbene,
sì: Goku, a quanto pare, non ha mai battuto la testa!
Yamcha,
insomma, tutto sommato aveva ragione.
In
questo capitolo, comunque, mi sono soffermata più che altro su Chichi – come è
giusto che sia visto che è la protagonista della storia – e ho tirato fuori
qualcosa del suo carattere. Mi dispiace averla dipinta, almeno in parte, come
una ragazza molto ingenua – non si può definire altrimenti una persona che
crede di potersi innamorare “a comando!” – ma ho pensato che, vista la vita che
ha condotto, non ci si potesse aspettare una maturazione completa della
principessa sotto tutti i punti di vista. Magari, Goku/Kakaroth
ha esagerato nel ritenere che la sua protetta
non sia mai uscita da Furipan – e sappiamo che
non è vero – ma è comunque lecito aspettarsi che una principessa, sulla quale
gravano elevatissime aspettative, non abbia avuto la possibilità di vivere come
una qualsiasi altra adolescente.
Be’,
fatte le dovute precisazioni, ora è tempo di ringraziare tutti coloro che
leggono, seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono la storia.
Grazie
di cuori a tutti!
9dolina0
Avviso!
Lo
so, avevo promesso che avrei aggiornato una volta a settimana almeno fino al
sesto capitolo, ma… Venerdì parto e sarò di rientro
il 28 settembre. Quindi – ahimé! – martedì prossimo
non potrò pubblicare.
Chiedo
venia, abbiate pietà di una povera neolaureata che si aggrappa a ogni
corso/stage/progetto pur di non rimanere con le mani in mano! ><