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Autore: 9dolina0    16/09/2014    6 recensioni
«Il futuro di Chichi è drammaticamente avvolto da una coltre di nebbia attraverso la quale i miei poteri non possono penetrare. Vedo i malvagi incombere sul suo regno; vedo il sangue scorrere lentamente lungo le terre di Furipan e contaminare il vostro fiume; ma non posso vedere cosa ne sarà esattamente di vostra figlia. Perderà, usurpata dai malvagi, il controllo delle sfere del drago, ma che lei sopravviva o meno alla venuta di quegli esseri non posso in alcun modo saperlo. Tuttavia, riesco distintamente a scorgere accanto a lei la figura di un giovane forte e valoroso. Non so chi sia, né da dove venga, né se sarà davvero in grado di proteggerla. Cerca quel giovane e spera che possa davvero fare qualcosa. Ma sta’ attento a non confondere il designato con un malintenzionato: il destino di tua figlia potrebbe essere nelle sue mani.»
Amore, lotta, usurpazione e sentimenti...
Un destino da cambiare e una principessa da salvare.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma, Chichi, Goku | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha, Chichi/Goku
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo III – Chi è veramente Son Goku?

 

Gli arti dolevano e il viso era in fiamme; in particolare, a bruciargli era il profondo taglio che quel novellino gli aveva procurato in faccia.

Inutile negarlo: il suo orgoglio era completamente in frantumi. Come aveva potuto farsi sconfiggere da un perfetto sconosciuto, al primo incontro poi?

Bulma, oltretutto, pareva completamente indifferente alla cosa. Anche se si stava occupando di lui già da un paio d’ore, cercando di medicarlo come meglio poteva coi pochi strumenti che aveva trovato in infermeria, Yamcha aveva capito che tutto sommato alla sua donna non importava un granché della profonda umiliazione da lui subita.

 

«Girati dall’altra parte, Yamcha, vorrei dare un’occhiata anche ai polpacci.»

 

«Diamine, Bulma! Sembra quasi che tu non ti renda conto di ciò che è successo!»

 

Bulma posò il piccolo contenitore col disinfettante e si tolse i guanti, lasciando in parte basito il ragazzo. Quasi la scienziata non riusciva a capacitarsi di quanto Yamcha fosse immaturo. Quando lo aveva conosciuto, le aveva fatto un’impressione decisamente migliore.

 

«Certo che lo so!» gli rispose sbuffando. «Hai perso! E ora smettila di fare il moccioso e di lamentarti. Girati dall’altra parte, per favore!»

 

A Yamcha tutta quell’indifferenza non andava proprio giù.

A dargli fastidio non era tanto il fatto che la sua donna non si curasse del suo stato emotivo, quanto piuttosto che non si rendesse conto di cosa fosse successo davvero su quel dannato ring.

Il ragazzo, seppur contrariato, assunse la posizione intimatagli dalla compagna e si buttò di pancia sulla barella dell’infermeria.

Iniziò a guardarsi intorno e, tutto sommato, si rese conto di non essere quello messo peggio.

Crilin, il suo amico e compagno di allenamenti, aveva almeno tre fratture scomposte. Quel pazzo di Son Goku, in finale, lo aveva conciato davvero per le feste! E nemmeno Tensinhan sembrava stare meglio.

Certo, negare l’evidenza era impossibile: sia il suo amico che l’allievo di Condor erano riusciti a tenere testa al novellino molto meglio di lui. La verità era piuttosto difficile da digerire: quello spilungone spettinato non si era degnato di combattere al cento per cento contro di lui perché non lo riteneva un degno avversario.

Ovvio, chiarissimo. Poteva anche starci, dopotutto.

Ma da quando, però, Crilin aveva superato il suo livello di combattimento? E perché lui non se ne era mai accorto?

La delusione e la rabbia bruciavano in lui come dei roghi indomati. Yamcha non aveva perso soltanto la possibilità di diventare il protettore della principessa di Furipan – cosa che gli avrebbe garantito fama e gloria imperitura – ma anche tutta la sua autostima.

Valeva davvero così poco?

In troppi, in quel maledetto torneo, si erano dimostrati più bravi di lui.

E poi, c’era proprio quel Son Goku. Da dove accidenti saltava fuori? Una forza del genere  non era normale.

 

«Quel tizio nasconde qualcosa, me lo sento.»

 

«Chi?» ribatté Bulma, più per dar fiato alla voce che per curiosità.

 

«Quel Son Goku. C’è qualcosa che non mi convince in lui.»

 

«Accidenti, Yamcha, ma ti rode proprio così tanto? Credevo tu fossi decisamente più maturo e sportivo.»

 

«Qui non c’entra un bel niente la sportività! Cavolo, Bulma, se invece di sparire chissà dove avessi assistito agli scontri, ti saresti resa conto che la sua forza ha qualcosa di sovrumano.»

 

La donna sbuffò per l’ennesima volta e gli lanciò un’occhiataccia.

Il suo ragazzo aveva alzato un po’ troppo la voce destando le ire degli infermieri e degli altri pazienti.

E anche le sue.

Non era una sciocca, né una menefreghista come credeva supponesse il suo ragazzo, ma, davvero, non aveva idea del perché Yamcha se la fosse presa in quel modo. Se veramente era stato così sciocco da non mettere in conto la possibilità di perdere era un problema suo. D’accordo, il suo maestro era tra i migliori del mondo, ma questo non avrebbe di certo potuto garantirgli la sicurezza della vittoria.

E poi, perché tutta questa smania di diventare il protettore di quella ragazzina?

Nel ripensare a lei, Bulma strinse con impeto i polpacci di Yamcha, strappandogli un urlo di dolore.

 

«Ben ti sta, così la prossima volta ci pensi bene prima di rivolgerti così a me!»

 

«Ah, certo» ribatté contrariato il guerriero «spiegami cosa accidenti ho detto di sbagliato, stavolta.»

 

«La tua illazione sul fatto che, mentre tu eri sul ring, io stessi perdendo tempo.»

 

«Vuoi forse negarlo?»

 

Bulma tolse le mani dai polpacci doloranti di Yamcha e se le portò ai fianchi.

Questo era troppo. Già di per sé la bella scienziata non aveva un carattere smielato; quando poi il suo ragazzo le si rivolgeva in quel modo antipatico e provocatorio, Bulma perdeva completamente ogni briciolo di pazienza.

Come, poi, se quello sciocco avesse potuto capire davvero il perché della sua sparizione.

Yamcha sapeva a cosa Bulma stesse lavorando e sul perché gli strani segnali captati nello spazio la impensierissero tanto; eppure non aveva mai dimostrato il benché minimo interesse per quegli studi. Per lui erano un perdita di tempo, un po’ come per lei lo era tutta la faccenda della profezia e del protettore, e tutto sommato non si era stupita troppo di come il torneo si fosse concluso.

La megera aveva mentito, o quantomeno, aveva taciuto qualcosa, e di questo ne era sicura.

Qualcosa stava arrivando, ma non si trattava affatto di entità.

Extraterrestri, magari? A quel pensiero, Bulma si innervosì ancora di più. Se ci avesse visto giusto era altamente probabile che nessun essere umano sarebbe stato in grado di competere con gli invasori. Non sapeva niente di loro, questo era vero, ma già l’aver constatato di quale tecnologia si avvalessero, le era stato sufficiente per capire che un qualunque, misero, umano protettore avrebbe avuto vita breve.

 

«Quante storie, Yamcha. Suvvia, in fondo dovresti essere felice per la tua principessina! Ha trovato un guerriero molto più preparato di te che saprà proteggerla a dovere. Ah, ovviamente, che non ti venga in mente di andare via da Furipan proprio adesso! Voglio vedere i malvagi, questo sia chiaro.»

 

A Yamcha non era sfuggito il tono sprezzante con cui Bulma aveva pronunciato quel tua. Per quanto l’idea potesse sembrargli sciocca, il ragazzo ebbe quasi l’impressione che la sua donna fosse gelosa.

Si mise in ginocchio sulla barella, poi, faticosamente, si sedette, trovandosi faccia a faccia con la scienziata.

 

«Che ti passa per la testa, eh?»

 

«Che vuoi dire?» rispose seccata la donna, ormai più vicina alla porta dell’infermeria che non alla barella dove giaceva il suo compagno.

 

«Pensavo non credessi alla faccenda dei malvagi

 

«Non come ci credi tu, questo è sicuro.»

 

«Allora temo di essermi perso qualcosa.»

 

Bulma esplose.

Si era perso qualcosa? Quella stupida affermazione uscita dalla bocca del compagno le sbatté in faccia una triste realtà: lui non l’aveva mai ascoltata. Non aveva capito un bel niente di cosa stesse cercando e del perché, nonostante le palesi scemenze proferite dalla megera, avesse comunque deciso di seguirlo a Furipan.

D’accordo, di sicuro non si era mai aspettata da lui che credesse alla faccenda degli extraterrestri – in fondo, anche lei derideva le convinzioni del suo uomo – però, quanto meno, sperava che avesse capito che per lei i malvagi non potessero essere demoni o entità simili.

La ragazza impuntò i piedi per terra e rivolse al compagno uno sguardo furente, ricco di collera a tal punto da spaventare anche gli altri pazienti.

 

«Be’, io non ho intenzione di ripeterti, per l’ennesima volta, come diavolo la penso su tutta questa storia. Non mi importa un bel niente di questo stupido torneo e del fatto che tu abbia perso. Anzi, se proprio vuoi saperlo, credo che questo sia stato un bene per te! Non sei in grado di fronteggiare proprio nessuno, caro il mio bel protettore mancato, e non hai avuto nemmeno il buonsenso e l’educazione di ascoltarmi quando ti parlavo delle mie recenti scoperte. Ringrazia il cielo che la principessa abbia trovato un guerriero con le palle! Non so come se la caverà questo Son Goku, ma di sicuro resisterà più di quanto avresti fatto tu.»

 

Il tonfo della porta che Bulma si sbatté alle spalle, insieme alle dure parole proferite dalla ragazza, lasciarono tutti ammutoliti.

Se fino a qualche minuto prima né Crilin, né Muten, né nessun altro avevano prestato attenzione alla conversazione tra i due fidanzati, quella breve ma intensa lavata di capo non sfuggì a nessuno.

Tansinhan si alzò dalla barella, nonostante l’infermiera non avesse ancora terminato di bendarlo.

Per quel poco che aveva conosciuto Yamcha, non gli era sembrato un granché come combattente. Aveva molta fiducia in sé stesso – almeno fino a qualche ora prima – ma per il resto era poco di più di un fuoco di paglia.

Eppure, era convinto che su quel dannato Son Goku non avesse poi tutti i torti.

Quel misterioso combattente non gli era piaciuto per niente. Ricordava fin troppo bene lo sguardo che aveva: beffardo, fottutamente sicuro di sé, a tratti crudele.

L’allievo di Condor rabbrividì ripensando al momento in cui quel guerriero, precipitandosi a tutta velocità dall’alto verso il suo corpo ormai stramazzato al suolo, gli spezzò con una forza inaudita un braccio. Riuscì a scorgere la perfidia del suo sorriso compiaciuto solo per pochissimi istanti, ma ciò gli fu sufficiente.

E pensare che lui credeva di essere il cattivo!

Se aveva deciso di partecipare a quell’insulso torneo era stato solo per poter mettere le mani sulle sfere del drago.

Ma quel Son Goku era decisamente peggio di lui.

Cosa avrebbe dato per poter portare le proprie mani al collo di quel ragazzo e spezzarglielo! Peccato che fosse troppo forte per lui, e peccato anche che, a conti fatti, ora quel maledetto aveva molte più possibilità di lui di appropriarsi delle sfere.

 

Una sensazione di forte disagio lo pervase quando iniziò a fissare uno ad uno gli altri guerrieri, ancora malconci e provati. Tutti ricambiarono il suo sguardo; nessuno fiatò. C’era ben poco da dire, in fondo. La sconfitta bruciava ancora sulla pelle di tutti e tanti non si erano nemmeno ripresi completamente.

 

Quando Tensinhan fece per andarsene, incurante degli ammonimenti dell’infermiera, Jaozi lo seguì all’istante. Tra tutti, lui era quello messo meglio: Crilin, sebbene fosse molto più forte di lui, lo aveva trattato con rispetto, evitandogli inutili ferite.

 

«Aspetta, Ten, vengo con te!»

 

Jaozi sembrava un giocattolo, o un bambolotto. Non aveva un aspetto propriamente normale e sia Crilin che Muten sospettavano che avesse degli strani poteri psichici.

Quel guerriero stravagante e minuto aveva capito tutto.

Era praticamente impossibile per Tensinhan nascondergli cosa gli passasse per la testa.

Era chiaro: Jaozi voleva dargli una mano e Ten accettò la sua muta proposta di buon grado. In fondo, quel piccoletto era sempre stato molto più bravo di lui nello svelare gli arcani.

 

***

 

Il cuore di Chichi non aveva smesso di tamburellare un attimo e quel giorno riusciva persino a captare distintamente ogni singolo battito.

Quel Son Goku le aveva fatto uno strano effetto.

Non le era mai capitato di provare una sensazione simile di fronte a una persona, soprattutto se conosciuta da poco più di un paio d’ore.

Ciò che le stava capitando non le piaceva affatto. Le voci dei commensali, la musica dal vivo, persino le trombe che di tanto in tanto squillavano sembravano non avere dei suoni distinti.

Aveva capito ben poco di tutto quello che Son Goku e suo padre si erano detti durante quel lunghissimo pranzo. Nonostante i suoi sforzi, tenere la mente concentrata su qualcosa di diverso che non fosse il sorriso sghembo del suo novello protettore era stato praticamente impossibile.

Chichi non si era mai innamorata in vita sua, né tanto meno avrebbe permesso a sé stessa di concedersi quel lusso proprio adesso.

Sarebbe stato, oltretutto, un insulto alla sua risaputa imperturbabilità.

Tutte le fanciulle di Furipan la invidiavano per la sua capacità di tenere a freno gli uomini. Di corteggiatori ne aveva parecchi, e alcuni erano anche dotati di un certo fascino, ma lei era sempre riuscita a non farsi abbindolare da nessuno sguardo, nemmeno quello più ammaliatore.

Fino a poche ore prima aveva creduto che, se mai il suo cuore avesse vacillato, lo avrebbe fatto per Yamcha. Chichi avrebbe desiderato innamorarsi di lui, ma questo, nonostante i suoi sforzi, non era mai successo.

Meglio così, si disse, tanto una ragazza ce l’ha già.

 

Nel momento in cui si accorse che Mamanu aveva notato il suo sguardo fisso sul guerriero, Chichi lo abbassò di colpo, per poi lanciare un’occhiataccia alla nuova moglie di suo padre.

Lo capì all’istante: la stava deridendo.

Tra lei e Mamanu le cose non erano mai andate bene. A Chichi piaceva davvero poco la svolta che aveva preso la vita di suo padre dopo che quella straniera aveva fatto il suo ingresso a palazzo. Per la verità – e questo doveva pur ammetterlo – Mamanu non si era mai comportata male con lei; non apparentemente, per lo meno. Ma sembrava che ogni cosa che facesse col finto intento di farle piacere fosse in realtà studiata appositamente per indispettirla. Odiava il suo perenne sorriso da donna felice e compiaciuta, il suo potere di ammaliare il proprio – ormai unico – genitore, la sua capacità di farsi voler bene anche dal più viscido dei suoi sudditi.

I suoi, appunto. Chichi sentiva che, a poco a poco, Mamanu le avrebbe tolto l’affetto del suo popolo. Era lei quella destinata a governare, ma i sorrisi che gli abitanti di Furipan le riservavano non erano compiaciuti e ricchi di ammirazione come quelli che elargivano alla sua matrigna.

 

Il risentimento verso Mamanu ebbe l’effetto di distrarre per qualche minuto la principessa dal suo protettore. La donna, intanto, aveva preso a stuzzicare qualche oliva ritraendosi dal continuare a posare gli occhi su Chichi.

La giovane principessa non poté fare a meno di pensare a cosa si fosse messa in testa quella che per lei era solo un’arpia. Che avesse notato il modo trasognato in cui aveva per ore fissato Son Goku non c’era alcun dubbio, ma come avesse interpretato quello sguardo non poteva di certo saperlo.

Lei stessa era confusa.

Quel ragazzo la metteva oltremodo in soggezione e la cosa non le piaceva per niente.

Suo padre, per fortuna, preso dalla conversazione, non aveva notato nulla, neppure l’occhiataccia che la giovane aveva rivolto a Mamanu.

Per un attimo, Chichi avrebbe voluto chiedergli cosa accidenti si fossero detti durante il pranzo, ma sapeva che avrebbe fatto una figuraccia. In fondo, tecnicamente lei avrebbe dovuto ascoltare.

 

Quando suo padre si alzò dal tavolo, Chichi poté tornare finalmente alla realtà.

Il brusco cambio di situazione l’aveva mandata in tilt. Che fosse già terminato il pranzo?

 

«Be’, miei cari, è decisamente giunta l’ora che io vada a schiacciare un pisolino.»

 

Anche Mamanu si alzò dal tavolo e si avvicinò al marito, desiderosa, evidentemente, di seguirlo.

 

«Chichi, io credo che sarebbe gentile e opportuno da parte tua far visitare il castello a Goku e poi mostrargli la stanza che abbiamo preparato per lui.»

 

La ragazza si voltò di scatto verso suo padre, avendo colto solo in un secondo momento il senso di quelle parole.

 

«Tesoro mio, oggi mi sembri parecchio distratta. Non è da te. Va tutto bene?»

 

«Certo, papà» biascicò la principessa con ben poca convinzione «sono solo un po’ stanca, tutto qui.»

 

«Vuoi che sia io ad accompagnare Goku al castello?» si intromise Mamanu, destando le ire di Chichi e beccandosi da parte sua uno sguardo degno della più feroce belva assassina.

 

«Ho detto di essere stanca, non completamente imbambolata dal sonno.»

 

La ragazza si alzò di scatto e si voltò di nuovo verso il guerriero, regalandogli involontariamente un assaggio di come si trasformava il suo viso in preda all’ira.

Il giovane sorrise compiaciuto alla smorfia di rabbia della principessa.

Era un ghigno divertito il suo, in parte beffardo. Chichi ebbe l’impressione che in quello sguardo ilare vi fosse quasi un’esternazione di compassione verso la sua infantilità, e se ne vergognò non poco.

Era la seconda volta nell’arco di quella giornata che i suoi occhi si specchiavano in quelli neri, taciturni e profondi e di Son Goku e, per la seconda volta, ebbe l’impressione di essere impotente.

 

***

 

Mai come in quel pomeriggio il corridoio che portava verso le stanze del palazzo reale le era sembrato così lungo. Quel ragazzo si muoveva all’interno della dimora come se fosse casa sua, perfettamente a suo agio, e Chichi faceva addirittura fatica a stargli dietro.

Gli aveva mostrato la sala da pranzo, quella dei congressi, quella degli oracoli, ma Son Goku sembrava non essere impressionato da nulla, neppure dalla magnificenza degli arredamenti o dall’ampiezza di quelle stanze. Quasi, la ragazza aveva l’impressione che fosse lei a seguire lui.

Goku avanzava sicuro, posando il suo sguardo incuriosito e vagamente altezzoso su qualunque angolo della dimora. Per quanto Chichi cercasse di tanto in tanto di dar fiato alla voce proferendo qualche dettaglio circa l’antichità della struttura, il ragazzo sembrava non essere minimamente interessato alle sue parole.

La principessa sentiva che un simile comportamento avrebbe dovuto farla irritare, ma l’inquietante soggezione che le incuteva il suo protettore non permetteva al cervello di elaborare la rabbia.

 

Quando i due giovani si diressero verso la camera che avrebbe ospitato il guerriero, Goku era ormai passato avanti a Chichi. Sebbene dovesse essere lei a fare da guida al suo ospite e non il contrario, sembrava proprio che la principessa non riuscisse a riprendere il controllo della situazione, né a chiarire a sé stessa e al ragazzo, una volta per tutte, quali fossero i rispettivi ruoli.

Osservarlo da dietro, se non altro, le permetteva di non abbassare lo sguardo.

Troppe volte, durante quella breve visita guidata all’interno del castello, Chichi si era fatta beccare dal ragazzo mentre lo fissava.

Non aveva mai avuto paura di guardare in faccia nessuno lei, che prima di ogni altra donna del pianeta aveva saggiato il potere conferitole da un regno e, contemporaneamente, la forza fisica e spirituale derivante dalle arti marziali.

In questo, e forse in nient’altro, aveva di gran lunga superato sua madre.

Rimaneva il fatto, però, che quando Goku si era voltato improvvisamente verso di lei e le aveva elargito quel sorriso compiaciuto e dannatamente beffardo, Chichi non avesse retto, arrossendo vistosamente.

Che diavolo si era messo in testa, poi, il suo cuore? Sembrava non volesse far altro che uscire fuori dal petto della ragazza.

Tecnicamente, lei era riuscita anche a far finta di niente, sostenendo per qualche attimo quello sguardo penetrante e pericolosamente ambiguo; eppure aveva la sensazione che quel Son Goku percepisse senza troppe difficoltà i battiti del suo cuore.

 

Arrivati alla fine del corridoio, il ragazzo si fermò e Chichi per poco non andò a sbattergli addosso.

Erano giunti a destinazione: l’ultima porta dell’ultimo corridoio dell’ultimo piano nascondeva dietro di sé la stanza allestita per il protettore.

La principessa passò avanti al guerriero e aprì la porta, per poi porgere al ragazzo le chiavi.

La vista di quella camera e del lusso che si portava dietro aveva lasciato di stucco più lei che il suo ospite.

Doveva ammetterlo: ad allestire in maniera così elegante quello che fino a un paio di giorni prima era solo una sorta di enorme sgabuzzino era stata Mamanu. Il destino, dunque, le diede un motivo in più per detestarla.

 

«Ecco, Son Goku, questa è la tua stanza. Alloggerai qui per… be’, stando alla profezia, giusto un paio di giorni; ma credo che se dovessi sconfiggere i malvagi mio padre ti terrà come ospite fisso.»

 

«Ah, tuo padre. Perché parli sempre di lui?»

 

Il ragazzo pronunciò quelle parole con evidente distacco.

Non era realmente preso dalla conversazione con Chichi – o, perlomeno, lei aveva quell’impressione – e il suo girovagare sicuro all’interno di quella camera le diedero conferma di ciò.

Goku si portò le mani dietro la nuca e prese a guardare con morbosa attenzione ogni singolo oggetto che si era trovato davanti. Un letto da mille e una notte, un enorme tappeto rosso, un armadio in legno di mogano grande quanto un’intera parete, una scrivania, un comò, una porta che, probabilmente, lo avrebbe condotto a un bagno privato.

 

Di lì a poco, Chichi lo vide buttarsi a peso morto sul letto.

Avrebbe in qualche modo voluto avvicinarsi, o quanto meno rispondere all’illazione poco prima rivoltale, ma si bloccò nel contemplare quel corpo statuario rilassarsi su quel letto ancora intatto.

Il guerriero aveva chiuso gli occhi; probabilmente era stanco morto e la principessa pensò di non disturbarlo ulteriormente.

Arretrò di qualche passo e si avvicinò alla porta, ma, quando fece per aprire la maniglia, Son Goku parlò nuovamente.

 

«Aspetta. Hai davvero tutta questa fretta di andartene? Se non sbaglio, prima ti ho fatto una domanda.»

 

Chichi rimase impietrita di fronte alla porta, le spalle rivolte al ragazzo.

Sapeva che rispondere senza nemmeno guardarlo in faccia sarebbe stato un comportamento immaturo e maleducato, perciò tentò di allontanare da sé la strana ansia che aveva in corpo e si voltò verso il guerriero.

 

«Non capisco cosa tu voglia sapere esattamente. Cosa c’è di strano nel parlare del proprio padre?»

 

«Se tu fossi una bambina, niente. Ma ormai sei una ragazza. Non fraintendermi, non voglio dire che sia sbagliato alla tua età avere un rapporto speciale col proprio padre, però…»

 

«Però?» incalzò Chichi, profondamente infastidita dall’ambiguità di quel discorso.

 

Il ragazzo sorrise, si alzò dal letto e si avvicinò a Chichi, afferrandole la mano che ancora teneva ben salda la maniglia della porta semiaperta e chiudendo poi quest’ultima alle spalle della ragazza.

 

«Però ho come l’impressione che tu non abbia mai avuto a che fare con altri uomini. Dico bene?»

 

Il silenzio che precipitò in quell’enorme stanza principesca fu talmente assordante da costringere Chichi a contare i battiti del proprio cuore pur di non impazzire sotto lo sguardo malizioso e penetrante del suo protettore.

La sensazione di essere stata in qualche modo smascherata l’aveva mandata completamente in tilt, rendendole impossibile non soltanto una risposta immediata ma anche il solo ragionare lucidamente.

Nessuno aveva mai osato fare certe illazioni su di lei, nemmeno le poche ragazze con le quali seguiva di tanto in tanto le lezioni di storia e di poesia. Nessuno aveva mai osato tanto, semplicemente perché essere così espliciti con la principessa di Furipan – soprattutto a riguardo di certi argomenti – era assolutamente proibito.

Il risultato di un tale silenzio fu che Chichi si era ormai auto convinta di poter nascondere tutto, comprese le sue insicurezze.

Perché, poi, quel dannato guerriero si fosse permesso di indagare così a fondo nella sua vita, questo davvero non riusciva a capirlo.

Ci mise poco a riprendere il controllo di sé stessa e a tornare la Chichi di sempre. Senza quasi rendersene conto, tentò di schiaffeggiare con forza il ragazzo davanti a sé, per poi maledirsi notando che quest’ultimo era riuscito a parare il colpo senza la benché minima difficoltà.

 

«Mi dispiace, principessa» sussurrò provocatoriamente, quasi a non voler rivelare neppure ai muri ciò che stava per dirle «non pensavo di farti arrabbiare a tal punto. E, se devo essere sincero, non ho nemmeno capito perché tu te la sia presa tanto.»

 

«Non devi permetterti mai più di impicciarti degli affari miei, è chiaro? Oppure devo ricordarti qual è il mio ruolo e qual è il tuo?»

 

Il ragazzo lasciò la mano della principessa, che solo a fatica la ritrasse indietro.

Goku l’aveva colpita nel profondo, permettendosi di scavare all’interno della sua vita e dei suoi pensieri più reconditi. Chichi non poteva in alcun modo negarlo: quella piccola violazione le aveva fatto male, molto più male di quanto avrebbe mai potuto immaginare; non soltanto perché a farla era stata un perfetto sconosciuto che, oltretutto, non riusciva a esserle indifferente, ma anche perché il ragazzo in questione aveva messo a nudo una delle più grandi debolezze della ragazza.

A quasi vent’anni ancora non aveva mai provato l’ebbrezza di un bacio rubato, o di una carezza un po’ troppo audace, e se ciò poteva anche essere tutto sommato lecito considerando la giovane età della principessa, non lo era più se si andavano a indagare le motivazioni. Chichi aveva sempre voluto mostrare il lato peggiore di sé, quello sfrontato, audace, antipatico che, comunque, finiva col far impazzire – nel bene e nel male – un sacco di uomini; ma non aveva mai osato andare oltre, approfondire una conoscenza, innamorarsi, per paura di perdere sé stessa, il proprio carisma, la propria forza.

Aveva paura di indebolirsi, insomma, di dover mostrare le proprie incapacità, di non essere, magari, all’altezza della situazione. E questa era un’onta da evitare a qualunque costo.

In quel momento, e solo perché un guerriero dal fascino goliardico e sbarazzino glielo aveva fatto notare, Chichi scoprì di aver paura di amare qualcun altro che non fosse suo padre.

 

Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata compiaciuta e divertita, beffandosi altamente di chi aveva di fronte.

 

«Non è necessario che lo faccia tu, Chichi. Conosco perfettamente i nostri ruoli. Ora, se permetti, avrei proprio bisogno di riposare.»

 

La principessa indietreggiò e, senza proferire parola, uscì dalla stanza sbattendo la porta.

Decisamente, quel Son Goku l’aveva resa impotente, come se ella fosse una ragazzina qualunque.

 

***

 

Quel castello non era poi così male.

Quando il suo defunto maestro gliene parlò per la prima volta, Kakaroth pensò che si trattasse di una sorta di riproduzione del palazzo reale del pianeta Vegeta.

Erano passati più di dieci anni da quando aveva ucciso Son Gohan, forse addirittura quindici, ma ancora ricordava perfettamente tutto ciò che quel vecchio gli aveva narrato e raccontato.

Se non fosse stato assolutamente certo dell’incondizionata sincerità dell’uomo, l’allora piccolo saiyan avrebbe sterminato tutte le creature del pianeta come gli era stato ordinato. Ma la faccenda delle sfere del drago lo aveva oltremodo incuriosito. Se la leggenda fosse stata vera, per i saiyan si sarebbero finalmente e definitivamente aperte le porte della conquista dell’universo. In fondo, a quei barbari guerrieri mancava soltanto il potere divino; per il resto, avevano tutto: forza, coraggio, astuzia, crudeltà, tecnologia. Di quest’ultima non ce n’era mai abbastanza, questo era vero; ma in fondo una tale, piccolissima mancanza veniva ampiamente controbilanciata dalla loro potenza fuori dal comune.

Il principe Vegeta non si era mostrato molto entusiasta dell’idea del suo sottoposto: il fatto di dover temporeggiare la conquista di un pianeta florido e vitale come la Terra solo per dar credito a una sciocca leggenda lo aveva fatto non poco imbestialire. Anche lui era poco più di un bambino quando Kakaroth lo informò dell’esistenza delle sfere del drago e, nonostante la voglia matta di mandare a quel paese il figlio di Bardack e di intimargli di darsi una mossa con la conquista del pianeta, finì, per qualche strano motivo, col fidarsi di lui e dell’assurda storia raccontatagli dal tizio che lo aveva scioccamente cresciuto.

Alla fine, comunque, Kakaroth ebbe il tempo di raccogliere informazioni e di scoprire che era tutto vero. Fu un inaspettato colpo di fortuna a condurlo a Furipan e dalla principessa custode delle sfere: tra le tante cose che Son Gohan gli aveva raccontato prima che quel vecchio sospettasse qualcosa circa la sua reale identità c’era anche la storia del Maestro Muten, colui che aveva addestrato lo stesso Gohan alle arti marziali. Fu quando il saiyan si avviò verso la sua dimora che, ancora nascosto dietro a una nuvola, si accorse di due guerrieri che volavano a tutta velocità verso una meta sconosciuta. Seguirli senza che questi ultimi si accorgessero della sua presenza fu fin troppo facile, e Kakaroth arrivò in poche ore a Furipan. Da lì al carpire qualche informazione in più il passo fu breve.

 

Il guerriero si tolse quella stupidissima tuta arancione che aveva trafugato chissà dove e si buttò sul letto quasi completamente nudo. Non era stanco affatto, ovviamente – quegli sciocchi terrestri non erano nemmeno riusciti a fargli un graffietto! – però aveva bisogno di riflettere, e anche parecchio, sul da farsi. Per qualche strano motivo, i terrestri sapevano che, entro un paio di giorni, alcuni malvagi sarebbero giunti sulla Terra, e non c’era dubbio sul fatto che si trattasse dei saiyan.

Chi diavolo era la strega che li messi al corrente della cosa?

Kakaroth ebbe l’impressione che tutto ciò che stava succedendo non dipendesse in alcun modo dalla sua crudeltà o dalla sua volontà di agire, ma soltanto dal destino.

La profezia risaliva a quando la principessa era ancora una bambina e Kakaroth aveva più o meno la sua età; dunque, i terrestri sapevano che i malvagi sarebbero giunti su quell’insulso pianeta ancor prima che lui stesso venisse a conoscenza dell’esistenza delle sfere del drago.

 

Quel pensiero lo distrasse a tal punto che solo dopo diversi squilli si accorse che il suo rilevatore, nascosto da qualche parte dentro la tuta che si era appena tolto, stava suonando.

Lo afferrò di scatto e rispose, più per mettere fine a quel fastidioso trillo che non per parlare con il suo principe.

 

«Allora, Kakaroth, sei riuscito a mettere le mani sulle sfere?»

 

«Certo. Avevi dei dubbi, forse? Domani mattina lo stregone imporrà alla figlia di condurmi nel luogo dove sono custodite e io ne prenderò possesso. A quanto pare sono tutti al corrente del vostro arrivo, quindi vogliono che il protettore usi qualunque mezzo pur di salvare la principessa, sfere del drago comprese.»

 

«Ah, un giorno mi spiegherai questa assurdità del protettore. Poveri, sciocchi terrestri! Si sono lasciati abbindolare con troppa facilità.»

 

Kakaroth per un attimo rimase a fissare il vuoto davanti a sé, pensando a quella stupida ragazzina che egli stesso avrebbe dovuto proteggere. Non gli sembrava vero di essere riuscito a imbambolarla solo con qualche sorrisetto sghembo e un paio di battute sagaci.

Gli avevano raccontato che fosse una tipa tosta, che nessuno, nemmeno suo padre, fosse mai riuscito a metterle in piedi in testa; ma evidentemente la spiegazione di tutto ciò stava semplicemente nel fatto che quella povera imbecille non aveva mai messo piede fuori da Furipan. Le era bastato incrociare lo sguardo di uno sconosciuto per non capire più niente.

A quel punto, Kakaroth aveva persino il dubbio che non fosse nemmeno forte come si raccontava in giro. Non che si aspettasse da lei chissà che, dato che comunque si trattava di una terrestre, ma aveva sperato che la custode di oggetti tanto preziosi valesse quantomeno qualcosa in più.

Una delusione, insomma; se le sue intenzioni, fino a poche ore prima erano quelle di sfidarla in una sorta di combattimento – pur senza mostrarle davvero la sua forza – ora aveva perso completamente interesse nello scontro. Sperava soltanto che quei due fottuti giorni trascorressero in fretta e che finalmente il principe e il suo esercito mettessero piede sul pianeta, così che lui avrebbe potuto cominciare a eliminare ad uno ad uno prima gli abitanti di Furipan – principessa compresa – e poi il resto della popolazione di quel pianeta, risparmiando soltanto quegli individui forti abbastanza da poter lavorare sodo per loro.

 

«Kakaroth, che diavolo ti prende? Mica ti sarai addormentato, vero?»

 

«Scusami, Vegeta, stavo semplicemente già pregustando il momento in cui questo fottuto pianeta sarà in mano nostra.»

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell’autrice

Ebbene, sì: Goku, a quanto pare, non ha mai battuto la testa!

Yamcha, insomma, tutto sommato aveva ragione.

In questo capitolo, comunque, mi sono soffermata più che altro su Chichi – come è giusto che sia visto che è la protagonista della storia – e ho tirato fuori qualcosa del suo carattere. Mi dispiace averla dipinta, almeno in parte, come una ragazza molto ingenua – non si può definire altrimenti una persona che crede di potersi innamorare “a comando!” – ma ho pensato che, vista la vita che ha condotto, non ci si potesse aspettare una maturazione completa della principessa sotto tutti i punti di vista. Magari, Goku/Kakaroth ha esagerato nel ritenere che la sua protetta non sia mai uscita da Furipan – e sappiamo che non è vero – ma è comunque lecito aspettarsi che una principessa, sulla quale gravano elevatissime aspettative, non abbia avuto la possibilità di vivere come una qualsiasi altra adolescente.

Be’, fatte le dovute precisazioni, ora è tempo di ringraziare tutti coloro che leggono, seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono la storia.

Grazie di cuori a tutti!

 

9dolina0                             

 

 

Avviso!

 

Lo so, avevo promesso che avrei aggiornato una volta a settimana almeno fino al sesto capitolo, ma… Venerdì parto e sarò di rientro il 28 settembre. Quindi – ahimé! – martedì prossimo non potrò pubblicare.

Chiedo venia, abbiate pietà di una povera neolaureata che si aggrappa a ogni corso/stage/progetto pur di non rimanere con le mani in mano! ><

 

 

 

   
 
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