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Autore: SkyEventide    01/10/2008    2 recensioni
Se non puoi ottenere una cosa sappi che c'è sempre un'altra via per averla. Alle volte più semplice, altre più difficile. Ma, in qualunque caso, ci sarà qualcuno che perderà e qualcuno che avrà la sua vittoria. Terza classificata al contest sui Crack Pairing di Miya86. Buona lettura!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Orochimaru
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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La via più facile verso il trionfo



Uchiha Sasuke.
Cos’hai tu, cos’hai in più agli altri? E’ solo quel rosso di sangue che si cela nei tuoi occhi, quel rosso che nasconde la rabbia e che svela la falsità. Soltanto quel rosso, ma un “soltanto” che vale la tua stessa anima.
Piccolo falco, volare troppo in alto ti ha condotto tra spire di oscurità insondabile, che lentamente, inesorabilmente, hanno corrotto il tuo cuore. Adesso pensi di avere le ali più grandi di quelle di chiunque altro, ma non sai che esse grondano di dolore e sono pesanti per le lacrime che hai fatto sgorgare, per le sciocche ambizioni che hai perseguito, per tutto il sangue che hai versato.

«Non posso più arrivare a lui. Ancora non posso. Ed il suo corpo così liscio, perfetto, si sta corrodendo ogni giorno di più, ogni momento che trascorre diventa più vulnerabile. Non fosse per i suoi occhi…».
Un giovane uomo stava inchinato nella stanza buia, illuminata appena dalla luce di un mozzico di candela. Teneva gli occhi diligentemente puntanti a terra, dei capelli mossi color grigio scuro ricadevano sul volto abbronzato, mentre, silenzioso, ascoltava le parole del suo padrone, preferendo il tacere ad una qualunque risposta. Non si sarebbe mai sognato di azzardarsi a fornire un’opinione, perché sapeva di essere un sostituto. Un sostituto molto onorato di essere il braccio destro del suo signore, ma pur sempre un sostituto.
Non interruppe la pausa che si formò nel buio, non guardò neanche per un attimo la figura accomodata sulla sedia che lo scrutava e lo perforava coi suoi occhi d’oro colato, brillanti della luce delle promesse nascoste, oscurati dell’opacità di quelle non mantenute.
Nemmeno gli stava chiedendo qualcosa, lo sapeva. Il sannin stava solo ragionando ad alta voce, rendendolo partecipe delle sue idee unicamente perché era il suo braccio destro temporaneo, ed il giovane faceva del suo meglio per mostrare l’efficienza richiesta senza l’invadenza, per mostrare l’attenzione dovuta senza l’insolenza. Era difficile assolvere quel compito. Si chiese come avesse fatto Kabuto Yakushi, attuale corpo ospite del signore di Oto, a sopportare una tale tensione e responsabilità ogni giorno della sua vita.
«Ma c’è una strada alternativa. Una strada migliore» vibrò la voce di Orochimaru.
Il giovane alzò gli occhi, di color arancione spento. Quale strada migliore poteva esserci, quando il sannin aveva desiderato ardentemente il corpo di Sasuke Uchiha per così lungo tempo? Talmente inverosimile era che vi avesse rinunciato che nemmeno prese in considerazione un’idea tanto assurda.
Le iridi sottili come pungenti pugnali lo inchiodarono dov’era e brillarono innaturalmente alla luce fioca del lume, come di follia.
«Al villaggio della Foglia. Non sarà difficile trovarlo, ed è alla tua portata». Ghignò, come se assaporasse il momento esattamente come si fa con un frutto succoso e maturo. «Ma non si lascerà convincere come Sasuke».
Altra pausa, in cui ancora le parole pronunciate sfrigolavano nel buio.
Il sannin osservò il ragazzo inginocchiato sul nudo pavimento e ne attese pazientemente la reazione, con quegli occhi terribili che lo scandagliavano alla ricerca di un difetto, di qualunque intimo tentennamento dell’anima.
Il giovane uomo, però, era lì per soddisfare le richieste del suo signore, non per temere il confronto col futuro. No, in presenza di Orochimaru non era il futuro che doveva essere temuto, ma la sua sola presenza, lì, nell’immediato presente.
«Chi è?» domandò, sicuro, temerario.
Orochimaru glielo disse, ed il giovane che era il suo braccio destro comprese.
Comprese e tremò, ma non di paura, bensì d’euforia. Quello era qualcosa che non poteva rifiutare.
Leggero, un sorriso senza sentimento gli increspò le labbra, poiché anche lui cominciava a sentire sulla punta della lingua il dolceamaro sapore di quel frutto che il suo padrone assaporava da tempo.
«Vai» ordinò il sannin.
Il lume si spense in una folata ed il ragazzo uscì dal rifugio, diretto verso Konoha.

«Quanto tempo, Kakashi».
«…Orochimaru…».
«Scusami, ma tu non mi interessi. Voglio solo il ragazzo alle tue spalle».
«Cosa vuoi da Sasuke!?».
«Tu sei fortunato. L’hai già ottenuto».
«!?».
«Tempo fa non ce l’avevi… giusto? Parlo di quel tuo occhio sinistro… contenente lo Sharingan!».
«…».
«Anch’io lo voglio. Voglio il sangue degli Uchiha».

Tante cose cambiarono da allora, dal tempo in cui quel dialogo si consumò in una scura stanza nel cuore dell’esame dei Chunin, a Konoha, tante volte il corso degli eventi è mutato, variato, in meglio o in peggio, a seconda delle scelte degli individui.
Vari tipi di uomini calcano il suolo del tempo; alcuni lo vivono passivamente, accettando i capricci di un feroce destino, altri lo combattono. Ma, come c’è sempre un’eccezione a confermare la regola, ci sono anche uomini che non vivono né combattono il tempo, bensì lo plasmano. E costoro sono i più pericolosi, più terribili uomini, oppure i più meravigliosi, perchè non si fermano davanti a difficoltà alcuna, scegliendo di abbatterla o di farla propria, perché sono pronti a ricominciare daccapo dopo la più terribile delle sconfitte, perché modellano i cuori, le ambizioni, i sogni, le avversità, trovando sempre un modo per vincere sul fato.
Orochimaru era uno di questi uomini.
E se la sorte beffarda gli aveva tolto la possibilità di avere l’ultima gemma che cresceva sul ramo secco della casata degli Uchiha, la sua mente geniale e macchinosa l’aveva portato a sradicare un’intera collina per avere il singolo bocciolo.
Così, ora, il giovane shinobi inviato nel cuore del paese del Fuoco tornava con la preda designata dal suo padrone, la trascinava lungo i corridoi tortuosi del rifugio, la legava nel luogo dove, al cospetto del ninja supremo, avrebbe perso ogni traccia della sua identità.
Allacciato l’ultimo stretto nodo attorno ai polsi della vittima, il primo sospiro pressante uscì dalle labbra del ragazzo; si azzardava solo ora a manifestare lo stress, la fatica del combattimento, il quale era stato decisamente impegnativo. Onore e merito a quella “preda” così abile e letale. Si sentiva lusingato dal fatto che il suo padrone l’avesse giudicato all’altezza di un simile avversario.
Oh, ma guardalo ora.
Ansimante, il suo nemico giaceva nel sudore ed in spasmi sofferenti, abbandonato da ogni più flebile speranza di essere ritrovato in tempo. Non gli era stato lasciato modo di avvertire nessuno, di far sapere ad anima viva delle sue condizioni, e soprattutto il ragazzo aveva fatto un lavoro pulito: nessuno avrebbe mai potuto collegare quella scomparsa al villaggio del Suono ed alle sue losche, intricate trame.
Ignorate le ferite curate malamente durante il viaggio, il braccio destro di Orochimaru attese nel buio.

La porta ruotò sui cardini scivolosi ed un cono di luce filtrò dal corridoio squarciando impietosamente l’oscurità. Una figura avvolta da un semplice kimono azzurro si stagliò sulla soglia, precludendo a buona parte di quella luce di rivelare gli angoli più nascosti della stanza. Ma gli occhi di serpe non degnarono di una sola occhiata l’ambiente, tant’erano attratti dalle due persona nella stanza.
«Ottimo lavoro…» sibilò la voce del sannin, arrochita dall’estasi.
Il ragazzo si inchinò profondamente, sebbene fosse consapevole che quel gesto non avrebbe trovato attenzione ora che Orochimaru aveva davanti ai propri occhi quel che desiderava, ora che l’aveva a portata di qualche secondo. Gli leggeva nello sguardo la febbrile impazienza.
Fu allora che l’uomo legato alzò il volto verso l’alto, fermando l’affannoso respiro che lo squassava. E non si poté fare a meno di ammirarne la volontà e il coraggio.
Anche se non v’era lume di speranza, né via d’uscita, davanti al nemico più grande del villaggio della Foglia lo shinobi aveva sollevato lo sguardo e fissato Orochimaru con freddezza, con sfida, con dignità, mostrando di essere vicino a tutto meno che alla resa. Quello era uno di quegli uomini che sai di poter torturare fino ai limiti della sopportazione e dell’orrore, ma dalla cui bocca non uscirà mai a tradirlo una sola parola.
Ed il sannin ghignò, guardandolo, perché a lui piaceva quando il gioco diventava complicato, quando valeva la pena di essere giocato. Ghignò di soddisfazione, perché, per quanto la sua preda si sarebbe opposta alla sua volontà, avrebbe infine ceduto, ghignò di compiaciuto divertimento per quella muta e coraggiosa minaccia nello sguardo che gli veniva rivolto con gelida sfida, ghignò di sarcastico, perfido diletto, perché quella minaccia non era nulla davanti a lui. Ghignò di derisione.
«Quello sguardo è decisamente fuori luogo, Kakashi» disse, avvicinandosi lentamente a lui.
Ma Kakashi Hatake sussultò appena davanti a quelle parole di scherno. «Qualunque cosa tu voglia sapere da me, non avrai risposta, Orochimaru» affermò, con coraggio e impudenza.
In risposta a quelle parole ci fu una beffarda risata a vibrare nell’aria.
«Dunque non hai capito…».
Il primo cenno di inquietudine e confusione apparve nell’unico occhio visibile del prigioniero, mentre un altro accenno di riso privo di allegria fece sobbalzare sfuggevolmente le spalle avvolte dal kimono color del cielo di primavera.
Il terzo shinobi nella stanza che seguiva la scena in silenzio, si soffermò a lungo sul colore dell’abito indossato dal suo signore. Un accostamento improbabile, assieme al bianco diafano di quella pelle, al nero impenetrabile dei capelli e alla preziosa ambra degli occhi, un accostamento che sapeva di sbagliato e di falso, ma che possedeva un ossessionante, piacevole fascino. Era un aspetto che decantava una pura sicurezza per chi al primo sguardo giudicava il signore di Oto, ma il ragazzo conosceva il proprio padrone, in quanto era da tempo suo servitore, dapprima dalle file nascoste dei suoi ninja, adesso come suo braccio destro, e poteva asserire con certezza ineluttabile che l’azzurro ceruleo di quel kimono era solo ciò che celava la pece dentro la sua corrotta anima.
Guardò con occhio insondabile Kakashi, il copia-ninja, ne ammirò i tratti nascosti dalla maschera e dal coprifronte, ora graffiato e sporco, scorgendone con sadico divertimento i tentativi di afferrare il significato delle parole di Orochimaru.
In quel silenzio buio ed insondabile, il sannin sospirò con ipocrisia, come se stessero prendendo tutti parte ad un gioco di indovinelli, uno dei quali è difficile da districare.
Sorrise a Kakashi, con sguardo pieno di scherno. «No, non voglio sapere dov’è Sasuke» sussurrò, ed il nome del ragazzo fu gustato dalla sua voce come un nettare fresco.
E con questa frase, con uno strano compiacimento ad illuminargli il viso di una luce sovrannaturale, Orochimaru frusciò nell’oscurità, avvicinandosi piano alla sua impotente e confusa vittima. Il ragazzo che era il suo servitore più fidato, sebbene fosse abituato alle viste, alle sensazioni e alle parole più inquietanti, sentì un brivido lungo la spina dorsale quando il suo padrone inspirò e buttò fuori l’aria in un rumore sottile e sibilante.
Il ninja supremo alzò un braccio verso l’occhio sbarrato di Kakashi, le sue dita dinoccolate artigliarono spasmodicamente l’aria davanti al suo volto prima di afferrare la maschera. A nulla servì il ritrarsi pregno di orrore e disgusto dello shinobi di Konoha.
Orochimaru calò la stoffa con tormentata lentezza, fissandolo con le pupille serpentine senza sbattere le palpebre. Gli liberò il volto che sempre era stato celato a tutti, ma non dedicò a quella reliquia il cui solo possessore poteva vedere davanti ad uno specchio l’attenzione che gli avrebbe riservato chiunque altro. La mano si spostò, febbrile, verso il coprifronte calato sull’occhio sinistro.
Afferratolo con impaziente decisione, lo sollevò, assaporando come in un orgasmo l’ossessionato gesto che compiva.
«E’ il tuo corpo…». Il pezzo di stoffa con la placca di metallo fu violentemente scagliato via, nel buio della sala, dove atterrò con un tintinnio, seguito dagli occhi arancioni del ragazzo silenzioso e composto lì presente.
Orochimaru lasciò indugiare la mano davanti all’occhio sfregiato da una cicatrice e ostinatamente serrato di Kakashi. Sorrise, terribile e folle per la vittoria certa.
«E’ il tuo corpo che voglio adesso… Kakashi».
Il ninja della Foglia restò in silenzio senza muovere un muscolo né lasciando possibilità di capire se e quanto fosse sconvolto e sorpreso. La palpebra quasi tremava per lo sforzo di tenerla sigillata sull’occhio e sulla sua rossa iride, ultimo regalo di Obito Uchiha per il suo compagno di squadra, regalo che ora rischiava di essere impietosamente sottratto.
Kakashi ora aveva compreso che non sarebbe potuto tornare al villaggio della Foglia, e che Konoha si sarebbe trovata ad affrontare i minacciosi demoni che sempre aveva temuto, ancora più potenti di quanto mai fossero stati. Orochimaru, realizzò, sarebbe stato inarrestabile.
Salvare Sasuke, per Naruto, era sempre stata una priorità di amicizia, d’orgoglio e di cameratismo, ma per gli altri shinobi del villaggio e per l’Hokage era un’impellente questione di sopravvivenza. Attraverso un velo nero di lancinante e impotente disperazione, Kakashi si chiese chi e che cosa avrebbe mai potuto sbaragliare quell’antico nemico, se mai fosse riuscito davvero ad ottenere il leggendario Sharingan, quell’innata abilità preclusa ad un solo clan distrutto e che ormai rasentava il mito. Il suo non era quello originale, perché impiantato con l’arte medica da un’orbita ad un’altra, ma ormai il ninja supremo pareva disposto a farselo bastare… perlomeno per ora. Perlomeno finché non avesse avuto a portata della sua ambizione Sasuke Uchiha, il suo inaffidabile, desiderato pulcino di falco.
Nel silenzio afflitto e fremente di quella stanza, Kakashi digrignò i denti, Orochimaru ed il suo braccio destro sorrisero.

Si ribellò.
Fece tutto il possibile ed anche l’umanamente impossibile per mutare l’apparentemente inevitabile fine di ogni cosa.
Kakashi aveva giurato su una tomba incisa con diritti ideogrammi che non sarebbe mai più stato a guardare gli eventi scorrere, ed ora meno che mai intendeva infrangere quella solenne e sofferta promessa.
Cercò di fuggire, sebbene le possibilità di uscire illeso da quel labirinto sotterraneo fossero pari allo zero, provò ad uccidere i suoi aguzzini mentre erano occupati a curare le ferite e rimettere in sesto il suo corpo per prepararlo per il loro padrone. Infine, compreso che la fasciatura attorno alla sua testa e sui suoi occhi applicata per prevenire qualunque tentativo di usare un Genjutsu era troppo stretta per essere sciolta, compreso che i ninja che Orochimaru aveva messo di guardia mentre lo lavavano e medicavano erano troppo allenati nell’arte dell’inganno per farsi ingannare a loro volta, arrivò a tentare anche l’estremo gesto del suicidio nello sforzo di sventare le mire del sannin.
Era rimasto col respiro fermo, precludendo la stantia e guasta aria di quei sotterranei ai propri polmoni, cercando di darsi la morte per soffocamento, ma un pugno nello stomaco asciutto da parte dei suoi carcerieri l’aveva piegato in due e costretto per riflesso ad immettere ossigeno. Avrebbero avuto tutto il coraggio di continuare con quel metodo senza alcun problema di coscienza: lui era solo un oggetto per quei ninja, ed ancora non era stato buttato via perché era un oggetto momentaneamente molto caro per il loro signore.
Affannosamente tentò di usare il proprio sviluppato fiuto per salvarsi in qualunque modo un kami benevolo avesse voluto fornirgli, ma Orochimaru aveva sigillato le sue tecniche e scomposto il flusso uniforme della sua energia, aveva legato le sue dita con complicati e dolorosi nodi per precludergli l’utilizzo dei sigilli magici. Un lavoro perfetto, dove nulla era stato lasciato al caso.
Troppe volte Orochimaru aveva perso le sue occasioni e troppe volte il famigerato destino aveva giocato contro di lui per permettersi di tralasciare pericolosi particolari.
Aveva imparato dai propri più grandi errori intessendo un nuovo ordito, più tortuoso ma ben più sicuro. Adesso era pronto a raccogliere i frutti della sua fatica.

«Anche se sei uno di quei tre ninja, adesso sono in grado perlomeno di ostacolarti!».
«Ihihihih…».
«Che hai da ridere?».
«Ciò che fai, ciò che dici… è completamente inutile».
«Cosa!?».
«Vorresti ammazzarmi? Perché non ci provi? Sempre se ne sei in grado».
Ostacolarlo!? Come mi è venuto in mente?


Davanti ad una porta chiusa il ragazzo aspettava in un ovattato silenzio, concedendosi lestissime occhiate lungo il corridoio perennemente immerso in una logorante semi-oscurità.
Lo shinobi che aveva con fatica combattuto e catturato era chiuso nella stanza alle sue spalle, preparato per il signore di Oto, sorvegliato a vista, ed egli godeva nel sapere che un avversario che tanto aveva temuto quando l’aveva affrontato era ora ridotto all’impotenza.
Le torce nel passaggio che attraversava temerario il cuore del sottosuolo tremolarono e sfrigolarono, disegnando malefiche ombre sulle pareti diritte, quando un’ombra più nera ed opaca avanzò a suo agio, calata nel proprio regno.
Rispettoso, il giovane uomo si inchinò davanti ad Orochimaru, quindi, spinto dall’intenzione di far andare tutto come era prestabilito, senza imprevisti o interruzioni, per la prima volta nella sua vita rivolse la parola al proprio signore senza essere interpellato.
«Orochimaru-sama, se qualcosa andasse storto…?».
Non gli fu riservata nemmeno un’occhiata, nemmeno di striscio gli venne concesso uno sguardo dalle dorate iridi brillanti d’impazienza e desiderio.
«Nulla andrà storto. Non questa volta». Quelle indiscutibili parole, vibranti di un’infallibile e indubbia sicurezza, gli ricacciarono in gola la sua impertinenza.
Approfondì l’inchino, puntando gli occhi sull’umile pavimento. «Sì, mio signore. Mi perdoni, mio signore».
Un gesto spiccio della mano scacciò via le affettate riverenze. «Tutto pronto? L’avete lavato e curato?».
Il ragazzo seguì a ritroso tutti gli ordini impartiti e i compiti svolti, li analizzò, li ripassò di nuovo, annuendo ossequiosamente solo quando fu certo di non aver lasciato passare inosservato il benché minimo e più banale particolare. «Sì, Orochimaru-sama».
La greve penombra si illuminò e scintillò come un faro nella notte al sorriso compiaciuto, smanioso, che incurvò le sottili, ammaliatrici labbra del ninja supremo. La lingua guizzò fuori e le leccò con lascivia, assaporando un occulto desiderio che solo egli sentiva, come se l’aria stessa avesse un sapore per il quale qualunque mente sarebbe sprofondata nella pazzia.
«Perfetto…». Fu l’unica cosa che il sannin disse, il sussurro della condanna.
Poi Orochimaru abbassò la maniglia e dischiuse la porta sul mondo al di là, entrando e precludendone infine le meraviglie a chiunque fosse stato ad attendere alle sue spalle.

Minuti di fervente attesa, minuti di silenzio, dove il villaggio del Suono nella sua completezza, come ninja e come luogo sotterraneo vietato al resto della realtà, attendeva col fiato sospeso che la cerimonia si consumasse.
Gli shinobi di Oto erano stati plasmati nelle aspirazioni dal loro padrone ed avevano finito per condividerne i sogni nella più cieca fedeltà. Ora tremavano pensando al futuro incerto, fremevano nell’immaginare ciò che accadeva, ridevano in faccia a Konoha per quel che avrebbe dovuto patire e affrontare, sputavano sull’arroganza di Sasuke Uchiha e si corrodevano l’anima nel timore di un altro fallimento.
Aleggiava una tremenda quiete nei corridoi e nelle sale, quiete che inesorabile si infiltrava nei cuori e li stringeva in una morsa crudele d’impazienza e muta paura.
E dopo quei minuti fatali un urlo di dolore, di frustrazione e di disperazione la spezzò, brutale.
I ninja del Suono rabbrividirono, il braccio destro del loro signore vacillò ad occhi sbarrati dalla sua postazione davanti alla porta chiusa.
Barcollò di un passo, fissando ossessivamente l’entrata sigillata, respirò pesantemente nel silenzio ancora vibrante degli ultimi echi del grido. Il suo udito allenato percepì passi leggeri che percuotevano il pavimento al di là.
Ed ecco, la porta si aprì sul corridoio, davanti al battere sfrenato del cuore di Otogakure, e dal buio si avvicinò una fatale figura, coi sigilli sul suo corpo disciolti, le dita libere dai nodi, gli occhi vigili e scuri.
Kakashi Hatake varcò la soglia e non pronunciò parola.
Il ragazzo lo guardò, rapito in quell’iride carminio, terrorizzato come mai in vita sua dalla possibilità di aver fallito nell’ultimo tentativo, poiché nello shinobi che sostava immobile davanti a lui non vedeva nulla del diafano, sfuggente e pericoloso uomo che era il signore del Suono.
Kakashi avanzò d’un passo ed egli indietreggiò, sconvolto, finché in fondo a quegli occhi policromi, l’uno una notte d’ebano e l’altro una luna scarlatta, non scovò una luce. Una luce che consumava le menti, bruciava i corpi e sgretolava le anime.
Respirò, un ansimo spezzato riuscì a scappare dalla morsa dei suoi polmoni, mentre la sua voce tremante per la gola arsa e chiusa risuonò timidamente nell’aria.
«Mio signore…?».
Il volto del ninja della Foglia si deformò in un riso appena accennato, ma sufficiente a far tremare il cuore.
«Raduna tutti. Ho importanti cose da rendere note».
Il giovane uomo non ebbe reazioni e per un attimo la confusione l’attanagliò. Poi, come un automa con sguardo sbigottito da un’incredula felicità e un commosso piacere, incurvò la bocca in un terribile sorriso.
Oto con i suoi ninja tirò un sospiro, scaricò l’insopportabile tensione; infine rise a squarciagola, folle del trionfo, ebbro di potere, ma mai sazio. Il ragazzo si inchinò davanti al padrone di tutti loro.
«Sì, Orochimaru-sama».














Torno alla carica con questa nuova fic, terza classificata al contest sui Crack Pairing di Miya86!
Il periodo in cui la fic è ambientata è un ipotetico futuro dello Shippuuden, dopo che Sasuke ha tradito Orochimaru ed ha creato il proprio Team e dopo che Kabuto ha impiantato su di sé il braccio e l'occhio di Orochimaru (non considero più questa cosa spoiler visto che è appena uscito il manga in cui ciò accade in edicola).
Le parti in corsivetto sono citazioni del manga n°8, liberamente tratte dal colloquio fra Orochimaru e Kakashi durante l'esame dei Chunin. La frase "l'ultima gemma che cresceva sul ramo secco degli Uchiha" è una citazione dell'autrice hanabi e della sua fic "Kabuto Gaiden".

Annuncio: Per coloro che seguono "Konoha - Eredi del Sangue" sappiano che sto scrivendo il diciassettesimo capitolo e che sono quasi a metà. Non disperate, miei prodi. XD

Mi sento in dovere di ringraziare Tone e July (Cira su EFP) per aver detto che hanno gradito la fic e per avermela betata (era ammesso dal regolamento del concorso).
Inoltre, ecco qui una piccola parodia comica delle parole di Oro. XD
-"Quello sguardo è decisamente fuori luogo, Kakashi... possiamo sbizzarrirci con calma dopo, in camera mia, non serve che ti arrapi subito così".
-"Dunque non hai capito..." Eh oh, gli servono i disegnini o i gesti espliciti.
-"E' il tuo corpo che voglio adesso... Kakashi" Ecco, vai così Orochi, vedrai che prima o poi la intende.

Gentilmente concesse da July, che ce l'avrà a morte per sempre con me per questa fic. XD
E in quanto a Tone... gli abbinamenti dei colori dei vestiti! *-* (So che questa la capirà solo lei o chi conosce i suoi siparietti... ma non potevo non scriverla XD).

Ringraziamenti:

Beat, grazie infinte per la piccola recensione, sono contenta che la mia fic ti sia piaciuta!

Grazie di aver letto e/o recensito, spero vi sia piaciuta!
   
 
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