Serie TV > Chicago Fire
Segui la storia  |       
Autore: AlexEinfall    16/09/2014    3 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: Dunque dunque. Mi guardo attorno e vedo che non c'è neanche una long su questa coppia, in questo sito. E mi son detta "visto che l'idea mi frulla in testa da quando ho iniziato a seguire la serie, why not?" Quindi, eccomi qui. Questo, lo premetto, è un esperimento sui due tenenti e anche su di me: volta per volta aggiungerò un capitolo, lasciandomi trasportare. Voglio proprio vedere cosa ne vien fuori!
Detto questo, ho bisogno più che mai di voi: fatemi sapere cosa ne pensate.
Enjoy!
 
Declaimer: i personaggi non mi appartengono nemmeno per un decimo e io non guadagno nemmeno un soldo da questa storia.



 I'll be your Soldier


I'd get it if you need it,
I'll search if you don't see it,
You're thirsty, I'll be rain,
You get hurt, I'll take your pain.

I know you don't believe it,
But I said it and I still mean it,
When you heard what I told you,
When you get worried I'll be your soldier.
 Gavin Degraw




1
Solo un giorno qualunque



   Era una serata qualunque alla caserma 51. Mills e Dowson erano ai fornelli, intenti a preparare una sostanziosa cena per gli stomaci affamati dei pompieri. Otis, Mouch e Cruz ingannavano l'attesa del pasto con una partita a carte. Severide entrò in silenzio, perso nei propri pensieri. La spalla non gli doleva più da tempo e non aveva più bisogno di medicine, eppure qualcosa lo irritava ancora. Sentiva lo stesso fastidioso prurito ai nervi, ma la causa questa volta era del tutto diversa. Il suo prurito si chiamava Matthew Casey. Lo cercò con lo sguardo, non trovandolo da nessuna parte.
   «Dowson, dov'è Casey?»
   La ragazza alzò lo sguardo dai fornelli solo un attimo e scrollò le spalle. L'occhiata di Mills era molto esplicita e Severide si ritrovò a sbuffare sonoramente: che quei due andassero a letto era ovvio, ma si chiedeva se gli altri fossero ciechi o solo discreti. E che Dowson e Casey covassero qualcosa era ancora più ovvio. Strinse le mascelle, ma decise che farsi rovinare la fine di una giornata già pessima per queste inezie fosse da idioti. Afferrò un cracker e lo mandò giù, trovando difficoltà a ingoiarlo: aveva un groppo alla gola grande quanto un pugno.
   Dowson svanì nella dispensa e Mills ne approdittò per chinarsi sul tenente.
   «Lo cerchi per parlargli di oggi?» bisbigliò il ragazzo. «Insomma, voglio dire, ha perso il controllo con quel tipo. Non è da lui...»
   Severide avvertì la rabbia montargli.
   «Ascoltami bene, ragazzino. Non sei un tenente e di questo passo non lo sarai mai. Gli affari di Casey non ti riguardano.»
   Buttò giù il mezzo crecker e lasciò la cucina, sotto gli sguardi increduli dei presenti. Ebbe appena il tempo di percepire il dispiacere e il risentimento di Mills, ma decise che non gli importava. Ora voleva solo trovare Casey e magari lasciargli un bel marchio sullo zigomo, tanto per ricordargli il suo ruolo.
   
   Cercò ovunque, ma del biondino nessuna traccia. All'improvviso lo colpì un'intuizione: l'unico posto in cui non aveva cercato era il tetto. Mentre saliva le scale fredde e anonime, l'immagine di un altro collega che tentava il suicidio lo colpì come un pugno allo stomaco. Non era un'idea razionale, ma si ritrovò comunque a salire i gradini a due a due, con una strana frenesia nelle gambe e lo stomaco vuoto.
   Quando aprì la pesante porta d'acciaio, lo investì l'aria era fredda, troppo pungente anche per il suo cappotto: a breve avrebbe nevicato su Chicago. Sul limite dello spiazzo vide una sagoma sottile, stagliata contro le luci della città, e un puntino rosso acceso contro il cielo.
   «Casey?»
   L'altro non si voltò nemmeno, lasciando che si avvicinasse.
   «Che combini?»
   Il tenente non sembrava avvertire il freddo, protetto solo dalla t-shirt d'ordinanza. I gomiti poggiati sulla balaustra di cemento, tirava tediose boccate da una sigaretta, gli occhi fissi sull'orizzonte invisibile. Severide si soffiò nelle mani per riscaldarsi, prendendo tempo. Ora che lo aveva davanti, non sentiva più rabbia, ma solo qualcosa di diverso...di più vicino.
   «Non sapevo fumassi» disse per ingannare il tempo, in attesa di una frase più intelligente.
    Casey scrollò le spalle e guardò la piccola fiammella alla fine della sua sigaretta. Il fumo che usciva dalla sua bocca si univa a quello del fiato condensato.
    «Non fumo da quando avevo quindici anni. Ironico, no? Quanti incendi provocati da questa stecca piccola e inutile...» disse con voce roca e quasi arresa.
    Severide annuì distrattamente, incerto se avvicinarsi o meno. Lo colse il pensiero che se Metthew Casey fosse stato una donna, lui avrebbe saputo esattamente cosa fare. Ma davanti agli occhi arrossati dell'altro si sentiva stupido e inadatto.
    «Se sei qui per quello che è successo oggi, il Capo mi ha già strigliato abbastanza.»
    Quelle parole attizzarono il fuoco nel petto di Severide.
    «Forse non abbastanza» grugnì. «Hai quasi aggredito un uomo, per di più una vittima!»
    Casey gettò via la sigaretta e lo fissò con occhi di fuoco. «Una vittima?» Rise beffardo. «Un uomo che appicca un incendio in casa sua è una vittima? Per poco i suoi figli non morivano!»
    «Non lo ha fatto volutamente. In ogni caso, non è tuo diritto o dovere prendere a pugni ogni idiota di questa città!»
    «Perché no, uhm? Devo mostrarmi comprensivo, una pacca sulla spalla e via? Sei fortunato, amico, questa volta non hai ucciso i tuoi figli? Io non...»
    «Cosa, Casey?»
    «Io non metterei mai in pericolo la vita dei miei figli!» sbottò il tenente, sostenendo il suo sguardo
    Severide all'improvviso capì e la consapevolezza fu una doccia gelida sulla sua ira, capace di smontarla in un attimo. «È questo, allora. Tu...vuoi dei figli. È per questo che Hallie...»
    «Taci!» ringhiò Casey, puntandogli un dito contro. «Non nominarla. Tu non sai niente!»
    «È vero, non lo so. Ma non puoi portare la tua vita privata sul lavoro. Non tu!»
    Casey aprì le braccia infreddolite e rise amaramente: «Perché? Perché sono un tenente? Un esempio? Un leader! Sai cosa ti dico?» Frugò nelle tasche dell'ampio pantalone e ne estrasse il proprio distintivo, che schiacciò sul petto del collega. «Ora non lo sono più!»
    Fece per andarsene, ma Kelly lo afferrò per il gomito. Casey si ribellò e sembrò sul punto di rispondergli con i pugni, ma poi crollò in ginocchio, stringendosi la testa con le mani tremanti. Severide lo lasciò immediatamente, come colto da una scossa elettrica. Era confuso e non aveva idea di cosa fare. Si rese conto che quello bravo in queste cose era proprio Casey, che ora sembrava distrutto da qualcosa che lui non riusciva proprio a capire.
   «Vattene, Kelly...» mugugnò Casey.
   Poteva essere una considerazione stupida e inappropriata, ma il fatto che l'avesse chiamato per nome gli sembrava più assurdo di tutto il resto.
    «Alzati» mormorò Severide, porgendogli la mano. Casey tentennò, poi lo ascoltò, a viso basso. «Questo è tuo» disse Kelly, restituendogli il distintivo. «Non potrà mai essere di qualcun altro finché sarai in questa caserma.»
    Casey afferrò il distintivo e sul suo volto passò brevemente l'ombra del sollievo. Severide vedeva che qualcosa lo turbava profondamente, ma non riusciva a trattenerlo il tempo necessario per trovare le parole giuste. Matthew Casey schiuse gli occhi e quando li riaprì erano gelidi.
   «Per favore, Severide, vattene. Lasciami solo.»
   Kelly non riusciva a muoversi: sentiva di dover restare e che se fosse andato via ora avrebbe perso ogni opportunità di sapere. E lui doveva sapere.
   «Ti lascio in pace se mi rispondi, e stavolta niente balle, ok?»
    Casey annuì appena.
    «Cosa diavolo ti succede?»
   Matthew abbassò lo sguardo e lo rivolse alla città. L'aria fredda sembrava non tangerlo, come se vivesse in un altro mondo.
    Quando finalmente parlò, la sua voce sembrò venire da lontano, da un piccolo spazio tra il cielo sopra Chicago. «Mia madre...Mi ha detto che io non sono come lei, che non ho la stessa rabbia dentro.»Si fermò, espirando forte, poi guardò Severide dritto negli occhi. «Non è vero. Io sono peggio di lei. Le chiavi...Io sapevo, ma le ho lasciate lì. Io...le ho permesso di ucciderlo.»
    Severide non capiva a quali chiavi si riferisse e non ci pensò neanche. Poggiò una mano sulla spalla di Casey e la strinse forte. In uno sguardo gli comunicò ogni cosa. Uno sguardo che li legò per un attimo, ma così vicini come mai lo erano stati.
   «Io non so se sei come lei, o come tuo padre. Io so solo che...Sono fiero di averti come compagno di squadra.»
   Casey annuì, poco convinto.
   «Ora basta, non farmi sembrare una ragazzina» disse rorridendo. «Senti, Mills e Dowson stanno preparando la cena, ma in realtà io non ho molta fame. Ti offro da bere, dove vuoi tu, d'accordo? Facciamo qualcosa da uomini!»
   Matthew accennò un sorriso, che per Severide voleva dire tutto. Insieme lasciarono il tetto e tutto l'astio che c'era stato. La testa leggera e il petto pesante, pregustavano l'alcol che avrebbe loro concesso un attimo di sinestetica pace.


   L'alcol scendeva a fiumi, cancellando ogni groppo alla gola, tutti i risentimenti, gli sbagli e le tensioni. L'ebrezza, come un fuoco sacro ed eterno, annebbiava le menti e scioglieva i muscoli. E il sangue, veloce circolava in ogni tessuto, riscaldando il corpo e il petto.
   Tra le risate, Severide aveva intravisto la fine della storia, aveva avvertito come la serata sarebbe finita. Sentiva il corpo di Casey sempre più vicino al suo, la nuca calda, le pupille dilatate e le mani frenetiche. Seduto al bar aveva chiesto al collega di continuare a casa, poiché il barista non aveva più intenzione di annaffiare oltre i loro spiriti. Avevano camminato e parlato, la lingua di Casey sempre più sciolta, le parole che si arrotolavano nella bocca impastata. Lui aveva riso fino a farsi venire le lacrime. Aveva aperto la porta di casa, grato che Shay fosse da un'amica, o qualunque cosa fosse. Aveva aperto la bottiglia di scotch e aveva deciso che i bicchieri non servivano. L'aveva passata a Casey, crollato sul divano, le orbite che vuote fissavano il soffitto.
   Il tenente aveva detto: «Bella casa...» e poi più nulla.
   Severide aveva fatto tutto questo con l'assoluta certezza della piega che gli eventi avrebbero preso, eppure nessun timore era riuscito a fermarlo. Era un copione che ben conosceva e che mezza popolazione femminile di Chicago aveva recitato con lui. Ma nulla di tutto ciò era riuscito a fermarlo, le cose, semplicemente, erano scivolate via. Così come il suo corpo su quello di Casey e la bottiglia sul tappeto immacolato. Non era certo di ciò che facesse e Casey non sembrava messo tanto meglio, eppure il biondo aveva istintivamente sciolto ogni inibizione e il suo corpo era divenuto bollente. Era un invito che Kelly non poteva rifiutare. I petti si incollarono e Severide perse completamente la cognizione delle proprie azioni. Mentre slacciava incautamente i pantaloni di Casey, spogliandolo della sua divisa e di qualunque appiglio alla realtà dei loro ruoli, Severide comprese che quello era esattamente ciò di cui avevano bisogno. Tutto il resto non contava.
   «Kelly...» biascicò Casey, pretendendo che l'altro lo guardasse. «Questo...non significa nulla.»
   Severide sorrise e gli soffiò sul collo. «Assolutamente nulla. E ora taci, Casey.»




  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Chicago Fire / Vai alla pagina dell'autore: AlexEinfall