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Autore: Ari Youngstairs    16/09/2014    10 recensioni
Succedono cose che a volte non ci aspettiamo.
Altre che desideriamo con tutto il cuore, ma che il destino ci vieta di avere.
Quel giorno, sotto la fredda pioggia londinese, Will capì che c'era qualcuno che desiderava con tutto sé stesso, un desiderio così forte da fargli dimenticare la sua terribile maledizione.
Fu l'amicizia di James a cambiarlo. Jem sarebbe stato il suo peccato.
Istituto di Londra; 1874
[...]«Jem?» Chiamò, ma apparte lo scroscio insistente della pioggia, nessuno rispose. «Dove sei andato a finire? James?» [...]
[...] Ma ci sono amicizie che vanno oltre malattie e maledizioni.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Carstairs, Un po' tutti, William Herondale
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa OS la dedico a Jem Carstairs, con tutto l'affetto che posso darle. Grazie di tutto Cla ♥️
Spero di non deluderti.




L'amicizia è un'anima sola che vive in due corpi

                                           ~Aristotele 




Istituto di Londra; 1874


«Will?» Chiamò una voce dall'altro capo della porta, prima che questa venisse socchiusa rivelando la minuta, fragile e delicata figura di Charlotte. 
Un tredicenne moro, occhi così blu da sembrare viola, rispose con uno sbuffo stizzito.
«Sono io, cosa c'è?» Posò il volume di Charles Dickens sul tavolino accanto a sé, per poi riabbandonarsi alle soffici coperte del proprio letto.
«Ti stavamo cercando.» Continuò la donna, con il tono più gentile che riuscisse ad ottenere. 
«Sto leggendo, dì a chiunque mi stesse cercando insieme a te di lasciarmi in pace.» Detto questo, riprese Il racconto di due città e si immerse nuovamente nella lettura, senza voler sentire obiezioni.
«Ma Will, ci sono i tuoi genitori...» 
Al tredicenne cadde il libro dalle mani, balbettando. No, non era possibile. 
Si sentiva male come quando, per sbaglio, aveva ingerito delle bacche selvatiche che lo avevano tenuto a letto per due settimane, con terribili fitte alla pancia.
«William?» Lo richiamò Charlotte, vedendo un pallore mortale impossessarsi del suo viso. «Stai bene?» 
Il Nephilm afferrò un cuscino e vi affondò la faccia, quasi come se avesse voluto diventare tutt'uno con la stoffa.
«Mandali via.» Sussurrò. 
Charlotte sbarrò gli occhi, colpita dalla decisone nella voce del ragazzino.
«Ma Will...»
«Mandali via.» Ripeté più forte, con il cuore e i polmoni in fiamme. 
Quanto desiderava rivedere la sua famiglia...avrebbe dato di tutto pur di abbracciarli di nuovo, pur di poter mostrare nuovamente affetto, amore e riconoscenza. Ma non poteva: meglio spezzare il cuore a tutti, che farli diventare come lui.
La donna non si mosse dall'uscio, le mani strette in grembo. Non aveva mai visto Will così...inquieto.
«William, i tuoi genitori sono di sotto che ti aspettano, e c'è anche la tua sorellina...»
Il Cacciatore le lanciò il cuscino, rivelando gli occhi arrossati e la smorfia di rabbia che gli deturpava il viso.
«TI HO DETTO DI MANDARLI VIA!» Gridò, mentre Charlotte, spaventata, si chiudeva la porta alle spalle. «DÌ LORO DI NON CERCARMI MAI PIÙ! NON TORNERÒ MAI IN GALLES, MAI!»
La sua voce riecheggiò per tutti i corridoi dell'Istituto, imponendo un inquietante e cupo silenzio. 
Tendendo le orecchie, poteva chiaramente sentire le voci dal piano di sotto: quella di Charlotte, che cercava in tutti i modi di spiegare, il più cautamente possibile, che loro figlio non voleva riceverli, e quella rotta e incrinata dal pianto di sua madre.
Il tonfo del portone che si chiudeva, ed ecco, che l'unica possibilità di rivedere la sua famiglia se ne andava via per sempre, verso le sperdute campagne del Galles.

Will riaprì gli occhi, il respiro affannoso e il cuore che doleva. Erano passati due anni da quel giorno, eppure quel ricordo era vivido come se fosse appena accaduto. 
Sono un mostro, pensò, prima di scoppiare in singhiozzi: non aveva più pianto da...da quando aveva visto Ella nel letto, senza vita, la pelle verdognola e le dita viola. Lei, che gli aveva salvato la vita, e lui, che se l'era rovinata per sempre.
Si lasciò cadere sul materasso, la faccia premuta contro il lenzuolo.
Desiderava tanto smettere quell'inferno di vita. Essere odioso con tutti, non poter fare amicizia, era la punizione peggiore che si potesse affliggere.
Non gli piaceva mostrarsi debole, ma quella volta se ne fregò: quel dolore sordo che sentiva nel petto, quello squarcio nel cuore, lo spingeva a inumidire il letto ancora di più, colpa di quelle dannate lacrime amare come veleno.
Neppure si accorse dell'esile figura che, silenziosamente, si era seduta sul bordo del suo letto.
Se ne rese conto soltanto dopo, quando note acute e dolci si insinuarono nelle sue orecchie, accompagnate da una voce melodiosa.

«Kōng shān bù jiàn rén
Dàn wén rén yū xiǎng
Fǎn jǐng rù shěn lin
Fù zhào qīng tái shàng...»


Will riaprì lentamente gli occhi, sollevandosi a sedere: accanto a lui, con il violino incastrato sotto il mento e l'archetto in mano, c'era un ragazzino dagli occhi d'argento, pallido e delicato come una bambola di porcellana.
«Jem? Che ci fai qui?» Domandò, tentando di riprendere il suo consueto tono acido e crudele. Sfortunatamente per lui, il ragazzo orientale di fronte a sé era immune alle cattiverie degli altri. 
«Ho capito che avevi bisogno di un po' di compagnia.» Rispose semplicemente, rimettendo il violino nella sua custodia. «Sai, quella era una tipica filastrocca cinese. Dice che nonostante il bosco sia buio, la luce riesce sempre a superare i rami degli alberi per illuminarlo.»
Will fece finta di riflettere su quelle parole, quando invece pensava a tutt'altro: Jem era arrivato all'Istituto da quasi un anno, e col passare dei mesi si erano molto avvicinati.
Se non fosse stato tanto pericoloso, Will l'avrebbe considerato come un amico, l'unico che avesse mai avuto.
Quando sentiva che lentamente il mondo cominciava a crollargli addosso, Jem lo aiutava a sostenere i macigni che si accumulavano nel suo cuore, senza che l'uno o l'altro chiedesse nulla. 
Era una cosa automatica, spontanea, ed era questo che faceva paura a Will.
«Ehi, Will. Sei ancora tra noi?» Lo richiamò l'amico, senza né cattiveria né scocciatura. 
«Sì, ci sono. Ti andrebbe di uscire?» James strabuzzò gli occhi, stupito da quella richiesta.
Lanciò un'occhiata alla finestra, osservando il cielo plumbeo e gonfio d'acqua che copriva Londra come una minacciosa coperta.
Il ragazzo orientale non usciva molto, tanta era la paura di Charlotte che lo ying fen nel suo sangue gli facesse un brutto scherzo in sua assenza.
«Ma sta per piovere...» tentò di protestare, ma Will aveva già afferrato l'ombrello.


 
§


Will sapeva che avevano aperto una piccola pasticceria, non molto lontano dall'Istituto: aveva bisogno di tirarsi su il morale, almeno un pochino.
Così, con un ombrello nella mano e il polso sottile del compagno nell'altra, si avviò lungo le vie di quella città in continua evoluzione.
Donne con voluminose e decoratissime gonne erano le uniche chiazze di colore, mescolate al grigio del cielo e al nero delle case, scurite dallo smog di quelle fabbriche che, negli ultimi decenni, spuntavano come funghi.
Arrivarono alle porte di quella che sembrava una piccola bottega, se non fosse stato per i dolciumi esposti nelle teche di vetro.
«Quanto vorrei averne uno.» Si lamentò Will, portandosi una mano allo stomaco borbottante. «Ho voglia di cioccolato.»
Jem non riuscì a trattenere un sorriso: era proprio strano Will. Prima lo aveva visto piangere, e dopo eccolo lì davanti alla pasticceria, desideroso di quelle leccornie.
Il modo in cui il suo umore cambiava di minuto in minuto era notevole, ed era questo che lo rendeva curioso agli occhi semi-argentati del ragazzo.
Venne strappato via dai suoi pensieri quando, improvvisamente, la mano di Will toccò la sua spalla.
«Preso.» Dichiarò, prima di mettersi a correre per la strada come un forsennato.
Prima che Jem potesse fermarlo, lo rincorse saettando tra le bancarelle del mercato settimanale.
«Teppisti!» Gridò un fruttivendolo, quando Will gli rubò due grosse mele color rubino.
Sentì il tocco delicato delle dita di Jem tra le scapole, mentre il cielo londinese si accartocciava sempre di più, un insieme di acqua, nuvole e fulmini.
«Ti ho preso.» Ansimò, con il fiatone. «Sei veloce.»
«Anche tu.»
Si appartarono in un vicoletto angusto, spalla contro spalla, mentre sopra le loro teste si riversava una pioggia talmente copiosa da intimorire Noè.
«Dov'è l'ombrello?» Domandò James, addentando una delle mele. 
Avrebbe dovuto dire qualcosa del tipo “Will, non possiamo mangiarle”, o “Will, non si ruba!” Ma sapeva che tanto sarebbe stato inutile: in fondo, erano solo due mele.
«Temo di averlo dimenticato alla pasticceria.» Ammise, con un sorrisetto dispettoso. «Però a me piace stare sotto la pioggia...è così...»
«...rilassante.» Conclusero in coro, ridendo. 
William non pensava che, dopo la maledizione, avrebbe mai più vissuto dei bei momenti. 
Però, quello che stava vivendo ora, lo sapeva, non l'avrebbe più dimenticato: il primo lume di felicità da mesi, semplice e bellissimo, dal sapore di acqua piovana e mele.    
Jem, anche se forse non se ne rendeva conto, riusciva a capirlo, gli stava accanto e vedeva la parte più buona della sua anima, anche quando si ergeva attorno quelle mure di acido e cattiveria. 
Sentiva che ormai era diventato una parte costante e irremovibile della sua vita, se solo non fosse stato per...la malattia.
Entrambi erano due anime dannate destinate presto a morire: in modo diverso, ma ugualmente atroce e sconfortante.
Quando delle mele non rimasero che i torsoli, continuarono a gareggiare sotto quello che sembrava un diluvio: Will che scappava da Jem, lui che lo acchiappava, e poi viceversa. 
Il Nephilim dagli occhi blu non si era mai divertito così, se non con quella peste di sua sorella. Raziel, quanto gli mancava.
Eppure con Jem si sentiva così bene, così...completo.
Will si era sempre sentito vuoto, come se gli fosse mancato qualcosa di importante nella vita. Un frammento d'un puzzle, una scheggia.
E si rese conto improvvisamente, come quando ci si ricorda di qualcosa d'estremamente fondamentale, d'averlo trovato: era Jem il pezzo mancante.
Quel pensiero, in un istante, annebbiò completamente tutti gli altri: non riusciva più a immaginare come sarebbe stata la sua vita senza Jem.
Sarebbe morto, sicuramente prima di lui, ma voleva passare ogni giorno della sua vita accanto a quel ragazzo dagli occhi argentati, il suo unico e migliore amico.
Si voltò, aspettandosi di vedere Jem che cercava di acchiapparlo, ma lui non c'era.
«Jem?» Chiamò, ma apparte lo scroscio insistente della pioggia, nessuno rispose. «Dove sei andato a finire? James?»
Ancora silenzio.
Preso da un'improvvisa agitazione, fece la strada a ritroso chiamando il nome dell'amico più e più volte.
Quando finalmente lo trovò, un grido gli lacerò la gola come lame di coltelli: Jem, talmente pallido da sembrare morto, era accasciato a terra scosso da violenti colpi di tosse.
«Jem!» Will gli si inginocchiò accanto: aveva i dorsi delle mani, la giacca e le labbra incrostati di sangue, gli occhi argentei sbarrati dal dolore. 
Il cuore di del Nephilim gallese batteva sempre più forte, forse per paura, forse per rabbia, oppure era il senso di colpa insopportabile che lo stava divorando. 
Passò un braccio intorno alle esili spalle di Jem, aiutandolo ad alzarsi. Le sue gambe sottili tremolarono per un po', prima di cedere sotto il peso del suo corpo.
«Will...non ce...non ce la faccio.» Mormorò, tra un colpo di tosse e l'altro. Percepiva un dolore sordo ai polmoni, mentre una nebbia di confusione gli offuscava la vista e la mente. Si sentiva così stanco...
«Jem, Jem ascoltami.» Lo richiamò, stringendo la presa sulle sue spalle. «Tu non puoi cedere adesso. Hai sentito? Se mi molli adesso non te lo perdonerò mai, James.»
Ma la verità, era che non sarebbe mai riuscito a perdonare sé stesso.


 
§


Will percorse il tratto che li separava dall'Istituto correndo, fradicio, con un Jem morente tra le braccia.
Il portone dell'edificio era stato chiuso, così il Nephilim gli tirò dei forti calci per richiamare l'attenzione di qualcuno.
«Charlotte!» Gridò, sull'orlo della disperazione. «Henry! Agatha! Thomas! Aprite, per favore!»
Finalmente i pesanti battenti in legno si aprirono, rivelando l'esile figura di una ragazzina. 
Morbidi boccoli biondi le ricadevano sulle spalle, e tra la mani stringeva una bambola di porcellana.
«Will?» Domandò, con una nota d'acidità. «Devi sempre far preoccupare Charlotte, non è vero?»
«Levati dai piedi, Jessamine!» Le gridò, correndo su per le scale che portavano alle camere. 
«Aspetta, che è successo a Jem?» La sua domanda non ricevette risposta.
Will non ricordava di aver mai corso così velocemente. 
Appena arrivò in camera di Jem, così semplice e ordinata, lo adagiò delicatamente sul letto. Il cuscino si macchiò di un rosso intenso.
Il Nephilm mise a soqquadro l'intera stanza, finché non trovò ciò che cercava: un cofanetto di giada, con intarsiature orientali dorate.
L'aprì, rivelando la polverina scintillante che custodiva. Doveva essere un inferno dipendere da quella roba, doverla continuamente prendere per vivere.
Non per vivere, si corresse Will,  per sopravvivere.
Vide un bicchiere d'acqua appoggiato al piccolo comò, prese una manciata di ying fen e lasciò che il liquido assumesse una tonalità ferrea.
«Jem, bevi...per favore, bevi.» Appoggiò delicatamente il bicchiere sulle labbra insanguinate del ragazzo, che continuava a tossire senza pietà. 
Will non aspettò oltre e cacciò la “medicina” giù per la gola di James, che per poco non si strozzò.
Il moro pregò gli Angeli, o chiunque potesse sentirlo, che tutto andasse bene; Per favore. Per favore.
Rimase a fissare Jem, che in quel momento sembrava dormire beatamente, se non fosse stato per quel pallore innaturale che contrastava col rosso sulle sue labbra.
Gli si inginocchiò accanto, prendendo una mano tra le sue, così magra e fredda.
«Jem, riesci a sentirmi?» Domandò. «Mi dispiace. Non avrei dovuto costringerti ad uscire. Guarda che cosa ho combinato.» Si prese il volto tra le mani, sospirando. «Se morirai sarà solo colpa mia e...e tu non puoi morire adesso. Non quando io ho così bisogno di te. Sei il migliore amico che si possa desiderare, ed io senza di te...non so come farei.»
Una stretta leggera alla mano lo fece sobbalzare, e quando alzò lo sguardo, due occhi argentati e stanchi lo fissavano.
«Jem!» Il Nephilim neppure si accorse di urlare. «Come ti senti?»
Il ragazzo si mise seduto, con il cuscino dietro la schiena e un sorriso timido sulle labbra.
«Sto meglio...grazie, Will. Ho pensato che stavolta ci avrei davvero rimesso la vita.»
La stretta del moro si serrò sulle dita pallide dell'altro, con lo sguardo furente.
«Raziel, non lo dire neppure per scherzo.» Gli ordinò. «Non sai che spavento mi hai fatto prendere...»
Jem fece un sorriso mesto, un sorriso immensamente triste.
«Non ci posso fare nulla...mi dispiace così tanto. Vi ho portato solo dolore e una bocca da sfamare.» Poi incatenò lo sguardo a quello di Will. «Pensavi davvero quello che hai detto prima?»
L'amico sospirò, senza allentare la presa sulla sua mano.
«Sì. Sì, davvero. Tu sei il mio migliore amico, sei l'unica cosa buona che mi sia mai capitata da anni...» Fece una pausa, mentre l'altro aspettava che concludesse la frase. «Io vorrei che tu diventassi il mio Parabatai, James Carstairs.»
Entrambi rimasero spiazzati da quelle parole. Diventare Gemelli di Battaglia era una cosa seria, era una promessa eterna.
«Ma Will...io morirò. Mi hanno dato neppure altri due anni di vita.»
«A me non interessa.» Lo interruppe. «Anche io morirò, e allora? Finché vivrai voglio essere io il tuo Parabatai.»
Jem sembrò commosso a quelle parole, e senza pensarci su due volte avvolse Will in un abbraccio.
Il moro rimase paralizzato. Raziel, non si ricordava l'ultima volta che qualcuno lo aveva abbracciato. 
«Sarebbe un onore per me essere il tuo Parabatai, William Herondale.»
Solo allora il moro, con le mani un po' tremanti e insicure, ricambiò il gesto di Jem.
Era pericoloso per entrambi, Will lo sapeva bene. Eppure lui non riusciva a immaginare come sarebbe andata senza Jem al suo fianco. 
Lui è il mio peccato, pensò, il cuore che batteva forte nel petto.
Ma un'amicizia come quella andava oltre malattie e maledizioni.


 


Angolo Autrice
Che dire, ho rovinato i due più bei personaggi mai creati dalla Clare. 
Claudia, ci ho messo anima e corpo in questa OS, perdonami se non sarà all'altezza delle tue aspettative.
Ci sono tante persone che voglio ringraziare, a cominciare dalla mia Parabatai, MyLove Is On MyBookshelf, e una mia cara amica, Life before is eyes.
Mi farebbe piacere qualche consiglio per migliorare, e sapere che ne pensate mi farebbe un piacere immenso.
Grazie a tutti dal profondo del cuore.

 
   
 
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